TRA IL FORMARE E L'AGGIORNARE C'E' DI MEZZO... L'INSEGNANTE DI SOSTEGNO
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SAPERE - SAPER FARE - SAPER ESSERE

Sapere - saper fare - saper essere; su questa tripartizione si sono spesi i talenti più in voga nel panorama della formazione degli adulti. Si afferma che l'aggiornamento può valere per le prime due forme di conoscenza, mentre per la terza è più appropriato parlare di formazione.
Una delle definizioni più convincenti viene dal prof. E. Spaltro: "Ogni forma di apprendimento è basato su questo duplice meccanismo: la coscienza che comprende la competenza. Una parte è indipendente dalla situazione (coscienza) e una parte dipendente (competenza)... Se il primo sapere (coscienza) rappresenta la priorità del soggetto nell'apprendimento, nell'organizzazione, il secondo sapere (competenza) rappresenta la parte specifica dell'apprendere".
Ogni area è sostenuta da una formazione congruente: la parte specifica viene supportata da percorsi di adeguamento delle conoscenze allo sviluppo della ricerca scientifica; l'altra, dall'attivazione di processi di consapevolizzazione del soggetto. La dicotomia sembra essere relativa alla "dose" di preparazione specifica e a quella di preparazione aspecifica; se per tutti gli insegnanti esiste un'area trasversale (gli aspetti psicologici e pedagogici dell'età evolutiva, l'organizzazione scuola, la comunicazione interpersonale, il lavoro in gruppo, la collegialità, ...), e un'area specifica (gli aspetti epistemologici delle discipline, i quadri concettuali specifici), per l'insegnante di sostegno l'area disciplinare è costituita dall'handicap ?

Se sì, il suo compito è tutto affrontabile e risolvibile con strumenti tecnici iper-specialistici, o può essere utile affiancare un'area di competenza aspecifica relativa al saper essere e al sapersi rapportare all'handicap ?

Tengo in sospeso questo problema che affronterò più avanti, per guardare ora al sistema scuola e pensare al docente di sostegno in termini globali, come risorsa particolare che può giocare tale peculiarità in un contesto che deve procedere unitariamente nella creazione di una trama di apporti e contributi diversi ma compatibili.

Estrapolare l'insegnante di sostegno dal proprio tessuto operativo e di relazioni, per collocarlo in una dimensione formativa decontestualizzata, rischia ancora una volta di essere un'operazione parziale, meramente tecnica, di difficile recupero in termini di ricaduta sull'intero sistema.
In una visione ecologica delle organizzazioni complesse e dei sistemi inter-umani, le parti che interagiscono nella determinazione di una data configurazione, sono strettamente interrelate e comunicanti. Ciò che accade in una zona periferica ha una ripercussione diretta sul centro, e viceversa.
L'elaborazione culturale della problematica dell'integrazione all'interno di ogni scuola, si configura come un'azione corale, partecipata e condivisa da ogni operatore, che dà e riceve, influenza ed è influenzato, assimila valori e ne produce altri che immette in circolo. In questo percorso dinamico si creano degli equilibri omeostatici che contribuiscono al consolidamento dell'identità dell'intero sistema.Le inevitabili interferenze di tipo perturbativo, possono essere assimilate o integrate: nel primo caso il sistema funziona secondo la logica additiva e di giustapposizione del nuovo all'esistente; nella seconda prospettiva, invece, le modalità dell'azione investono l'intero sistema, il quale passa ad una ristrutturazione successiva attraverso un processo di co- evoluzione che coinvolge tutte le parti.

Nella visione di A. Canevaro, la presenza a scuola degli alunni handicappati costituisce un elemento di perturbazione profonda dell'intero sistema scuola, una preziosissima opportunità di misurazione delle capacità di sviluppo e di progressione dell'organizzazione. La formazione in servizio assume allora la funzione di guida e supporto ai processi trasformativi e di cambiamento che costituiscono le modalità di funzionamento del sistema. Una scuola incapace di ricevere input dall'esterno e di trasformarsi per mettersi in condizione di realizzare i propri fini istituzionali, non risponde ai compiti che la comunità le ha assegnato.

Il problema può essere così riformulato: quale formazione per gli insegnanti ? Alla seconda parte della questione, penso di avere già risposto: devono essere coinvolti tutti i docenti impegnati nel processo di integrazione degli alunni disabili (insegnanti della sezione di scuola materna, docenti del team di scuola elementare, docenti del consiglio di classe nella scuola media e superiore).
La prospettiva di organizzazione della formazione potrebbe procedere a cerchi concentrici in relazione alle risorse disponibili: dal gruppo più vicino al problema dell'integrazione del singolo alunno, al gruppo/collettivo più lontano (es. Collegio dei Docenti) attraverso percorsi condivisi di co- evoluzione.

Cosa inserire allora nel contenitore formazione, per i "nuclei di integrazione dei soggetti portatori di handicap" ?

Ritengo che una delle dimensioni da attivare debba essere quella del SAPER ESSERE e del SAPER APPRENDERE. In altri termini, quella A-SPECIFICA legata allo sviluppo delle forze interiori della motivazione intrinseca, della capacità di investire sul problema, dello sviluppo della capacità di accogliere la sfida alla ricerca di linguaggi e relazioni che i soggetti portatori di handicap pongono a coloro che li affiancano. H. Gardner ha chiamato queste dimensioni di competenza: intelligenza intrapersonale e interpersonale, riferendosi all'area dell'IO e all'area del NOI.

2. DIMENSIONE DELL'IO

E' purtroppo un settore inesplorato dalla formazione iniziale e in servizio; ritengo costituisca invece uno dei principali fattori, se non il più importante, per una corretta adesione al ruolo che ognuno interpreta.
Il mestiere dell'insegnante, è una delle professioni di aiuto riconosciute tra quelle più delicate, quindi più a rischio, per il coinvolgimento delle dimensioni profonde dell'io. Se poi l'educando è in situazione di handicap e richiede un aiuto particolare, allora la chiara consapevolezza del proprio essere, del proprio ruolo, della propria funzione rispetto alle richieste esterne, serve per individuare la propria posizione e prendere le distanze dal rischio di fusione/invischiamento con il problema del disabile.
Parallelamente si configura la necessità di impostare una relazione positiva che consenta un adeguato processo di insegnamento/apprendimento.

I vissuti profondi, le emozioni, i sentimenti costituiscono le risorse vere in grado di sostenere un ruolo così difficile:

un insegnante incapace di emozionarsi di fronte alla reazione di un alunno, non può che essere incapace di comunicazione autentica e relazione empatica. La professionalità deve quindi coniugarsi con questo aspetto, assumerlo e declinarlo con l'area relativa alle competenze specifiche di tipo disciplinare e metodologico. Un altro elemento di problematicità, oggetto di riflessione da parte di coloro che si occupano della preparazione degli operatori sociali, è relativo al rapporto con la sofferenza altrui (la sofferenza dell'alunno disabile e della sua famiglia), tra il desiderio di intervento e il sentimento di impotenza dato dal riscontro con la realtà.

E' un aspetto di grande rilevanza che porta spesso l'insegnante di sostegno a disinvestire sul soggetto disabile per l'incapacità di gestirsi queste valenze; è preoccupante pensare che non esiste un'attenzione a queste dinamiche in fase di formazione iniziale, come non esiste in relazione ad un altro aspetto centrale relativo al rapporto tra autostima-immagine di sè e i limiti di efficacia del proprio intervento educativo.

Tra l'azione dell'insegnamento e i risultati in termini di apprendimento, c'è una correlazione molto stretta, spesso viziata da un rispecchiamento unidirezionale per cui uno diviene speculare all'altro: l'insegnante che ha una classe che apprende con facilità si sente bravo, professionalmente gratificato e realizzato dall'auto-conferma ottenuta attraverso gli esisti positivi raggiunti dagli alunni.
Quando il risultato non è congruente all'aspettativa e allo sforzo profuso, si ricavano sentimenti di inadeguatezza, frustrazioni, amarezze che vanno ad intaccare la propria immagine professionale, con rischi di disinvestimento e demotivazione che ricadono sulla prestazione e innestano circoli viziosi e giochi al ribasso.

A me sembra che non siano infrequenti queste situazioni che producono malessere nel docente e sottraggono energie positive all'intero sistema scolastico. L'alunno disabile (inopportuna generalizzazione, funzionale solo alla prosecuzione dell'analisi) esprime spesso la domanda di formazione secondo modalità inconsuete e ambivalenti, con linguaggi che vanno decodificati; resta al docente il compito di cogliere segnali, di provare strategie didattiche, di esplorare vie nuove, di ricercare modalità comunicative e percorsi in grado di diventare significativi e di tradursi in processi di apprendimento. Ma all'insegnante si dà questa forza; cosa lo preserva dal ripiegamento nell'abitudine del quotidiano e dalle maglie della rassegnazione?


Non esiste incentivo economico in grado di sostenere tale percorso: una delle risposte possibili vorrei andarla a cercare nel clima dell'organizzazione, nel sistema dei valori condivisi presente in una scuola, nella forza dell'appartenenza e nel riconoscimento dell'importanza di ognuno; ma l'andrei anche a cercare nei meandri dell'interiorità, del benessere personale, dell'investimento e dell'autorealizzazione nella professione.

I due orizzonti non sono lontani: uno alimenta l'altro ed è a sua volta alimentato. Escludere queste problematiche dalla formazione, mi sembra costituisca la perdita di un'occasione forte di riflessione su di sè e di sviluppo della consapevolezza del proprio essere e del proprio agire in un contesto inter-umano.

3. DIMENSIONE DEL NOI

Speculare e complementare alla dimensione dell'IO, si apre il passaggio della relazione con l'altro.
Nella problematica dell'integrazione dell'handicap e un "altro" plurimo, composito, fatto dal soggetto disabile, dalla sua famiglia, dal contesto formativo scolastico e non (struttura socio sanitaria, associazioni, agenzie del territorio, ...).

Le capacità richieste agli operatori scolastici sono amplissime: spaziano dalla gestione dei contenuti comunicativi alla padronanza dei processi coinvolti; dalla sensibilità all'ascolto attivo alla restituzione attenuata; dalla capacità di gestire ruoli simmetrici ma specifici (scuola/famiglia; scuola/AASSLL), alla capacità di negoziare significati e prospettive di intervento educativo.
Oltre a ciò, la funzione peculiare della scuola è di tipo pedagogico-didattico e pone al centro la relazione tra il bambino e l'adulto-educatore; è la zona della co-costruzione, della creazione comune della risorsa più proficua in assoluto, costituita dalla relazione.

Il significato profondo è dato dalla presenza dell'insegnante che accompagna il bambino verso l'autonomia fornendogli gli strumenti conoscitivi e culturali per farlo camminare da solo: Rogers, Gordon e i sostenitori della centralità della dimensione relazionale, hanno sottolineato la valenza altamente formativa di quest'area: l'alunno manifesta disponibilità all'apprendimento solo se si riconosce all'interno di un contesto significativo, accogliente, fiducioso.

Con i soggetti disabili questo aspetto è fondamentale: attraverso linguaggi verbali e non verbali vengono veicolati messaggi di conferma/sconferma, aiuto/abbandono, speranza/rassegnazione.
Per i docenti, padroneggiare queste dinamiche diventa indispensabile per l'esito dell'intero intervento, in quanto si vanno a definire le vere risorse da utilizzare per imboccare i sentieri che portano alla conoscenza.

E' il gioco relazionale condotto sul versante della positività e della sfida "pedagogica". Il messaggio esplicitato verbalmente potrebbe così risuonare: "credo in te, credo e scommetto positivamente sulla tua capacità di riuscita; hai delle possibilità di successo, delle carte da giocarti; io, docente, ci sono !". Le cosiddette "capacità residuali" non sono immediatamente visibili; spesso si manifestano attraverso segnali deboli e contraddittori.

Le abilità dell'insegnante di leggere la realtà dell'alunno disabile e di individuare le fatidiche leve sulle quali agire per aprire il dialogo che conduce all'apprendimento, si pongono come processi risultanti da una dinamica legata al desiderio di vedere e di ricercare.
Il vecchio proverbio dice che: " Chi cerca, trova"; nel nostro contesto, darsi degli strumenti per guardare l'esistente e non il mancante, si pone come primo presupposto per portare la ricerca a buon fine.

Non si vuol qui discutere di strumenti e tecniche, ma di desiderio di vedere, ovvero di messa in gioco del docente nella relazione educativa.

Appare evidente un forte bisogno di immersione formativa in queste tematiche.

4. INFORMAZIONE

Per sostenere un percorso di progressiva consapevolizzazione collocato nelle dimensioni sopra indicate, è prima di tutto indispensabile acquisire un'idea di iter continuo e ininterrotto, il quale, secondo modalità, ritmi e tempi diversi, accompagna il docente nello svolgimento della professione.
Non è questa la sede per entrare nel merito della preparazione iniziale; qui si intende piuttosto individuare ciò che potrebbe esser progettato per la formazione in servizio per i docenti di sostegno e non (quelli cioè che hanno il problema dell'integrazione di soggetti disabili nella/nelle proprie classi).

All'interno di un continuum possono essere individuate le seguenti modalità.

5. LAVORO SUI PROCESSI

TRAINING - GROUP: è la tecnica didattica che C. Rogers (1970) ha definito come "la più significativa scoperta delle scienze sociali in questo secolo". Con questo termine si intendono tutte le diverse forme di intervento destrutturato e autocentrato derivate dal primitivo classico T.G. lewiniano; vengono quindi inclusi i cosiddetti seminari di sensibilizzazione, i laboratori, i gruppi autocentrati, le dinamiche di gruppo.

L'area coinvolta è quella del sè, dello sviluppo personale, dei rapporti interpersonali: Il gruppo, producendo il "materiale" sul quale lavorare in termini di elaborazione e riflessione, favorisce l'apprendimento dell'esperienza in una circuitazione di feed-back dati e ricevuti. Gli obiettivi formativi del T.G. si sostanziano nella conoscenza e sensibilizzazione circa le proprie relazioni sociali e le reazioni da queste prodotte negli altri.

6. LAVORO SUI CONTENUTI

In questa categoria si inseriscono le attività che presuppongono un diverso modello di apprendimento, basato non soltanto sull'esperienza del soggetto, ma anche su elementi informativi specifici in grado di arricchire la dimensione conoscitiva e aumentare il livello di consapevolezza personale.
Si propongono approfondimenti sulla tematica della COMUNICAZIONE, sulle DINAMICHE INTERPERSONALI, sulla SENSIBILIZZAZIONE EMPATICA (modello rogersiano), sulla RELAZIONE EDUCATIVA (secondo la metodologia di Gordon).

L'approccio psicosociale offre una moltitudine di indirizzi di lavoro. Per le problematiche relative al rapporto tra individuo e organizzazione, CLIMA e BENESSERE ORGANIZZATIVO, il riferimento va alle ricerche svolte da E. Spaltro e collaboratori, Psicologia del Lavoro, Bologna.

7. METODOLOGIE FORMATIVE

In una prospettiva di formazione della persona, le metodologie adottate dovranno
necessariamente avere il carattere di una forte interattività.

Andranno pertanto ridotti al minimo gli input informativi e create occasioni strutturate di apprendimento attraverso il gruppo; si potranno utilizzare il role-play, simulazioni, studi e analisi di caso, brain-storming, panel, e quant'altro la letteratura sulla formazione mette a disposizione, con queste avvertenze basilari:

- partire dall'esperienza della persona adulta in formazione;

- valorizzare con specifiche strategie, e in una dimensione gruppale, la ricchezza di cui ognuno è portatore;

- assumere l'idea di un'interazione costante tra proposta con alto rigore scientifico del formatore e gli apporti del gruppo di partecipanti;

- rendere la formazione un'esperienza di benessere.

8. CONCLUSIONI

Le considerazioni sopra espresse possono essere lette come alcune incomplete riflessioni sulla grossa questione della FORMAZIONE ASPECIFICA per insegnanti di sostegno e non.
Viene da pensare al salto compiuto tra quanto di SPECIALE in passato veniva associato al soggetto disabile (scuola speciale, classi speciali, insegnante specialista, ...) e l'inversione di tendenza proposta in queste riflessioni, che porta verso gli orizzonti dell'aspecifico e della formazione espansiva e generalizzata.

Non sono tuttavia ambiti semantici autoescludentesi: il saper essere non potrà mai giustificare una mancata competenza rispetto al sapere e saper fare (si immagini soltanto la necessità di aggiornare gli operatori scolastici sull'utilizzo dei linguaggi informatici nella didattica).
In questa sede l'intervento era finalizzato all'assunzione di una visione olistica della persona in formazione, all'interno della quale la componente cognitiva è strettamente correlata con quella motivazionale, emotiva, affettiva e sociale.

Spesso queste espressioni vengono utilizzate solo per descrivere le caratteristiche del bambino: ritengo fondamentale che anche per l'adulto venga acquisito un simile modello di lettura atto a liberare la formazione dai riduzionismi tecnicistici che giustamente vengono chiamati "AGGIORNAMENTI".

Carla Berto


BIBLIOGRAFIA

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