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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Quale infrastrutturazione sociale per il sud?

 

“Di una città tu non ammiri

le 7 o le 77 meraviglie,

ma la risposta che da alla

tua domanda”

(I. Calvino)

 

Questo documento prende spunto dal Bando che la Fondazione per il sud, due mesi fa,  ha reso pubblico, contenente l’invito a presentare proposte di progetti da realizzare nelle regioni del sud d’Italia. (1)

La finalità è quella di iniziare a raccogliere alcune riflessioni e proposte, contribuendo al dibattito già in corso,  e di incoraggiare una mobilitazione delle organizzazioni di volontariato meridionali innanzitutto, e poi di tutte le altre organizzazioni solidaristiche interessate a promuovere cammini di sviluppo e di reale cambiamento.

 

 

Il volontariato al sud ha un futuro, o non rischia di scomparire definitivamente, sotto il flusso di denaro che sta per riversarsi in tutto il Mezzogiorno?

Ingenti sono le risorse che in vario modo sono già arrivate e stanno arrivando, copiose, veicolate oltre che attraverso le iniziative dei Centri di Servizio per il Volontariato, anche tramite l’azione della neonata “Fondazione per il Sud”.

Quale idea di sviluppo sottendono?  Quali percorsi? A partire da quale conoscenza del fenomeno?

Le esperienze di volontariato al sud stanno vivendo in questi ultimi tempi profondi cambiamenti, legati a mutamenti culturali e sociali più complessivi,  e vivono da anni fasi di progressivo indebolimento.

Se la Fondazione per il Sud si pone come obiettivo dichiarato quello di rafforzare la presenza del volontariato nelle regioni meridionali, a nostro avviso non è stato sufficientemente valutato l’impatto che le sue iniziative potrebbero avere proprio su tale forma di partecipazione attiva ed organizzata dei cittadini alla vita della comunità.

Alcune recenti ricerche empiriche condotte nel Mezzogiorno d’Italia mostrano come il principale elemento di debolezza del volontariato di questi territori sia in prevalenza rappresentato da una crisi della sua dimensione politica. Dai suddetti studi emerge che tale crisi spinge i gruppi all’autoreferenzialità, ad appiattirsi sui servizi organizzati e gestiti, piuttosto che a collegarsi per promuovere azioni di cambiamento sociale. In altri termini, l’obiettivo delle OdV al sud non sembra essere più quello di lavorare per scomparire, ma per autoriprodursi.  I bisogni prevalenti espressi da queste organizzazioni riguardano le risorse economiche, non la formazione, né la necessità di reperire altri volontari. Vengono denunciati i rapporti clientelari con gli enti pubblici, che spesso facilitano l’acquisizione di aiuti economici, ma che evidentemente inibiscono lo sviluppo di un ruolo politico del volontariato nei confronti degli amministratori locali.

Se lo sviluppo locale richiede la partecipazione attiva degli attori sociali presenti all’interno di una comunità territoriale, in molte realtà meridionali, l’esperienza dei Centri di servizio per il Volontariato è servita prevalentemente a produrre una burocrazia del volontariato che quasi mai riesce a riconoscere e valorizzare adeguatamente la capacità di radicamento e di costruzione sociale dei gruppi, assecondando spesso logiche e comportamenti strumentali. Non vorremmo che la Fondazione per il Sud  riproducesse lo stesso meccanismo burocratico.

Per altro verso, si corre il rischio di favorire pratiche poco democratiche, che calano dall’alto e sulla base di progetti partoriti altrove.

 

 

Quale idea sta maturando dello sviluppo del sud? Da sempre si è  preoccupati circa le scarse risorse economiche, ma in che stato è il volontariato e le varie forme di cittadinanza attiva? Di cosa queste realtà hanno veramente bisogno? E come promuovere, più in generale, una reale “infrastrutturazione sociale” del mezzogiorno?

I progetti esemplari che la Fondazione invita a presentare hanno come obiettivo ultimo l’infrastrutturazione sociale del Mezzogiorno. Le infrastrutture a cui si fa riferimento sono quelle che hanno a che fare con i percorsi di prevenzione, di accompagnamento, di integrazione relativi ad ambiti di cruciale importanza per le regioni meridionali e per le loro concrete opportunità di sviluppo, come la famiglia, la scuola e il lavoro.

Il metodo del bando di chiamata suscita in noi forti perplessità, perché non ci sembra congruente con l’obiettivo ultimo dichiarato. Ogni bando può essere concepito come una costruzione geometrica perfetta per favorire alcune organizzazioni anziché altre. Questo rischio viene scongiurato solo se la predisposizione di un bando non si configura come una operazione meramente tecnica, ma come una modalità per elaborare progetti condivisi e ben esplicitati. Tutto ciò richiede come presupposto essenziale la mobilitazione delle persone e delle organizzazioni più radicate nel territorio.

Sarebbe stato molto più coerente partire non dal bando di chiamata, ma dall’individuazione e dalla valutazione delle esperienze più vivaci e significative del meridione, e favorirne il consolidamento e la crescita.

Poiché il bando è arrivato prima della mobilitazione politica e della definizione di un metodo di lavoro conseguente, non ci sarà  (almeno per questo anno) la possibilità di una partecipazione e di una mobilitazione orientate al cambiamento.

La pubblicazione stessa del bando sta già producendo conseguenze di segno opposto. Essa non solo non ha favorito il collegamento e la mobilitazione collettiva delle associazioni di volontariato e delle altre compagini del terzo settore, ma ha addirittura accentuato le dinamiche di frammentazione tra i gruppi, spingendo molte organizzazioni a tessere (spesso in modo surrettizio e poco trasparente) alleanze funzionali ad un più agevole accesso ai finanziamenti. Tutto ciò non solo non si inscrive nella prospettiva del radicamento, ma sta producendo dinamiche di sradicamento, nel senso che molte associazioni e cooperative stanno predisponendo progetti esemplari sull’educazione dei giovani e sull’abbandono scolastico, pur non essendosi mai mosse su questo terreno, con l’obiettivo di sfruttare a proprio vantaggio l’opportunità economica rappresentata dal bando. L’iniziativa della Fondazione, dunque, genera da una parte frammentazione e, dall’altra,  ricomposizioni utilitaristiche: frammentazione tra organizzazioni che competono per assicurarsi le risorse economiche disponibili; ricomposizioni utilitaristiche tra soggetti impegnati nella costruzione di alleanze strumentali.

Constatiamo, inoltre,  con preoccupazione quanto sia ampio il ventaglio dei soggetti legittimati a presentare proposte. Il bando non opera alcuna distinzione all’interno del complesso delle organizzazioni solidaristiche che costituiscono l’ampia galassia del terzo settore. L’impresa sociale e le organizzazioni di volontariato sono messe sullo stesso piano. Né vengono esplicitati criteri per identificare e distinguere, all’interno delle ormai molteplici forme di volontariato esistenti, quelle più impegnate nella gestione di servizi sociali, da quelle orientate verso la prospettiva del radicamento nel territorio e della animazione di comunità. L’eterogeneità e il diverso peso organizzativo e finanziario dei soggetti abilitati a progettare non solo fanno sfumare la centralità del volontariato, ma rendono anche oggettivamente più complicata la costruzione di partnership davvero orizzontali, orientate dalla logica del radicamento e del cambiamento, anziché da ragioni puramente strumentali.

Per quanto concerne i contenuti dei progetti che la Fondazione invita a presentare, notiamo innanzitutto che di alcune iniziative progettuali annunciate prima della pubblicazione del bando non v’è più traccia. Ci riferiamo, ad esempio, all’ipotesi di una sperimentazione iniziale in Campania e in Calabria, che avrebbe dovuto precedere l’inizio vero e proprio delle attività della Fondazione. Ci riferiamo anche all’iniziativa riguardante le fondazioni di comunità, di cui non c’è più traccia. L’impressione è che questo movimento ondivago faccia emergere la mancanza di un retroterra consolidato, e, soprattutto, di una dimensione politica chiara. Se questa percezione risultasse fondata, le attività della Fondazione rischierebbero di riprodurre gli aspetti più deteriori delle disfunzioni istituzionali del Mezzogiorno.

Entrando invece nel merito delle azioni progettuali “esemplari” che il bando invita a presentare, esse appaiono sicuramente condivisibili, almeno in linea di principio, nel senso che rimandano ad iniziative di cui le regioni del sud hanno sicuramente bisogno. Tuttavia, l’approccio culturale che affiora dal bando sembra tuttavia essere di tipo top-down. Esso appare distante dall’orizzonte della partecipazione, del radicamento, della costruzione di legami comunitari. L’impressione è che si parte dai soldi, e non da una interpretazione condivisa delle realtà meridionali. La prospettiva che con questo documento auspichiamo è che nord e sud lavorino insieme per lo sviluppo del sud. Non ci piace l’idea di un nord che lavora per il sud.

Nel bando si parla indistintamente di sviluppo sociale ed economico. Lo sviluppo sociale e quello economico sono entrambi necessari, ma riteniamo che il primo debba regolare il secondo.

Se si dà invece preminenza allo sviluppo economico, i fondi per il sud potrebbero produrre effetti disastrosi per il volontariato e risultare ininfluenti per il mezzogiorno.

Inoltre, se si considerano i dati economici, si scopre che negli ultimi anni alla crescita dell’economia si accompagna l’aumento del disagio, mentre nel passato la crescita economica voleva dire riduzione della precarietà. In questo quadro, per promuovere sviluppo non è sufficiente curare la dimensione economica, ma occorre ripartire dai legami, dalla comunità, riconoscendo quanto tutto ciò sia problematico, e tuttavia essenziale.

 

 Quale direzione dare al lavoro comune per il cambiamento e per un reale sviluppo del sud?

Questo documento contiene un appello che è indirizzato alle associazioni di volontariato, e poi anche a tutte le organizzazioni interessate a lavorare non solo per se stesse e per la propria autoriproduzione, ma anche per uno sviluppo autentico (e non assistito) delle nostre regioni.

Ci rivolgiamo innanzitutto alle realtà di volontariato, nella convinzione che la funzione preminente di esse sia non tanto quella di gestire fondi, ma di favorire percorsi di mobilitazione politica, intesa nel senso della costruzione di legami, di opportunità, della riaffermazione della centralità del radicamento sociale.

In questa ottica, proponiamo di cercare insieme vie per raccogliere e raccordare il volontariato in movimento con le esperienze di radicamento più significative.

Proponiamo di rimettere al centro la dimensione della gratuità e delle pratiche sociali che da essa discendono. Il lavoro gratuito non rappresenta la modalità esclusiva o più efficace di presenza sul territorio. Esso costituisce però la radice dell’impegno solidale per il cambiamento. Se si indebolisce questa radice, tutto l’albero della solidarietà rischia di disseccarsi.

Invitiamo a pensare insieme a percorsi formativi che abbiano come obiettivo la maturazione di una coscienza politica popolare e diffusa.

Sollecitiamo infine la formulazione e la condivisione di progetti riguardanti alcuni problemi cruciali per i nostri territori. Come quello della mafia. Le OdV meridionali, di concerto con gli altri attori sociali e istituzionali, dovrebbero stare dalla parte di chi denuncia i fenomeni di pervasività mafiosa, veri e propri blocchi allo sviluppo; al tempo stesso, dovrebbero contribuire ad impostare percorsi di integrazione sociale, a partire dai territori a più alto rischio mafioso. Su questo punto ci giochiamo la possibilità di costruire e alimentare capitale sociale, e la ripresa della dimensione politica del volontariato al sud.

 

In conclusione, riteniamo opportuno precisare che le osservazioni e le proposte raccolte in questo documento non hanno la pretesa di fermare il treno in movimento, ma vorrebbero solo provare ad orientarne la corsa.

Come abbiamo tentato di esplicitare in questo documento, crediamo che iniziative orientate a favorire la mobilitazione e la partecipazione attiva delle organizzazioni più radicate, e degli altri attori sociali e istituzionali del territorio, potrebbero essere il volano di esperienze di sviluppo autentico, e dare un senso a tutta l’esperienza della Fondazione per il sud.

Se avremo la possibilità di dare - con la nostra riflessione e il nostro impegno concreto - un contributo sensato a percorsi di reale cambiamento nei nostri territori, saremo ben felici di poterlo offrire.

 

Firmatari

 

Associazioni aderenti

Piero Fantozzi

 

Associazione di volontariato San Pancrazio - Cosenza

Giorgio Marcello

 

Associazione L’Ipotenusa

Paolo Romano

 

MOVI – Federazione Regionale della Campania

Gianfranco Solinas

 

 

Lella D’Angelo

 

 

Mimmo De Simone

 

 

 

 

 

COMUNICARE LA PROPRIA ADESIONE, ANCHE VIA MAIL, AI SEGUENTI INDIRIZZI:

sanpancrazio@tiscali.it

paoloromano.ipotenusa@fastwebnet.it

L’elenco dei firmatari e delle associazioni aderenti verrà aggiornato progressivamente.

 

(1) Il Bando prevede la formulazione di progetti “esemplari”, nonché coerenti con le finalità della Fondazione stessa, che nasce nel novembre 2006 - in seguito ad un protocollo d’intesa  tra il Forum del Terzo Settore e l’Associazione delle Casse di Risparmio Italiane e delle Fondazioni di origine Bancaria – con l’obiettivo di promuovere e potenziare le strutture immateriali per lo sviluppo sociale, civile ed economico delle regioni del meridione d’Italia.

Nella lettera d’invito firmata dal presidente della Fondazione, si precisa che gli elementi che caratterizzano l’identità e l’azione di essa sono rappresentati “dall’esperienza di una moderna ed efficace attività erogativa propria delle fondazioni di origine bancaria e dal radicamento territoriale delle organizzazioni del volontariato e del terzo settore, quali luoghi di partecipazione attiva e di esercizio concreto della democrazia”.

I progetti esemplari possono essere presentati in due ambiti: quello della educazione dei giovani, con l’obiettivo di contenere il fenomeno dell’abbandono scolastico e dell’ingresso di adolescenti e giovani nei circuiti della criminalità e della devianza; e quello dello sviluppo del capitale umano di eccellenza, con gli scopi di porre un freno al fenomeno della “fuga di cervelli” dalle regioni meridionali, e di formare adeguatamente i quadri e i dirigenti del terzo settore.

Il bando si indirizza a partnership, intese come “accordi paritetici tra tre o più soggetti nella co-progettazione e implementazione dell’intervento”.  A questo riguardo, il bando sottolinea che le collaborazioni devono declinarsi in modo da non produrre “impatti ambientali negativi”, garantendo cioè il “rispetto del patrimonio naturale, ambientale e culturale”.


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