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La formazione nella prima infanzia

di

FRANCESCA VASSALLO

Per nessuna fascia d’età la parola formazione è così appropriata come per i primi anni di scuola, anche se normalmente quando parliamo di formazione pensiamo soprattutto alle scuole superiori o all’università.

Se assumiamo il termine formazione nel suo significato etimologico di "dare una forma", è il bambino piccolo che maggiormente richiede un’azione formativa, capace cioè di strutturare e ricomporre tutte quelle funzioni e potenzialità, che non hanno ancora una forma precisa, ma che costituiscono in germe l’individualità di ognuno.

Un progetto di formazione per la prima infanzia deve partire da questa prima considerazione: formare il bambino vuol dire innanzitutto accogliere, leggere e interpretare i suoi bisogni e le sue risorse, mettendovi ordine attraverso interventi e metodi adeguati.

Pensare il bambino piccolo come un soggetto portatore di competenze non ancora espresse, con delle risorse naturali che, se opportunamente sollecitate, sono in grado di favorire la sua crescita e maturazione, significa pensare la sua formazione come un’intelligente opera di stimolazione, e al tempo stesso di guida e contenimento. Ciò vuol dire offrire al bambino occasioni per esercitare e sviluppare le sue potenzialità, guidandolo con autorevolezza, ma con il giusto rispetto della sua crescente autonomia, e creando un contesto ambientale e delle relazioni che lo facciano sentire sicuro.

Oggi sono diffuse due linee formative per la prima infanzia, apparentemente antitetiche, che sono il frutto della rapida trasformazione culturale e sociale degli ultimi anni, e che rivelano la sempre più preoccupante perdita di una filosofia dell’educazione, che sia in grado di proporsi con forza al di sopra di ogni mutevole orientamento politico. C’è una prima tendenza, nata in seguito alla politica di difesa dei diritti umani, che ha restituito dignità e identità giuridica al bambino: il riconoscimento dei diritti dell’infanzia ha ispirato nei contenuti metodologici e didattici i programmi ministeriali degli anni passati; vengono valorizzate le capacità individuali ed espressive, e c’è sempre una maggiore attenzione all’integrazione culturale e alle diversità; il maestro o l’educatore perde il ruolo forte e l’autorità che rivestiva in passato, sostituito da progetti sempre nuovi e diversificati sui quali, di volta in volta, si misura la didattica.

Questo orientamento, che in molte scuole d’infanzia, pubbliche e private, è abbastanza riconoscibile nelle strutture e nei metodi, dove l’elemento ludico e creativo, come pure la sfera corporea, diventano aree fortemente implicate nel processo formativo, rivela oggi tutta la sua debolezza. Al bambino viene riconosciuta sì una sua autonomia e identità, gli viene offerta un’enorme quantità di opportunità e di stimoli, di cui prima non disponeva (pensiamo che il mondo infantile è diventato un grande business, le cui prime vittime sono gli stessi bambini, saturi di sollecitazioni esterne ma sempre più in difficoltà); ma, nello stesso tempo, si è creato sempre più un vuoto di contenuti, insieme alla perdita di educatori e di maestri, capaci di dare ai bambini forma e contenimento, nell’età in cui essi costruiscono la loro personalità. In questa situazione i bambini manifestano il loro disagio, dando segnali di irrequietezza o di indifferenza, che, non essendo quasi mai compresi nel loro vero significato, spingono, a ritornare indietro verso metodi direttivi ed autoritari.

Così accanto ed in contrapposizione a questo tipo di progetto educativo, si afferma da alcuni anni un’altra linea formativa, avallata, di fatto, dagli stessi genitori, che vuole "riafferrare" il bambino capriccioso e senza regole, attraverso una precoce e forzata scolarizzazione sin dall’asilo. Il vuoto di contenuti del percorso formativo sopra descritto, strumentalizzato per fini di mercato dalla logica consumistica e aggravato dalla mancanza di una seria professionalità per la figura dell’educatore di infanzia, ha permesso l’affermarsi di un indirizzo che mira ad orientare i bambini al mondo di oggi, tecnologico, produttivo, globale. Così inglese, informatica, impresa (le tre "i" di Berlusconi) diventano gli obiettivi educativi dell’attuale governo a partire dai primi anni di scuola, per preparare i manager di domani. Il Ministro in carica, con abile manovra politica, ha dato un indirizzo contenutistico ad una scuola che presentava dei vuoti, ma si tratta di un indirizzo che stravolge il senso della formazione di cui parlavo all’inizio.

I bambini vivono così un momento di grande disorientamento: da un lato la possibilità di disporre di una quantità di cose e di esperienze, senza una mediazione autorevole, li fa sentire onnipotenti; certi giochi elettronici aumentano pericolosamente la sensazione di avere un potere sulla realtà, con tutte le conseguenze che derivano nel bambino piccolo da queste fantasie; d’altra parte sono come vittime di una "manovra", di una istruzione sempre meno attenta alla libertà personale e allo sviluppo del senso critico, che li orienta verso una omologazione culturale e un appiattimento delle coscienze.

E’ pure vero, e questo ci fa essere ottimisti, che i bambini sono capaci di prendere intimamente le distanze da quello che contrasta esageratamente con il senso della giustizia e del bene, che sentono forte dentro di loro. Così, il fermento culturale che li ha attraversa e la devastazione del mondo da parte dei grandi cui assistono quotidianamente danno loro una nuova e straordinaria coscienza umanitaria ed ecologica, che, ci auguriamo, li porterà a sottrarsi a tutti gli asservimenti per farsi pionieri di un nuovo mondo. Come dice Tiziano Terzani nelle sue "Lettere contro la guerra" : "Dopo gli ultimi eventi mondiali il mondo non è più quello che conoscevamo, le nostre vite sono definitivamente cambiate. Forse questa è l’occasione per pensare diversamente da come abbiamo fatto finora, l’occasione per reinventarci il futuro e non rifare il cammino che ci ha portato all’oggi e potrebbe domani portarci al nulla"

Questo messaggio di speranza, che viene da parte di un uomo che ha saputo, anche grazie alla sua sofferenza personale, sollevarsi dal pericolo della rassegnazione per guardare anche le tragedie come "occasioni" di cambiamento, vorrei dedicarlo a tutti i bambini che vivono in questo momento storico così drammatico.

 

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Francesca Vassallo

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