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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Rapporto sulla situazione dei musulmani in Italia
rispetto alla fruizione di beni e servizi

"La disparità tra religioni rischia di creare problemi, soprattutto dopo l’11 settembre''

 

“In Italia, la condizione di disparità tra religioni rischia di creare problemi già nell’immediato futuro”, specialmente dopo gli attentati dell’11 settembre. Lo nota il “Rapporto di monitoraggio della protezione delle minoranze nell’Unione Europea: la situazione dei Musulmani in Italia”. L’indagine complessiva – sulla situazione di gruppi minoritari vulnerabili in 15 paesi europei - è stata realizzata da Eumap, Programma di monitoraggio dell’Adesione all’Ue dell’Open Society Institute; nel nostro paese il rapporto viene presentato d’intesa con “A Buon Diritto. Associazione per le libertà”.

 

Il Rapporto Osi offre, per la prima volta in Italia, una mappa dettagliata della condizione dei musulmani rispetto all’accesso alla casa, lavoro, istruzione, giustizia, sanità, scuola, beni e servizi pubblici. La sezione italiana dello studio, presentata nei giorni scorsi a Roma, fa parte del secondo volume, dedicato ai 5 maggiori paesi dell’Ue; vengono esaminate la situazione dei musulmani in Francia, Italia e Gran Bretagna e della minoranza Rom in Germania e Spagna. “Gli standard europei devono essere applicati e monitorati in maniera eguale in tutta l’Unione Europea e non solo nei paesi candidati – fanno notare i curatori -. In base alla direttiva 2000/43/EC, il Governo è stato delegato dal Parlamento ad istituire entro il 2003 un ufficio, all’interno del Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per assicurare un costante monitoraggio sull’effettiva applicazione del principio di pari trattamento. Come previsto dalla direttiva, l’ufficio dovrà avere i poteri necessari per fornire autonomamente assistenza alle vittime di discriminazioni nell’ambito di procedimenti giudiziari o amministrativi, nonché per condurre indagini indipendenti in caso di segnalazione di episodi di razzismo”.

 

In Italia i musulmani – circa 700mila persone - vivono “difficoltà quotidiane nel cammino dell’integrazione, anche a causa della diffusione, tra i cittadini italiani, di atteggiamenti negativi verso l’Islam. Dunque, il fatto che sul piano giuridico e normativo l’Italia si trovi in buona posizione verso l’applicazione della Direttiva Ue sulla parità di trattamento indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica non basta”, nota il Rapporto Osi curato dal professor Silvio Ferrari, precisando che “la legislazione in vigore non viene applicata in maniera soddisfacente per molte ragioni: tra esse, il fatto che le sue norme sono poco conosciute sia dalle comunità di immigrati che dai diversi apparati e funzionari dell’amministrazione. Inoltre, l’assenza di una Intesa – ovvero di un accordo formale tra Stato e comunità islamiche - rende assai difficile la piena espressione della propria identità religiosa”. Va inoltre ricordato che rappresentanti politici italiani “hanno pubblicamente espresso la convinzione che gli immigrati (quelli musulmani, in particolare) rappresentino una minaccia per l’identità nazionale; siano responsabili – nel loro insieme - di un deterioramento della sicurezza pubblica; non siano integrabili nella società italiana”.

 

Dati affidabili e completi sulla situazione dei musulmani o di altri gruppi minoritari non sono ancora disponibili: per gli autori della ricerca questo vuoto rappresenta “un ostacolo all’identificazione dei livelli di esclusione e, quindi, all’applicazione delle norme antidiscriminatorie in vigore”. Benché costituiscano il secondo gruppo religioso in Italia per numero, le comunità islamiche non dispongono ancora di un accordo giuridico con lo Stato, senza il quale l’esercizio dei loro diritti religiosi è di fatto limitato. Anche se da un punto di vista giuridico o sociologico l’esistenza di una “comunità musulmana unitaria” può essere discusso, “non mancano indicazioni sul fatto che i musulmani siano accomunati da un sentimento di identità condivisa, seppure non sempre manifestata apertamente”. La creazione di nuove moschee e istituzioni scolastiche e l’osservanza di feste religiose e altri riti si scontrano con notevoli difficoltà. Inoltre, la maggioranza dei musulmani che vive in Italia non ha la cittadinanza, di conseguenza non partecipa alla vita politica del paese.

 

“L’insufficiente conoscenza della straordinaria diversità delle comunità musulmane presenti nel Paese fa sì che la maggioranza della popolazione italiana non distingua, quando parla di Islam, tra i diversi gruppi musulmani”, nota il Rapporto. Pertanto, la crescente “islamofobia” può contribuire a produrre il risultato, non voluto ma comunque negativo, di rafforzare l’identità musulmana attorno a un sentimento condiviso di vulnerabilità, esclusione e incomprensione da parte della società di accoglienza.

 

Immigrati e religione: soggiornanti in Italia al 31/12/2001 per regione di insediamento

Regione

cattolici

altri cristiani

musulm.

ebrei

buddisti-
scintoisti

induisti

confuciani
tao

animisti

altri

TOT.

V.d'Aosta

730

430

1.380

8

26

9

11

28

106

2.730

Piemonte

22.311

20.996

42.481

220

1.543

731

767

1.220

5.209

95.872

Lombardia

83.702

53.776

120.106

840

12.205

10.066

3.497

4.832

23.502

313.586

Liguria

12.007

5.584

9.979

95

679

439

191

160

3.334

32.688

Trentino A.A.

9.142

9.156

11.637

54

226

394

97

132

2.436

33.331

Veneto

24.146

35.416

48.707

416

3.492

3.204

1.129

3.435

7.307

127.588

Friuli V.G.

13.523

14.814

8.154

347

361

299

216

580

2.604

40.985

Emilia R.

25.044

23.147

60.811

450

2.741

3.211

1.149

2.607

6.845

126.584

Toscana

22.171

20.966

31.787

350

3.813

1.533

2.310

454

10.589

94.467

Umbria

6.344

7.244

10.183

77

421

361

139

391

1.321

26.797

Marche

7.656

10.124

16.767

107

430

675

183

350

2.689

39.211

Lazio

92.588

58.494

49.631

934

7.919

8.231

1.732

3.040

12.607

236.359

Abruzzo

4.189

5.621

6.444

43

231

141

112

71

1.104

18.072

Campania

16.476

14.823

19.034

620

4.261

1.348

796

981

5.246

63.681

Molise

548

500

898

4

15

40

5

14

99

2.130

Basilicata

545

531

1.729

4

32

112

10

9

151

3.136

Puglia

4.734

5.256

16.554

54

626

818

162

176

4.115

32.590

Calabria

3.191

1.931

7.279

24

131

449

34

56

499

13.654

Sicilia

9.777

7.152

20.272

261

4.910

3.059

132

467

1.727

47.904

Sardegna

3.242

2.275

4.466

69

125

103

92

57

764

11.265

TOTALE

362.066

298.236

488.300

4.979

44.188

35.223

12.765

19.061

92.253

1.362.630

Fonte: Dossier Statistico Immigrazione, 2002 su dati del Ministero dell'Interno  

Musulmani in Italia

Le comunità musulmane presenti in Italia costituiscono il secondo gruppo religioso per numero. Provenienti da diverse parti del mondo, parlano lingue diverse e hanno differenti estrazioni sociali; spesso l’unico vincolo tra loro è la stessa fede religiosa. Si tratta di circa 700mila persone; tra loro, 40-50.000 (di cui circa 10.000 cristiani convertiti all’Islam) hanno la cittadinanza italiana. La popolazione musulmana - concentrata principalmente nelle regioni Lazio, Lombardia, Campania, Sicilia, Veneto, Emilia-Romagna - è pari circa all’1,2% della popolazione italiana e approssimativamente al 36% della comunità immigrata. Dell’intera popolazione immigrata presente in Italia, 160.000 provengono dal Marocco, 142.000 dall’Albania, 50.000 dalla Tunisia, 40.000 dal Senegal, 35.000 dall’Egitto e 13.000 dall’Algeria. Ma occorre ricordare che non tutti gli immigrati provenienti da questi paesi sono musulmani, la maggioranza dei quali è costituita da immigrati giunti negli ultimi 20 anni in Italia e privi della cittadinanza italiana. Tra questi, circa 610-615.000 sono “regolari” e godono legalmente del diritto di vivere e lavorare in Italia. Gli altri 80-85.000 sono “irregolari”, sprovvisti di permesso di soggiorno o di lavoro.

In base alle stime più recenti, le persone che provengono da paesi tradizionalmente musulmani costituiscono il gruppo di immigrati con il più alto tasso di crescita nella penisola. Nel periodo 1995-2000, la popolazione musulmana è cresciuta dal 30,4 al 36,8% dell’intera popolazione immigrata, mentre nello stesso periodo la percentuale dei cristiani è diminuita dal 56,4% al 48,2%. Questa tendenza verrà probabilmente invertita dalla crescita dell’immigrazione dai paesi dell’Europa centro-orientale.

(fonte: “Rapporto di monitoraggio della protezione delle minoranze nell’Unione Europea: la situazione dei musulmani in Italia”, 2002, a cura di Open Society Institute e “A buon diritto. Associazione per le libertà”)

Eumap – Programma di monitoraggio dell'adesione all'Ue

Eumap - il Programma di monitoraggio dell’adesione all’Unione europea dell’Open Society Institute - verifica il rispetto dei diritti dell’uomo e delle garanzie proprie dello Stato di diritto in collaborazione con ONG e gruppi della società civile locali in 10 Stati candidati all’Unione Europea dell’Europa Centrale e Orientale e in 5 Paesi membri dell’Ue. Nel novembre 2002 Eumap ha presentato 4 nuovi rapporti in tema di protezione delle minoranze, capacità giuridica, corruzione e politica anti-corruzione e – in collaborazione col Network Women’s Program/Open Society Foundation Romania – pari opportunità tra uomini e donne. Tutti i rapporti contengono raccomandazioni rivolte sia ai governi che alle istituzioni europee. Eumap ha per missione la promozione di un allargamento dell’Unione Europea responsabile e sostenibile. I rapporti EUMAP intendono sottolineare l’importanza dell’attività di monitoraggio svolta da rappresentanti della società civile e incoraggiare un dialogo diretto tra governi e soggetti non governativi su questioni legate ai criteri politici per l’adesione all’Ue.

Per informazioni, www.eumap.org.

Osi - Open Society Institute

L'Open Society Institute, con sede a Budapest e a New York, è una fondazione privata impegnata nello sviluppo e realizzazione di programmi in materia di cultura, educazione, media, pubblica amministrazione, sanità, diritti umani e pari opportunità tra uomini e donne e nella promozione di riforme sociali, giuridiche ed economiche. Osi-Budapest fa parte del “Soros foundations network”, una rete informale di organizzazioni fondate e sostenute dall’investitore e filantropo George Soros, attiva in più di 50 paesi nel mondo. L’Open Society Institute fornisce supporto e assistenza alle fondazioni Soros in Europa centrale e orientale e nell’ex Unione Sovietica, Guatemala, Haiti, Mongolia e Africa meridionale e occidentale. Per informazioni: www.osi.hu e www.soros.org.

 

Aumentano i musulmani nelle scuole italiane, ma frequenza e riuscita scolastica sono inferiori alla media. Il rischio intolleranza

Recenti indagini dimostrano che, tra gli immigrati, "la frequenza e la riuscita scolastica sono inferiori alla media mentre il numero di abbandoni è più alto": un problema che riguarda da vicino anche i minori di religione islamica. Fa il punto sull’accesso al sistema di pubblica istruzione da parte della comunità islamica il “Rapporto di monitoraggio della protezione delle minoranze nell’Unione Europea: la situazione dei musulmani in Italia”.

Non esistono statistiche su base nazionale relative alla frequenza scolastica dei minori musulmani in particolare; tuttavia il numero dei minori immigrati iscritti nelle scuole è sensibilmente aumentato negli ultimi 10 anni: se agli inizi degli anni ’90 25.756 immigrati risultavano iscritti, nel 2000 erano 147.406 (con una crescita annuale di 28mila studenti), di cui il 20% frequenta la scuola materna, il 44% le elementari, il 24% le medie e il 12% le superiori. Africani e asiatici rappresentano il 45% della popolazione scolastica immigrata. In alcune regioni il livello di integrazione degli immigrati nelle scuole, inclusi quelli musulmani, è molto alto. In ogni caso, i rapporti ufficiali mostrano come solo poco più della metà dei minori immigrati residenti in Italia sia iscritta a scuola.

Per quanto riguarda il livello di rendimento degli studenti immigrati, è piuttosto basso in confronto ai coetanei italiani, mentre il tasso di abbandono scolastico, al contrario, è piuttosto elevato. Uno studio sul triennio 1997–1999 nella provincia di Torino ha mostrato come la percentuale di immigrati bocciati sia superiore a quella dei loro compagni italiani e aumenti con l’innalzamento del livello scolastico. Una media di 8,6 minori stranieri non venivano promossi alla classe successiva, con il 2,1% di bocciati nelle elementari, 15,6% nelle medie e 22,1% nelle superiori. Dati scorporati per nazionalità indicano i tassi di bocciatura tra i marocchini (0,7%, 19,6% e 24,7%) e gli albanesi (1,1%; 9,8%; 22,9%). “Problemi legati alla conoscenza della lingua, alla povertà e a un contesto scolastico insufficientemente interculturale incidono negativamente sui risultati scolastici ottenuti dagli studenti musulmani e più in generale immigrati”, nota la ricerca, che cita una recente indagine condotta a Torino e Genova sulle barriere culturali e linguistiche, determinanti per i minori stranieri una flessione nel rendimento che si amplia in proporzione alla distanza tra la cultura di origine e quella italiana. Il 43,8% degli studenti nordafricani e mediorientali presentano un rendimento basso o medio-basso. Altri fattori che possono contribuire al raggiungimento di risultati scolastici relativamente bassi tra gli studenti immigrati: dall’inserimento in classi corrispondenti alla loro età alla mobilità delle famiglie immigrate.

Un altro studio svolto a Torino ha evidenziato un distacco considerevole, in termini di risultati scolastici, tra gli studenti stranieri appartenenti a famiglie poco integrate socialmente e a basso reddito (molte di esse provenienti dall’Africa del nord e dall’Asia) da un lato e gli studenti italiani dello stesso ceto sociale dall’altro. Non risultano studi o statistiche relative all’apprendimento della lingua italiana tra i musulmani, né sui problemi da loro incontrati nelle scuole, anche se non mancano segnali di “un certo disagio verso le strutture educative dello Stato, con ricadute negative sulla loro frequenza e rendimento scolastici”. Secondo alcune ricerche condotte a Modena, Torino, Brescia, Bologna, Genova, Bari, Padova, Arezzo e Ravenna, circa un terzo degli studenti immigrati ha manifestato il desiderio di disporre di una istruzione separata per i membri del proprio gruppo. Fra gli studenti di origine nord-africana, il 71,4% preferisce una scuola comune, ma il 46,5% dei ragazzi ha affermato di sentirsi a disagio nel clima “libero” delle scuole italiane.

Il curriculum scolastico non offre corsi sulla cultura dei paesi di origine degli immigrati né prevede l’insegnamento della loro lingua nativa. Un certo numero di esponenti musulmani ha sostenuto, in alcune interviste, che “il sistema scolastico statale non ha un approccio sufficientemente interculturale: mentre l’istruzione religiosa cattolica è prevista nel curriculum scolastico, scarse informazioni sono fornite a proposito di altre religioni; inoltre la rappresentazione dell’Islam nei testi scolastici è, secondo questi esponenti, non accurata e talvolta distorta”. Le esigenze particolari degli studenti musulmani non sono sempre prese in considerazione: le mense scolastiche, ad esempio, spesso non tengono in considerazione i requisiti alimentari degli studenti musulmani. Occasionalmente, alcuni genitori e insegnanti hanno mostrato atteggiamenti intolleranti verso studenti musulmani, soprattutto dopo l’11 settembre 2001, chiamati talvolta “terroristi” e “amici di Bin Laden”. Una tendenza che “può essere rilevata in tutta Europa”.

Cittadinanze non italiane più rappresentate 
nella scuola italiana (a.s. 2000/2001)

 

 

str.

soggiornanti

Albania

25.050

17,0

144.120

Marocco

23.052

15,6

158.094

Ex-Jgoslavia

16.225

11,0

36.614

Cina 

8.659

5,9

56.566

Romania

6.096

4,1

75.377

Perù

4.486

3,0

29.627



Fonte: Dossier statistico immigrazione, 2002 - Caritas/Migrantes su dati Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca e Ministero dell'Interno

Musulmani e lavoro in Italia: dal '98 è decollata l'attività autonoma ma non mancano le difficoltà. Casi di discriminazione per l'accesso al pubblico impiego

Nel campo dell'occupazione, qual è la condizione in Italia degli stranieri di religione musulmana? Dopo l’11 settembre 2001 si sono verificati alcuni attacchi diretti contro imprese di proprietà di musulmani. Lo riferisce il “Rapporto di monitoraggio della protezione delle minoranze nell’Unione Europea: la situazione dei musulmani in Italia”. A Milano nel 2000 1.153 egiziani erano titolari di un’attività privata, a fronte dei 631 censiti nel 1993 e dei 966 del 1999: un aumento di oltre l’80%. Tra gli immigrati marocchini, l’incremento complessivo delle attività private è stato del 364,3% dal 1993 al 2000. Dal ’98 in poi il lavoro autonomo avviato da cittadini extracomunitari musulmani è decollato: in particolare, gli immigrati egiziani, marocchini, tunisini e senegalesi si sono dimostrati molto attivi in questo ambito.

Per molti altri, tuttavia, non mancano le difficoltà, in particolare “per promozioni e avanzamenti di carriera”; spesso svolgono “mansioni subordinate, non qualificate e malretribuite” anche a causa della “mancanza del livello di istruzione richiesto per le posizioni lavorative più qualificate”, oppure “lavoro nero” senza alcuna protezione sociale. Nel 2000, le quote di accesso previste dal Governo hanno riservato posti di lavoro per 6.000 albanesi, 3.000 tunisini e 3.000 marocchini. Per quanto riguarda l’accesso al pubblico impiego, “si segnalano alcuni casi di discriminazione contro immigrati regolarmente residenti – nota il Rapporto -; spesso la normativa che stabilisce i requisiti necessari all’assunzione nel settore pubblico prescrive il possesso della cittadinanza italiana o comunitaria”. La stessa legge 286/98, tuttavia, “ammette espressamente la possibilità che l’accesso ad alcune professioni sia riservato a cittadini italiani o comunitari, in chiaro contrasto con i principi generali ispirati, invece, al principio di parità”. Nota dolente resta il lavoro nero: nel 2000 i dati evidenziavano che il 48,3% degli immigrati albanesi, il 27,3% dei marocchini e il 31% dei tunisini erano disoccupati. I recenti emendamenti portati alla legge 286/98 hanno introdotto l’espulsione immediata degli immigrati illegali”, ricorda la Ricerca dell’Open Society Institute.

Non solo attraverso un accordo tra lo Stato italiano e una rappresentanza della comunità musulmana in Italia, ma anche presso il posto di lavoro le esigenze religiose dei lavoratori musulmani possono essere soddisfatte, “tramite la contrattazione collettiva a livello regionale o locale”. In diverse regioni i lavoratori musulmani sono riusciti a negoziare con i datori di lavoro accordi speciali che consentono loro di osservare i propri riti (preghiere, disponibilità di cibo halal, ecc.) e festività religiose. Il “Contratto collettivo per i lavoratori del settore agricolo nella provincia di Ragusa”, ad esempio, permette ai lavoratori musulmani di stipulare con i datori di lavoro intese finalizzate a consentire l’osservanza delle festività religiose, in particolare del Ramadan. Nelle regioni industrializzate del nord-est sono in vigore diversi accordi del genere: spesso appositi spazi destinati alla preghiera e ad altre attività religiose sono messi a disposizione dei lavoratori, che in molti casi possono accedere durante le pause a questi luoghi arredati liberamente, secondo le proprie esigenze.

Inoltre, sono stati conclusi numerosi accordi di cooperazione con le associazioni sindacali di alcuni paesi da cui provengono consistenti flussi migratori verso l’Italia, in particolare Marocco, Tunisia e Senegal. “Autorità e cittadini italiani hanno generalmente un atteggiamento tollerante nei confronti di differenti abitudini di abbigliamento”: le donne musulmane che vogliono indossare il chador o lo hjab sul posto di lavoro non si sono viste opporre divieti; secondo i ricercatori “lo svilupparsi di un conflitto su questo punto appare un’ipotesi remota"

Iscritti ai sindacati confederali per settore
Dati 2000/2001

SETTORE

CGIL

CISL

UIL

 

2000

2001

2000

2001

2000

2001

Industria

n.d.

n.d.

38.309

41.866

14.200

15.500

Commercio

n.d.

n.d.

15.007

15.123

900

1.700

Agroalimetari

n.d.

n.d.

23.364

24.625

10.800

10.500

Altri settori

n.d.

n.d.

-

1.081

-

-

Precari/disocc.

n.d.

n.d.

29.041

27.867

-

-

Lavoro domestico

n.d.

n.d.

-

-

1.600

2.300

TOTALE

90.411

99.600

105.721

110.562

27.500

29.500

Fonte: Dossier statistico immigrazione, 2002 - "Lavoratori e cittadini"  - Caritas e Migrantes su dati CGIL, CISL, UIL 

 

 

Assunzioni, cessazioni e saldi 
nel periodo 16/3/2000 - 27/6/2002

 

Tutti i lavoratori

Lavoratori extracomunitari

 

Rapporti

%
maschi

C.F. netti

x persona

Assunz.

%
maschi

C.F. netti

x persona

Tempo indeterminato

 

 

 

 

 

 

 

 

Assunzioni

8.927.732

58,7

5.754.208

1,6

942.311

n.d.

582.801

1,6

Cessazioni

7.168.298

60,1

4.959.187

1,4

657.071

n.d.

432.242

1,5

Saldi

1.759.434

53,0

795.021

2,2

285.240

n.d.

150.559

1,9

Tempo determinato

 

 

 

 

 

 

 

 

Assunzioni

3.711.316

54,4

1.364.281

2,7

280.959

n.d.

120.468

2,3

Cessazioni

3.465.572

54,5

1.282.016

2,7

261.178

n.d.

113.204

2,3

Saldi

245.744

52,9

82.265

3,0

19.781

n.d.

7.264

2,7

Cambio Azienda

4.458.660

n.d.

2.705.046

1,6

713.480

n.d.

259.785

2,7

Cod. Fisc. movimentati

7.883.006

 

 

 

726.628

 

 

 

NB. La  sigla C.F. sta per Codice Fiscale

 

 

 

 

 

 

 

 

Assunzioni

Cessazioni

Saldi

Nord Ovest

Italiani+Stranieri

1.190.084

1.093.308

96.776

 

Extracomunitari

138.157

110.934

27.223

 

%Extracomunitari

11,6

10,1

28,1

Nord Est

Italiani+Stranieri

1.181.044

1.075.427

105.617

 

Extracomunitari

180.331

144.492

35.839

 

%Extracomunitari

15,3

13,4

33,9

Centro

Italiani+Stranieri

1.053.612

969.296

74.316

 

Extracomunitari

99.923

82.030

17.893

 

%Extracomunitari

9,5

8,5

21,2

Sud

Italiani+Stranieri

944.889

829.909

114.980

 

Extracomunitari

35.288

29.253

5.535

 

%Extracomunitari

3,7

3,6

4,8

Isole

Italiani+Stranieri

374.021

329.265

44.756

 

Extracomunitari

13.695

11.647

1.958

 

%Extracomunitari

3,7

3,6

4,4

ITALIA

Italiani+Stranieri

4.743.650

4.297.205

4446.445

 

Extracomunitari

467.304

378.856

88.448

 

%Extracomunitari

9,9

8,8

19,8

 

 

 

 

 

 

 

I settori

 

 

Settori

Assunzioni

Incid. su assunz. extr. %

Incid. su assunz. totali %

 

Alberghi 
e ristoranti

87.182

17,5

10,5

 

Agricoltura

59.987

12,5

17,4

 

Costruzioni

49.098

9,8

12,0

 

Att. Immob. Pulizie

43.209

87

9,5

 

Industria metalli

24.267

4,9

16,0

 

Commercio

22.324

5,5

5,4

 

Trasporti

21.095

4,2

11,2

 

Industria tessile

14.691

3,0

16,5

 

Servizi Pubblici

15.522

3,1

6,1

 

Industria alimentare

12.454

2,5

8,3

 

Commercio dettaglio

11.425

2,3

4,8

 

Commercio Ingrosso

10.899

2,2

6,2

 

Tutti i settori

496.861

100,0

11,2



Fonte: Dossier statistico immigrazione, 2002 - "Lavoratori e cittadini"  - Caritas/Migrantes su dati Inail - Denuncia Nominativi Assicurati

 

Movimento lavorativo per principali gruppi nazionali 2001

 

Assunzione

Cessazione

Saldo

% saldi su assunzioni

Albania

47.035

37.438

9.687

20,6

Marocco

46.344

39.929

6.415

13,8

Romania

28.690

20.167

8.523

29,7

Svizzera

20.379

18.643

1.736

8,5

Jugoslavia

17.207

15.658

1.549

9,0

Tunisia

16.885

14.944

1.941

11,5

Senegal

13.644

12.590

1.054

7,7

Cina

13.208

10.637

2.571

29,7

Polonia

10.297

8.594

1.748

17,0

Totale

420.511

346.854

73.657

17,5



Fonte: Dossier statistico immigrazione, 2002 - "Lavoratori e cittadini"  - Caritas/Migrantes su dati Inail - DNA

Casa: discriminazioni per i musulmani sia nell'affitto di alloggi privati che nell'assegnazione dei pubblici

Nell'accesso alla casa gli stranieri musulmani in Italia registrano discriminazioni sia nell’affitto di alloggi privati che nell’assegnazione di alloggi pubblici, anche se non esiste una casistica completa di questi abusi. Il “Rapporto di monitoraggio della protezione delle minoranze nell’Unione Europea: la situazione dei musulmani in Italia” evidenzia che le condizioni abitative per molti immigrati sono “estremamente precarie in conseguenza delle scarse disponibilità economiche e delle discriminazioni nell’accesso all’abitazione”.

In un Comune dell’Italia settentrionale sono stati adottati provvedimenti che vietavano ai non cristiani (e in particolare ai musulmani) l’accesso a chiese ed aree circostanti, “in evidente violazione dei principi costituzionali: il provvedimento è stato annullato”. Nonostante siano presenti sul territorio nazionale professionisti musulmani originari di paesi africani o mediorientali che vivono in condizioni agiate e sono ben integrati nel tessuto sociale, la maggioranza degli immigrati, inclusi i musulmani, vive in condizioni di concreta o potenziale povertà non solo nelle grandi realtà urbane del nord, ma anche nelle regioni e città meridionali. Anche se la società italiana “sembra evolversi verso la coabitazione tra cittadini e stranieri immigrati, inclusi quelli di religione musulmana, una significativa eccezione riguarda la comunità Rom/Sinti – sottolinea il Rapporto -. Circa un terzo dell’intera popolazione Rom/Sinti (120mila, 2/3 dei quali sono cittadini italiani) sono segregati in campi, in condizioni di estrema povertà”.

Se i servizi pubblici a disposizione dei musulmani sono generalmente di pari qualità rispetto a quelli garantiti agli italiani - in particolare scuole e ospedali -, invece nei quartieri gli stranieri “spesso abitano case di qualità inferiore e sono guardati con diffidenza e sospetto dagli abitanti italiani”. A Milano, ad esempio, mentre i prezzi delle case aumentano continuamente in tutta la città, compresi i quartieri più poveri, nell’area in cui sorge l’Istituto culturale islamico “la tendenza è contraria e i prezzi delle case scendono. Ciò indica con chiarezza la diffidenza, se non proprio la paura, ad investire in un’area largamente popolata da immigrati e di recente segnalata come possibile rifugio di persone operanti all’interno di organizzazioni fondamentaliste”, osserva il Rapporto Osi. Allo stesso tempo, a Mazara del Vallo “la pacifica coabitazione tra la popolazione locale e una numerosa comunità tunisina, per lo più occupata nell’industria della pesca, rappresenta un esempio di integrazione riuscita”.
Esiste una stretta ed ovvia connessione tra i problemi relativi alla casa e la questione lavorativa. “In molti casi, gli immigrati sono costretti a richiedere una fideiussione bancaria per garantire il pagamento dell’affitto, nonché a subire canoni locativi decisamente più alti rispetto a quelli riservati ai cittadini, a parità di condizioni abitative”. E il caro-affitti costringe spesso gli immigrati ad accettare condizioni di vita inadeguate, come abitare in gruppo in un monolocale o, addirittura, dormire in macchina.

 Manca ancora una parità di accesso all’edilizia popolare: nonostante il numero di case popolari messe a disposizione di cittadini extracomunitari sia costantemente aumentato dal 1995 al 2000, è comunque inferiore al numero di alloggi messi a disposizione di cittadini italiani e comunitari. Una norma del Comune di Milano, che disciplinava l’accesso alle case popolari, prevedeva un trattamento di favore per i cittadini rispetto agli stranieri con pari requisiti (età, stato di famiglia, lavoro...). Il Tribunale di Milano, applicando le disposizioni contenute nella legge 286/98 (che espressamente proibisce ogni pratica discriminatoria fondata su ragioni religiose, razziali e di origine nazionale o etnica), ha dichiarato illegittima la norma locale, condannando il Comune al risarcimento dei danni patrimoniali e morali. Non mancano segnali di discriminazione nell’accesso ad alloggi privati: numerose segnalazioni di proprietari e intermediari rifiutano di affittare abitazioni a immigrati extraeuropei, inclusi quelli musulmani. Secondo l’Eumc, lavoratori stagionali musulmani hanno sostenuto che i proprietari di abitazioni sono sempre più riluttanti ad affittare loro le proprie abitazioni.

Tra i gruppi più rappresentati nelle carceri italiane oltre la metà provengono da Paesi musulmani

Tra i 10 gruppi nazionali più rappresentati all'interno delle carceri italiane, oltre la metà (6) provengono da paesi tradizionalmente musulmani: Marocco, Tunisia, Albania, Algeria (al 5° posto), Egitto (9°) e Senegal (10°), per un totale di circa 10.000 detenuti. Lo evidenzia il “Rapporto di monitoraggio della protezione delle minoranze nell’Unione Europea: la situazione dei musulmani in Italia”, presentato nei giorni scorsi a Roma.

         Per agevolare la conoscenza dei diritti dei detenuti, il Dipartimento amministrazione penitenziaria ha finanziato la traduzione nelle lingue maggiormente parlate dagli immigrati di alcune parti del regolamento penitenziario e di testi informativi sui diritti dei carcerati; inoltre ha anche intrapreso attività di cooperazione con il Cies per facilitare il processo di integrazione degli stranieri extracomunitari. E nel 2000 è stato adottato un nuovo regolamento carcerario che contiene anche una nuova disciplina sull’osservanza dei precetti religiosi alimentari in carcere: “Il decreto afferma che le regole religiose devono essere tenute in considerazione per quanto possibile nella preparazione degli alimenti dei detenuti, che spazi adeguati devono essere messi a disposizione per il culto e la formazione religiosa e che le visite di rappresentanti religiosi devono essere consentite su richiesta del detenuto”.

Ancora non decollano gli aiuti per l’esercizio della tutela giurisdizionale. Il gratuito patrocinio è disponibile per tutte le persone non abbienti sulla base di una semplice dichiarazione giurata approvata dall’Autorità consolare, senza alcuna discriminazione di fede, razza, sesso o lingua. Ciononostante, il rapporto Eumc 2002 sull’Italia afferma che “le tutele garantite dalla legge del 1998 sono poco conosciute tra gli stessi avvocati”. Mancano programmi di sussidio legale specifici per i cittadini musulmani o per i membri di minoranze religiose, non ritenuti necessari, dal momento che l’ordinamento italiano (sia civile che penale e amministrativo) si ispira al principio di laicità. In ogni caso, in attuazione del diritto di difesa, gli imputati che non parlano la lingua italiana hanno diritto ad un interprete gratuito. Tutti devono essere informati dei propri diritti in una lingua da loro conosciuta e la Corte di Cassazione ha dichiarato che ogni atto giudiziario che non sia stato tradotto nella lingua dell’indagato o dell’imputato deve essere considerato nullo e privo di effetti. Nel processo civile, coloro che non parlano italiano possono essere assistiti da un interprete e il giudice determinerà su quale parte graveranno le spese. Ciononostante l’ufficio italiano della Federazione di Helsinki ha recentemente sottolineato che gli immigrati ricevono ancora un’assistenza legale insufficiente “anche per ragioni linguistiche”. Il rapporto della comunità islamica con la giustizia italiana è ancora indefinito e controverso: infatti, sebbene il sistema giuridico del nostro paese riconosca e garantisca un largo numero di diritti alle minoranze linguistiche o tradizionali e alle minoranze religiose “il cui statuto giuridico è definito attraverso una legge speciale e intese con lo Stato”, con i musulmani “un’intesa non è stata ancora conclusa”, pertanto i loro diritti collettivi “non risultano pienamente tutelati. I musulmani incontrano difficoltà ad aprire moschee e luoghi di culto, ad osservare le proprie festività religiose ed esercitare altri riti religiosi”. I dati non rivelano un’attitudine particolarmente ostile o discriminatoria contro i musulmani all’interno del sistema giudiziario italiano; tuttavia “non sono infrequenti casi di violenza contro immigrati, inclusi i musulmani, da parte sia di privati che di pubblici ufficiali. Non vi sono generalmente prove sufficienti per stabilire la motivazione razziale o religiosa di tali violenze e, in pratica, molte di esse restano impunite. Nella maggioranza dei casi queste violenze non sono denunciate e sfuggono ad ogni rilevazione statistica”. 

Prime 20 nazionalità detenuti stranieri al 31/05/2002

Paese

Totale

% donne

Marocco

3.797

0,4

Albania

2.790

2,5

Tunisia

2.109

0,9

Algeria

1.538

0,5

Jugoslavia

902

12,6

Romania

736

6,9

Nigeria

576

27,1

Colombia

516

26,2

Croazia

213

13,1

Senegal

202

1,0

Ecuador

165

27,9

Egitto

165

1,8

Turchia

156

1,9

Cina pop.

153

10,5

Perù

145

20,7

TOTALE

17.095

6,0

Fonte: Dossier Statistico Immigrazione, 2002 su dati del Ministero della Giustizia-DAP  

 

Detenuti extracomunitari per posizione giuridica e distribuzione geografica al 31/05/2002

Regioni

Non definitivi

Difinitivi

Internati

Totale

% vertic.

% non def. su tot.

Piemonte

1.041

688

1

1.730

10,1

60,2

Valle D'Aosta

50

60

0

110

0,6

45,5

Liguria

482

287

0

769

4,5

62,7

Lombardia

2.159

989

5

3.153

18,4

68,5

Emilia R.

980

2.024

6

1.576

9.2

62,2

Friuli V.G.

199

578

18

337

2,0

59,1

Veneto

702

562

0

1.265

7,4

55,5

Trentino A.A.

126

66

1

192

1,1

65,6

Lazio

1.155

890

0

2.045

12,0

56,5

Marche

139

134

0

273

1,6

50,9

Toscana

898

789

6

1.693

9,9

53,0

Umbria

244

221

0

465

2,7

52,5

Abruzzo

146

261

0

407

2,4

35,9

Basilicata

45

111

0

156

0,9

28,8

Calabria

194

203

0

397

2,3

48,9

Campania

454

305

11

770

4,5

59,0

Molise

18

42

0

60

0,4

30,0

Puglia

286

174

0

460

2,7

62,2

Sardegna

99

356

2

457

2,7

21,7

Sicilia

346

432

2

780

4,6

44,4

TOT. ITALIA

9.763

7.286

46

17.095

100,0

57,1

Fonte: Dossier Statistico Immigrazione, 2002 su dati del Ministero della Giustizia - DAP  

Mussulmani e media: ''i pregiudizi diffusi tra gli italiani sono legati a stereotipi di origine mass-mediatica''

"Talvolta i pregiudizi sull’Islam diffusi tra la popolazione italiana sono legati a stereotipi di origine mass-mediatica”. Lo nota il "Rapporto di monitoraggio della protezione delle minoranze nell’Unione Europea: la situazione dei Musulmani in Italia", osservando che "l'atteggiamento di larga parte della popolazione italiana e dei mezzi di comunicazione e, più in generale, il dibattito pubblico indicano che i membri di tale minoranza si collocano tra quelli meno integrati nella società italiana”. La crescente intolleranza di ampi strati della società italiana verso persone provenienti da paesi extracomunitari (in particolare albanesi e marocchini) è valutata con apprensione dagli organismi internazionali di monitoraggio. La Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri) ha espresso preoccupazione per “l’atmosfera piuttosto negativa esistente in Italia verso i cittadini di paesi extra-comunitari», collegata alla «diffusa presenza nei dibattiti pubblici di stereotipi, inesattezze e, in alcuni casi, espressioni violente dirette a colpire cittadini extracomunitari”.

In Italia le rappresentazioni negative dei musulmani nei mezzi di comunicazione di massa sono precedenti agli avvenimenti dell’11 settembre 2001 e hanno contribuito alla crescente intolleranza sociale nei confronti della comunità islamica. Un recente rapporto del Centro Europeo di Monitoraggio sul Razzismo e la Xenofobia (Eumc) sottolinea “un marcato cambiamento nell’atteggiamento verso gli immigranti e i rifugiati, così come verso le persone di origine araba” dopo gli attentati negli Stati Uniti, “anche se un certo grado di pregiudizio anti-islamico era già presente prima di questa data”. Forse perché i musulmani sono molto “visibili” nel nostro paese, gli italiani tendono ad associare l’immigrazione all’Islam, anche se in realtà i musulmani non costituiscono la maggioranza degli immigrati: infatti sono più numerosi i cristiani (circa 800mila persone, pari al 48% della comunità immigrata). Di conseguenza ogni discorso sui musulmani viene confuso spesso con un discorso più generale sugli stranieri e l’immigrazione. Un recente rapporto dell’Eumc ha sintetizzato che negli anni ’90 “i principali giornali, sia pur con eccezioni degne di nota, hanno riprodotto forme di pregiudizio etnico nei loro articoli sia di carattere generale che dedicati a un tema specifico, mentre la stampa di destra è stata in alcune occasioni apertamente razzista nella selezione e presentazione di notizie e commenti”. Ad esempio, le rappresentazioni dell’Islam sono frequentemente “fondate su stereotipi e semplificazioni”: arabi e musulmani sono menzionati senza fare distinzioni, “l’Islam è dipinto come una religione tribale araba e la sua dimensione globale è disconosciuta.

Si è fatto ricorso a generalizzazioni che non danno conto della varietà e complessità della situazione nei e tra i differenti paesi islamici”. L’Islam viene rappresentato come una religione ed un’ideo-logia “completamente estranea e alternativa al secolarismo illuminato dell’Occidente”.

A partire dall’11 settembre, la copertura dei media è divenuta “ancor meno benevola, e alcuni giornalisti hanno chiaramente oltrepassato il confine della cronaca equilibrata e imparziale”. La copertura mediatica dei gruppi islamici estremisti sembra essere “sproporzionata” e talvolta l’appartenenza religiosa di musulmani (come del resto quella di altri gruppi minoritari, come gli ebrei) è stata riferita senza alcuna giustificazione, anche se di recente le autorità giudiziarie e di pubblica sicurezza hanno cercato di rendere pubblici gli arresti di musulmani in modo più responsabile. La pubblicazione di queste cronache con accenti negativi “ha sortito un effetto cumulativo, nutrendo il diffuso sospetto e la diffidenza nei confronti dei musulmani – rileva il Rapporto Osi -. L’acutizzarsi dell’interesse di un vasto pubblico ha indubbiamente ampliato l’attenzione dedicata a tematiche collegate con il mondo musulmano e arabo”.

Contemporaneamente sono apparsi numerosi articoli e libri sull’Islam e alcuni giornali hanno pubblicato servizi equilibrati che hanno contribuito ad accrescere la conoscenza delle differenze interne alle comunità musulmane. In ogni caso, l’Eumc nota che questo aumento di attenzione è stato “nei casi migliori, ambivalente” e, in quelli peggiori, ha “semplicemente ribadito stereotipi islamofobici”.(lab)

 


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