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Serge Latouche: l’economia che ammala

di Claudio Risé

 

C’è una relazione tra il nostro pensiero economico e  il malessere psichico? Qualsiasi  coscienzioso operatore della psiche  si pone un giorno o l’altro questa domanda,  perché coscienza e inconscio denunciano in continuazione  la sproporzione tra le preoccupazioni legate ai meccanismi  economici, e quelle affettive e istintuali nella vita dell’individuo, e le nevrosi che da questo squilibrio  insorgono. E’ sempre più raro infatti  il caso di malesseri  prodotti da  divieti simbolici (come il complesso di Edipo, su cui si regge  gran parte della psicoanalisi classica). Mentre invece sono  sempre più frequenti le    nevrosi  prodotte da  dispositivi o orientamenti  economici ( ad esempio: consuma  quanto è socialmente richiesto, e guadagna di conseguenza), a detrimento dei bisogni e desideri affettivi, e/o istintuali. Curiosamente però, l’approfondimento di questo squilibrio, e delle sue ragioni, è pressoché  assente dalla riflessione  psicologica, apparentemente impegnata  nella costruzione di una babelica nosografia  e tipologia del malessere, quasi che il nominarne accuratemente le manifestazioni equivalga a curarlo, o farlo sparire.
Molto più ricco e utile  di indicazioni in proposito appare invece il pensiero di altre Scienze umane, in modo particolare quello dell’antropologia e sociologia culturale, di parte delle Scienze politiche, e dello stesso pensiero economico.  All’incrocio di queste diverse discipline, e di altre, come la filosofia e l’epistemologia, si colloca l’opera di Serge Latouche,   di cui è stato ora  pubblicato da Arianna L’invenzione dell’economia, mentre  Bollati Boringhieri, suo editore abituale, aveva pubblicato alla fine dello scorso anno : La sfida di Minerva. Razionalità occidentale e ragione mediterranea. I saggi di Latouche pubblicati in L’ invenzione dell’economia andrebbero accuiratamente studiati, tragli altri, dagli psicoterapeuti, per comprendere come fare a liberare il contemporaneo nevrotico  “oeconomicus” dalle sue ossessioni dominanti. Sapere infatti che l’economia viene “inventata” solo  da un certo punto in poi, e che come scienza è inotre assai dubbia, dato che non ha un oggetto di osservazione preciso, al di fuori di quelli prodotti dallo stesso discorso economico (come osservava già Fourquet), può aiutare chi soffre delle molteplice coazioni   indotte dal “discorso economico” a   guardarle con occhio più critico. Latouche ricorda infatti  di economia non si parla prima di Platone e Aristotele. E si chiede "Significa forse che prima non esietavano pratiche materiali? Naturalmente no, è la risposta, ma queste, principalmente la  sopravvivenza della specie e  la riproduzione dei gruppi sociali, non vengono, fino a un certo punto, “ pensate  come una sfera  a parte, autonoma”. Dunque: “ non esiste qualcosa come  la vita economica, bensì la vita tout court”.  Tutta la riflessione di Latouche pone l’economia attuale, i suoi meccanismi e i suoi discorsi, sotto un riflettore più ampio, che tiene conto non solo delle scienze occidentali negli ultimi due secoli e mezzo, ma di tutto il sapere sull’uomo e le sue pratiche materiali,  a nostra disposizione , anche quello riferito alle aree del mondo esterne all’ “Occidente”, e a periodi storici precedenti.  La progressiva  autonomia dell’economia dalla vita nel suo complesso è dovuto secondo Latouche allo sviluppo unilaterale manifestatosi da un certo punto in poi nella ragione occidentale. Egli ricorda che la ragione aveva presso i greci due  aspetti: il logos, e la phronesis, la saggezza. Latouche pensa che nel pensiero dell’Occidente moderno, il logos sostituisce del tutto la phronesis e diventa “razionalità calcolante”: quella del calcolo economico. Che tuttavia, avendo perso di vista la  saggezza, e la vita nel suo complesso, è sempre meno in grado di spiegarla e rappresentarla. Se non cercando disperatamente di ridurre la vita  a calcolo: e quanto innaturale e produttiva di malessere sia quest’operazione è appunto ciò che l’operatore della psiche arttento deve constatare ogni giorno.  A questa razionalità calcolante, strumentale, Latouche oppone (ed è quanto fa, in particolare, nella Sfida di Minerva), la dimensione del ragionevole. Quando ci si occupa di esseri umani, osserva Latouche,  la razionalità strumentale e calcolante (che può funzionare per acquistare in borsa), non basta più, perché si ha a che fare con dei valori: la libertà, la giustizia e altri ancora. ( E potremmo aggiungere con stati d’animo: la felicità, la sofferenza…) Solo se si fosse eliminato ogni valore, o collocandosi all’interno di un solo valore (ciò che è stato chiamato: il pensiero unico occidentale”), ci si potrebbe affidare alla sola razionalità calcolante. 
Di questo allargamento di prospettive, e di conoscenze, rispetto al pensiero economico più citato, fa parte la partecipazione  di Latouche al MAUSS, il movimento economico  non utilitarista, che prende il suo nome dal sociologo che rilevò come la compravendita, o il baratto  non siano affatto state le uniche forme   di scambio nella storia umana, ma come il dono abbia svolto una funzione altrattanto, e in alcuni casi più importante. Anche qui Latouche però non cade mai nell’unilateralità  mostrata  da alcuni suoi compagni del MAUSS,  che teorizzano un modello  donativo, in sostituzione del modello utilitario, e si preoccupa   invece di salvaguardare ogni forma adottata  dall’uomo nelle sue pratiche materiali.  Attenzione che appare     sacrosanta anche allo  sguardo psicologico, consapevole  che quanto viene   rimosso fatalmente  tornerà, ma in forme malate e produttrici di sofferenza.

Serge Latouche L’invenzione dell’economia, Arianna Editrice, Casalecchio (BO), 2001,  186 pagine, Lire 22000;  e: La sfida di Minerva. Razionalità occidentale e ragione mediterranea, Bollati Boringhieri, Torino, 2000,  169 pagine, Lire 26000.

Articolo pubblicato in : Fondazione Liberal , N.8, gennaio  2002.

http://www.claudio-rise.it/globalizzazione/economia.htm


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