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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

RAPPORTO EURISPES 2003

 

Presentata la quindicesima edizione. La fotografia di una Italia tra povertà e ricchezza, legalità e illegalità, improvvisazione e preparazione, identità e differenze. E ''prigioniera dei Manichei''

 

Povertà e ricchezza, legalità e illegalità, anima e corpo, cittadinanza e sudditanza, improvvisazione e preparazione, identità e differenze. Viaggia su queste direttive il quindicesimo Rapporto Italia 2003 dell’Eurispes, presentato questa mattina nell’Aula Magna dell’Università La Sapienza di Roma. Uno spaccato del nostro Paese come sempre atteso, che quest’anno, come detto, ha preso in esame sei capitoli e, per la prima volta, ha dato voce ai cittadini. La novità è infatti rappresentata da 6 sondaggi. Con cui l’Eurispes ha raccolto le opinioni della gente alla fine di ogni capitolo. Sei sondaggi concernenti, in rapida sintesi: la fiducia dei consumatori-risparmiatori; il significato e il valore della legalità; Il paradiso può attendere. Gli italiani e l’eutanasia; la fiducia dei cittadini nelle Istituzioni; la fiducia nella classe dirigente; Stereotipi contro: che cosa pensano i meridionali dei settentrionali e viceversa. Di tutto ciò, ovviamente, abbiamo deciso di segnalare alcuni aspetti in particolare, seguendo gli ambiti tematici più legati al sociale e dandone puntuale resoconto nei lanci a seguire.

La presentazione del Rapporto Italia 2003 è stata preceduta dalla relazione introduttiva del presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, dal titolo eloquente “Prigionieri dei Manichei”. “I manichei, propugnatori di un universo rigidamente diviso tra il bene e il male, dopo essersi dispersi in varie parti del mondo, ogni tanto riaffiorano: anche in Italia – ha affermato Fara -. E, infiltrandosi nei partiti, danno l’impressione di aver reso impotente l’intero Paese. Basti osservare i percorsi e i toni del dibattito politico, il confronto tra i partiti dei diversi schieramenti e, all’interno degli stessi, lo scarso rispetto dei ruoli istituzionali, la povertà delle idee e dei comportamenti per capire come proprio in tutto ciò ci sia la vera emergenza, la questione più urgente da affrontare. Sembra di vivere in uno stato di guerra permanente, che da una parte destruttura il senso stesso del dibattito politico e dall’altra annichilisce chiunque pensi di poter portare un proprio contributo di idee originale e non omologato in un senso o nell’altro. Si potrebbe dire, in estrema sintesi, che ci troviamo di fronte a una politica senza partiti e ai partiti senza politica. La conseguenza è che si confonda la crisi della politica con il declino della società italiana nel suo insieme”.

Insomma, per il presidente dell’Eurispes “Mai come adesso invece ci sono due Italie, separate come forse non lo sono mai state: l’Italia della gente comune afflitta dalle ansie quotidiane, ma non per questo priva di vitalità, e l’Italia della politica che non riesce più a nascondere con le zuffe e le grida l’incapacità di elaborare un progetto per guidare il Paese. Al contrario l’Italia morde il freno”.

“Dal nostro osservatorio – sottolinea Fara - vediamo un Paese vivace, ricco di ingegno e di risorse, dotato di enormi potenzialità che non trovano adeguate e intelligenti vie di sbocco e possibilità di affermarsi. Chi dovrebbe cogliere queste peculiarità è invece afflitto da mancanza di coraggio e da un esasperante immobilismo e non si accorge che la “transizione” è finita ed è nata la Terza Repubblica”. In questa situazione, l’Eurispes – all’interno del Rapporto Italia 2003 - avverte una nuova domanda di rigore morale e di assunzione di responsabilità, “che superi la pericolosa tendenza all’improvvisazione, al dilettantismo e alla faziosità.

Per Fara, “da qualsiasi lato la si osservi, l’attuale situazione italiana è segnata da una crisi di vertice, crisi di dirigenza in tutte le sue articolazioni: dalla politica all’economia, dalla cultura e dall’informazione alla giustizia”. Ed ancora: “L’Italia è ancora trattenuta da troppi vincoli, da troppe norme, da troppi impedimenti, da troppa burocrazia, da troppa approssimazione, dalla troppa incompetenza, dalla eccessiva litigiosità del sistema politico, dalla mancanza di coraggio e da un alternarsi pericoloso tra un eccessivo attivismo e un esasperante immobilismo della politica”.

 

Nel 2002 meno prostitute straniere sulle strade italiane, ''ma il ddl governativo potrebbe creare nuove forme di sfruttamento''

 

Meno prostitute straniere sulle strade italiane. Il calo del 4% registrato nel 2002 dall’Eurispes si spiega con l’intensificarsi di operazioni di polizia, coordinate dal Ministero degli interni, nell’ambito delle campagne “Alto impatto 1 e 2” e “Vie libere”, durante le quali sono state denunciate, arrestate, espulse, intimate a lasciare il territorio italiano, accompagnate presso i centri di permanenza temporanea, per reati connessi alla prostituzione e alla immigrazione clandestina, 16.385 persone (12.718 maschi e 4.667 femmine). Rispetto al 2001, dunque, in cui si stimava che vi fossero in Italia 18-25 mila prostitute straniere, di cui molte clandestine, al 31 dicembre 2002 il loro numero è sceso a 13-18mila, mentre alla stessa data secondo i dati Eursipes circa 30mila prostitute, di cui solo un 20% di straniere, lavorano in sale massaggi, appartamenti, locali di streap tease o lap dance.

Su questo fronte, il 2003 potrebbe essere un anno di cambiamenti, se si considera il disegno di legge “Bossi-Fini- Prestigiacomo”, approvato dal Consiglio dei ministri appena prima delle festività natalizie. “Il ddl governativo di Natale – si legge nel rapporto - fa una piroetta all’indietro: torna allo spirito, e in parte persino alla lettera, della legge “Merlin”. “Così confezionato, il ddl sembra far presagire nuovi problemi. – spiega l’Eurispes - Il trasferimento della prostituzione al chiuso avviene entro limiti talmente angusti da lasciare spazio al ricrearsi di nuovi tipi di prostituzione clandestina e controllata da mediatori e sfruttatori di ogni tipo, proprio quelli che la riforma si impegna a combattere, ma senza fare differenza (come non ne fa la legge “Merlin”) tra il favoreggiatore, anche per lucro, di una persona prostituta consenziente, e lo sfruttatore all’occorrenza sanguinario di una cosiddetta prostituta forzata. In questo senso desta preoccupazione il fatto che le due persone prostitute possano prendere in affitto un appartamento dove desiderano, e che i condomini, se non le vogliono, possano cambiare il regolamento dello stabile e cacciarle. Non è difficile immaginare un putiferio”.

A livello europeo spiega il rapporto tutte leggi “si ispirano ad un criterio fondamentale: devono funzionare per far star tranquilla l’opinione pubblica e per garantire la sicurezza pubblica. – scrive l’Eurispes - Quindi devono separare il commercio sessuale dagli altri commerci sociali, ma devono anche evitare gli effetti indesiderati, perché criminogeni, di una sua eccessiva clandestinizzazione; devono garantire il libero gioco tra domanda e offerta, ma devono anche impedire l’eccedenza di offerta, specialmente da quando è costituita dalle extracomunitarie clandestine. Per fare tutto devono controllare, con guanto più o meno di velluto o pugno più o meno di ferro, tutte e tutti quelli che si prostituiscono. Possono anche chiudere gli occhi, talvolta, rispetto alla loro esistenza. Ma solo se serve”.

 

''Italia a tre velocità''. Sempre più facile finire al di sotto della soglia di povertà relativa

 

Nord e sud del mondo: la distanza fra paesi ricchi e paesi poveri è “l’esplosivo potenziale della storia” secondo il Rapporto Italia 2003 dell’Eurispes che stamani è stato presentato. Ma anche nel nostro paese la disparità di ricchezza si fa sentire così tanto da fare registrare agli osservatori “un’Italia a tre velocità” in cui la crescita della disponibilità finanziaria si accompagna ad un più marcato divario tra le regioni. La distribuzione delle famiglie per classe di reddito e ripartizione geografica mostra infatti chiaramente il diverso tenore di vita che caratterizza i cittadini residenti nelle 3 Italie. Ben il 19,9% delle famiglie settentrionali (la maggior parte di esse) ha un reddito superiore ai 40mila euro, contro il 13% delle famiglie residenti al Centro e appena il 7,1% di quelle meridionali. Per contro è il Sud d’Italia a registrare la più alta percentuale di famiglie aventi un reddito inferiore ai 5mila euro (il 6,7%, contro l’1,2% del Nord e Centro Italia). “I dati relativi alla concentrazione dei redditi – si legge nel Rapporto – amplificano l’idea di un Paese a compartimenti stagni, economicamente e geograficamente distanti, che lo sviluppo economico non sembra essere riuscito ad avvicinare. Il 10% delle famiglie a più basso reddito – costituite in buona parte dai nuclei familiari meridionali – percepiscono appena il 2,1% del totale dei redditi prodotti, valore che raggiunge il picco più alto (26,6%) in corrispondenza delle famiglie con reddito più elevato (mediamente pari a 69.368 euro)”.

Un maggior benessere economico dunque non necessariamente corrisponde ad una più equa distribuzione della ricchezza. Anche se in Italia c’è stato un progressivo aumento della ricchezza, il 12% delle famiglie vive al di sotto della soglia di povertà. Di queste il 66,3%, percentuale che l’Eurispes definisce “impressionante”, è residente nelle regioni del Sud, il 13,6% al Centro e il 20,1% al Nord. “È assurdo il divario tra il benessere di alcuni e la sopravvivenza di altri; da un lato dilemmi sulla meta turistica da raggiungere per le vacanze e da un altro disagi estremi nella vita di ogni giorno” sottolinea l’istituto di ricerca che da però alla povertà un’accezione più ampia: “povertà è anche l’impossibilità di soddisfare quei bisogni umani indotti dal sistema culturale e dalla organizzazione consumistica”. Ecco dunque che anche la figura del povero acquista tutt’altra dimensione rispetto a quella che comunemente si ha di un soggetto ai margini della società. Per ritrovarsi al di sotto della fascia di povertà relativa fissata dall’Istat basta poco e l’Eurispes porta casi concreti: quello ad esempio di due ultrasessantacinquenni, entrambi in pensione che spendono gran parte del reddito in spese per la salute, l’abitazione e l’alimentazione. Se uno dei coniugi dovesse ammalarsi, ritrovandosi in condizioni di non autosufficienza, le spese per i medicinali e per l’assistenza sanitaria crescerebbe e quella famiglia precipiterebbe in uno stato di povertà assoluta. Ma anche famiglie di due adulti con un bambino con un reddito annuo familiare compreso tra i 14mila e i 18mila euro (tra i 1.160 e i 1.500 euro mensili) in cui nasca un altro figlio o in cui uno dei due coniugi perda il lavoro. Esempi che secondo l’Eurispes spiegano come “la probabilità di impoverimento delle classi medio-basse si sia fatta ancora più marcata negli ultimi anni e che la linea di demarcazione tra i poveri e i non poveri si è fatta sempre più indistinta”.

 

Italiani proibizionisti su indulto e droghe leggere, ma favorevoli alla riapertura delle ''case chiuse''

 

Cosa pensano gli italiani in materia di legalità? L’Eurispes ha indagato e – novità di quest’anno - nel Rapporto Italia 2003 pubblica i risultatati di 6 sondaggi, condotti nel primo periodo del 2003 su un campione di 2.000 soggetti, raccogliendo le opinioni dei cittadini su alcune tematiche, tra cui appunto quella della legalità.

 
Legalizzazione delle droghe leggere.

 

Il 58,3% degli italiani ha dichiarato che il loro uso dovrebbe essere punito. A sostenerlo soprattutto gli over45, mentre quelli che mostrano la maggiore propensione alla legalizzazione (il 30,8% del campione è favorevole) sono i giovanissimi: il 40,3% ha tra i 18 e i 24 anni. Diverso convincimento se si parla di uso a fini terapeutici, che convince il 79,1% degli italiani intervistati. Inoltre il 43,7% del campione considera utile la distribuzione controllata di droghe ai tossicodipendenti mentre è dannosa per il 15,6%. Più inclini alla depenalizzazione studenti (47,8%) e imprenditori (45,7%), mentre è tra le casalinghe che si riscontra l’atteggiamento più duro: il 70,1% ritiene che l’uso debba essere punito.

 

Indulto

 

Il 54,1% degli intervistati è contraria e questa convinzione appartiene soprattutto i giovani: il 61,1% dei contrari ha tra i 18-24 anni. Contro la proposta di indulto gli operai (59,8%), i non occupati (58,7%) e gli studenti (58,2%) mentre i dirigenti (40,4%, più del doppio della media) è favorevole all’ipotesi di remissione della pena.


Prostituzione

 

Italiani favorevoli alla riapertura delle “case chiuse” (62,6%) e, particolare non trascurabile, non c’è differenza tra uomini e donne. I proibizionisti sono più numerosi fra i laureati (33,3%) che fra i soggetti con titoli di studio meno elevati (diploma e licenza media); inoltre la percentuale più alta di sostenitori della riapertura delle case chiuse si riscontra fra gli imprenditori (73,9%), mentre la più bassa fra i pensionati (53,6%).

 

Quando si soffre di ''mal di vivere''. La Regione Marche la più ''depressa'' d'Italia

 

Gli italiani sembrano dipendere anche dai farmaci: nel 2001 il Servizio sanitario pubblico ha speso per i medicinali il 32,8% in più, soprattutto per farmaci anti-gastrite e antidepressivi. Il consumo secondo i dati pubblicati nel rapporto 2003 dell’Eurispes sembra essere legato ad un fenomeno che colpisce in Italia 1 persona su 4: il "mal di vivere".

Secondo un'indagine svolta presso 120 centri psichiatrici pubblici e privati in 15 regioni italiane, la depressione colpisce prevalentemente le donne, il 70% dei pazienti dei Centri monitoratiì. La fascia d'età più a rischio è quella compresa tra i 45 e i 64 anni (33%) in cui si registrano le percentuali più elevate di depressi (22% le donne e 11% gli uomini 11%). Colpite soprattutto le casalinghe (il 39,3% dei pazienti) a causa della “svalutazione del ruolo di moglie e di madre operato dalla società civile, con conseguenze rilevanti sul senso di autostima” ma anche a causa della routine monotona legata al ruolo; le percentuali più alte in Umbria (64,7%), Sardegna (52,3%) e Marche (dove 1 paziente su 2 è casalinga). Dopo le casalinghe, ad essere depressi i pensionati (il 14,5% dei pazienti), seguiti dagli impiegati (12,1%) e dagli operai (10,3%), mentre artigiani (2,4%), i professionisti (3,3%) e gli agricoltori (3,4%) sono invece i più immuni da grave disturbo.

Il primato in negativo per la percentuale più alta di depressi va alla regione Marche, in cui le donne costituiscono ben il 90% dei pazienti, seguita dall’Umbria e dalla Calabria (82,4%). L’età media dei depressi in Italia (59,7 anni) raggiunge il valore più basso per la regione Friuli Venezia Giulia (44,7), seguita dalla Calabria (47,8), dalle Marche (50,1) e dalla Toscana (51,8). I valori più alti si riscontrano invece per l’Emilia Romagna (in cui l’età media dei pazienti dei centri specialistici è di 69,3 anni), Umbria (68,5) e Lazio (67,4). Per quanto concerne, invece, il titolo di studio, la depressione colpisce in prevalenza le persone scarsamente secolarizzate: i soggetti con disturbi depressivi possiedono infatti la licenza elementare nel 39,2% dei casi e la licenza media inferiore nel 27,6%.

Il fenomeno analizzato su bambini e adolescenti rivela che il 7% della popolazione tra i 6 ed i 19 anni è afflitto da problemi depressivi; negli Stati Uniti questa percentuale raggiunge l’8%. L’Eurispes sottolinea che il 5,3% nei ragazzi tra gli 11 ed i 14 anni accusano i sintomi delle depressione e addirittura per il 13,8% tra quelli dai 15 ai 19 anni. Nei bambini, invece, la percentuale riscontrata appare piuttosto contenuta.

 

L'alcolismo in Italia colpisce un milione e mezzo di persone, 300mila i decessi per abuso negli ultimi 10 anni

 

Gli italiani bevono ogni anno 34 milioni di ettolitri di vino, 14 milioni di ettolitri di birra (di cui 6,2 milioni al Nord, 2.850.000 al Centro e 4.950.000 al Sud), 23,2 milioni di litri di grappa e 57,8 di superalcolici (whiskey, gin, rum, liquori, ecc). E’ altissimo il consumo in Italia di alcolici, secondo il rapporto dell’Eurispes, e “drammatici” sono i dati sull’alcolismo. Si stima infatti che in Italia ci siano un milione e mezzo gli alcolisti e circa 300.000 siano i decessi causati dall’abuso di alcol nell’ultimo decennio. L’indagine dell’istituto di ricerca prende in considerazione soltanto coloro che abusano quotidianamente di sostanze alcoliche, ma sono circa 3 milioni e mezzo, tra cui moltissimi giovani, coloro cedono alla dipendenza diverse volte al mese.

Quello che è cambiato è il tipo di consumo; diminuisce infatti la quantità di alcol puro consumata da ogni italiano il che significa che si bevono bevande con tasso alcolico più basso. Cala il consumo di superalcolici e vino e cresce quello della birra, “il dato, però, - avverte Eurispes - non deve trarre in inganno, perché è evidente che nonostante un calo nelle quantità complessive di alcol consumato, le vicende di cronaca dimostrano che proprio tra i giovani è diffuso un consumo esasperato di alcol in particolari situazioni”. Più a rischio i ragazzi dai 15 ai 19 anni (dati Epad), ma da non sottovalutare anche il pericolo negli ambienti di lavoro: l’Oms valuta che il 10-30% dei casi gli incidenti in ambienti lavorativi siano attribuibili all’alcol, e, secondo l’Eurispes, è verosimile che tale percentuale possa riguardare anche l’Italia.

 

Come cambia la famiglia italiana: sempre meno matrimoni e figli, ma chi si sposa sceglie il rito religioso

 

La famiglia italiana è in crisi? Forse quella "tradizionale", ma secondo l’Eurispes l’affermazione perde la sua efficacia se si parla di famiglia in senso lato: dal 1951 ad oggi infatti il numero delle famiglie in Italia è cresciuto di quasi dieci milioni di unità. Nel 2001 erano 21.503.088 e ogni dieci annila crescono di circa due milioni. Quello che cambia è il numero dei componenti il nucleo familiare, che, al contrario, diminuisce: dal 1961 al 2000 si è riscontrato un consistente aumento delle famiglie costituite da persone sole, soprattutto persone anziane, (dal 10,6% al 23,3% nel quarantennio considerato). In crescita anche le famiglie con due componenti (dal 19,6% al 26,1%), mentre quelle con cinque componenti si sono più che dimezzate (dal 12,6% al 5,8%) e con sei sono passate da una percentuale del 14,4% all’1,6%.

Se nel 1995 in Italia le coppie con figli costituivano il 48,1% delle famiglie, nel 2000 sono scese al 44,7% mentre le famiglie costituite da persone sole sono cresciute dal 20,6% al 23,3%. Le famiglie tradizionali si concentrano soprattutto nel Mezzogiorno dove le coppie con figli erano, nel 2000, il 52% del totale. Secondo i dati Eurispes inoltre in Italia si celebrano sempre meno matrimoni, ma quando si fa il grande passo la scelta nella maggior parte dei casi cade sul rito religioso (il rapporto è di uno a tre rispetto a matrimonio civile). Ci sposa inoltre sempre più tardi: nel 2000 le donne si sposavano, in media, a 26,5 anni ossia quasi tre anni in ritardo rispetto a quanto avveniva mediamente nel corso degli anni Settanta.

Tante famiglie in più decidono anche di sciogliere il proprio vincolo. Il nostro Paese è ultimo nella classifica europea per numero di divorzi, tuttavia i dati Eurispes segnalano il fenomeno in crescita: nel 2000 il numero delle separazioni è aumentato rispetto all’anno precedente del 10,9% per un totale di 71.969 casi, mentre i divorzi sono aumentati percentualmente del 9,4% arrivando a 37.573 casi. La via della separazione consensuale è quella maggiormente intrapresa (nell’86,4% dei casi), mentre quella giudiziale, con rito contenzioso, si attesta al 13,6%. Nel 2000 ci sono state 49.054 separazioni e 22.667 divorzi di coppie coniugate con figli avuti durante l’unione; se considerano i dati relativi ai figli minorenni, il numero delle separazioni con almeno un figlio affidato è stato di 35.173 (pari al 48,9% del totale delle separazioni), mentre quello dei divorzi è stato di 13.631 (36,3% del totale dei divorzi). Nel 2000, le separazioni dei coniugi hanno coinvolto un totale di 82.594 figli, mentre i divorzi ne hanno coinvolti 35.050.

 

''Ti amo: ti ammazzo'', gli omicidi familiari. Sono più uomini che donne ad uccidere

 

Tra il 1975 e 1995 50 ragazzini hanno ucciso entrambi i genitori, e fra il 1995 e il 2000 altri 30 hanno commesso lo stesso delitto. Cifre che sezionano drammaticamente una parte del fenomeno che riguarda gli omicidi familiari e di relazione che l’Eurispes ha analizzato prendendo i dati più recenti a disposizione (1° gennaio 2001- 30 novembre 2002), rilevati dall’archivio Istituto, e confrontandoli con quelli del Ministero dell’Interno - Dipartimento Pubblica sicurezza (anni 2000-2002). Secondo i dati ministeriali nel 2001 sono stati 162 gli omicidi familiari e 152 fino al 20 novembre 2002; stima lievemente più bassa quella dell’istituto di ricerca (che non inserisce nel campione d’indagine gli omicidi che non indicavano un reo confesso e quelli in cui la vittima non risultava deceduta, ma in prognosi riservata o in coma): nel 2001 128 omicidi familiari e 40 omicidi di relazione mentre al 30 novembre del 2002 116 omicidi familiari i primi e 45 i secondi.

Un dato comunque appare chiaro e cioè che gli omicidi familiari sono di più di quelli di relazione e che in tutti i tipi di omicidi sono più uomini che donne ad uccidere. L’Eurispes ha stilato una “triste graduatoria”: i figli maschi commettono soprattutto matricidi; al secondo posto vengono i padri figlicidi, al terzo le madri figlicide, anche se quando le madri ammazzano i figli o le figlie, “balzano al primo posto nella classifica dell’immaginario collettivo perché sono quasi tutte infanticide”.

 Secondo l’Eurispes negli 11 mesi del 2002 il numero di figli maschi uccisi dal padre aumentano del doppio rispetto all’anno precedente: 10 nel 2001, 20 a novembre del 2002. "Delitti che non raccontano più la storia del 'padre padrone' che pretende di disporre della vita e della morte della sua discendenza maschile, anche se mettono a nudo un’altissima conflittualità agìta dal padre verso il figlio" spiega l’istituto. Nel caso più comune il padre arriva ad uccidere perché il figlio è drogato, perché è uno studente fallito, un disoccupato, ma anche perchè "abbigliato" in maniera che il padre non approva. Viceversa i figli maschi ammazzano, o provano ad ammazzare, più le madri che i padri: 22 sono i matricidi ad opera di figli negli undici mesi del 2001, 11 nel 2002 a fronte di 7 parricidi nel 2001 e altri sette nel 2002.

 

Devianza minorile, ''sintomo di una società malata''. Cresce il bullismo a scuola

 

"I tanti casi di comportamenti irregolari o, addirittura, devianti commessi da minori non sono sufficienti dal punto di vista quantitativo per esprimere un giudizio di condanna nei confronti di un’intera generazione". L’Eurispes indaga su un fenomeno difficile come quello della devianza minorile, tenendo ben presente che i giovani rappresentano un "osservatorio privilegiato sulla società". La devianza minorile, secondo gli osservatori, è il sintomo di una società in parte “malata”, che deve porsi il problema di individuare misure rivolte "non solo ai singoli individui minorenni, ma nello stesso tempo ai contesti relazionali a cui appartengono soprattutto quello familiare e quello scolastico".

Sempre più diffuso il bullismo in ambito scolastico, sopratutto al Nord. I bambini interrogatio dichiarano di aver assunto comportamenti aggressivi: il 23,5% dei maschi ed il 13% delle femmine oggetto di un’indagine nelle scuole ha ammesso di aver picchiato qualcuno. Il fenomeno è molto accentuato tra i bambini e sembra meno evidente tra gli adolescenti, dove invece sono più frequenti minacce e violenze, soprattutto nel Sud (45,9%).

Meno evidente invece in Italia il fenomeno della banda giovanile o “gangs” come si chiamano in America. “Nonostante i titoli allarmistici e gli articoli ad effetto dei mezzi di comunicazione, - sottolinea l’Eurispes - vere e proprie gangs, come quelle americane, non sono ancora un fenomeno diffuso. In ogni caso, benché in aumento soprattutto nelle regioni del Nord-Est, il fenomeno rimane minoritario, e al di là dei toni “catastrofici” dei mass media non può essere preso a pretesto per criminalizzare un’intera generazione”.

 

L'Eurispes disegna la ''mappa religiosa'': quella musulmana la prima professata

 

L’Italia ormai è multireligiosa,

Vive in Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna il maggior numero di cattolici immigrati mentre i musulmani sono in gran parte in Lombardia ed Emilia Romagna. Il Rapporto Italia 2003 disegna la “mappa religiosa” dell’immigrazione analizzando come e dove si distribuiscono le comunità religiose più consistenti tra le regione italiane. Diminuiscono gli immigrati cattolici, protestanti ed ortodossi, mentre cresce il numero dei fedeli musulmani, che passano dal 32,2% del 1990 al 35,4% del 2001, degli induisti dall’1,7% al 2,5% e dei buddisti. Un dato che secondo l’Eurispes, va letto tenendo conto che aumentano le persone provenienti dall’Europa Centro-orientale, dall’Africa settentrionale ed in misura minore dall’Asia.

Sono le regioni del Nord e del Centro che accolgono le comunità religiose più consistenti vista la maggiore disponibilità di inserimento lavorativo in queste aree, piuttosto che realtà transitorie magari grazie a contratti stagionali, come invece succede al Sud e nelle Isole. I cattolici immigrati sono presenti per lo più nel Lazio, in Lombardia e in Emilia Romagna, e sommati ai fedeli di altre confessioni cristiane raggiungono una quota totale di 660.302 persone. “Solo in questo modo si può parlare del cristianesimo come religione più rappresentativa, nonostante il calo di cui si accennava in precedenza” spiega l’istituto di ricerca, perché la religione musulmana, con 488.300 fedeli, è stando ai dato la prima professata dai migranti. I mussulmani vivono soprattutto in Lombardia (la comunità ne conta più di 120mila persone); segue l’Emilia Romagna (circa 60mila), il Lazio e il Veneto. Tra le grandi religioni monoteiste, infine, quella ebraica raggiunge 4.980 immigrati che si aggiungono alla comunità ebraica italiana residente. Buddisti e shintoisti hanno raggiunto le 44.189 unità, in crescita rispetto agli anni precedenti, mentre gli induisti sono in situazione di equilibrio (confrontando 1990-2000) e sono 35.233.

“In Italia i rapporti pubblici con l’Islam sono spesso spettacolarizzati ed amplificati dai mass media: - si legge nel rapporto - si pensi alle polemiche sorte sulla questione delle moschee, da quelle nate durante la costruzione della Moschea di Roma fino al caso più recente di Treviso, dove il sindaco non ha concesso uno spazio per la celebrazione della fine del Ramadan, poi messo a disposizione da un facoltoso privato. La moschea, tra l’altro, è il simbolo di visibilità dell’Islam in Italia e la presenza di aree di culto può alimentare quelle paure di islamizzazione della società italiana da molti paventata, o ancora alimentare la paura della moschea come luogo di incontro-copertura del terrorismo internazionale dopo le vicende dell’11 settembre 2001, come si è verificato alcuni mesi fa riguardo al Centro Islamico di Viale Jenner a Milano”.

 

Ma che atteggiamento mostrano gli italiani nei confronti degli stranieri?

L’Eurispes nel 2002 ha svolto un’indagine su un campione di 2.000 cittadini, da cui è emerso un comportamento di reciproca disponibilità nel 58% dei casi, maggiore nelle Isole e più bassa al Nord. L’indagine ha anche mostrato che la maggior parte degli italiani non crede che gli stranieri portino via il lavoro agli italiani anzi sono convinti che svolgano proprio quei lavori che gli italiani non vogliono fare.

 

 

 

Bullismo: definizioni del fenomeno

 

"Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni” (Olweus 1996).

 

“Un comportamento da “bullo” è un tipo di azione che mira deliberatamente a far del male o danneggiare; spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori c’è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare” (Sharp e Smith, 1995).

 

L’azione del bullo nei confronti della vittima è compiuta in modo intenzionale e ripetuto. Per parlare di bullismo non è sufficiente quindi che si verifichi un singolo episodio di angheria tra studenti, ma deve instaurarsi una relazione che, cronicizzandosi, crei dei ruoli definiti: il ruolo di colui che le prepotenze le subisce (la vittima) e di chi invece le perpetua (il bullo). Il bullismo implica sempre uno squilibrio in termini di forza: non si dovrebbe perciò usare questo termine quando due compagni, all’incirca della stessa forza fisica o psicologica, litigano o discutono. Per parlare di bullismo è necessario che ci sia un’asimmetria nella relazione (Olweus, 1996).

 

IPU - Indice di Povertà Umana

Indice messo a punto dall'UNDP (United Nations Development Programme) per misurare le deprivazioni nello sviluppo umano di base nelle tre dimensioni dell'ISU: longevità, conoscenza e standard di vita dignitoso (IPU-1). L'IPU per i paesi dell'OCSE (IPU-2) aggiunge, a quelle tre dimensioni, l'esclusione sociale.

 

ISG - Indice di Sviluppo di Genere

L'ISG, secondo la definizione contenuta nel Rapporto dell'UNDP (United Nations Development Programme), "misura i risultati raggiunti nelle stesse tre dimesioni e variabili dell'ISU, ma sottolinea le ineguaglianze tra uomini e donne (...): maggiore è la disparità nello sviluppo umano di base, minore sarà l'ISG di un paese rispetto al suo ISU ".

 

ISU - Indice di Sviluppo Umano

Indice messo a punto dall'UNDP (United Nations Development Programme) a partire dal 1990, con il contributo determinante del Premio Nobel Amartya Sen, per misurare le performance dei vari paesi nel raggiungimento di uno stato di benessere e di sviluppo che vada oltre la sola dimensione economica. Le dimensioni analizzate dall'ISU, attraverso un insieme di variabili (speranza di vita, tasso di alfabetizzazione semplice e congiunto, PIL pro capite), sono quelle della longevità, della conoscenza, e del raggiungimento di uno standard di vita dignitoso.

 

Povertà umana e povertà in base al reddito

Secondo il Rapporto UNDP la povertà umana è definita da un impoverimento a molte dimensioni: impossibilità di una vita lunga e sana, mancanza di una conoscenza, di uno standard di vita dignitoso, di partecipazione. Per contrasto, la povertà di reddito è definita come privazione a una dimensione (il reddito), perché essa è ritenuta l'unico impoverimento importante, o perché si riducono le privazioni a un denominatore comune. Il concetto di povertà umana considera la mancanza di un reddito adeguato come un fattore importante della privazione umana ma non il solo. Né secondo questo concetto, tutti gli impoverimenti possono ridursi al reddito. Se il reddito non è la totalità delle vite umane, la mancanza di reddito non può equivalere alla totalità della privazione umana

 

Povertà relativa

L’incidenza della povertà viene calcolata sulla base del numero di famiglie (e relativi componenti) che presentano spese per consumi. Per la misurazione della povertà relativa viene utilizzata la definizione della International Standard of Poverty Line applicata ai dati per la spesa per consumo delle famiglie. Secondo questa definizione si definisce povera una famiglia di due persone la cui spesa mensile per consumi è pari o inferiore al consumo medio pro-capite del paese. In Italia la valutazione del fenomeno povertà viene effettuata sulla base di entrambe le soglie (povertà assoluta e relativa) utilizzando i dati dell’indagine sui consumi delle famiglie.

 

Indulto

Previsto dall’articolo 174 del codice penale, l'indulto è un atto di clemenza generale che condona, in tutto o in parte, la pena inflitta o la commuta in un'altra specie di pena stabilita dalla legge. Presupposto per la sua applicazione è l’accertata colpevolezza dell’imputato. Come l’amnistia, può essere sottoposto a condizioni o obblighi e può essere revocato

 

 

Minori e giustizia: C.P.A.; I.P.M.; U.S.S.M.; Comunità.

 

Piccolo glossario

 

Centri di Prima Accoglienza

 

Ospitano i minori arrestati, fermati o accompagnati fino all''udienza di convalida, svolgendo nei loro confronti attività di sostegno e di chiarificazione. Essi, inoltre, forniscono all''Autorità Giudiziaria procedente i primi elementi di conoscenza della situazione che riguarda il minore e cercano di attivare le risorse familiari e ambientali, coinvolgendo gli altri servizi minorili e quelli del territorio. Preparano le dimissioni del minore dal centro o l''eventuale trasferimento ad altri servizi o strutture.

 

Il C.P.A. si caratterizza come una struttura non carceraria, collocata in gran parte presso gli Uffici Giudiziari; pertanto, il periodo di permanenza nel centro, anche se molto breve, permette di evitare l''impatto con l''istituto penale.

 

E'' importante precisare che, ai sensi dell''art.18 c.2 D.P.R. 448/88, non tutti i minori arrestati o fermati vengono condotti in C.P.A. Il pubblico ministero, infatti, può disporre che il minorenne venga condotto presso una comunità pubblica o autorizzata o, "tenuto conto del fatto, dell''età e della situazione familiare", può disporre che "il minorenne sia condotto presso l''abitazione familiare perché vi rimanga a sua disposizione".

 

Istituti Penali per i Minorenni


Ospitano i minori sottoposti a provvedimento adottato dall''Autorità Giudiziaria, relativamente alla custodia cautelare e/o all''esecuzione della pena. Ospitano, inoltre, i "giovani adulti" che hanno commesso reato da minorenni e che, come previsto dalla legislazione italiana, espiano la pena nelle strutture per minorenni fino al compimento del 21° anno di età.
Le finalità proprie dell''I.P.M. sono identificabili nell''esecuzione dei provvedimenti dell''Autorità Giudiziaria, nel rispetto dei diritti soggettivi dei minori, e nell''attivazione di processi di responsabilizzazione e di promozione umana del minore.  Gli I.P.M. sono 17, dislocati in quasi tutte le Regioni; soltanto quattro (Milano, Torino, Roma e Nisida) sono dotati di sezione femminile.

Uffici di Servizio Sociale per Minorenni


Il Servizio Sociale interviene per i minorenni coinvolti nel circuito penale, concorrendo alla promozione ed alla tutela dei diritti degli stessi. Gli Uffici di servizio sociale per i minorenni operano in collaborazione con gli altri Servizi della Giustizia Minorile e con i Servizi territoriali degli EE.LL. e del Privato Sociale, attraverso modalità operative integrate.


Le Comunità


Si tratta di strutture utilizzate per l''esecuzione delle misure cautelari non detentive e del riformatorio giudiziario, con dimensioni strutturali e organizzative connotate da una forte apertura al contesto ambientale.  I collocamenti in comunità vengono disposti non soltanto verso le comunità dell''Amministrazione della Giustizia Minorile, ma anche verso comunità private, associazioni e cooperative, con cui vengono stipulate convenzioni, al fine di aumentare le possibilità di accesso dei minori a questo tipo di struttura.


Fonte: Ministero della Giustizia, 2001

 

 

Istituti Penali Minorili: le presenze in Italia al 26/11/2002 

IPM

ITALIANI

STRANIERI

TOT.

Maschi

Femmine

Maschi

Femmine

Acireale (CT)

13

0

4

0

17

Airola (BN)

19

0

8

0

27

Bari (BA)

8

0

18

0

26

Bologna (BO)

1

0

20

0

21

Catania (CT)

48

0

2

0

50

Catanzaro (CZ)

18

0

2

0

20

Firenze (FI)

2

0

4

0

6

L'Aquila (AQ)

6

0

5

0

11

Lecce (LE)

9

0

10

0

19

Milano (MI)

17

2

36

7

62

Nisida Napoli (NA)

24

0

13

0

37

Nisida Napoli (NA)*

0

2

0

5

7

Palermo (PA)

23

0

4

0

27

Potenza (PZ)

3

0

3

0

6

Quartucciu (CA)

13

0

4

0

17

Casal Del Marm Roma

11

0

32

0

43

Roma

0

1

1

8

10

Torino (TO)

5

6

26

5

42

Treviso (TV)

7

0

8

0

15

TOTALE

227

11

200

25

463

Note:
(*) IPMSCC

Fonte: Ministero della Giustizia, Novembre 2002  


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