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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Documento del "Coordinamento Docenti" approvato nell'assemblea che si è tenuta presso il liceo classico "G:Garibaldi" il 17/01/02.

 

Riteniamo il sistema nazionale di pubblica istruzione indispensabile per l'educazione alla cittadinanza, alla memoria storica ed alla scienza, convinti che su di esso si misura il grado di civiltà di una nazione.

Infatti, l'idea di scuola che conosciamo e condividiamo è quella di una scuola dove lo studio è finalizzato alla formazione culturale, cioè formazione critica, possesso di conoscenze come strumenti di interpretazione, risorsa per la società, diritto/dovere di tutti. Riteniamo cioè di formare cittadini capaci di un consapevole esercizio critico della propria autonomia culturale ed umana, coscienti dei problemi e dei conflitti esistenti nella società e idonei a compiere libere e responsabili scelte ideologiche. Cittadini che sappiano stabilire rapporti costruttivi con gli altri senza omologarsi, sappiano raggiungere l’autonomia personale, non solo come insieme di capacità intellettuali ma anche come costruzione di valori su cui fondare la vita individuale e sociale e che sappiano operare non per fini individuali egoistici ed utilitaristici, ma per migliorare l’intera società.

L’idea di scuola che si evince dalle proposte di revisione del sistema educativo sembra essere quella di una agenzia di formazione di consumatori inconsapevoli, basata sull’acquisizione di competenze immediatamente spendibili sul mercato. E' un'idea che non condividiamo.

 

La formazione è una opportunità di crescita culturale ed educativa sancita dalla nostra Costituzione e dalla nostra storia e garantita per tutti i cittadini: essa viene meno se deve passare da scelte "localistiche" di ogni singola scuola e da ipotesi di finanziamenti locali condizionati dalle realtà economiche del territorio: sono sotto gli occhi di tutti, nel nostro paese, le disuguaglianze persistenti tra i cittadini delle varie realtà locali e delle varie scuole, pur nella stessa realtà. La scuola si trasforma quindi, in mancanza di garanzie culturali e giuridiche, in azienda finalizzata alla soddisfazione dell'allievo/cliente. Perciò siamo contrari alla regionalizzazione della scuola che inchioderebbe gli individui per sempre alle loro origini sociali.

 

Pensiamo che la libertà di insegnamento, principio sancito dalla Costituzione, non può assoggettarsi, esclusivamente, in presenza di una legislazione regionale concorrente a quella dello stato, all'esigenza di formazione di un tot di soggetti richiesti dal mercato del lavoro. Vogliamo inoltre che la scuola resti luogo di formazione e di pari opportunità. E' necessario quindi che l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro sia preceduto da un processo di vera formazione che è già proprio del sistema-scuola e che può essere attuato solo con l'obbligo effettivo fino a 18 anni. Non sarà così con la scelta dell'identità lavorativa effettuata precocemente, che attribuisce al canale professionale una dignità inferiore a quello liceale (viene in mente l’antica divisione fra scuola media ed avviamento professionale ormai obsoleta e superata dalla riforma della scuola media unificata a partire dagli inizi degli anni ’60).Non crediamo infatti alla possibilità che utopiche passerelle, sempre e comunque praticabili, possano creare le condizioni per assicurare a tutti il diritto/dovere di istruzione.

 

 

 

 

Crediamo alla promozione sociale attraverso lo studio, crediamo in una scuola che educhi all'autonomia personale, che apra spazi di memoria e di comprensione non appiattiti su ciò che è empiricamente presente ed utile.

Per continuare ad attuare le finalità che caratterizzano la scuola democratica e pluralista, crediamo fermamente che i "Docenti" debbano rimanere l’organismo collegiale centrale della didattica e siamo quindi contrari ad essere relegati dalla riforma degli O.O.C.C. a semplici redattori di POF, la cui organizzazione è, peraltro, demandata al Consiglio di Amministrazione . I "Docenti" sono, per la loro professionalità, l’organismo collegiale centrale e competente in materia di valutazione, che non può essere identificata come attribuzione di un voto o giudizio, ma come diagnosi di una situazione per potere formulare e verificare ipotesi di lavoro. Rifiutiamo pertanto l'idea di Scuola in cui vengono a confondersi i contenuti con le forme del sapere; se, quindi, il compito dei docenti non può ridursi alla semplice trasmissione di nozioni e somministrazione di test, la scuola, dal canto suo, non deve e non può misurare e certificare tutto attraverso lo strumento del test e non è pensabile potere equiparare giudizi tecnici e morali (debito sul comportamento,che peraltro ripudiamo, di pari peso a quello di profitto).

Reputiamo che le modalità per le valutazioni periodiche degli alunni non possano essere indicate da un regolamento di istituto deliberato dal Consiglio di Amministrazione, ma che siano stabilite, come accade adesso, dal Collegio dei Docenti. Quanto al Consiglio di amministrazione, così come appare una volta riformato, esprimiamo il nostro fermo dissenso: nella sua nuova strutturazione risulta deprivato della sua componente essenziale, cioè di coloro che vivono nella scuola e ne sono quindi parte attiva: gli alunni, i docenti, i genitori.

 

Pur ritenendo utile una informazione, basata su indagine statistica nazionale, effettuata dal Sistema Nazionale di Valutazione sui livelli medi di preparazione degli alunni e funzionale alla didattica, non "promozionale", esprimiamo il dubbio che ciò possa trasformarsi in ingerenza sul lavoro didattico quotidiano, che risulterebbe inevitabilmente influenzato dalla paura di essere ultimi nelle graduatorie tra Regioni, tra scuole, tra classi. Non vogliamo che la didattica sia appiattita sullo stile conoscitivo imposto dal modello tecnologico caratterizzato da nozionismo e superficialità.

In questa prospettiva, la strutturazione gerarchica dei concetti, la capacità di lettura storica, la riflessione critica, l'atteggiamento scientifico si sostituirebbero con la successione seriale delle informazioni, la registrazione isolata di dati, la dicotomia nozionistica chiusa vero/falso, cioè con un'alfabetizzazione elementare informatica e linguistica come richiesta dal sistema economico. La didattica diverrebbe così aproblematica, semplificativa, verrebbe a mancare la responsabilità del dialogo dell'ascolto dell'autocritica. Una tale didattica formerebbe studenti certamente abili ad indovinare quiz, ma incapaci di proporre e sostenere una soluzione propria.

 

 

 

La diminuzione del tempo scuola effettivo, e dedicato per massima parte a test, passerelle, orientamenti, svuoterebbe le discipline dagli elementi concettuali di base, trasformandole in merce da acquistare indifferentemente in qualunque scuola/azienda.

 

Ritenendo che l’esperienza religiosa abbia, in ogni caso, laicamente, una valenza culturale, lo studio di essa dovrebbe configurarsi in termini di Storia delle Religioni quale ulteriore apertura conoscitiva ai diversi orizzonti di sensibilità e di pensiero.Inoltre, siamo convinti che l’insegnamento della religione cattolica debba rimanere facoltativo, come occasione di approfondimento in sintonia con l'idea di una scuola che formi un giovane che sia tollerante, accetti il diverso, comprenda le culture differenti dalla propria e sia consapevole della necessità di costruire una coscienza sovra-nazionale pluralistica e multietnica.


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