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Brandi, la teoria e la critica dell'arte
di
Gian Luigi Verzellesi
 
 
Cesare Brandi  (a destra) con il Presidente della Repubblica Gronchi in occasione della Mostra sulla Tomba delle Olimpiadi di Tarquinia
 
Ad attestare l'importanza, lo spicco culturale crescente di Cesare Brandi (1906-1988) basterebbero i due convegni internazionali di Viterbo e di Assisi, che si sono svolti durante il mese di novembre 2003. Il primo su "La teoria del restauro nel Novecento da Riegl a Brandi"; il secondo su "Brandi fuori d'Italia" ossia sulla ricezione della teoria e della prassi del restauro dello studioso senese così come si sono diffuse all'estero.

Tradotto in spagnolo, rumeno, greco, boemo e francese, il libro sulla Teoria del restauro (edito nel '63, riedito da Einaudi nel 2000) è forse il testo più utile per chi voglia orientarsi nell'ambito della vastissima ricerca di Brandi cercando d'individuarne il nucleo fondamentale, da cui s'irradia - in tutti gli scritti d'estetica e di critica d'arte , così come nei libri di viaggio e in innumerevoli articoli - un'aura inconfondibile come la grana d' una voce argentina, coraggiosa e benefica.

Nelle sessanta pagine sul restauro, non si parla solo di restauro ma si condensa, con rigore argomentativo, un trattatello d'estetica che consente subito, alla prima lettura attenta, di capire come Brandi miri ad evadere dalle "chiuse dottrinali" della tradizione idealistica e a svolgere un discorso che s'attaglia alle esigenze della critica diretta, accostante, non generalizzante: volta ad individuare l'opera d'arte nella sua specificità ossia nella sua speciale consistenza fisica, "veicolo della forma", luogo dell'"estrinsecazione dell'immagine" (p. 12).

Quest'ultima non è mai riducibile a una passiva riproduzione di un oggetto, ma si manifesta in una presenza stilistica che sfuggirebbe al nostro apprezzamento se non recasse in se stessa tracce della terrestre aiola ossia impronte di valore semantico che la rendono comprensibile. - Ridotta qui a una sintesi stringatissima, questa è l'estetica del primo Brandi, così come prende voce nel Carmine (dialogo sulla pittura) e in libri come Segno e immagine (1960) e Le due vie (1966), che precedono la Teoria generale della critica (1974): opera d'importanza cruciale, in cui la meditazione su Burri induce Brandi, il secondo Brandi, a correggere l'impostazione teorica
ritenuta "unilaterale", che implicava l'esclusione dell'astrattismo dall' ambito artistico.

Al di là di questi accenni molto sommari, il lettore ora può agevolmente ripercorrere l'intero itinerario brandiano valendosi della guida di un
libro, riedito da Jaka Book, in cui Massimo Carboni dedica ampio spazio alla rievocazione dettagliata del "fecondo intreccio, tra riflessione teorica sulle arti e contatto diretto con le opere", rilevabile in specie nel lungo rapporto di Brandi con l'arte contemporanea, di cui tratta il quinto capitolo. Carboni mette in luce la "fruttuosa oscillazione brandiana tra teoria e valutazione delle singole opere"; ma in qualche lettore che la sa lunga può certo rimanere il dubbio che il tardivo "ripensamento" di Brandi sull'astrattismo abbia comportato qualche dissesto problematico della struttura teorica, più rabberciata che integrata. Su non poche altre riserve e conclusioni di Carboni, dettate da un irriducibile spiritello modernistico, si potrà dissentire: non sull'utilità di questo libro di rilettura analitica, che contrappone al silenzio distratto degli studiosi, che non si sono accorti di Brandi, una miriade di buone ragioni per apprezzare lo studioso senese che, nel settore della teoria e della critica d'arte, è stato il più lucido e attivo indagatore italiano, anche se "più non letto che criticato, più non inteso che accettato" (De Seta). Questa veritiera constatazione risulta ancora più significativa (e malinconica) se si considera che Brandi è autore non soltanto di testi di lettura molto impegnativa, come la Teoria generale della critica (ripubblicata nel 1998 dagli Editori Riuniti); ma di moltissimi articoli di divulgazione leggibilissima, di cui dà notizia la bibliografia completa che chiude il saggio di Carboni.

Una segnalazione particolare tocca a quelli raccolti da M. Capati nel libro su Il patrimonio insidiato (Editori Riuniti 2001) in cui "il massimo teorico mondiale del restauro conservativo" (da non confondere col "restauro di fantasia" o col "ripristino") ha svolto una lucidissima e appassionata difesa del paesaggio e dell'arte dalle insidie della moda, del mercato speculativo, della politica stolta, che - come precisava Brandi nel 1970 - decretano "la morte dell'arte in termini ben altrimenti perentori di quelli di Hegel". Parole dure che, al lettore non molto informato, possono sembrare esagerate. Invece preannunciano l'invettiva ragionata di Salvatore Settis, autore di un libro, vivace e documentatissimo (Italia S.p.A., Einaudi 2002), per buona parte considerevole come una felice ripresa del metodo brandiano.

G. L. Verzellesi


Fortuna critica di Brandi


La monografia dedicata da Carboni all'opera di Brandi consente al lettore di acquisire una prima informazione di base sul contesto culturale in cui il critico e storico dell'arte senese ha svolto il suo lavoro, commentato positivamente da Roberto Longhi (nel 1939), da Benedetto Croce (nel 1946), prontamente apprezzato da Argan, L. Grassi, Dorfles e altri "addetti ai lavori" nel corso del trentennio che separa il Carmine della Pittura (scritto tra il 1939 e il 1943) dalla Teoria generale della critica (edito nel 1974). Nella prefazione al libro qui recensito, Carboni dice che "la recezione del pensiero e dell'attività di Brandi è migliorata in questi ultimi anni, sia in quantità che in qualità". Ma un lavoro di registrazione ragionata, delle reazioni che l'opera brandiana ha prodotto nella cultura italiana, è ancora da fare. Ai contributi già segnalati da Carboni (in particolare nelle dense note del primo capitolo) sono da aggiungere altri interventi sfuggiti alla sua rete: quelli di Guido Calogero, C. L. Ragghianti, Nicola Abbagnano, Carlo Sciolla, Cesare Segre, Renzo Raggiunti, Victor Stoichita, Maria Andaloro, Enzo Bilardello, Licia Vlad Borrelli. E quelli della 'critica discorde' che ha preso voce nelle pagine di Mario Praz, Elémire Zolla, Enrico Crispolti, e prima in certe recensioni di Emilio Cecchi, cui spetta il merito di avere individuato, per primo, il talento di Brandi, lumeggiandolo, nelle colonne dell'Enciclopedia Italiana, come autore di "un acuto e complesso ripensamento delle teorie idealistiche".


Dagli "Scritti sulla tutela del paesaggio e dell'arte"


"Quando facevo lezione all'università, portavo i miei allievi nei musei e nelle chiese solo dopo avere esperito il corso relativo, altrimenti i
giovani, ben altrimenti preparati e disposti dei fringuelli delle medie, non avrebbero capito nulla: allora il contatto con le opere d'arte dava frutti felici".. Ora invece, "c'è chi propone visite guidate alle scolaresche nei musei. È una magnifica idea, pari a quella di non insegnare l'alfabeto e di far leggere di colpo senza compitare" [1984].

"Velazquez, uguale tre miliardi e mezzo. Dunque un'opera d'arte è convertibile in denaro come una tratta. La sua identità non è più con se stessa, ma con un assegno. Ed è questo che è rivoltante: è questo che rappresenta una corruzione spudorata e cinica della coscienza comune. Invece di valorizzare l'opera d'arte la si mette sullo stesso piano di una grossa partita di olio di semi o di suini" [1970].

"Si dice che è difficile definire quando una mostra è scientifica e quando è meramente turistica. Non è difficile: le mostre scientifiche sono
pochissime, e sono quelle che, per lo più, non fanno viaggiare i capolavori.
[..] Non è scientifico e non è culturale mandare in giro dei capolavori che sono il palladio di una civiltà irripetibile. [..] Si pensi ad attirare il
turismo in Italia, ma non si mandino ambasciatori tali che tolgano il desiderio di venirli ad ammirare in sito: e questo paese lo si curi di più, invece di lasciarlo in preda alla speculazione edilizia e alla rovina del paesaggio" [1968].

"La salvaguardia del patrimonio artistico incombe allo Stato, ma è un diritto e un dovere. Con l'educazione da impartire ai giovani e la sicurezza civile è questa una prerogativa a cui lo Stato non può abdicare [.] Ma si dirà, e se mancano i fondi, come si deve fare? Lasciar degradare questo patrimonio? Ora qui sta il punto: i fondi non devono mancare per un compito primario come quello che riguarda il patrimonio artistico. Ma lo Stato non lo considera affatto primario. Ultimo e penultimo creato, il disgraziato ministero dei Beni Culturali, sta, comunque, nella ripartizione dei fondi, all'ultimo posto": anche se "la Costituzione mette in primo piano la tutela in presa diretta dello Stato di tutto il patrimonio artistico" [1984].


Pubblicato da L'Arena il 20 agosto 2004


Una riedizione integrata

A PASSO D'UOMO


Chi non conosce Brandi, e voglia apprezzarne il talento, può ora soffermarsi sulle pagine di un libro appena ristampato da Editori Riuniti. S'intitola A passo d'uomo e - come nota Vittorio Rubiu, curatore attento di questa riedizione integrata - offre al lettore una sorta di breve antologia che consente di rivelare non solo le doti del critico d'arte ma anche la sapienza dell'umanista, capace di uscire dai sentieri incantati dell' estetismo per cogliere, con "l'andatura calma e lucida dell'attenzione" (Rasy), aspetti del paesaggio e della 'vita vivente' come snidandoli dalle nebbie dell'apatia per farli splendere in tutto il loro particolarissimo spicco qualitativo. Brandi infatti - come si legge nella Prefazione dettata da una sua scolara intelligente - "era un maestro della qualità , e ci insegnava a discernerla, a riconoscerla" al di là d'ogni pregiudizio ottenebrante. Grazie a questa sua maestria (d'ordine critico ed etico), priva d'ogni autoritarismo professorale, Brandi "poté permettersi di continuare a tenere regolarmente i suoi corsi (alla Sapienza) durante tutti i tumulti del Sessantotto". "E noi allievi - precisa la Rasy - ci permettemmo di seguirlo regolarmente".
 

 
 
 
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Dello stesso Autore
 
In
 
di
Interlinea
 

L'Apologo del Canarino

Antisculture di Liquirizia

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Note internet

da

Cesare Brandi

 " astanza" per indicare l' irriducibilità dell'opera a qualunque contenuto che non sia il suo essere "qui" e "ora". ( Brandi )
 " aura"     hic et nunc dell'opera, per indicarne l' originalità, l'unità, l'autenticità, l'irripetibilità, l'esclusività di godimento estetico ( Benjamin )

a cura di Nadia Scardeoni

 


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