Sussidiarietà e solidarietà nel sistema dei servizi

di Sergio Durone da STUDI ZANCAN

 

Il principio di sussidiarietà

Il principio di sussidiarietà è inteso a stabilire l'ordine delle competenze nella società. Esso risale alla Quadragesimo anno di Pio XI, che, nel 1931, scriveva "….siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l'industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società, quello che nelle minori e inferiori comunità si può fare".

In un equilibrio sociale delicato, tra spinte liberiste da un lato e stataliste dall'altro, con una cultura accentratrice e monopolizzatrice diffusa, significa affermare che quanto alla persona e i gruppi sociali minori possono fare da sé non può essere assunto o avocato dal gruppo sociale superiore (sia esso lo Stato o le istituzioni pubbliche).

Questo presupposto, esige però che il gruppo sociale superiore offra alla persona e ai gruppi inferiori, l'aiuto e i mezzi necessari per adempiere alla loro funzioni.

Se le circostanze, in una determinata società e in un certo momento storico, possono portare a sottolineare ora il ruolo dell'autorità pubblica, ora quello delle persone e dei gruppi sociali, questo vuol dire che il principio è dinamico e va sempre coniugato con la storia.

Parlare di sussidiarietà oggi, in un contesto democratico caratterizzato da complessità inedite, da disarticolazioni sociali non rischia di incrementare la frantumazione sociale, il consolidarsi dei particolarismi?

E' questo - in estrema sintesi - uno degli aspetti irrisolti nel dibattito sulla <<grande riforma istituzionale">> che è rimasta bloccata in Italia dagli anni '80 in poi.

Se la cultura che nasce dal principio di sussidiarietà porta ad un atteggiamento critico, a contestare fortemente un'organizzazione sociale che nega i diritti più elementari della persona a essere se stessa e a partecipare attivamente al bene della comunità, un tale principio non si presta però a giustificare l'abdicazione dell'autorità da ogni assunzione di responsabilità, lasciando così libera iniziativa alle forze in campo. Perché questo significherebbe che i più forti prevarrebbero. Verrebbe meno quel principio regolatore del bene comune possibile, che l'istituzione è tenuta a garantire e che è collante - nella solidarietà - della coesione sociale. L'azione dei singoli a tutti i livelli deve così coniugarsi con l'interesse generale, deve essere armonica con il bene comune. E' in tale contesto quindi che va letta la faticosa traduzione di tale principio avvenuta nella legge quadro sui servizi sociali.

Nei principi fondamentali della legge n.328 dell'8.11.2.000, è sancita - art.1, comma 3 - la sussidiarietà verticale già indicata ne decreto legislativo n. 112 del 31.3.1998, dove la programmazione e organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali provvedono prima gli enti locali, poi le regioni e infine lo stato, secondo alcune modalità la cui traduzione concreta andrebbe approfondita.

La suissidiarietà orizzontale - commi 4 e 5 dell'art.1 - consiste nel fatto che le istituzioni<<riconoscono e agevolano il ruolo>> dei soggetti del terzo settore operanti nella programmazione, organizzazione, gestione del sistema integrato dei servizi.

Ma si ribadisce anche che alla <<gestione e all'offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e realizzazione concertata degli interventi>> i soggetti del terzo settore. Dove il <<nonché>> indica che il terzo settore si aggiunge ai soggetti pubblici, non appare soggetto con parì dignità.

E la persona? Valorizzarne le iniziative serve a promuovere la solidarietà sociale e la legge promuove anche la partecipazione attiva dei cittadini. Nient'altro.

<< Nell'ambito delle risorse disponibili >> del piano nazionale e dei piani di zona, le istituzioni promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione del terzo settore. Questo concorre con i servizi pubblici, conseguendo autorizzazioni e accreditamenti, all'affidamento dei servizi.

Sulla base di una linea indicata dal governo, le regioni adottano indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, nonché per valorizzare il volontariato.

Le norme appaiono timide, frutto di un dibattito combattuto dentro lo scenario posto all'inizio, ancora troppo orientate a una prevalente gestione pubblica.

Ma rappresentano anche un potenziale di trasformazione della rete dei servizi di grande portata. Esse chiamano in causa le politiche sociali nel senso più alto, la progettualità e le responsabilità del terzo settore che è chiamato a nuove, diffuse credibilità, a un protagonismo non più solo supplente o aggiuntivo dell'intervento pubblico.

* Norme ancora troppo orientate a una prevalente gestione pubblica, ma che sono un grande potenziale di trasformazione.*

 

Il principio di solidarietà

* Un principio che va coniugato con quello di responsabilità*

Il principio di solidarietà nasce come concetto giuridico due secoli fa, quando si parla di <<obbligazioni i solido>>, con riferimento a chi si fa carico degli obblighi di un insolvente.

Nell'uso corrente, esso definisce la stretta relazione di interdipendenza nella quale l'agire del singolo è motivato, non tanto dalle proprie necessità individuali, quanto delle esigenze del gruppo al quale appartiene.

Non si deve dimenticare infatti che tale principio è sempre esistito. Si veda la solidarietà di una comunità o villaggio nel difendersi da invasioni o la solidarietà che nasce dalla consanguineità, dalle reti di prossimità, da un atteggiamento culturale. La comunità, per sua natura, è luogo della solidarietà naturale.

Nelle politiche sociali, tale principio deve essere connesso a quello delle responsabilità. In quanto la solidarietà sociale non è un fatto discrezionale e caritatevole verso gli altri, non è altruismo o generosità unilaterale, ma una obbligazione alla quale non ci si può sottrarre. Nasce da una specifica convenienza o necessità tra i soggetti che costituiscono la società. Essa - frutto di volontà separate che si esprimono attraverso consensi - è retta dal << contratto sociale >> che agisce poi attraverso la fiscalità generale.

Tutto questo va oggi coniugato con lo sviluppo della democrazia e la diffusione del benessere.

Se la lotta per liberarsi dai bisogni ha portato la quasi totalità dei cittadini a una tensione solidale prima sconosciuta, oggi i ceti garantiti tendono ad imporre la tutela degli interessi della maggioranza anche a costo di ignorare gli strati sociali più deboli, le vecchie e le nuove povertà. E - in Italia in particolare - anche di scaricare sulle generazioni future i costi dei servizi di oggi.

E questo genera la crisi della solidarietà, perché in essa prevalgono le forme chiuse, consumate nel gruppo omogeneo, una solidarietà che distingue il << noi >> dagli << altri >>. Il confronto è sulla solidarietà aperta, dinamica, capace di ideali universalistici, che sappiano contrastare particolarismi e frammentazioni. E' un confronto non facile perché mette in discussione certezze, tranquillità acquisite.

L'art.1 della legge 328/2000 attribuisce alla Repubblica il compito di assicurare alle persone e alle famiglie, servizi, opportunità, diritti di cittadinanza e qualità della vita. Esso indica - al comma 5 - al sistema integrato di interventi e servizi sociali, lo scopo di promuovere la solidarietà sociale << con la valorizzazione delle iniziative delle persone, dei nuclei familiari, delle forme di auto-aiuto e di reciprocità e della solidarietà organizzata >> . Sembra prevalere qui più una visione da reti di prossimità che da azione su vasta scala. E il comma 6, soprattutto con il riferimento alle organizzazioni sindacali e alle associazioni di tutela degli utenti fa pensare più ai servizi contrattati che accessibili.

La divaricazione tra azione professionale nella solidarietà e reti naturali di prossimità emerge anche all'art.5 dove la qualificazione dei soggetti di cui al comma 1, la qualità e caratteristiche delle prestazioni offerte e la qualificazione del personale di cui al comma 2, oltre ai processi di autorizzazione e accreditamento di cui al successivo art.11, confermano che il terzo settore in genere e più ancora il volontariato, dovranno confrontarsi con la necessità di coniugare cultura aziendale e valori di fondo.

Con un obiettivo: rimanere se stessi, non perdere la propria specificità, competere producendo qualità aggiuntiva ai servizi avendo al centro le persone, contrastare il rischio burocratizzazione che genera che genera la centralità dei servizi sulle persone e consuma risorse alimentando inefficienza e inefficacia.

E con una domanda. Come agire localmente, in un sistema regionalizzato dei servizi, promuovendo una rete nazionale che alimenti confronto, valutazione, livelli uniformi di qualità della vita?

Sono elementi, considerazioni non esaustive, di un dibattito e di azioni in corso.