Un pagano con la fede

Intervista a Serge Latouche

a cura di
Nadia Scardeoni


 

Abbiamo incontrato Serge Latouche, in agosto a Brentonico, al convegno della Rosa Bianca, e dopo il suo intervento sui "mercati globali" abbiamo avvertito la necessità di fare con lui una serie di riflessioni che avessero come punto di ricaduta ciò che ci sta più a cuore: " Quale futuro ci attende?"

NS. Cosa accadrà se non adeguiamo le tecniche pedagogiche alla necessità di erigere una diga contro il flusso estraniante della globalizzazione? Come porsi, preventivamente ai ripari da un superamento della relazione umana, decontestualizzata fino alle estreme conseguenze dalla telematica? Quale tipo di materialismo virtuale sta invadendo la mente sottraendo al cuore i suoi prodigi: i nostri sentimenti, le nostre emozioni?

SL. Posso descrivere la mia esperienza francese riguardo all'insegnamento, la pedagogia.

Non sono uno specialista ma in quanto professore e padre m'interesso ai problemi dei bambini.

In Francia abbiamo assistito a qualcosa che mi ha chiamato in causa poiché io faccio parte della generazione del ' 68 e, dopo il ' 68, abbiamo voluto rivoluzionare l'università, i suoi insegnamenti, un pò tutto in generale.

Abbiamo introdotto la pedagogia attiva, interattiva, i nuovi metodi pedagogici. D'altronde dopo il ' 68 non erano più gli insegnanti a decidere cosa fare, cosa insegnare, come insegnarlo, bensì gli studenti a dire ciò che volevano e non volevano fare.

Progressivamente e successivamente abbiamo cambiato completamente l'approccio pedagogico con i bambini che arrivavano all'asilo e poi alla scuola elementare.

Abbiamo assistito a due cose: la prima fu la contraddizione tra il rapporto educativo all'asilo, molto semplice, ludico, e il programma scolastico molto più tradizionale e severo della scuola elementare; la seconda cosa, molto più terribile, fu che durante gli anni del post 68, essendo stata soppressa la classificazione degli alunni, "primo, secondo, terzo, nella competizione", furono i genitori degli alunni stessi ad esigere progressivamente la selezione , perché "la scuola non poteva vivere al di fuori della società; nella società bisognava lottare per vivere, lottare per competere"..

Esigevano la selezione, la pressione sui figli mentre le idee del ' 68 andavano verso una pedagogia attiva. Progressivamente il peso del mondo esterno, su insegnanti e sui genitori, andò in senso contrario, così si assistette alla distruzione di questa evoluzione, mantenendo semplicemente le contraddizioni fra il desiderio di una pedagogia attiva, non selettiva, aperta, e il ritorno alla vecchia. Questo è il fulcro del problema della scuola, della pedagogia, ed è il problema della mondializzazione, di gran lunga esterno alla scuola.

NS. C'è inoltre un mercato che ha invaso i beni immateriali dell'uomo con la forza persuasiva della suggestione.

Sono stati inventati i sondaggi, le ricerche di mercato, sono stati creati gli oggetti del desiderio per poi riempirli di paccottiglia, di surrogati atti ad incentivare i profitti incontrollabili delle multinazionali. Il pensiero che sostiene il marketing di questa grande impresa è pure "multinazionale" e quindi indecifrabile?

SL. Credo tu sia andata molto più lontano di ciò che hai detto e ciò non concerne soltanto i bambini, ma con le prospettive di ciò che chiamiamo virtuale, la possibilità di avere praticamente un'esperienza totale virtuale con il multimediale, può provocare, anche per gli adulti, delle reazioni terribili.

Io credo che la nostra società che si definisce individualista, democratica, sviluppi invece qualcosa che è esattamente il contrario dell'individualismo: il conformismo. Si tende sempre a guardare la pagliuzza nell'occhio del vicino, piuttosto della trave nel nostro occhio.

Quand'ero in Canada due cose mi avevano colpito: i genitori che acquistavano per i neonati nella culla dei giocattoli "educativi" affinché i neonati iniziassero sin da allora ad entrare nella lotta per la vita.

"Poiché la vita è dura", essi dicevano, "bisogna iniziare sin da subito a formare ed educare i neonati". Ho trovato tutto questo mostruoso.

La seconda cosa è che all'epoca i genitori discutevano dei problemi, parlavano di ciò che si poteva o non si poteva fare , in determinate circostanze.

La discussione era considerata molto importante; per le ragazze si discuteva se fosse giusto o no che esse portassero in casa i loro ragazzi, senza essere sposate.

In Canada l'espressione che ricorreva più frequentemente era: "bisogna essere corretti" e, corretti, significava essere nella norma e nella norma, significava nel sondaggio. Norma significava conoscere il sondaggio.

In effetti si vede chiaramente nella società americana, ma anche nella nostra, che su tutti i giornali ci sono innumerevoli sondaggi, per ogni genere di problema.

Ad esempio se c'è il 51% della popolazione a favore della pena di morte ciò significa che tutti debbono essere a favore della pena di morte, il 51% contro la pena, tutti contro.

Negli Stati Uniti un giorno la società è a favore della pena di morte, il giorno dopo è contro, perché c'è la dittatura del sondaggio. Io credo che tutto questo sia anteriore rispetto ad una altra dittatura: quella televisiva. La televisione non ha creato il conformismo, ovviamente vive di conformismo e lo rafforza.

Che cosa fare dunque? Credo che ciò che fa e rappresenta la nostra sorgente di speranza non sia la nostra forza, perché noi non siamo nulla, non abbiamo potuto prevedere ciò che poi è accaduto, non abbiamo avuto i mezzi per prevenirlo. La nostra speranza è la debolezza dell'avversario. Poiché credo che questo sistema di mondializzazione multimediale dell'informatizzazione multinazionale, la megamacchina vada direttamente verso un muro. Noi certamente possiamo fare qualcosa, ma solo ciò che è possibile visto che non possiamo proibire la TV o l'avanzare del "dialogo telematico".

NS. Noi siamo deboli e debole è questa macchina, vuota di spirito, che sta andando a cozzare verso il vuoto esistenziale, ma quante vittime ci saranno sulla strada che stiamo percorrendo soprattutto per le debolezze che si stanno costruendo a partire dall'infanzia?

La massima debolezza consiste nell'essere attratti da tutto ciò che ci circonda senza sentire il fascino della nostra interiorità, del nostro silenzio senza solitudine.

Spesso anche i nostri rapporti apparentemente più spontanei sono mercificati dentro una sottaciuta regola di: do ut des.

Non è consolante l'idea che, chissà fra quanti anni, la macchina infernale andrà sicuramente a disfarsi.

Viviamo in un mondo di debolezza e i più deboli sono coloro che non sono consapevoli di esserlo.

Grazie all'intelligenza perversa di un marketing che non distingue il possibile dall'impossibile, oggi un bambino può essere influenzato e accattivato da un qualsiasi mito e anziché trattenerlo nella sfera della fantasia e utilizzarlo catarticamente, è spinto a "possederlo", nelle più svariate forme. Questi processi fissano il legame: gratificazione = possesso e preparano, "per la vita", i giovani consumatori. Credo che sia utile attivare degli osservatori perché il fenomeno venga destrutturato alla base.

Ritieni anche tu che i pedagogisti debbano uscire finalmente dai loro polverosi soliloqui e avvertire gli "statisti" della evidente, quasi banale, indecenza programmata?

SL. Credo che ogni iniziativa sia da incoraggiare e, fondamentalmente, ritorno all'idea che ho sviluppato durante la conferenza: "la decolonizzazione dell'immaginario".

Penso ad un campo molto importante, quello dello sport, che una volta era dominio della gratuità.

Si giocava per puro piacere, per rilassarsi. Oggi assistiamo alla commercializzazione dello sport, che, con la televisione, è diventato "spettacolo". Vi si investono miliardi, si gioca e si paga per "profitto" e, soprattutto, si bara.

Come è possibile tutto questo?

Tutto ciò è possibile perché l'arte suprema è fare denaro. Il denaro ha potere su tutto. Se noi guardiamo all'Africa vediamo invece che non avendo denaro da investire nelle competizioni sportive ha risolto il problema: giocano tra di loro per il puro piacere di giocare, di competere senza compensi.

Questo lavoro di decolonizzazione dell'immaginario non può essere deciso e basta.

Dobbiamo ritrovare un senso della vita, dobbiamo proporre ai nostri figli qualcosa di diverso da questo enorme rispetto per il denaro. Certo il denaro serve, dobbiamo vivere e, per vivere in questo mondo, c'è bisogno di denaro.

Ma non poter " arbitrare " in un mondo dominato dal denaro è terribile.

NS. Quando, parecchi anni fa, partecipavo a concorsi, a mostre di pittura, quasi per gioco, tra di noi giovani pittori c'era solidarietà. Eravamo felici, allegri, niente affatto invidiosi.

Poi i mercanti si sono messi in mezzo con le loro "rassicuranti" mediazioni e la critica d'arte ha fatto il resto.

Un certo mercato dell'arte ha distrutto con la sua spocchiosa e tracotante intelligenza interpretativa il disvelarsi leggero dei sentimenti sottili. Si sono creati altri generi artistici: quelli di campare sull'arte altrui.

Una certa arte sacra contemporanea, poi, è riuscita a combinare due incredibili "nonsense": l'indicibilità del contenuto e "il culto dell'immagine".

SL. Io non ho nulla da aggiungere, sono un ateo. Quando vado in Africa discuto con amici africani, mussulmani, animisti, dentro un clima di grande tolleranza religiosa. Quando dico che sono ateo si sorprendono, mi chiedono come sia possibile, perché, per gli africani, è impossibile essere atei.

Credo, comunque, di essere attraversato dalla fede, ma non so che cosa sia la fede, in me.

Io sono un ateo, un pagano che ha la fede.

Credo che sia molto importante, ritornando alla storia dell'educazione, trasmettere ai giovani una fede. Non una religione, né un modello. Per fare questo non ci sono ricette: chi possiede una fede la trasmette automaticamente a chi lo circonda, senza deciderlo.

E' come una lampada che diffonde la sua luce.

Il dramma della maggior parte dei giovani d'oggi è che la vita per loro non ha più "senso" perché non hanno fede. Ma non è questione di religione.

NS. Il senso della vita, della morte, dell'esclusione, sono gli interrogativi che ci attendono al varco ogni qualvolta la nostra "normalità" viene destabilizzata da un dolore molto grande, da un lutto, da un "cataclisma" o da una guerra.

Allora, senza che nessuno ci diriga scatta la solidarietà, si spezzano gli steccati delle piccole appartenenze, dei piccoli egoismi. Retrocessi dal dolore in uno strato più profondo della nostra coscienza incontriamo un senso più chiaro dell'esistenza che si traduce, spontaneamente, in una più consapevole attenzione al bene collettivo, al bene di chi ci sta accanto.

Ecco che la solidarietà emerge come da una sorgente liberata dagli ostacoli, e induce, a volte, a gesti così belli e così incredibili che nessuna "codificazione della solidarietà" poteva prevedere.

Tutte le antinomie utilizzate per definire i rapporti di solidarietà, ricco - povero, colto - analfabeta, cittadino - suburbano, evidenziano la loro povertà pregiudiziale.

A quell'africano che ritiene impossibile tu possa vivere senza una religione sfugge un fatto sostanziale e cioè che tu abbia una vita spirituale, dei valori da portare avanti con fede, anche senza una paternità religiosa. Con questo pregiudizio abbiamo avallato i più mistificanti contrasti ideologici, mentre, sarebbe bene dirlo, una volta per tutte : "la spiritualità è di tutti, la religione è di alcuni".

SL. Per gli africani la religione è ciò che da' un senso alla loro vita ed è equivalente ad avere fede.

Noi siamo passati attraverso la modernità e abbiamo assistito alla denuncia del pregiudizio. La tradizione, i valori fondati sugli avi, sul passato, avevano una volta un'importanza straordinaria.

Poi arrivò la modernità ed il pensiero cambiò. Pascal aveva visto chiaramente il problema: " la ragione uccide la fede".

Io credo che il problema della post modernità, sia una fede non più costruita sulle illusioni, non più passionale ma ragionevole.

L'organizzazione passionale è l'organizzazione del mondo moderno, del mercato ed è irragionevole perché non ha più nulla da distruggere.

Questa modernità ha anche distrutto il rapporto di solidarietà che esisteva una volta tra gli uomini anche tra gli uomini viventi e i morti.

Abbiamo cacciato la morte per trovare il senso della vita.

Abbiamo distrutto il senso della vita perché abbiamo esorcizzato la morte che è la condizione stessa della vita, del suo senso.

L'esorcizzazione della morte è anche l'esorcizzazione della malattia: i malati sono altro da noi, sono degli esclusi così come gli anziani. E' terribile.

NS. Non agire in conformità a tutto quello che abbiamo costruito di sbagliato fino ad ora è obbligatorio per liberare il futuro. Io credo che questo sia il compito della politica oggi: pensare non più ad auto finanziarsi, ad auto legittimarsi ma ad intervenire con competenza sulla complessità del degrado esistente e trovare soluzioni per una conversione ragionevole.

SL. In Francia le cose sono un po’ diverse. Noi teniamo la politica a distanza e cioè nè investiamo nella politica, né ne siamo coinvolti. E' difficile da spiegare.

La tradizione francese, attraverso secoli di storia ha avallato l'incontestabilità del potere amministrativo, del servizio pubblico, cominciati già sotto l'Antico Regime con i "servitori dello stato".

I politici appartengono ad una casta chiusa con le sue dinastie. C'è un deficit di democrazia, alcuni guardano la politica come un gioco, non ci si fa molte illusioni, non ci si aspettano grandi cose.

E noi, intellettuali francesi, stiamo sempre all'opposizione.

NS. Grazie, Serge Latouche, abbiamo toccato tanti temi, forse troppi. Ma è stato impossibile resistere alla seduzione di......" un ateo con la fede" che cita con generosità tante esperienze personali per metterci in guardia verso la terribilità della macchina infernale che globalizzerà, se non ci svegliamo in tempo, tutti i nostri sogni.

Verona, 11 dicembre 1996


Per gentile concessione di ''QUALEVITA''