Stralci da alcuni articoli di ALEX LANGER
d
a "Azione non violenta"

Dialogo per la convivenza interetnica

…" Imparare a conoscere la lingua, la storia, la cultura, le abitudini, i pregiudizi e stereotipi, le paure delle diverse comunità’ conviventi e’ un passo essenziale nel rapporto interetnico.

Una grande funzione la possono svolgere le fonti di informazione comuni ( giornali, trasmissioni radio, interculturali, plurilingue), occasioni di apprendimento o di divertimento comune, frequentazioni reciproche, almeno occasionali, possibilità di condividere – magari eccezionalmente- eventi "interni" ad una comunità diversa dalla propria (feste, riti, ecc),anche dei semplici inviti a pranzo o a cena.

Libri comuni di storia, celebrazioni comuni di eventi pubblici, forse anche momenti di preghiera o di meditazione comune possono aiutare molto ad evitare il rischio che visioni etnocentriche si consolidino sino a diventare ovvie e scontate…..

Nella coesistenza inter-etnica è difficile che non si abbiano tensioni, competizioni, conflitti: purtroppo la conflittualità di origine etnica, religiosa, nazionale, razziale ha un enorme potere di coinvolgimento e di mobilitazione e mette in campo tanti e tali elementi di emotività collettiva da essere assai difficilmente governabile e riconducibile a soluzioni ragionevoli se scappa di mano: esplosioni di nazionalismo, sciovinismo, razzismo, fanatismo religioso sono i fattori più dirompenti della convivenza civile che si conoscano (più delle tensioni sociali ed economiche), ed implicano praticamente tutte le dimensioni della vita collettiva: la cultura, l’economia, la vita quotidiana, i pregiudizi, le abitudini, oltre che la politica e la religione……

…….Una necessità si erge imperiosa su tutte le altre: bandire ogni forma di violenza, reagire con la massima decisione ogni volta che si affacci il germe della violenza etnica, che se tollerato, rischia di innescare spirali davvero devastanti e incontrollabili.

La cultura della convivenza.

 …..Quando nella convivenza tra diverse comunità etniche( o religiose o razziali) sullo stesso territorio esistono delle tensioni e dei conflitti, ci può essere la tentazione dell’esclusivismo etnico o religioso: la convinzione, che in realtà, le diverse comunità siano tra loro incompatibili e che sarebbe meglio che non fossero costrette alla coabitazione.

Ma se in una simile situazione si lascia crescere o coltivare la reciproca ostilità, i corpi separati, magari anche le milizie etniche o confessionali, e non si radica quindi una normalità fatta di comunità, non ci si deve meravigliare troppo se dalla latente ed immanente ammissione di "incompatibilità" ad un certo punto si passa al conflitto anche violento ed armato…..

Un nuovo pacifismo

La causa della pace non può essere separata da quella dell’ecologia

…..Guardando alle ragioni del breve periodo, ecologisti e pacifisti non possono che apparire velleitari e sostanzialmente perdenti: chiedono entrambi, di rinunciare ad un vantaggio, apparente ma immediato.

"Non" spingere sull’acceleratore del vantaggio militare o economico, "non" spingere la competizione sino a minacciare o addirittura distruggere l’altro, "disarmare" le proprie tecnologie (produttive, militari, ecc), "rinunciare" ad uno squilibrio apparentemente ed immediatamente favorevole alla propria sete di potere e di profitto, ma nel lungo periodo distruttivo non solo per chi ne rimane vittima sul momento..

Le ragioni del lungo periodo, quindi, starebbero di per sé dalla parte dei pacifisti e degli ecologisti, ma nessuno si fida di accogliere nell’immediato, perché assomigliano troppo ad un disarmo unilaterale della propria parte che procura vantaggi alla controparte.

I pacifisti - al pari degli ecologisti – dovranno trovare un modo non solo predicatorio e moralistico per rafforzare le ragioni del lungo periodo contro quelle del breve periodo.

La paura non basta: né la paura della guerra, né quella della catastrofe ecologica. E comunque sarebbe cattiva consigliera.

E anche l’utopia, intesa come quel "completamente altro" che si sa che non è di questo mondo, non basta: rischia di essere buona solo per le occasioni solenni, per le invocazioni liriche.

Bisognerà quindi rendere "attraente" e convincente la pace: quella tra gli uomini e quella con la natura……

Contro la logica sviluppista

Se osserviamo i popoli e le regioni della terra che l’hanno fatta a prendere il treno dello "sviluppo" – da Hong Kong a Taiwan, da Singapore all’Iran, dal Brasile alle Filippine – e se poi confrontiamo il loro "sviluppo" con chi è rimasto indietro ed arranca tuttora nel più desolato "sottosviluppo" è difficile dire dove i danni siano maggiori, mentre è abbastanza certo che i benefici siano assai unilateralmente finiti nelle mani di ristretti gruppi sociali che ne sono diventati agenti locali..

Non è un caso, quindi, che nei paesi del Sud del mondo da qualche tempo cominci ad emergere con sempre maggiore chiarezza una critica all’illusione "sviluppasti"…….

…..In altre parole: cresce la critica al miraggio di uno sviluppo che l’esperienza ha dimostrato essere foriero di dipendenza e povertà alla lunga più feroci di quelle derivanti dal "sottosviluppo"

Tra espansione e contrazione

….Ci troviamo al bivio tra due scelte alternative: tentare di perfezionare e prolungare la via dello sviluppo, cercando di fronteggiare con più raffinate tecniche di dominio della natura e degli uomini le contraddizioni sempre più gravi che emergono o invece tentare di congedarci dalla corsa verso il " più grande, più alto, più forte, più veloce", chiamata sviluppo , per rielaborare gli elementi di una civiltà "più moderata"

(Più frugale, forse, più semplice, meno avida) e più tollerabile nel suo impatto verso la natura, verso i settori poveri dell’umanità, verso le future generazioni, e verso la stessa "bio-diversità" (anche culturale) degli esseri viventi.

La chiamerei una scelta tra espansione e contrazione…..



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