DIDATTICA DEI BENI CULTURALI

di Maria Antonietta Spadaro

 

I prodotti artistici, che oggi facciamo rientrare nel più vasto ambito dei Beni culturali, costituiscono le testimonianze tangibili del nostro passato remoto e prossimo e devono essere studiati e conosciuti da tutti, per la loro tutela e perché educano al progetto del mondo futuro, si spera migliore di questo.

Le discipline inerenti quel settore della creatività umana che costituiscono le arti visive, hanno un potenziale straordinario nell'ambito formativo sia per l'immediatezza comunicativa, appunto visiva, che per la prerogativa interdisciplinare che ne caratterizza l'iter interpretativo nella lettura e nell'analisi

La Storia dell'arte è una disciplina storica e uno dei modi più educativi e pregnanti di insegnare la storia può essere quello di partire con i giovani discenti dalla storia locale.

Perché l'insegnamento non diventi banale indottrinamento un utile espediente didattico può basarsi su ricerche di storia e di storia dell'arte locali.

Scrive acutamente Dario Antiscri nell'evidenziare l'importanza pedagogica della storia locale:

"Bene, io vedo più d'una funzione e di uno scopo nelle ricerche di storia locale: esse possono suscitare in alcuni studenti la passione per una delle più affascinanti ed istruttive professioni intellettuali, cioè per il mestiere dello storico; servono a far capire, apprezzare ed amare la propria città; offrono cioè grammatiche di lettura di fatti che altrimenti sarebbero muti ('i fatti', diceva, appunto, giustamente John Stuart Mill, 'sono muti, essi parlano soltanto se c'è qualcuno che ne sa raccontare la storia': e vivere tra fatti che sono muti è come camminare in un deserto);inculcano il rispetto per i 'beni culturali'; insegnano ad apprezzare i musei; e le tante mostre di 'beni culturali' che oggi, grazie ad una rinnovata sensibilità, vengono allestite un po' in tutta Italia. Ed esistono certamente anche altre funzioni assolte dalla ricerca di storia locale. Ma quello che io sostengo è che: la lezione maggiormente rilevante delle ricerche di storia locale è una lezione metodologica.

E’ unicamente attraverso siffatte ricerche che lo studente si rende conto di come si costruisce e si controlla un'ipotesi storica.

E’ la storiografia locale, e solo questa, a mettere in contatto lo studente con le difficoltà tecniche e le trappole ideologiche del discorso degli storici.

(da "Epistemologia e didattica della storia" in AA.VV., Epistemologia e didattica, Roma 1999).

Il dibattito in Italia "Il paese dell'arte con una scuola senz'arte?", era lo slogan con cui si apriva il documento conclusivo del Congresso ANISA tenutosi a Milano nel 1998. Ma non volendo citare le tesi dell'associazione, che potrebbero apparire di parte, si preferisce riportare alcuni autorevoli pareri enunciati da studiosi italiani, in merito alla questione.

Per lunghi anni la battaglia istituzionale per dare spazio adeguato alla Storia dell'arte nelle scuole, è stata combattuta degnamente da Giulio Carlo Argan, sebbene la sua voce si sia levata invano.

Ecco alcune sue ultime lucide amare considerazioni in merito:

"Il pregiudizio dell'inferiorità della storia dell'arte, come accessoria e ausiliaria, tuttora prospera. E’ un pregiudizio classista: il politico comanda, il letterato medita, l'artista pasticcia e s'imbratta con creta e colori, pratica tecniche manuali, è un operaio raffinato, ma sempre operaio , è popolo e il popolo non fa, subisce la storia.

"Non che la storia dell'arte sia socialmente pericolosa, ma intrigante e fastidiosa si. La conoscenza dei patrimonio artistico e dell'ambiente porta all'idea che si tratta di beni di interesse pubblico anche quando sono di proprietà privata.

E’ un concetto che gli storici dell'arte hanno affermato e la Costituzione della Repubblica ha sancito, ma non è entrato nella prassi della vita italiana. Non sopravviverà il patrimonio artistico se non sarà coltivata negli italiani la coscienza del suo valore...

E’ grave che lo Stato non chieda alla scuola di alimentare in tutti i cittadini, cominciando dai ragazzi, la nozione e la coscienza di quei valori; l'ignoranza non è sempre innocente, anzi è a priori colpevole. "L'indifferenza o l'assenza della scuola non preoccupa soltanto per il destino della civiltà storica italiana nel prossimo, poco promettente futuro; v'è qualcosa che tocca la salute psichica e morale dei singoli e della società.

E’ arcinoto che molte psicosi e nevrosi dell'uomo moderno dipendono dalla difficoltà della sua integrazione nell'ambiente... si moltiplicano paurosamente i fenomeni d'intolleranza, di rigetto, di volontario sfregio del volto urbano... Il valore estetico, o il giudizio di esteticità che si dà dei fenomeni, è il diretto prodotto dell'arte; l'insegnamento della storia dell'arte è, oltre che cultura storica, educazione estetica. La scuola italiana non se n'è mai curata, ma son quasi due secoli che Schiller ha definito l'educazione estetica come educazione alla libertà: non in senso politico, ma nel senso di esperienza impregiudicata, genuina, laica, del reale" (da "L'Unità", 13.6.1989).

Più recentemente Cesare de Seta sul "Corriere della Sera" (9.2.1998), a proposito di possibili riforme dei programmi ministeriali ha scritto:

" ... Dunque se è vero che Dante e Petrarca vanno difesi da sconsiderate potature, mi sia consentito aggiungere che Giotto e Beato Angelico dovrebbero avere nella formazione dei nostri giovani un peso almeno pari. Purtroppo non solo questo non accade, ma nulla lascia prevedere che la storia dell'arte (o meglio dire l'educazione storico-artistica) guadagni terreno nella prospettata riforma: anzi di essa non si parla affatto. Cosa che riflette in modo clamoroso la scarsa sensibilità - verso questo ambito della creatività - dei 'saggi' di cui si è avvalso Berlinguer...

" ... dovrebbe essere interesse di tutti pervenire ad un coordinato disegno in cui l'insegnamento delle discipline storiche si configuri come un insieme in dinamica continuità. In modo che si possa trascorrere dalla storia letteraria alla storia delle arti, alla storia politica al fine di delineare i tratti fondanti di una civiltà...

I programmi dovrebbero essere configurati adottando una metodica comparativa tra le discipline...

"La scuola italiana è estranea a tutto ciò: la cultura impartita è comunque fortemente sperequata a tutto danno della cultura artistica, intesa come coscienza collettiva del mondo materiale che ci circonda, costituita da un insieme di prodotti che compongono nella loro interezza il patrimonio storico-artistico del Paese. Patrimonio da conoscere in primo luogo, per poterlo proteggere e tutelare. " ... da esso l'Italia trae immensi profitti economici e sempre più ne potrà trarre... Ma perché questo avvenga dobbiamo far si che la storia dell'arte si trasformi in una sorta di educazione civica...".

Marisa Dalai Emiliani sul "Sole-24 Ore" di domenica 17.1.1999, ribadisce lo sconcerto davanti alla posizione ministeriale sull'argomento scuola Beni culturali:

"Che i beni culturali costituiscano occasioni conoscitive, di studio e ricerca, e che queste necessariamente stiano alla base di qualunque iniziativa di salvaguardia, è nozione che traspare sempre più debolmente nelle recenti disposizioni legislative. Ma la perdita più grave riguarda la consapevolezza della funzione educativa del patrimonio culturale, quasi si fossero smarrite le motivazioni profonde per un'azione educativa pubblica con e per i beni culturali, prioritariamente rivolta alla scuola. "I beni culturali d'altra parte, nella complessità della loro stratificazione storica sul territorio e nella ricchezza dei reperti conservati negli oltre tremila musei italiani, rappresentano un'immensa e pressoché inesplorata risorsa per la scuola, mentre dovrebbero essere gli oggetti privilegiati di un insegnamento-apprendimento attivo e interdisciplinare, ancorato alla concretezza di un contesto territoriale e istituzionale - dall'archivio, alla biblioteca, al museo - conoscibile e verificabile.

"Se essere educati alla conoscenza, al godimento e all'uso responsabile dei patrimonio culturale è un diritto di tutti i cittadini in età scolare - da estendere comunque ai settori permanente e ricorrente - davvero importante sarebbe garantire alle scuole di ogni ordine e grado, ma in prima istanza alla scuola dell'obbligo, le stesse opportunità offerte sinora, pur se in modo discutibile, ai rari utenti scolastici dei servizi aggiuntivi di pochi grandi musei in pochissime città d'arte italiane".

Proprio Marisa Dalai Emiliani ha presieduto una Commissione interministeriale per la didattica del museo e del territorio (direttore generale Mario Serio), la quale ha elaborato un progetto, sulla base di esperienze internazionali, di Sistema nazionale per i servizi educativi del museo e del territorio.

Si tratta di un accordo-quadro tra il ministro dei Beni culturali e il ministro della Pubblica Istruzione, firmato il 20.3.1998, che ha stabilito regole profondamente innovative per la sperimentazione di attività didattiche sui Beni culturali progettate in paternariato dagli istituti scolastici in regime di autonomia e dai servizi educativi delle Soprintendenze, questi ultimi da attivare ove ancora non esistano. Si auspica che le regioni a statuto speciale, autonome anche in materia di Beni culturali, come la Sicilia, recepiscano questo accordo-quadro per non rimanere isolati, da tali politiche rivolte ad incentivare quel particolare aspetto didattico, ormai definito Pedagogia del patrimonio. Da anni l'ANISA si batte per il curriculum continuo, ossia la continuità dell'insegnamento dell'educazione all'arte, dalla scuola elementare alla scuola superiore, senza alcuna interruzione. Le recenti proposte di riforma della secondaria superiore invece ignorano tale indicazione, eliminando la disciplina dal biennio, o meglio lasciandola come materia facoltativa, e tralasciandola in alcuni indirizzi dei triennio. Così, se è stata inserita ormai l'educazione all'immagine nelle scuole elementari, si studia educazione artistica alle medie, al biennio ci si ferma per poi riprendere, solo in pochi casi, con la storia dettarle al superiore. Anche con il nuovo riordino dei cicli scolastici la situazione non migliora. Tuttavia non ci stancheremo di sostenere che le scuole di ogni ordine e grado non possono più in alcun caso ignorare l'importanza dell'educazione all'immagine, all'arte, ai Beni culturali in genere, partendo dal proprio territorio, dai musei e dai monumenti in esso presenti. La scuola, tra i principali fruitori dei musei, deve prevederne le visite delle varie classi come un fatto istituzionale che coinvolgendo più discipline ne costituisca momento fondamentale dell'iter formativo dei giovani. Occorre abituarsi a vedere la Pedagogia del patrimonio come cardine dell'insegnamento umanistico, sia come esperienza formativa e culturale, sia come risorsa per l'occupazione ed il lavoro, ed infine, ma non in ordine d'importanza, come sviluppo della coscienza civica, oggi sempre più in crisi nelle giovani generazioni. L'azione educativa della scuola deve avvenire con i Beni culturali, per i Beni culturali, ossia mentre costituiscono strumento formativo, nel contempo la conoscenza di essi significa lavorare per la loro tutela e il loro sviluppo.

Un documento elaborato dai 44 saggi nominati dal Ministero della Pubblica istruzione per definire, in vista della riforma scolastica "I nuovi saperi per la scuola di tutti" così recita:

"Va apertamente denunciata e conseguentemente rimossa la condizione marginale alla quale sono relegate, nella nostra scuola, le arti sonore e visive, e tutto ciò che le integra (come il teatro e il cinema). Ciò è per un verso scandaloso, per un altro verso è espressione di un più generale atteggiamento autolesionistico, considerata l'immagine europea e mondiale della nostra cultura e delle nostre tradizioni...

"La scuola dovrà essere anche la sede per un incontro tra i giovani e la civiltà figurativa, intesa come espressione di un fare dotato di una sua specifica identità.

E’ inevitabile legare questa identità al linguaggio "visivo", ma l'esigenza di conoscerlo e praticarlo consapevolmente può essere considerata fondamentale, contribuendo così a dare una base alla formazione complessiva dell'individuo, solo attraverso una lettura coordinata del suo complesso costituirsi, nel tempo storico e negli spazi d'uso, in forma, immagine, oggetto, territorio. In questo senso le arti figurative offrono opportunità enormi e non sostituibili allo sviluppo dell'inventiva, dell'operatività, della comunicazione, del giudizio.


Stralci da "Imparare la città. Esperienze di didattica de Beni culturali", Edizioni Ariete, Kalòs - Palermo


Maria Antonietta Spadaro

E' nata a Palermo dove vive e lavora

- Laureata in Architettura a Palermo, è docente di Storia dell'Arte al Liceo Classico.

-Dal 1995 al 2000 è stata consulente del Comune di Palermo per il progetto "Palermo apre le porte. La scuola adotta un monumento".

- Dal 1999 è professore a contratto in Facoltà di Architettura per i corsi di specializzazione SISSIS

- Ha organizzato e diretto corsi di aggiornamento per docenti delle scuole secondarie in collaborazione con le pubbliche istituzioni cittadine

- E' docente di Storia dell'arte moderna presso la "Scuola di specializzazione in Storia dell'arte medievale e moderna" della LUMSA, sede di Palermo - A.A. 2003/2004

- E' stata docente nei corsi IFTS (Istruzione e Formazione Tecnica Superiore): Le scienze per i Beni Archeologici (2002-2003) e Programmazione e marketing di eventi culturali (2003)

- E' membro del direttivo nazionale dell'ANISA (Associaz. Naz. Insegnanti Storia dell'Arte) e fa parte della delegazione provinciale del FAI (Fondo Ambiente Italiano)

- Ha curato mostre di artisti contemporanei fra cui la mostra itinerante, promossa dalla Regione Siciliana, Novecento Siciliano, ospitata nelle città di Minsk, Mosca, Barcellona, Londra, Palermo, nel periodo ottobre 2003-luglio 2004

- Ha pubblicato numerosi saggi di storia dell'arte e didattica dei Beni culturali, fra i principali: