Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

IL RAGLIO DEL MULO

Quando un minore o un giovanissimo diventano fatto di cronaca, lasciando sul terreno il rumore sordo del dolore delle vittime, la  domanda è già risposta, così evidente da sembrare sociologia spicciola parlarne.

Di certo non c’è sempre malavita organizzata dietro questo schiantarsi della ragione, neppure professionisti del crimine.

C’è  solamente una periferia invisibile in un territorio vivo.

Un bullismo che si è trasformato in gangs, una generazione di maledetti per vocazione che a forza irrompe nell’agglomerato umano  lasciato senza custodi educazionali.

Una colonna di impavidi per età, per inesperienza, per solitudine, imperversa nelle mancanze altrui, a cominciare da quelle della  strada, dove non esiste più regola, né valore, figuriamoci ideale, tant’è che il disvalore non è più solo la spiegazione acculturata di una negatività, è soprattutto ciò che campeggia sui sellini degli scooter ben allineati ai margini della via.

Mi torna in mente la sofferenza che ho provato per il raglio di un mulo ferito a morte, un raglio che ti penetra sottopelle, ti grida dentro le ossa, fino a farti impazzire per non ascoltarlo più.

La gente discute della follia di quello e di questo,  a me tornano in mente le parole del mio amico Erri de Luca : “ La vergogna del sangue, vergogna che paralizza più dell’ira”.

Non mi viene facile, concludere con una sentenza, con un’altra condanna del colpevole, troppo facile e scontato l’epitaffio.

Mi viene più fisico e dunque meno caritatevole il disagio per quella vergogna che dovrebbe assalire; “intero il corpo e la mente,  per tanto sangue offeso e umiliato. Vergogna del dolore e vergogna del sangue “.

Quando la vergogna entra nelle case disabitate dal cuore, non c’è più giustificazione che tenga, né risposta che possa bastare.

Se c’è vergogna che bussa alla tua porta, essa non è miracolo di qualche seduta di psicoanalisi, piuttosto è capolinea  di ogni trasgressione.

E’ ultima stazione concessa alla cecità dell’esser contro sempre e comunque. E’ spettro di ghigliottina per ogni colpevole accettazione di un folklore metropolitano che genera cultura dei totem e del branco.

Quando le nocche delle dita sono sbucciate, e nelle orecchie stride il rumore dei denti spezzati, allora è davvero il momento di mettersi lo zaino in spalla, cacciandovi dentro le armi di offesa e di difesa della propria ottusità e delle proprie miserie, in codici d’onore presi a calci dalla storia, e ogni volta riesumati in occasioni tutte a perdere.

Quando un giovane cade, significa che c’è dilacerata la torsione delle emozioni, c’è il dolore della perdita, ma c’è anche l’esaltazione della zona franca, dove tutto è stato sempre condiviso, dove c’è soprattutto da difendere la rampa di lancio per continuare a fare proselitismo tra i più giovani, quelli più esposti all’innamoramento del “ sono tosto “.

Vincenzo Andraous
Tutor e Responsabile Centro Servizi Interni
Comunità Casa del Giovane


La pagina
- Educazione&Scuola©