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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

L'Isae (Istituto di Studi e Analisi Economica) ''boccia'' il Reddito di ultima istanza. ''Solo le Regioni più ricche potranno introdurlo. Si va nella direzione opposta a quella mirante al sostegno del reddito e al reinserimento''

 

Rischia di risolversi in una bolla di sapone l'intenzione del Governo di sostituire il Reddito minimo di inserimento (RMI) con il Reddito di ultima istanza (RUI). E’ quanto emerge dal Rapporto trimestrale su “Finanza pubblica e redistribuzione” dell’Istituto di Studi di Analisi Economica (ISAE), uno degli istituti di ricerca del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

 

Coerentemente con quanto anticipato in alcuni documenti ufficiali (Patto per l’Italia, Libro bianco sul welfare, Piano nazionale contro l’esclusione sociale), la legge Finanziaria per il 2004 introduce un nuovo programma di contrasto alla povertà (il RUI appunto), dando, così, attuazione alla norma presente nella Legge quadro sull’assistenza (L. 328/2000, art. 23). In particolare, il progetto di legge Finanziaria all’articolo 16, primo comma, recita: “Nei limiti delle risorse preordinate allo scopo dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell’ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali (…), lo Stato concorre al finanziamento delle Regioni che istituiscono il Reddito di ultima istanza quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di inserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale e i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro”.

 

In altre parole, il Governo passa la palla dai Comuni alle Regioni, come è spiegato anche nel Rapporto: “viene individuata nel co-finanziamento Stato-Regioni la strada da seguire per il futuro”. Tradotto: solo le Regioni più ricche potranno introdurre il RUI. Quelle del Sud, dove risiedono due poveri su tre, dovranno stare a guardare, date le loro basse capacità impositive. Il Rapporto ISAE rincara la dose: “l’attribuzione agli Enti locali della competenza sull’intervento implica evidentemente una distribuzione dei benefici eterogenea sul territorio nazionale; in Italia, infatti, i diritti di cittadinanza sono collocati all’interno di un sistema categoriale, frammentato e con elementi di discrezionalità”, che vede coesistere sul territorio realtà differenti e all’interno delle quali i cittadini fruiscono di pacchetti di diritti diversi tra loro, che non dipendono dalla condizione di bisogno ma dal luogo in cui esso sorge. Il Rapporto ricorda, inoltre, come nelle dichiarate intenzioni del Governo “il nuovo strumento affianca, ad una misura di garanzia del reddito, la previsione di azioni di inserimento volte a combattere l’emarginazione sociale: in questo senso il RUI si distingue sia dal semplice sostegno economico a favore dei più bisognosi, sia dalle misure specificamente rivolte alla copertura del rischio di disoccupazione”.

 

In questo modo Palazzo Chigi riporta l’intera discussione sugli strumenti di sostegno al reddito alla sua fase iniziale, a distanza ormai di oltre quattro anni dall’avvio della fase di sperimentazione del RMI. Da una parte, non ignorando gli esiti del primo biennio, e, dall’altra parte, non sembra individuare una corretta soluzione ai forti limiti mostrati dai Comuni nell’organizzazione e nel finanziamento dei programmi di inserimento, che hanno costituito l’aspetto più innovativo del RMI.

 

Occorre ricordare che attraverso il RMI, l’Italia aveva finalmente applicato, sia pure a titolo sperimentale, uno schema di sostegno al reddito di ultima istanza, di cui, accanto alla sola Grecia, era ancora sprovvista. In sostanza, per la prima volta nel nostro Paese, si era riconosciuto il ruolo delle misure di garanzia del reddito nell’ottica di un generale ripensamento del welfare, partendo dal presupposto che per risolvere il problema del lavoro possa essere necessario, talvolta, risolvere prima i problemi della povertà economica con adeguati sostegni di reddito e quelli dell’emarginazione sociale con incisive azioni di inserimento. Tuttavia le scelte del Governo sembrano andare nella direzione opposta, prevedendo da un lato l’istituzione del RUI, dall’altro lato non indicando modi, tempi e strumenti necessari per l’attuazione.

 

Dalla sperimentazione del Rmi all'istituzione del Rui. L'Isae: ''Ma resta aperta la questione finanziamenti''

Resta aperta la partita collegata al finanziamento del Reddito di ultima istanza (RUI). In particolare, il co-finanziamento Stato-Regioni può risolvere le criticità emerse dalla sperimentazione del RMI? A questo interrogativo cerca di rispondere il Rapporto ISAE nel riquadro dedicato agli strumenti di sostegno al reddito, partendo dall’esperienza pratica del RMI. Introdotto nel 1998 in via sperimentale in 39 comuni (d.lgs. 237/98), dei quali 24 localizzati nel Mezzogiorno, è stato poi esteso nel 2000 ad altri 267, coinvolgendo circa 200mila persone. Il RMI è una misura di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale, che ha fornito trasferimenti monetari integrativi e programmi di reinserimento personalizzati. In particolare, nel caso di un adulto solo, senza figli, ha coperto la differenza fra 269 euro ed il reddito individuale (laddove il 25% del reddito da lavoro è stato, però, escluso dal computo). I programmi di reinserimento sono consistiti in progetti che hanno spaziato dall’intervento di tipo occupazionale a quello di cura e sostegno familiare, da quello formativo/scolastico a quello di integrazione socio-relazionale. La sperimentazione, dunque, ha messo in luce quattro fatti molto importanti, che il Rapporto mette in chiara evidenza. Primo: il contesto locale è contato molto, anche perché i Comuni hanno dovuto accollarsi il finanziamento del personale. Si noti che gli enti locali sono stati selezionati seguendo il principio della forte concentrazione di bisogni, e non di risorse finanziarie e professionali. I costi medi mensili per il personale, in relazione a ciascun nucleo, sono passati da 225 euro al sud a 775 al nord.


Secondo: la qualità dei programmi di inserimento non sembra aver influenzato i tassi di uscita dal programma. In effetti, il numero di persone uscite dal bisogno di ricevere il RMI ha superato quello dei soggetti effettivamente coinvolti in progetti di inserimento in ben dodici Comuni. Gli enti locali, soprattutto nel Mezzogiorno, sono stati per lo più incapaci di fornire e di monitorare efficacemente i servizi di “attivazione”.


Terzo: tanto più numerosi sono risultati i soggetti beneficiari del RMI sul totale della popolazione residente, tanto minore il tasso di uscita dal RMI. Il che denota la difficoltà da parte degli Enti locali di proporre efficaci programmi a fronte di una domanda sociale elevata. Quarto: per il finanziamento della prestazione monetaria, il decreto ha previsto che lo Stato partecipasse per un importo minimo pari al 90% ed i Comuni per un importo massimo pari al 10%. Laddove è stata finanziata localmente la prestazione monetaria, non si è potuto garantire adeguati sforzi finanziari anche per i progetti di inserimento. In altri termini, “i due aspetti più innovativi dello strumento – si legge nel Rapporto – ovvero i programmi per l’inserimento, complementari al versamento di un’indennità minima, e la ricerca di un’articolazione fra intervento dello Stato e quello delle collettività locali, hanno fornito risultati contraddittori”. I Comuni hanno spesso proposto programmi modesti sia in termini quantitativi, sia qualitativi e in alcuni casi non è stata neppure finanziata la gestione dei programmi di inserimento. “Per questa ragione – si spiega nel Rapporto – l’attuazione di tali programmi non risulta correlata all’uscita dalle condizioni di bisogno che danno diritto a ricevere il RMI”. Diversamente, nelle realtà locali dove i progetti sono stati finanziati adeguatamente ed organizzati efficacemente hanno mostrato un’influenza diretta sulla possibilità di dimettersi dalla misura. Si afferma, dunque, l’opportunità di finanziare centralmente uno strumento come il RMI. Innanzi tutto per la sua complessità e per garantire l’accesso ai diritti fondamentali, come quelli al reddito ed all’inserimento, specialmente nel Mezzogiorno. Pertanto trasferire la gestione dei programmi dai Comuni alle Regioni sembra un palliativo, che sposta il nodo della gestione dei programmi senza affrontarlo, tantomeno risolverlo. Il rischio è di un ritorno a politiche discrezionali in merito alle scelte di welfare.

 

 

Reddito Minimo di Inserimento
I numeri della sperimentazione

Domande 1998/1999

55.522, delle quali 34.730 accolte

Domande 2001/2002

34.391, delle quali 18.034 accolte

Soggetti beneficiari coinvolti

85.818 (6,5% della pop. residente nei 39 comuni), con valori estremi variabili dall'0,5% di Rovigo al 54% di Orta di Atella (Caserta)

Età dei beneficiari

Più anziani al nord e più giovani al sud, dove i 2/5 sono minori

Media di beneficiari per famiglia ('98/'99)

2,6 al centro-nord; 3,7 al sud (composizione totale di individui: 3,49)

Assegno medio mensile per famiglia

360 Euro

Beneficiari inseriti in programmi ('98/'99)

37.087, pari al 43,2% del totale dei beneficiari

Tipi di programmi

2/5 sono programmi di cura e sostegno familiare e di pubblica utilità

Soggetti usciti dal bisogno ('98/'99)

33% dei beneficiari, 85% degli inseriti

Successo del RMI in % agli inseriti in programmi ('98/'99)

7,3% ha trovato un lavoro, 4,5% ha conseguito un dipl. scol., 7,3% ha concluso un progr. di formazione

Risorse erogate dal 1998 ad oggi

649 milioni di euro

Costi sostenuti dai Comuni ('98/'99)

6 milioni e 100 mila di euro

Fonte: Cles, Irs, Zancan, 2001  

Reddito Minimo di Inserimento
I costi di gestione della sperimentazione sostenuti dai Comuni
Dati al 31/12/2000

Comune

Costi di gestione

Tot. nuclei in carico al 31/12/2000 (c)

Spesa per personale a famiglia (c/a)

Spese per il personale (a)

Altre spese (b)

Cologno Mse

89.734,39

33.827,93

124

723,66

Genova (Volti/Pra)

173.529,52

12.911,42

325

533,94

Nichelino

206.386,51

28.283,66

232

889,60

Rovigo

163.164,59

n.d.

137

1.190,98

 

Alatri

n.d.

11.424,03

258

n.d

Canepina

5.681,03

2.065,83

18

315,61

Civita C.na

36.007,38

n.d.

131

274,87

Corchiano

5.164,57

2.582,28

18

286,92

Gallese

12.394,97

n.d

20

619,75

Massa

300.362,04

516,00

543

553,15

Monterosi

n.d.

1.074,81

14

n.d.

Onano

1.549,37

908,96

12

129,11

 

Agira

n.d.

19.809,48

364

n.d.

Bernalda

n.d.

14.413,80

211

n.d.

Caserta

126.632,13

158.552,27

1.476

85,79

Catenanuova

n.d.

5.164,57

160

n.d.

Centuripe

18.075,99

85.215,39

150

120,51

Cutro

69.624,41

162.690,76

1.106

62,95

Foggia

388.279,27

293.863,98

2.649

127,70

Grassano

33.569,70

n.d.

130

258,23

Isernia

44.042,41

91.803,83

202

218,03

Isola di Capo Rizzuto

50.050,82

189.524,12

n.d.

n.d.

L'Aquila

58.088,49

20.090,17

607

95,70

Leonforte

n.d.

20.658,28

623

n.d.

Napoli

n.d.

826.331,04

3.695

n.d.

Nardodipace

17.043,08

n.d.

60

284,05

Oristano

291.798,15

1.549,37

527

553,70

Orta di Atella

69.721,68

89.863,50

1.768

39,44

Reggio Calabria

413.165,52

309.874,14

1.313

314,67

S. Giov. in Fiore

241.701,83

7.746,85

1.095

220,73

S. Nicolò d'Arcidano

2.065,83

n.d.

40

51,65

Sassari

253.063,88

3.873,43

726

348,57

 

TOTALI

3.020.897,53

2.394.620,35

-

-

Note: 
(*) I Comuni di Limbiate, Fabrica di Roma, Pontecorvo, Andria, Enna, Barrafranca e Catania, sono stati esclusi in quanto non hanno fornito le informazioni utili per le stime.


Fonte: Cles, Irs, Zancan, 2001   

I nodi legati all'introduzione del Rui e il rapporto fra amministrazioni centrali e periferiche

 

In cosa consiste tecnicamente il co-finanziamento Stato-Regioni? Il comma 2 dell’art.16 della proposta di legge Finanziaria per il 2004 recita: “A decorrere dal 1° gennaio 2004 e per un periodo di tre anni, sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie, i cui importi risultino complessivamente superare un importo pari a trenta volte ad un importo stabilito (...) è dovuto un contributo di solidarietà nella misura del 3 per cento”.


L’art. 16 non sembra prevedere adeguati impegni di spesa. In particolare, il Rapporto ISAE evidenzia come “al finanziamento del RUI, per il triennio 2004-2006, concorra il gettito (al netto della componente fiscale) di un contributo di solidarietà pari al 3 per cento, gravante sulle pensioni di importo superiore a trenta volte quello previsto dall’art. 38 della legge Finanziaria 2002; l’aliquota si applicherebbe, quindi, su montanti superiori a 205.097 euro annui per il 2003”. In pratica, le risorse derivanti da tale contributo, stimate nella Relazione Tecnica del Governo in 0,9 milioni di euro per il 2004, più altri due milioni complessivi per il 2005 e il 2006, andrebbero ad incrementare il Fondo nazionale per le politiche sociali, da cui lo Stato attinge le risorse per il finanziamento degli strumenti di assistenza, tra i quali appunto il RUI.


Si tratta di uno stanziamento del tutto inconsistente, sebbene si consideri che la logica del sussidio è quella di integrare il reddito fino a raggiungere la soglia stabilita e che il Governo ricorra al co-finanziamento. Peraltro, la sperimentazione del RMI, per due anni in trentanove comuni, è costata 426 miliardi delle “vecchie” lire. Ed è stato valutato che un RMI a regime, 520mila lire al mese per chi vive da solo, avrebbe richiesto un finanziamento tra i 4.300 e i 5.700 miliardi di lire. Inoltre, “l’analisi dei risultati della sperimentazione del RMI – si legge nel Rapporto - evidenzia che, in assenza di un finanziamento centrale per i programmi di inserimento, è stato difficile garantire a tutti i cittadini stessi diritti ed uguale trattamento”.
Peraltro l’individuazione degli attori (le amministrazioni regionali) è nebulosa. Il Rapporto ISAE spiega come “non venga dato alcun vincolo, né per quanto riguarda l’ammontare della prestazione, né per le modalità di erogazione e per l’attivazione dei programmi di inserimento, e neppure per l’effettiva realizzazione della misura; inoltre non è specificato quale sarà la percentuale di copertura da parte del contributo statale. Tali caratteristiche potrebbero, pertanto, aggravare alcune criticità già emerse nella sperimentazione del RMI con riguardo alla differente attuazione del programma sul territorio”. Infatti la delega al livello locale di uno strumento come il RUI, senza definire criteri, standard, diritti e doveri minimi a livello nazionale, rischia di essere discrezionale, e quindi di indebolire le condizioni di cittadinanza comuni.


Che cos’è il reddito minimo d’Inserimento


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