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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Il reddito minimo di inserimento

 

La storia

Il reddito minimo di inserimento (Rmi) è stato proposto per la prima volta in Italia nel 1995 a seguito di uno studio di Commissione di Indagine sulla Povertà e l'Emarginazione. Secondo la Commissione, pur esistendo misure locali di sostegno al reddito, mancava uno strumento non categoriale, non frammentato, certo e che non consentisse troppi margini di discrezionalità. La compresenza di sistemi locali di assistenza economica portava in sé elementi di disuguaglianza a parità di bisogno. Il sistema di welfare italiano era quindi privo di una misura trasparente e omogenea nei criteri di accesso e di erogazione, nei diritti e nei doveri. Successivamente la proposta è stata ripresa nella Commissione Onofri nel 1997 nell'ambito del progetto complessivo di riforma del welfare state italiano. Nel ridisegno del welfare italiano, il minimo vitale si configurava come ammortizzatore sociale da erogare in caso di esaurimento del diritto al primo (sospensione temporanea con la conservazione del posto di lavoro) e secondo livello di protezione (trattamenti di disoccupazione per i lavoratori che perdono una precedente occupazione).

Secondo la Commissione Onofri, il minimo vitale doveva agire come rete di protezione a cui qualsiasi cittadino poteva accedere per trovare sostegno economico e/o offerta di opportunità e servizi. I destinatari erano tutti maggiorenni con risorse inferiori a una certa soglia di reddito, valutata su base familiare. Lo scopo del minimo vitale era il reinserimento nel mondo del lavoro dei beneficiari. La gestione spettava all'ente locale e quindi doveva avvenire in una logica di integrazione con le politiche assistenziali locali e con le politiche attive del mercato del lavoro.

Gli studi della Commissione povertà e della Commissione Onofri erano concordi nell'affermare che in Italia mancava una misura, presente in molti stati europei, omogenea sul territorio nazionale, in grado di garantire un reddito di ultima istanza, che quindi impedisse al singolo e alla famiglia di cadere al di sotto della soglia di povertà. Così nel 1998, il Governo decideva di introdurre, seppure in via sperimentale, l'Istituto del Rmi: nella legge finanziaria (legge 449/97) si prevedeva uno stanziamento per realizzare la sperimentazione definita dal successivo decreto legislativo237/98, iniziata nell'ottobre del 1998 e conclusasi lo scorso dicembre 2000.

 

dal REDATTORE SOCIALE

Oggi: Reddito minimo d'inserimento, l'esperienza può dirsi conclusa. Braccio di ferro Governo-Comuni ed erogazione per soli 6 mesi. Ma cresce la povertà in Italia.

Di Francesco Paolini

Il braccio di ferro tra governo e comuni continua. Tuttavia la decisione è ormai presa: neanche le briciole ci saranno per coloro che a partire dal prossimo giugno si troveranno con redditi al di sotto di 269 euro. La Finanziaria ha, infatti, cancellato il Reddito minimo di inserimento (Rmi). Nulla da fare per le 165 mila persone che attualmente percepiscono la misura.

Introdotto nel 1998 in via sperimentale in 39 comuni dalla legge "Turco", e poi esteso nel 2000 ad altri 267, il Rmi è una misura di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale, che agisce sostenendo le condizioni economiche e sociali delle persone esposte al rischio della marginalità sociale. A distanza di quattro anni dall’avvio può definirsi un’esperienza conclusa. Il governo ha respinto un emendamento che prevedeva di rifinanziare il Rmi. Il sottosegretario al welfare, Pasquale Viespoli, rincara la dose: "Il Rmi ha esaurito la sua funzione. Si tratta di vedere come traghettare i comuni dal vecchio al nuovo". In realtà, l’ultima novità è che il Rmi continuerà ad essere erogato anche per i prossimi sei mesi. Secondo quanto ipotizzato dal ministero del welfare, lo stato dovrebbe sborsare 35 milioni di euro ed altrettanto i comuni, attraverso un fondo sociale speciale da istituire presso le regioni. Sarebbe una soluzione temporanea per traghettare gli enti locali verso il reddito di ultima istanza: il nuovo strumento disegnato dalla delega di riforma degli ammortizzatori sociali non ancora avviato tantomeno definito.

Nel frattempo l’Istat lancia l’allarme: la povertà dei minori aumenta, mentre aumentano anche i lavoratori poveri. Per il 2002 l’Istituto stima 2.707.000 famiglie in condizione di povertà relativa, che nel Mezzogiorno riguarda il 25% della popolazione, e 954 mila nuclei familiari in condizioni di povertà assoluta (rispettivamente il 12,3% del totale ed il 4,3%). A fronte di questi dati emerge un vuoto legislativo evidente. A livello nazionale esistono misure di garanzia solo per gli anziani e i disabili. A queste si aggiungono, poi, l’assegno al nucleo familiare per le famiglie di lavoratori dipendenti poveri e l’assegno per i nuclei poveri con almeno tre figli minori. Per tutti gli altri casi, l’esistenza di misure di sostegno è legata esclusivamente alle politiche messe in atto localmente da regioni, province e comuni.

Ma, in pratica, che cosa è il Rmi? E’ uno strumento costituito da trasferimenti monetari e da programmi di inserimento, che hanno lo scopo di perseguire l’integrazione sociale e l’autonomia economica dei soggetti destinatari mediante programmi personalizzati. Si tratta di progetti che spaziano dall’intervento di tipo occupazionale a quello di cura e sostegno familiare, da quello formativo/scolastico a quello di integrazione socio/relazionale. Attraverso il Rmi l’Italia aveva applicato, sia pure a titolo sperimentale, una misura di sostegno ai redditi bassi, già presente in tutti i paesi dell’Unione europea ad eccezione della Grecia. Si era riconosciuto il ruolo delle misure di garanzia del reddito dal punto di vista di un generale ripensamento del welfare, partendo dal presupposto che per risolvere il problema del lavoro possa essere necessario risolvere prima i problemi della povertà economica con adeguati sostegni di reddito e quelli dell’emarginazione sociale con incisive azioni di inserimento. Occorre precisare, tuttavia, che non basta essere disoccupati per avere diritto al Rmi. In sostanza, occorre essere poveri e la soglia è molto bassa: una persona che vive sola e ha un reddito di 269 euro mensili ne è esclusa.


Il governo, tuttavia, ha preso un’altra strada da tempo. Già la scorsa estate il "Patto per l’Italia" spiegava che data l’impossibilità di individuare i soggetti aventi diritto, il Rmi sarebbe potuto sopravvivere solo come programma regionale, co-finanziato in misura minore dal Fondo nazionale per le politiche sociali. Tradotto: solo le regioni più ricche potranno, in futuro, introdurre un loro Rmi. Quelle del Sud, dove risiedono due poveri su tre, dovranno stare a guardare, date le loro basse capacità impositive. In questo senso la delega al livello locale di uno strumento come il Rmi rischia di produrre una forte discrezionalità, se non si definiscono criteri e standard a livello nazionale.

Sul Reddito minimo di inserimento emergono due questioni centrali che richiedono un approfondimento specifico. In particolare: la sperimentazione può considerarsi fallita rispetto alle intenzioni previste dalla legge Turco? Inoltre il cofinanziamento stato-regioni prospettato dal governo può risolvere le criticità emerse?


Per rispondere a queste domande costituisce un’utile base il Rapporto di valutazione condotto sui 39 comuni del primo biennio, previsto nella legge e realizzato da due istituti qualificati (Irs e Cles) e dalla Fondazione Zancan. Il ministro per la solidarietà sociale avrebbe dovuto presentare tale Rapporto al Parlamento entro il 31 giugno del 2001. Ad oggi non si è ancora svolto il dibattito parlamentare. I commenti che seguono sono, quindi, basati su una versione non ufficiale della valutazione, che costituisce anche la principale fonte per impostare un dibattito informato.


I comuni coinvolti nella prima parte della sperimentazione hanno popolazione residente che fluttua da un minimo di 1.278 cittadini (Onano, provincia di Viterbo) ad un massimo di 1.067.365 (Napoli), con una media pari a 66.910 abitanti.


I beneficiari (si intendono coloro i quali hanno ricevuto l’integrazione monetaria) coinvolti nei singoli comuni oscillano tra i 14 di Monterosi (Viterbo) ed i 17.336 di Napoli; si tratta, in media, del 6.5% della popolazione residente nei 39 comuni, con valori estremi decisamente variabili: dallo 0.5% di Rovigo al sorprendente 54% di Orta di Atella (Caserta). La composizione media di componenti "presi in carico" per famiglia si attesta a 2,6 al centro-nord ed a 3,7 al sud, con una media pari a 3,3 soggetti per nucleo, a fronte di una composizione totale di individui corrispondente a 3,49. Questi dati mettono in luce un fatto importante: il Rmi è riuscito a coinvolgere l’intero nucleo familiare laddove necessario. Un altro elemento non trascurabile riguarda l’età: i beneficiari sono più anziani al nord e più giovani al sud (la fascia di età 18-24 anni passa dal 2% al nord al 24% al sud), dove 2/5 dei soggetti sono minori. Occorre tenere presente queste informazioni statistiche quando si valuta il Rmi dal punto di vista prettamente occupazionale.


Al di là delle intenzioni del decreto attuativo, i soggetti effettivamente inseriti in programmi, intesi a "recuperare e promuovere le capacità personali e ricostruire le reti sociali" (art.1 del d.lgs 237/98), corrispondono al 47% circa del totale dei beneficiari. In termini di nuclei familiari inseriti, il nord si attesta al 64%, il centro al 58% ed il sud al 41%. In due casi su cinque si tratta di programmi di pubblica utilità o di cura e sostegno familiare. Nel caso specifico dei programmi di inserimento occupazionale, i soggetti inseriti ammontano ad oltre il 20% in 8 casi su 39.


I dimessi dalla misura (cioè coloro che sono usciti dalla condizione di bisogno dal punto di vista socio-economico) corrispondono in media al 33% dei beneficiari ed all’84% degli inseriti. In non pochi casi, peraltro, il complesso dei beneficiari dimessi supera quelli effettivamente inseriti in programmi. Il caso particolarmente "anomalo" è offerto da Caserta, dove risultano 1.146 usciti dalla misura a fronte di 386 inseriti.

In seguito al programma di inserimento alcuni beneficiari hanno raggiunto un qualche grado di successo concreto. In particolare, ha trovato un lavoro, in media, il 7.3% degli inseriti ed il 4.1% dei beneficiari. Ha conseguito un diploma scolastico, rispettivamente, il 4.5% e l’1.8%. Ha concluso un programma di formazione professionale, rispettivamente, il 7.3% ed il 2.9%.

La nota dolente riguarda la gestione dei programmi di inserimento. Il punto è che per decreto il finanziamento e la gestione stessa sono affidati ai comuni. Considerando che gli enti locali sono stati selezionati seguendo il principio della forte concentrazione di bisogni, e non di risorse finanziarie e professionali, il risultato appare prevedibile. I costi medi per il personale in relazione a ciascun nucleo sono largamente differenziati su base territoriale: ammontano a 225 euro al sud, a 490 al centro ed a 775 al nord. Inoltre, fra i costi di organizzazione e gestione dei programmi di inserimento è possibile distinguere tra spese amministrative, riguardanti gli oneri connessi ai costi del personale aggiuntivo necessario per la gestione stessa del Rmi, ed altre spese. In realtà, nel caso di molte amministrazioni (12 su 39) non sono state sostenute spese amministrative, tanto meno quelle di gestione in generale.

Risultati alla mano, si può provare a qualificare il Reddito minimo di inserimento come strumento efficace di inserimento occupazionale, di inclusione sociale e/o di assistenza. In termini più tecnici, si può mirare a comprendere se ed in che misura il tasso di uscita dal Rmi (inteso come il grado di "successo" del programma e definito dal rapporto tra il totale delle persone uscite dal bisogno ed il totale delle persone beneficiarie) mostra delle relazioni significative con alcune delle variabili utilizzate. Le righe seguenti sintetizzano alcuni aspetti che emergono dall’analisi.


Primo: come era prevedibile, il contesto locale ha influenzato notevolmente l’andamento della sperimentazione, anche perché i comuni hanno dovuto accollarsi il finanziamento dei costi di gestione dei programmi di inserimento. La variabile che individua la costituzione di un apposito ufficio Rmi mostra una correlazione positiva con il tasso di uscita, anche se di modesta entità, mentre appare rilevante, ai fini del successo del programma, la collocazione della sperimentazione nella circoscrizione centro-settentrionale. Decisamente più modesto, invece, l’impatto della diversa collocazione politica della maggioranza consiliare.


Secondo: la qualità dei progetti di inserimento non sembra aver influenzato la possibilità di uscire dal bisogno di ricevere il Rmi. In effetti, il numero di dimessi supera quello degli inseriti in programmi in ben dodici comuni ed in altrettanti non è stata finanziata la gestione dei progetti stessi. La sperimentazione suggerisce che le amministrazioni, soprattutto nel Mezzogiorno, sono state per lo più incapaci di fornire e di monitorare efficacemente questi servizi di "attivazione". Ciò potrebbe ridimensionare la valutazione di coloro che giudicano il Rmi come uno strumento di inserimento occupazionale. In ogni caso, vi sono dubbi che in aree con un tasso di disoccupazione del 50% (questo è il caso di alcuni comuni coinvolti nella sperimentazione) i programmi di formazione possano avere un qualche effetto rilevante sull’occupazione, oltre quello di fornire lavoro agli insegnanti stessi. Nei casi migliori, pertanto, il Rmi ha creato occupazione laddove esiste un mercato del lavoro. Peraltro studi recenti hanno messo in discussione l’efficacia dei programmi di formazione in quanto tali, che coinvolgono soggetti giovani e che non sono finalizzati ad un immediato ingresso o reingresso nel mondo del lavoro.


Terzo: tanto più numerosi sono i soggetti beneficiari del Rmi sul totale della popolazione residente, tanto più difficile è stato uscire dal bisogno di ricevere il Rmi stesso. Il che denota la difficoltà da parte degli enti locali di proporre efficaci programmi a fronte di una domanda sociale elevata. Questo aspetto ripropone il dilemma delle politiche attive del lavoro che "sembrano funzionare meglio laddove servono meno", rispetto al modo in cui sono state gestite fino ad ora nel nostro paese.


Quarto: per il finanziamento della prestazione monetaria, il decreto prevede che lo stato partecipi per un importo minimo pari al 90% ed i comuni per un importo massimo pari al 10%, i quali però devono anche occuparsi della gestione dei progetti di inserimento da proporre ai beneficiari (confronta primo punto). Il risultato emerge con chiarezza attraverso l’analisi empirica: laddove è stata finanziata la prestazione monetaria anche dagli enti locali non si è potuto garantire adeguati sforzi finanziari anche per i progetti di inserimento. Questo può essere collegato al fatto che i vincoli di bilancio, specialmente per i comuni medi e piccoli, hanno indotto gli amministratori a finanziare la prestazione monetaria o, alternativamente, la gestione dei programmi di inserimento. Inoltre, la disparità dei mezzi impiegati si è tradotta in una disparità nelle opportunità, per i beneficiari, di inserirsi o almeno migliorare la loro situazione, il che contraddice di fatto lo spirito del decreto attuativo. Sebbene fosse ragionevolmente prevedibile che i risultati sul terreno dell’accesso all’impiego sarebbero stati modesti. Affidando la responsabilità dell’inserimento alle collettività, lo Stato si è assunto il rischio di vedere solo alcuni Comuni impegnati nella ricerca attiva di soluzioni adeguate ed innovative, mentre altri si sono limitati alla semplice gestione amministrativa, rifiutando, talvolta, perfino di applicare le norme.

Reddito minimo di inserimento. I rapporti fra amministrazioni.

Il rischio del ritorno a politiche discrezionali

Di fronte al forte deterioramento del mercato del lavoro e all’emersione del concetto di esclusione di gruppi di cittadini sempre più numerosi, che rischiano di finire in un ingranaggio dequalificante, il quale altera la loro identità e le relazioni con gli altri attori sociali, costituisce un’innovazione rilevante l’introduzione, anche nel nostro paese, di uno strumento di sostegno ai redditi bassi.


Secondo questa analisi i due aspetti più innovativi, in pratica l’idea dell’inserimento come integrazione al versamento di un’indennità minima e la ricerca di un’articolazione fra intervento dello Stato e quello delle collettività locali, hanno fornito risultati piuttosto contraddittori. I comuni hanno spesso proposto programmi modesti sia in termini quantitativi, sia qualitativi. Per questo essi sono scarsamente correlati al tasso di uscita dal bisogno di ricevere il Rmi. In altre parole, non sembra esserci una stretta connessione tra il fatto di ricevere il Rmi ed il fatto di poter uscire dalla condizione di bisogno, avendo potuto migliorare le proprie condizioni socio-economiche. Laddove i progetti sono stati finanziati adeguatamente ed organizzati efficacemente hanno invece mostrato un’influenza diretta sulla possibilità di uscire dalla condizione di bisogno.


Per questi motivi appare indispensabile finanziare centralmente uno strumento come il Rmi. Innanzi tutto per rafforzare condizioni di cittadinanza comuni su scala nazionale, per la sua complessità e per garantire l’accesso ai diritti fondamentali, come quelli al reddito ed all’inserimento, specialmente nel mezzogiorno, dove, com’è noto, si rilevano tassi di disoccupazione strutturali e povertà diffusa (confronta "Indagine sulla povertà", Istat, 2002).

Rispetto alle criticità emerse dalla sperimentazione, viceversa, trasferire la gestione dei programmi dai comuni alle regioni, come proposto dal governo, è un palliativo, che sposta il nodo senza risolverlo. Il rischio associato è di un ritorno a politiche discrezionali e categoriali in merito alle scelte di welfare, delineando un sistema nel quale i cittadini fruiscono di pacchetti di diritti diversi tra loro, che non dipendono dalla condizione di bisogno, ma dal luogo in cui esso sorge. Peraltro, come sostiene Chiara Saraceno, presidente della Commissione sull’esclusione sociale, è da questa discrezionalità e categorialità dei trattamenti che deriva l’assistenzialismo spesso imputato allo stato sociale italiano.

Una proposta di legge sul Rmi propone l'istituzione di un Fondo nazionale e la concessione anche agli stranieri soggiornanti

"Introduzione della disciplina del Reddito Minimo di inserimento" è il titolo di una proposta di legge, ad iniziativa di alcuni deputati dei Ds, presentata qualche giorno fa alla Camera dei Deputati. Tra i firmatari anche l’ex ministro per le Politiche Sociali Livia Turco.

La proposta di legge contiene alcune proposte innovative, partendo dall’esperienza accumulata nel nostro Paese in fatto di RMI. La stessa relazione introduttiva alla proposta di legge prende atto che il Reddito minimo di inserimento, benché si sia in attesa ancora della relazione al Parlamento che il Governo avrebbe dovuto effettuare già da tempo, nei 39 comuni dove esso è stato sperimentato ha dato inizio ad un percorso di sviluppo "apprezzato dai dirigenti e dagli operatori sei servizi pubblici e del non profit, ma anche dai destinatari. Il RMI è così riuscito a proporsi come misura affidabile di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale".

La proposta di legge sul RMI, dunque, si pone alcuni obiettivi: prima di tutto quello di contrastare la povertà e l’esclusione sociale rivolgendosi così a quanti incontrano serie difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro e avviando un sistema integrato di istituti formativi che consentano di mettere in atto concretamente l’obiettivo. Inoltre, l’istituto del RMI si pone l’obiettivo "di ridurre il grado di diseguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile.


In questo contesto, la proposta di legge introduce alcune condizioni economiche per l’accesso al Reddito minimo di inserimento. E cioé: Isee non superiore a 6200 euro pro capite equivalente; patrimonio immobiliare limitato alla prima casa con valore massimo di 51.650 euro; patrimonio mobiliare non superiore a 1500 euro. Ed ancora: integrazione del reddito mensile pro-capite equivalente, cioé pari alla differenza tra il reddito mensile disponibile e una soglia predeterminata. Il valore soglia può essere differenziato di concerto tra Governo e Conferenza unificata in relazione alle specifiche condizioni di vita nelle diverse Regioni. Ogni Regione, inoltre, potrà differenziare al proprio interno tale valore-soglia in relazione alla specificità dei diversi ambiti territoriali. E può anche, ricorrendo a risorse proprie, aumentare il valore soglia rispetto a quello stabilito a livello nazionale.
Quanto ai beneficiari, va detto che per quelli in età lavorativa sono previsti obblighi precisi, come la partecipazione ai programmi di integrazione sociale disposti dai Comuni, l’accettazione della chiamata al lavoro anche temporaneo. Eccezioni sono previste solo per i soggetti impegnati in attività di cura o per soggetti disabili.


Ma in generale, qual è la platea di beneficiari prevista dal progetto di legge? Da un’analisi condotta sui dati della Banca d’Italia sui bilanci familiari, i firmatari della proposta hanno individuato la presenza in Italia di circa un milione e 300mila famiglie potenziali beneficiarie del RMI, per un numero complessivo di componenti pari a 2milioni e 600mila individui. Ragionevolmente, però, si stima che l’onere effettivo sarà inferiore a quello previsto (che sarebbe di 6 miliardi di euro annui), in quanto non tutti faranno domanda. Lo stanziamento a regime previsto nel disegno di legge è allora pari a 4,5 miliardi di euro su base annua. E, a questo scopo, viene istituito in via transitoria un Fondo nazionale per l’erogazione del RMI, le cui risorse confluiranno a regime in quelle che saranno garantite alle Regioni. In sede di prima applicazione, il disegno di legge stanzia subito sul Fondo nazionale per l’erogazione del RMI 1 miliardo di euro, la cui copertura è assicurata per 500 milioni di euro riducendo gli attuali stanziamenti nel Fondo per le politiche sociali (ex legge 328/00) e per altri 500 milioni di euro sopprimendo la’rt.13 della legge 383/01 (sull’imposta di successione). Con il RMI a regime, poi, spetterà alla legge Finanziaria stabilire ogni anno l’ammontare del Fondo.
Dicevamo dei beneficiari. In questo caso la novità sta nel fatto che anche i cittadini stranieri possono accedere al RMI. Il primo comma dell’art.3 della proposta di legge, infatti, afferma che "possono essere ammessi al RMI i soggetti residenti nel territorio dello Stato, cittadini italiani o comunitari, ovvero cittadini di Stati non appartenenti all’Ue o apolidi che siano in possesso di regolare permesso di soggiorno per motivi di lavoro e regolarmente soggiornanti da almeno tre anni".

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Il Reddito Minimo di Inserimento poteva essere richiesto dai cittadini comunitari residenti da almeno un anno e per i cittadini non comunitari o apolidi residenti da almeno tre anni in uno dei Comuni ammessi alla sperimentazione.

Per la richiesta era necessario:

essere privi di patrimonio mobiliare ed immobiliare, fatta eccezione per la casa di abitazione;

rispettare di determinati requisiti di reddito;

essere iscritti all'Ufficio di Collocamento. Esente dall'obbligo di iscrizione al collocamento chi era impegnato in attività di recupero scolastico, di formazione professionale o di recupero terapeutico e chi era dedito alla cura di figli con meno di 3 anni o di persone con handicap;

essere disponibili a partecipare a programmi di integrazione sociale, come la frequenza di corsi di formazione professionale, di tirocini o di stage lavorativi.

Il contributo economico è pari alla differenza tra la soglia di reddito prevista, rivalutata ogni anno, e il reddito mensile percepito. La domanda andava essere presentata al Comune di residenza, che provvedeva poi, ad accertare i requisiti di reddito, anche in relazione a numero dei componenti la famiglia, per stabilire un programma personalizzato di reinsermento lavorativo.

Si ricorda, tuttavia, che la finanziaria 2003 non ha previsto ulteriori stanziamenti per il sostegno del reddito minimo che, pertanto, è abrogato fino ad ulteriori disposizioni.

Comuni in cui il Reddito Minimo di Inserimento è in sperimentazione

Abbasanta (Oristano)
Accettura (Matera)
Acquaviva Platani (Caltanissetta)
Adria (Rovigo)
Agira (Enna);
Aidomaggiore (Oristano)
Aidone (Enna)
Alatri (Frosinone);
Albagiara (Oristano)
Ales (Oristano)
Aliano (Matera)
Allai (Oristano)
Alvito (Frosinone)
Anagni (Frosinone)
Andria (Bari) (una circoscrizione o zona subcomunale);
Aquino (Frosinone)
Arborea (Oristano)
Arce (Frosinone)
Ardauli (Oristano)
Ariano nel Polesine (Rovigo)
Arpino (Frosinone)
Arqua' Polesine (Rovigo)
Assolo (Oristano)
Assoro (Enna)
Asuni (Oristano)
Atina (Frosinone)
Aulla (Massa Carrara)
Ausonia (Frosinone)

Badia Polesine (Rovigo)
Bagnone (Massa Carrara)
Baradili (Oristano)
Baratili San Pietro (Oristano)
Baressa (Oristano)
Barletta (Bari)
Barrafranca (Enna),
Bauladu (Oristano)
Bergantino (Rovigo)
Bernalda (Matera);
Bidoni' (Oristano)
Bompensiere (Caltanissetta)
Bonarcado (Oristano)
Boroneddu (Oristano)
Bosaro (Rovigo)
Briatico (Vibo Valentia)
Broccostella (Frosinone)
Brognaturo (Vibo Valentia)
Busachi (Oristano)

Cabras (Oristano)
Caiazzo (Caserta)
Calascibetta (Enna)
Calciano (Matera)
Caltanissetta
Calto (Rovigo)
Campofranco (Caltanissetta)
Canaro (Rovigo)
Canda (Rovigo)
Canepina (Viterbo);
Canosa di Puglia (Bari)
Capua (Caserta)
Carrara (Massa Carrara)
Caserta;
Casola in Lunigiana (Massa Carrara)
Cassino (Frosinone)
Castel Campagnano (Caserta)
Castel Morrone (Caserta)
Castelguglielmo (Rovigo)
Castelliri (Frosinone)
Castelmassa (Rovigo)
Castelnovo Bariano (Rovigo)
Castro dei Volsci (Frosinone)
Catania (circoscrizioni Monte Po e Villaggio S. Giuseppe);
Catania Sud (Circoscrizione S. Cristoforo, Picanello, Trappeto, S. Giovanni Galermo, viale M. Rapisardi, Vulcania, Canalicchio)
Catenanuova (Enna);
Ceccano (Frosinone)
Ceneselli (Rovigo)
Centuripe (Enna);
Ceprano (Frosinone)
Cerami (Enna)
Ceregnano (Rovigo)
Cirigliano (Matera)
Civitacastellana (Viterbo);
Colobraro (Matera)
Cologno Monzese (Milano);
Comano (Massa Carrara)
Corato (Bari)
Corbola (Rovigo)
Corchiano (Viterbo);
Coreno Ausonio (Frosinone)
Costa di Rovigo (Rovigo)
Craco (Matera)
Crespino (Rovigo)
Cuglieri (Oristano)
Curcuris (Oristano)
Cutro (Crotone);

Delia (Caltanissetta)

Enna;

Fabrica di Roma (Viterbo);
Fabrizia (Vibo Valentia)
Ferentino (Frosinone)
Ferrandina (Matera)
Ficarolo (Rovigo)
Fiesso Umbertiano (Rovigo)
Filattiera (Massa Carrara)
Filogaso (Vibo Valentia)
Fiuggi (Frosinone)
Fivizzano (Massa Carrara)
Foggia (circoscrizione IV Puglia e circoscrizione VIII "Incoronata");
Fontana Liri (Frosinone)
Fordongianus (Oristano)
Fosdinovo (Massa Carrara)
Francica (Vibo Valentia)
Fratta Polesine (Rovigo)
Frosinone

Gagliano Castelferrato (Enna)
Gaiba (Rovigo)
Gallese (Viterbo),
Galluccio (Caserta)
Garaguso (Matera)
Gela (Caltanissetta)
Genova (circoscrizione Pra),
Ghilarza (Oristano)
Giacciano con Baruchella (Rovigo)
Gonnoscodina (Oristano)
Gonnosno' (Oristano)
Gonnostramatza (Oristano)
Gorgoglione (Matera)
Grassano (Matera);
Gricignano di Aversa (Caserta)
Grottole (Matera)
Guarcino (Frosinone)

Irsina (Matera)
Isernia;
Isola del Liri (Frosinone)
Isola di C. Rizzuto (Crotone);

L'Aquila;
Lendinara (Rovigo)
Leonforte (Enna);
Licciana Nardi (Massa Carrara)
Limbadi (Vibo Valentia)
Limbiate (Milano);
Loreo (Rovigo)

Maddaloni (Caserta)
Maierato (Vibo Valentia)
Marcianise (Caserta)
Margherita di Savoia (Foggia)
Marianopoli (Caltanissetta)
Marrubiu (Oristano)
Massa;
Masullas (Oristano)
Matera
Melara (Rovigo)
Miglionico (Matera)
Milena (Caltanissetta)
Mileto (Vibo Valentia)
Milis (Oristano)
Minervino Murge (Bari)
Mogorella (Oristano)
Mogoro (Oristano)
Mongiana (Vibo Valentia)
Montalbano Jonico (Matera)
Monte San Giovanni Campano (Frosinone)
Montedoro (Caltanissetta)
Monterosi (Viterbo);
Montescaglioso (Matera)
Montignoso (Massa Carrara)
Morgongiori (Oristano)
Morolo (Frosinone)
Mulazzo (Massa Carrara)
Mussomeli (Caltanissetta)

Napoli;
Narbolia (Oristano)
Nardo di Pace (Vibo Valentia);
Neoneli (Oristano)
Nichelino (Torino);
Nicosia (Enna)
Nicotera (Vibo Valentia)
Nissoria (Enna)
Norbello (Oristano)
Nova Siri (Matera)
Nughedu Santa Vittoria (Oristano)
Nurachi (Oristano)
Nureci (Oristano)

Occhiobello (Rovigo)
Oliveto Lucano (Matera)
Ollastra (Oristano)
Onano (Viterbo);
Oristano;
Orta di Atella (Cesena)

Paliano (Frosinone)
Palmas Arborea (Oristano)
Parete (Caserta)
Pastena (Frosinone)
Patrica (Frosinone)
Pau (Oristano)
Paulilatino (Oristano)
Piazza Armerina (Enna)
Pico (Frosinone)
Piedimonte Matese (Caserta)
Piedimonte San Germano (Frosinone)
Pietraperzia (Enna)
Pignataro Interamna (Frosinone)
Pignataro Maggiore (Caserta)
Pisticci (Matera)
Podenzana (Massa Carrara)
Polesella (Rovigo)
Pomarico (Matera)
Pompu (Oristano)
Pontecchio Polesine (Rovigo)
Pontecorvo (Frosinone);
Pontremoli (Massa Carrara)
Porto Tolle (Rovigo)
Porto Viro (Rovigo)
Posta Fibreno (Frosinone)

Raviscanina (Caserta)
Regalbuto (Enna)
Reggio Calabria;
Ricadi (Vibo Valentia)
Riesi (Caltanissetta)
Riola Sardo (Oristano)
Roccasecca (Frosinone)
Rombiolo (Vibo Valentia)
Rosolina (Rovigo)
Rotondella (Matera)
Rovigo;
Ruinas (Oristano)

S. Giovanni in Fiore (Cosenza);
S. Nicolò d'Arcidano (Oristano).
Samugheo (Oristano)
San Bellino (Rovigo)
San Cataldo (Caltanissetta)
San Donato Val di Comino (Frosinone)
San Giorgio a Liri (Frosinone)
San Giorgio Lucano (Matera)
San Mauro Forte (Matera)
San Nicola da Crissa (Vibo Valentia)
San Vero Milis (Oristano)
Santa Caterina Villarmosa (Caltanissetta)
Santa Giusta (Oristano)
Sant'ambrogio sul Garigliano (Frosinone)
Santu Lussurgiu (Oristano)
Sassari (I circoscrizione "Centro storico");
Scano di Montiferro (Oristano)
Scanzano Jonico (Matera)
Sedilo (Oristano)
Seneghe (Oristano)
Senis (Oristano)
Sennariolo (Oristano)
Serra San Bruno (Vibo Valentia)
Serradifalco (Caltanissetta)
Siamaggiore (Oristano)
Siamanna (Oristano)
Siapiccia (Oristano)
Simala (Oristano)
Simaxis (Oristano)
Simbario (Vibo Valentia)
Sini (Oristano)
Siris (Oristano)
Soddi (Oristano)
Solarussa (Oristano)
Sommatino (Caltanissetta)
Sora (Frosinone)
Soriano Calabro (Vibo Valentia)
Sorradile (Oristano)
Spadola (Vibo Valentia)
Sperlinga (Enna)
Spinazzola (Bari)
Stienta (Rovigo)
Stigliano (Matera)
Sutera (Caltanissetta)

Tadasuni (Oristano)
Taglio di Po (Rovigo)
Terralba (Oristano)
Teverola (Caserta)
Torre Cajetani (Frosinone)
Torrice (Frosinone)
Tramatza (Oristano)
Trani (Bari)
Tresana (Massa Carrara)
Tresnuraghes (Oristano)
Trinitapoli (Foggia)
Troina (Enna)
Tropea (Vibo Valentia)
Tursi (Matera)

Ula' Tirso (Oristano)
Uras (Oristano)
Usellus (Oristano)

Valguarnera Caropepe (Enna)
Vallelonga (Vibo Valentia)
Valsinni (Matera)
Veroli (Frosinone)
Vibo Valentia
Vicalvi (Frosinone)
Villa Santa Lucia (Frosinone)
Villa Sant'Antonio (Oristano)
Villa Verde (Oristano)
Villadose (Rovigo)
Villafranca in Lunigiana (Massa Carrara)
Villalba (Caltanissetta)
Villamarzana (Rovigo)
Villanova del Ghebbo (Rovigo)
Villanova Truschedu (Oristano)
Villarosa (Enna)
Villaurbana (Oristano)

Zambrone (Vibo Valentia)
Zeddiani (Oristano)
Zerfaliu (Oristano).


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