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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Direttore responsabile: Dario Cillo


 

 

MA DI QUALE NORMALITA’ STIAMO PARLANDO

 

La voce normalità nel dizionario italiano fa riferimento a quanto è conforme a una regola, a ciò che serve a dare una norma.

Concetto ondivago la normalità, a seconda del punto di vista, dell’angolazione, ma non è più dissertazione di poco conto se diviene pratica per non rispettare la persona.

Mi sono chiesto quanta normale tolleranza c’è, sull’uso e abuso di sostanze, sulla possibilità di ognuno di comprarne una dose, di venderne altre, di averci a che fare per una serata o per il resto della propria vita.

Quando parliamo di droga, di tutte le droghe, parliamo di persone allo sbando, giovani e sordità  al futuro che bussa alla porta, stiamo parlando di una parte della nostra vita davvero difficile, allora bisogna discuterne senza lacrime di coccodrillo che derubano tempo a una indagine seria e agli interventi più efficaci.

C’è urgenza di vestirci di dignità sufficiente a opporci al boia di questo terzo millennio, l’indifferenza.  Come può essere normale un affaire che supera di gran lunga qualsiasi altro commercio di prodotti, un vero e proprio attentato alla vita,  illegale e omicidiario, cosa c’è di normale nella disattenzione che attanaglia la tragedia “roba”, è forse normale spalancare gli occhi, quando le fogne ci danno le dritte giuste, ( se andassimo a verificare nuovamente, non mi stupirei se la percentuale di sostanza fosse aumentata ) per arrivare al buco nero che manda in rovina intere famiglie.

Quelle fogne ci confidano l’inconfessabile, ci accusano non solo di essere città galleggianti sulla droga, ma che nel paese del precariato, dei licenziamenti, delle estorsioni più o meno autorizzate, dei mutui che non si riescono a pagare, coca e fumo sono morte annunciata della speranza di legalità, unica fonte di vita per la crescita sana di una società.

C’è necessità di normalità, ma non quella che appare come una cosa, un dato, addirittura una e l’altra, a seconda dell’interesse, del guadagno, e così facendo scompare l’identità stessa del suo significato originario.

Dove sta rintanata la normalità nel ritenere sostenibile l’assunzione di una droga: quando nell’usarla si certifica la convinzione-bugia  che non tutte le droghe uccidono, diventa un disvalore il coraggio di vivere.

E’ forse normale leggere che è ora di liberalizzare le droghe, di rendere legale ciò che non lo è, sostenendo che uno stato consenziente a questa pratica autolesionista, fornirebbe risorse sufficienti alla società per equlibrare prevenzione e repressione, di contrasto alla criminalità organizzata che ne fa il più grande dei business.

E’ normale avere timore di chiamare con il proprio nome i morti e i feriti per la loro età, non per la sola quantità, le sofferenze e le tragedie di tanti figli e genitori ridotti a manichini privi di un amore irrinunciabile.

Non è normale e neppure corretto manipolare l’educazione, quindi gli itinerari che invece bisogna percorrere per crescere insieme: forse la tecnica di successo, per tirare fuori il meglio da ognuno di noi,  non sta  nel propugnare la droga non più proibita, ma chiederci: “quanto le uscite da neofiti del rigorismo” abbiano somiglianza con gli spot elettorali, che non posseggono incisività,  forse occorre rifiutare la repressione e il buonismo di facciata, più urgente ritornare a educare, educare e ancora educare, affinché valori inalienabili, come la libertà, la solidarietà e la giustizia, vengano ricondotti a una più umana consapevolezza.

Vincenzo Andraous
Responsabile Centro Servizi Interni Comunità Casa del Giovane Pavia


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