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RILANCIO DELLA CITTADINANZA ATTIVA NEL 2007

di SALVATORE NOCERA

 

            Dopo  aver ascoltato il discorso augurale   per il 2007 del Capo delo Stato, ho riletto alcune mie riflessioni preparate per un seminario della Fondazione Emanuela Zancàn di Padova e desidero riproporle ai lettori.

            La cittadinanza è misurabile dagli spazi di partecipazione realizzabili legalmente o di fatto dai membri della comunità, che debbono poter accedere a fonti di informazione certe per poter  valutare e decidere  sia sulle scelte politiche che su quelle economiche e di vita civile.

            Sotto questo profilo, negli ultimi anni  ed ancor in questi giorni abbiamo assistito ad un calo di partecipazione e quindi di cittadinanza di fronte ai grossi scandali finanziari, di tentativi di scalate a banche, di scandali in campo edilizio, sportivo e delle telecomunicazioni.

            Se si supera il concetto formalistico di cittadinanza giuridica e si guarda al valore della dignità delle persone, la cittadinanza viene negata a decine di migliaia di stranieri che , specie se clandestini, vivono tra noi come dei paria e talora degli schiavi.

            Inoltre dalla Campania in giù, la criminalità mafiosa nelle sue forme diverse, ma sostanzialmente uguali, viene fortemente condizionando  la partecipazione non solo alla vita politica, ma anche a quella della vita civile quotidiana, rischiando la gente  in ogni momento la vita a causa delle lotte fra bande e del mancato controllo del territorio da parte delle istituzioni.

            Contro queste diverse forme di negazione o forte limitazione della cittadinanza, le recenti riforme costituzionali introdotte dalla L.cost. n. 3/01 possono molto , ma non tutto.

            Possono molto , perché la piena attuazione degli articoli da 117 a 120 offrono strumenti di tutela alle fasce deboli.

            Si pensi alla formulazione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali, che però non sono stati ancora definiti e quindi non offrono  in concreto le garanzie  previste.

            Si pensi all’individuazione dei  Comuni  singoli  o associati come responsabili del progetto globale di vita dei cittadini, attraverso l’esercizio della titolarità delle funzioni amministrative , prevista dall’art 118 , sostenute dall’autonomia finanziaria, di cui all’art 119, che però non sono state ancora realizzate, rimanendo le due norme  costituzionali sulla carta.

            Si pensi al fondo perequativo e degli specifici interventi a favore dei territori più deboli, previsti dall’art 119 Cost, che però ancora non decollano.

            Si pensi agli interventi sostitutivi dello Stato nei confronti di Enti locali e Regioni inadempienti nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali, per il cui esercizio manca però ancora la legge che ne regoli  ambiti, limiti e procedure.

            Si pensi al principio della sussidiarietà verticale sancito nell’art 118 Cost. , che però non può essere concretamente esercitato dagli enti territoriali diversi dallo Stato per la mancanza della piena autonomia finanziaria ed amministrativa. Ancora i Ministeri conservano una massa di poteri che dovrebbero essere defintivamente trasferiti ai soggetti istituzionali di livello inferiore, liberando a loro favore  pure risorse   finanziarie ed umane.

            Si pensi al principio della sussidiarietà orizzontale, sancito nel comma 4 dell’art 118 Cost. , che però nella pubblicistica scientifica e nei mezzi di comunicazione,  viene , a  mio avviso, eccessivamente divinizzato sembrando talora che possa e debba sostituirsi agli interventi delle pubbliche istituzioni.Partecipando a convegni si ha l’impressione che ci sia un’eccessiva esaltazione degli interventi dell’ “autonoma  iniziativa  dei cittadini singoli o associati per lo  svolgimento di attività di interesse generale”. Sembra corretto che “l’individuazione dell’interesse generale non sia più monopolio dello Stato o dell’oligopolio delle Regioni; ma si assiste talora ad iniziative promosse più in contrapposizione a quelle istituzionali pubbliche o per la gloria di apparire e comunque frutto di una visione molto parziale e talora frammentaria dell’interesse generale.

            La denuncia di talune forme di deriva economicista di crescenti strati del volontariato organizzato e della cooperazione sociale debbono far riflettere sul rischio di perdita di taluni valori di solidarietà sotto l’incalzare della pressione degli interessi particolari.

            Sembra farsi sempre più evidente come taluni valori affermati dall’Illuminismo settecentesco e di quelli del solidarismo specie della seconda metà del Novecento, possano essere risucchiati dalle “logiche  degli interessi particolari di singoli o di gruppi, evidenziate dalla sociologia dell’Ottocento.

            La regolamentazione degli interessi economici di singoli in campo politico attende da anni una legge sul conflitto di interessi. Questa, se venisse scritta seriamente e mettesse le “Autorità” antitrust ,  sulla concorrenza  e sui mezzi di comunicazione   in condizione di operare effettivamente, potrebbe garantire ai cittadini  una maggiore corretta informazione , una maggiore libertà economica e quindi una maggiore partecipazione e cittadinanza.

            La lotta agli interessi organizzati in corporazioni dovrebbe anch’essa garantire maggiori spazi di libertà ai cittadini. Le reazioni dei tassisti prima, dei notai ed avvocati poi però stanno fortemente condizionando questi tentativi di liberalizzazione. Si pensi che oggi se un professionista volesse svolgere attività volontaria e gratuita a favore di fasce deboli di popolazione, rischia sanzioni disciplinari da parte degli ordini professionali che pretendono il rispetto dei minimi tabellari.

            Perché le norme introdotte nella modifica del Titolo V della Costituzione  abbiano la possibilità di decollare e non arenarsi subito dopo la loro approvazione, occorre una forte tensione morale e politica simile a quella che ruppe i ceppi del le politiche tradizionaliste e di carità compassionevole con la contestazione del ’68.Noto però talune manifestazioni velleitarie come “ i girotondi”(mentre i poteri economici forti si aggiustano i loro interessi) o alcune proclamazione  rivoluzionarie dei neoministri subito dopo la loro nomina che vengono presto smentite dal Ministro dell’Economia o da altri esponenti dell’attuale Maggioranza.

            Anche la riscoperta degli Anni Sessanta del valore della nonviolenza, malgrado attuali affermazioni dei pacifisti mi pare stia annacquandosi. Basti vedere come ormai tutti accettino senza interrogativi  il principio di “guerra giusta”, con contenuti certo diversi dai sostenitori dei secoli passati, ma che fu  l’assillo della contestazione pedagogica e religiosa di don Dilani e di padre Balducci che formarono la gioventù degli Anni Sessanta e Settanta.

            Senza un rinnovamento della pedagogia civile e sociale, le riforme volute dalle modifiche costituzionali tarderanno a venire alla luce o ad essere seriamente applicate.

            Questa rinnovata pedagogia morale e sociale dovrebbe dare vita ad un movimento in cui veramente credenti e non credenti in Dio sappiano portare avanti le riforme, spinti dalla comune fede nel rispetto della dignità delle singole persone umane.

            Questa rinnovata pedagogia dovrebbe orientare tutti i credenti nel dialogo interreligioso che, pur avendo portata planetaria, ha ormai in Italia un suo campo di azione concreta.

            A mio sommesso avviso però, noi cattolici non possiamo andare a questo dialogo teorico-pratico, con la convinzione che solo noi possediamo la verità e la correttezza della prassi. Basterebbero a smentirlo  i fatti storici dei secoli passati, che adesso ci vengono rinfacciati polemicamente , come le crociate, l’inquisizione, i roghi , le discriminazioni delle donne in campo sociale e politico, l’omicidio per causa d’onore con pene irrisorie sino a qualche anno fa previsto dal  nostro Codice penale.

            Se ci riconosciamo , da credenti, tutti figli di Dio, dobbiamo avere il coraggio di ammettere i nostri errori storici, come ha avuto la forza di fare Giovanni Paolo II, e dialogare con altri credenti diversi da noi in vista della costruzione di una società più giusta .

            Non vedo però oggi la grande disponibilità al dialogo politico e culturale che consentì ai Padri costituenti di darci una Costituzione che offre ampi spazi di partecipazione e cittadinanza per tutti.. Forse  la presa di conoscenza della gravità delle emergenze,  appena accennate all’inizio  di queste righe potrebbe costituire il clima ideale, come lo fù allora la consapevolezza dei disastrosi effetti della guerra,per ricreare il clima ideale affinché le modifiche costituzionali non rimangano sterili strumenti formali, ma diano frutti per una maggiore partecipazione ed un’effettiva cittadinanza per tutti quanti vivono sul nostro suolo.

            Il discorso del Capo dello Stato ha suscitato in me grandi speranze nella presa di coscienza  dei nostri gravi  problemi attuali da parte dell’opinione pubblica e della volontà di riprendere con coraggio nelle nostre mani  il rinnovamento del nostro domani.


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