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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

MAUSS

Movimento Anti-Utilitarista nelle Scienze Sociali

UN INTRODUZIONE AL MAUSS

Il m.a.u.s.s. (Movimento Anti-Utilitarista nelle Scienze Sociali) nasce a Parigi nel 1981, da un  insieme composito di intellettuali (economisti, giuristi, sociologi e antropologi, provenienti da varie parti del mondo) che, per divulgare le proprie idee e iniziative, comincia a editare il periodico «Bullettin du m.a.u.s.s.». L’impulso alla nascita del mouvement venne casualmente nell’aprile del 1980, in occasione di un dibattito organizzato dal Centre Thomas More sul tema del dono.

Tra i molti specialisti che vi presero parte c’erano anche Gérald Berthoud, docente di antropologia all’Università di Losanna, e Alain Caillé, professore di sociologia all’Università di Caen (poi a Paris X, - Nanterre). Essi si conobbero per la prima volta in questa occasione, e rimasero entrambi molto colpiti dall’«accanimento con cui tutti i partecipanti, economisti, filosofi, psicoanalisti ecc., cercavano di negare qualsiasi realtà all’oggetto stesso dell’incontro» (Caillé, Critica della ragione utlitaria, Boringhieri, 1991, p. 4), e ancora più dall’assoluta ignoranza dei lavori di una certa antropologia che quell’oggetto aveva indagato nel modo più adeguato, come “fenomeno sociale totale” (il riferimento è ovviamente all’opera di Marcel Mauss, di cui non a caso il mouvement parlerà come di una «découverte», troppo a lungo dimenticata o unilateralmente interpretata dalla scienza sociale contemporanea).

All’inizio, come Caillé ha spesso sottolineato, il movimento concepiva il proprio anti­utilitarismo nei termini di una generica critica dell’economicismo. Ma durante i sette anni di edizione del «Bullettin du m.a.u.s.s.», mentre il mouvement criticava, attraverso un approccio storico-antropologico, i fondamenti economicisti delle varie discipline accademiche (economia politica in testa), veniva via via scoprendo la specificità dell’utilitarismo rispetto all’economicismo, e cioè, come avrebbe scritto Caillé nel Manifesto del m.a.u.s.s.: «il fatto che l’utilitarismo non rappresenta un sistema filosofico particolare o una componente fra le altre dell’immaginario dominante nelle società moderne. Piuttosto esso è diventato quello stesso immaginario...» (Caillé, Critica della ragione utlitaria, op. cit., p. 4).

Con gli anni novanta, in seguito a un accordo con le Éditions La Decouverte, verrà poi fondata la collana «Recherches: un nouvel espace pour les sciences sociales et humaines et sociales», all’interno della quale nasce la «Bibliothèque du m.a.u.s.s.» che pubblica i testi promossi dal gruppo e promuove, con una nuova veste editoriale, la rivista del gruppo, che diviene la «Revue du m.a.u.s.s.», trimestrale prima e semestrale poi. Questa collana è suddivisa in due serie: oltre alle ricerche antiutilitariste, pubblica anche i testi prodotti dall’«Observatoire sociologique du changement social en Europe occidentale».

Come indica il suo nome, il m.a.u.s.s. si ispira ai lavori dell’etnologo, sociologo e storico delle religioni Marcel Mauss. Il riferimento, in particolare, è all’Essai sur le don, apparso nel 1923-24 sull’ «Année sociologique», poi ripubblicato con altri scritti dell’autore nel 1950 sotto il titolo Sociologie et anthropologie (Puf, Paris, a cura di Claude Lévi-Strauss). Le personalità più rilevanti del gruppo sono Serge Latouche, Jacques Godbout, Gérald Berthoud, Jean-Luc Boilleau e Alain Caillé, animatore del movimento, direttore della rivista e autore del manifesto dell’antiutilitarismo (“Critica della ragione utilitaria”). In Italia è stato Alfredo Salsano il vero promotore del movimento antiutilitarista, facendo tradurre o traducendo egli stesso per Bollati Boringhieri vari autori del mouvement e numerosi testi di Latouche e Caillé. Nel dicembre 1993 l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e l’Università di Salerno organizzarono con i componenti del m.a.u.s.s. un seminario internazionale («Dono, contratto, dispendio. Per la critica dell’utilitarismo»), cui poi fecero seguito numerosi altri incontri e un infittirsi delle relazioni tra il movimento e il mondo culturale italiano (accademico e non).

 

Le differenze all’interno del gruppo sono considerevoli, e non solo per l’elevata differenziazione degli ambiti di ricerca, ma anche (e soprattutto) in relazione a questioni di metodo e di approccio. Quanto all’approccio si va dalle interpretazioni del dono di Boilleau, in chiave agonistica e competitiva (sulla scia della analisi di Alain Testart), a quelle di Godbout, tutte incentrate sull’ottica della fiducia e dell’aimance. Per non parlare della varietà dei temi affrontati dal movimento; per citarne solo pochi, e a caso: sviluppo e sottosviluppo, informale, decostruzione dell’immaginario economico (Latouche), teoria del sacrificio (Berthoud, Nicolas, Caillé), antropologia della manifestazione di sé e forme sociali di rappresentazione del sé (Dewitte), teoria relazionale dell’azione e simbolismo (Caillé), crisi della democrazia e reddito di cittadinanza (Mouffe, Caillé), conflitto e legame sociale (Boilleau), antropologia e sociologia della moneta (Rosapabé), cristianesimo e utilitarismo (Tarot). Nel suo complesso, inoltre, il movimento ha ormai prodotto un confronto sistematico con le grandi correnti della sociologia, dell’antropologia e della filosofia politica moderna, e un’interpretazione, spesso originale, dei momenti salienti della riflessione politica occidentale (da Platone ai maestri della sociologia francese e tedesca contemporanea, dai moralisti classici ai teorici della complessità). Lo dimostra la recente pubblicazione di una monumentale Histoire raisonnée de la philosophie morale et politique, edita da La Découverte sotto la direzione di Alain Caillé, Christian Lazzeri e Michel Senellart.

La ricchezza e la prolificità del movimento dipendono d’altronde proprio da questa ampia differenziazione di approcci e temi. Alain Caillé per esempio si è dichiarato favorevole all’istituzione di un “terzo paradigma” (sintesi di olismo e individualismo metodologico, superamento dell’impasse relativismo-razionalismo), fondato su una sistematizzazione (mise en forme) della teoria antropologica e sociologica del dono (e quindi del legame sociale, della legittimità) e capace di ereditare i maggiori punti di forza della sociologia classica (in particolare il suo senso politico) integrandoli ai presupposti epistemologici dei teorici della complessità. In questa prospettiva la critica dell’utilitarismo (e, lato sensu, della modernità) non assume mai un carattere reazionario o meramente oppositivo, e si offre piuttosto nei termini di un tentativo di integrazione dell’utilitarismo stesso nel quadro di un paradigma di ricerca più ampio, complesso e politicamente orientato (radicato): quello del dono e del simbolismo, appunto; un paradigma critico e spesso radicale nelle sue posizioni e nei suoi assunti, ma sostanzialmente solidale ai valori fondanti la modernità e coerente col progetto politico illuministico (democratico). Serge Latouche, da un altro punto di vista, propone un relativismo culturale radicale che accentua l’elemento olistico nell’analisi e, a tratti, assume i contorni di una critica frontale alla modernità. Egli sembra reinterpretare la missione del m.a.u.s.s. come “programma di ricerca” e proposta di alternative “storico-culturali” miranti a decolonizzare l’immaginario economico contemporaneo, e si è dimostrato particolarmente attento a ridimensionare l’obbiettivo sintetico e universalistico del paradigma del dono, sia sotto il profilo scientifico-descrittivo sia sotto il profilo politico e volontaristico.

Da un punto di vista generale, il mouvement trova la sua unità fondamentale nel comune tentativo di smascherare gli idoli delle scienze sociali contemporanee (economicismo, materialismo, naturalismo, razionalismo), nella volontà di intendere l’azione sociale umana in tutta la sua ricchezza e complessità, oltre il principio di ragione strumentale e utilitaria, che descrive l’uomo nei termini di un attore sociale egoista, calcolatore, teso alla massimizzazione della propria funzione di utilità, mosso dalla ricerca del massimo piacere e della soddisfazione di bisogni illimitati. L’idea di fondo è quella di ripensare l’azione sociale degli uomini alla luce di ciò che li lega tra loro, che permette loro di fare società, di allearsi e ad-sociarsi; Caillé la definisce legittimità, e in un passo davvero centrale per la comprensione delle istanze del movimento, la identifica con l’essenza stessa del “politico”:

 

La legittimità non è (…) una cosa, ma un rapporto sociale globale. Essa non è il substrato nascosto sul fondo dell’ordine della politica, ma ciò che verso, accanto e al di sotto di esso scorre provenendo da ogni luogo, irrigando le menti e i cuori, mettendo in relazione a distanza ogni uomo con ogni altro. Laddove il dono intreccia e salda le relazioni innanzitutto tra coloro che si conoscono, le relazioni fondate sulla reciproca conoscenza, il politico opera il passaggio estremo verso gli sconosciuti che potremmo conoscere, quelli che sono estranei alla sfera del “tra-noi” senza essere tuttavia dei nemici. La legittimità, il politico rinviano dunque al modo di collegamento generale tra le molteplici sfere dell’azione sociale e tra le miriadi di relazioni interpersonali e sovra-personali, producendo un effetto d’eco e di risonanza tra tutti i luoghi dello spazio sociale (Caillé, Il tramonto del politico, Dedalo, p. 271).

 

[P.M.]

  

 

Bibliografia introduttiva sull’anti-utilitarismo

 

 

Per una presentazione generale del movimento:

-          Alain Caillé, Critica della ragione utilitaria, Boringhieri, Torino, 1991

-          Alfredo Salsano, “presentazione” a Alain Caillé, Il tramonto del politico, Dedalo, Bari, 1995, pp. v-xiii

-          Sito internet: www.revuedumauss.com (in francese)

 

Opere fondamentali di Caillé (in italiano):

-          Mitologia delle scienze sociali. Braudel, Lévi-Strauss, Bourdieu, Boringhieri, Torino, 1988

-          Critica della ragione utilitaria, Boringhieri, Torino, 1991

-          Il tramonto del politico. Crisi, rinuncia e riscatto delle scienze sociali, Dedalo, Bari, 1995

-          Trenta tesi sulla sinistra, Donzelli, Roma, 1997 (con interventi di S. Latouche, R. Esposito, F. Cassano)

-          Il terzo paradigma, Boringhieri, Torino, 1998

 

Opere fondamentali di Latouche (in italiano):

-          I profeti sconfessati [titolo originale: Faut-il refuser le développement?], La Meridiana, Bari, 1995 (prefazione di Onofrio Romano)

-          L’occidentalizzazione del mondo, Boringhieri, Torino, 1992

-          Il pianeta dei naufraghi, Boringhieri, Torino, 1993

-          La megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito del progresso, Torino, Boringhieri, 1995

-          L’altra Africa. Tra dono e mercato, Boringhieri, Torino, 1997

 

Opere di altri autori:

-          Camille Tarot, De Durkheim à Mauss, l’invention du symbolique. Sociologie et sciences des religions, La Découverte, Paris

-          Jean-Luc Boilleau, Conflit et lien social, La Découverte, Paris

-          Philippe Rospabé, La dette de vie. Aux origines de la monnaie, La Découverte, Paris

-          Guy Nicolas, Du don rituel au sacrifice suprême, La Découverte, Paris

-          Jacques Godbout, Lo spirito del dono, Boringhieri, Torino, 1993 (in collaborazione con A. Caillé)

-          Gérald Berthoud e altri, Il dono perduto e ritrovato, a cura di Alfredo Salsano, Manifestolibri, Roma, 1994

 

Numeri importanti della Revue du m.a.u.s.s. (ma a questo proposito si consiglia vivamente di consultare il sito internet):

-          «Droite? Gauche?», Reve du m.a.u.s.s. (trim.), n. 13, 1991 (interventi di A. de Benoist, M. Maffesoli, E. Morin)

-          «L’obbligation de donner», Reve du m.a.u.s.s.  (sem.), n. 8, 1996 (con un importante saggio di Bruno Karsenti)

 

Per un’analisi critica, ma essenzialmente simpatetica, del “paradigma del dono”:

-          Roberto Esposito, “Donare la tecnica”, in Micro-Mega, n.4, 1994

-          Serge Latouche, “Le don est-il l’autre paradigme?”, Reve du m.a.u.s.s., 12/1998, pp. 311-322

Pietro Montanari, “Sul simbolismo del MAUSS. Paradigma della traduzione o programma di ricerca?”, in Serge Latouche, L’invenzione dell’economia, a cura di P. Montanari, Arianna, Bologna, 2001
 
 
 
 

STATUTO DEL MAUSS

 

 

(modificato dall’Assemblea Generale del 14/12/2002,

di prossima pubblicazione sul Giornale Ufficiale) 

 

 

Articolo 1: Viene fondata un’associazione tra gli aderenti al presente statuto, redatto in base alle legge del 1° luglio 1901 e il decreto del 16 agosto 1901 avente per titolo: “Movimento Anti-Utilitarista nelle Scienze Sociali”.

 

Articolo 2: Quest’associazione ha per oggetto, nelle scienze sociali, nel campo della filosofia morale e politica, o più generalmente nei terreni politico, sociale e culturale di lottare contro la colonizzazione delle menti da parte dell’immaginario economicista e utilitarista.

            — Essa si richiama all’ideale di una scienza sociale rispettosa della pluralità dei suoi dati antropologici, economici, filosofici, storici o sociologici, ma preoccupata ugualmente, nel solco della tradizione sociologica classica, ed in particolare maussiana, rispettivamente della sua unità asintotica e della sua efficacia politica.

            — Aperta a ogni dibattito in buona fede, essa assicura la sua autonomia materiale e opera in piena indipendenza di spirito.

            — La riflessione sulle dimensioni non monetarie e non mercantili dello scambio che costituiva l’oggetto primo del MAUSS, ancora attuale, si inscrive oramai in questo quadro più generale.

            — L’associazione è internazionale. Essa utilizzerà tutti i mezzi legali che giudicherà utili alla realizzazione dei suoi scopi, in particolare la pubblicazione di una rivista, l’edizione o la riedizione di opere concernenti la propria ricerca, l’organizzazione di incontri e, all’occorenza, la presa in carico di contratti di ricerca o di ordinazioni afferenti al proprio oggetto.

 

Articolo 3: La sede sociale del MAUSS è stabilita presso il domicilio di Alain Caillé, 3 avenue du Maine, 75015, Parigi. Potrà essere trasferita per semplice decisione del Consiglio d’Amministrazione.

 

Articolo 4 :  Per fare parte dell’associazione, è necessario

            — Essere stati membri fondatori o essere stati accettati da almeno i 2/3 dei membri fondatori, così come definiti nello statuto modificato del 08/01/94 e avendo pagato un diritto d’accesso di 5000 Franchi.

            — O, a datare dal 14 dicembre 2002, pagando un diritto d’accesso di 1OO Euro (75 Euro per gli studenti o i disoccupati), e avendo visto la propria candidatura accolta dalla maggioranza dei membri del MAUSS.

 

Articolo 4bis: Si potranno creare delle associazioni sorelle del MAUSS, fuori dalla Francia. Esse dovranno allora fondarsi in conformità con gli obiettivi statutari del MAUSS. Il Consiglio d’amministrazione del MAUSS ha l’incarico di vegliare su questa conformità.

 

Articolo 5: Per continuare ad essere membri dell’associazione, si deve inoltre, pagare una quota annuale equivalente all’abbonamento a La Revue du MAUSS  che da diritto a ricevere gratuitamente i libri pubblicati dall’associazione. L’ammontare di questa quota, precisato dal regolamento interno, è fissato dal Consiglio d’Amministrazione.

 

Articolo 6: La qualifica di membro si perde per dimissione, per il mancato pagamento del diritto d’accesso o della quota annuale o per inosservanza del regolamento interno.

 

Articolo 7: Le risorse dell’associazione si compongono : dei diritti d’accesso, delle quote annuali, d’eventuali sovvenzioni, delle somme eventualmente percepite come contropartita di prestazioni fornite dall’associazione, e di tutte le altre risorse autorizzate dai testi legislativi e dai regolamenti.

 

Articolo 8: L’associazione è diretta da un Consiglio d’Amministrazione composto da sette membri eletti per quattro anni dall’Assemblea Generale. I membri sono rieleggibili.

 

Articolo 9: Il Consiglio d’Amministrazione sceglie tramite scrutinio segreto, un esecutivo composto almeno da tre membri ; un presidente, un segretario, un tesoriere. Il Consiglio potrà aggiungere uno o più vice-presidenti, un segretario aggiunto, un tesoriere aggiunto.

 

Articolo 10: Nel caso di un posto vacante, il consiglio provvede provvisoriamente ad una sostituzione dei suoi membri. La sostituzione è resa definitiva alla prima assemblea generale. I poteri dei membri così eletti terminano nel momento in cui doveva normalmente estinguersi il mandato dei membri rimpiazzati.

 

Articolo 11: Il Consiglio d’Amministrazione si riunisce almeno una volta ogni sei mesi, su convocazione del presidente o per richiesta di un quarto dei suoi membri. La riunione fisica dell’ufficio può essere rimpiazzata da una consultazione dei suoi membri via Internet. In questo caso, tutti i membri dell’ufficio, devono essere informati dell’ordine del giorno e delle posizioni espresse dagli uni e dagli altri. La riunione fisica dell’ufficio è un diritto se essa è richiesta dalla maggioranza dei suoi membri. Le decisioni vengono prese a maggioranza delle opinioni. In caso di parità, l’opinione del presidente è preponderante.

            Il consiglio d’amministrazione designa il comitato di redazione della Revue du MAUSS.

 

Articolo 12: L’Assemblea Generale comprende tutti i membri dell’associazione. Essa si riunisce almeno una volta ogni due anni. L’ordine del giorno è indicato sulle convocazioni. L’esecutivo presenta il rapporto delle attività e il rapporto finanziario. Dopo l’esaurimento dell’ordine del giorno si procede all’elezione dei membri del Congliglio d’Amministrazione per scrutinio segreto.

 

Articolo 13: L’Assemblea Generale è regolarmente convocata ogni due anni. Essa può d’altra parte essere convocata a richiesta del Consiglio d’Amministrazione e o per richiesta di metà dei membri iscritti all’associazione.

 

Articolo 14: L’Assemblea Generale prende le sue decisioni a maggioranza assoluta dei membri presenti o rappresentati per quel che concerne le assemblee che rivestono un carattere ordinario e la maggioranza dei 2/3 per quel che concerne le assemblee che rivestono un carattere straordinario.

 

Articolo 15: Un regolamento interno sarà redatto dal Consiglio d’Amministrazione e approvato dall’Assemblea Generale.

 

Articolo 16: In caso di scioglimento pronunciato da almeno 2/3 dei membri presenti o rappresentati all’Assemblea Generale, uno o più liquidatori vengono appositamente nominati e l’attivo, qualora sia presente, è devoluto conformemente, all’Articolo 9 della legge de 1° luglio 1901 e del decreto del 16 agosto 1901.

 

 

 

LA REVUE DU M.A.U.S.S. E IL MOVIMENTO ANTIUTILITARISTA

 

 http://www.revuedumauss.org/

 

 

 

(traduzione dei testi presentati sul sito: www.revuedumauss.org)

 

 

1) Breve storia e presentazione

 

La decisione di fondare la Revue du  MAUSS è stata presa nel 1981 da alcuni universitari, sociologi, economisti e antropologi francesi insoddisfatti dell’evoluzione avvenuta in quel periodo nelle scienze sociali. Essi ritenevano questo campo ormai sottomesso all’egemonia del modello economico e a una visione puramente strumentale della democrazia e dei rapporti sociali.

Il riferimento a Marcel Mauss e alla critica all’utilitarismo, che ispirava già la Scuola Sociologica francese sulla scia di Émile Durkheim, permetteva di raccogliere le energie critiche in modo abbastanza chiaro ed esplicito. Così fu creata nel 1901 un’associazione che subito decise di pubblicare una rivista, concepita inizialmente  soltanto come strumento di legame e di discussione, tuttavia capace non solo di assumere le valenze[s1]  teoriche del progetto ma anche di aprirsi ai non-universitari, ai militanti e a tutti quelli preoccupati di riflettere al di fuori dei corporativismi disciplinari e del gergo accademico.

All’inizio trimestrale e totalmente artigianale, La Revue du  MAUSS, era chiamata inizialmente Le Bulletin du MAUSS  (1982-1988). In seguito, dopo la sua ripresa da parte delle edizioni La Découverte  nel 1988, La Revue du  MAUSS è diventata semestrale nel 1993.

Nel corso degli anni, la rivista è riuscita a interessare un pubblico ben più vasto di quello che era inizialmente e a trovare autori e lettori anche al di fuori della Francia stessa. Inoltre, andando oltre la posizione esclusivamente critica degli inizi, ha contribuito gradualmente allo sviluppo di tutto un’insieme di teorie e di approcci alternativi -di cui il minimo comune denominatore è probabilmente la cosiddetta teoria del dono-, che la rendono attualmente l’organo di una corrente di pensiero originale nel campo delle scienze sociali e della filosofia politica.

 

 

2) Cosa si dice del MAUSS

Un navigatore della rete australiano ci ha segnalato questo articolo di uno studioso americano, che aveva letto nella rivista on-line In These Times. Con l’autorizzazione dell’autore, lo riproponiamo qui di seguito in quanto fornisce una presentazione perfetta (e simpatica)  sia della figura che dell’opera di Marcel Mauss, e dello spirito che guida La Revue du MAUSS.

 

 

Donate dunque! i nuovi “Mausschettieri”

 

di David Graeber (1)

 

Vi siete accorti che non nascono più dei nuovi intellettuali in Francia? Alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80, ce ne erano addirittura troppi: Derrida, Foucault, Baudrillard, Kristeva, Lyotard, de Certeau… Ma, in seguito, quasi più nessuno. Di colpo gli studiosi di tendenza e gli intellettuali all’ultima moda sono stati costretti a riciclare  le teorie di 20 o 30 anni fa, oppure a ricercare  meta-teorie  mirabolanti  in paesi come l’Italia o addirittura la Slovenia.

Ci sono molte ragioni per questo fatto. La prima è correlata all’evoluzione politica della Francia nella misura in cui si assiste ad uno sforzo concertato da parte dei media per rimpiazzare i veri intellettuali con delle teste svuotate e pontificanti [s2] all’americana. Questo sforzo non è tuttavia stato coronato pienamente dal successo. La ragione più importante risiede nell’impegno politico crescente dell’ambiente intellettuale francese. La stampa americana mette una sorta di black-out sulla “pagina” culturale che riguarda la Francia da quando essa, con i grandi scioperi del 1995, è diventato il primo Paese ad aver respinto radicalmente il “modello americano” dell’economia, rifiutando di smantellare il suo sistema di protezione sociale. Subito nella stampa americana la Francia apparve con le sembianze di un allievo mediocre che si sforzava invano di nuotare controcorrente rispetto alla storia.

Certamente non era questo che disturbava i lettori americani abituali di Deleuze e Guattari. Quello che gli studiosi americani si aspettano dalla Francia è il prestigio intellettuale, la capacità di farci vibrare attraverso idee provocatorie e radicali – che dimostrino per esempio la violenza delle concezioni occidentali della verità o dell’umanità, o cose del genere-, ma in un modo che non implichi nessun programma politico determinato né, più in generale, un appello qualunque a impegnarsi concretamente in tutte le cose. Non è difficile capire il perché del ragionamento di questa categoria sociale –i ricercatori e gli studiosi- alla quale sia le élite politiche che il 99% della popolazione negano la minima pertinenza in materia di politica. In poche parole, mentre i media americani insistono sulla follia francese, gli studiosi sono alla ricerca di pensatori francesi glamour.

Ecco perché non sentite mai parlare di alcuni fra più interessanti ricercatori della Francia di oggi. Come, per esempio, questo gruppo di intellettuali riuniti sotto il nome, piuttosto scomodo, di Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali, o anche M.A.U.S.S., che ha deciso di opporsi ai fondamenti filosofici della teoria economica. Questo gruppo trae ispirazione dal celebre sociologo francese degli inizi del ventesimo secolo, Marcel Mauss, la cui opera più famosa, l’Essai sur le don (1924), è senza dubbio la più magnifica confutazione mai scritta delle ipotesi che sono alla base della teoria economica. In un’epoca in cui ci viene ripetuto allo sfinimento che il “libero mercato” è il risultato naturale e necessario della natura umana, il lavoro di Mauss –che dimostra che non soltanto la maggior parte delle società non occidentali non si basano sui principi del mercato, ma che questo vale ugualmente per la maggioranza degli Occidentali moderni- risulta più pertinente che mai.

Ma facciamo un piccolo passo indietro. Mauss è nato nel 1872 da una famiglia ebrea praticante dei Vosgi. Suo zio, Émile Durkheim, è considerato il fondatore della sociologia moderna. Durkheim si è circondato di una cerchia di brillanti collaboratori, tra i quali Mauss, affidato allo studio della religione. Questa cerchia, tuttavia, fu decimata a causa della I Guerra Mondiale. Molti scomparvero in trincea, tra cui il figlio di Durkheim, e lui stesso morì poco dopo di dispiacere. Rimaneva soltanto Mauss per rimettere insieme i pezzi.

Ogni cosa ci dice che egli non fu mai preso pienamente sul serio nei panni di presunto erede. Uomo di straordinaria cultura (parlava almeno dodici lingue, tra cui il sanscrito, il maori e l’arabo classico), gli mancava tuttavia l’ austerità che ci si aspetta da un grande professore. Pugile amatore in gioventù, di stazza robusta, di genere giocherellone e piuttosto originale, era più incline a giocare contemporaneamente con una decina di idee brillanti piuttosto che a mettere in piedi dei grandi sistemi filosofici. Egli trascorse la sua vita a lavorare contemporaneamente a cinque libri diversi (sulla preghiera, la nazione, le origini della moneta, ecc…) senza mai terminarne nessuno. Eppure, egli riuscì a creare una nuova generazione di sociologi e ad inventare, praticamente da solo, l’antropologia francese pubblicando una serie di saggi incredibilmente innovatori di cui ciascuno ha dato vita a un’intera faccia della teoria sociologica.

Mauss era inoltre un socialista rivoluzionario. Già da studente egli dà il proprio contributo alla stampa di sinistra e resterà per quasi tutta la sua vita un membro attivo del movimento cooperativo. Fondatore di una cooperativa di consumo parigina, della quale aiutò a lungo la gestione, fu incaricato di prendere i contatti con il movimento cooperativo straniero (è a questo titolo che egli trascorse qualche tempo in Russia dopo la Rivoluzione). Mauss non era marxista. Il suo socialismo si inseriva piuttosto nella linea di Robert Owen o di Pierre-Joseph Proudhon. Egli rifiutava la credenza, comune ai comunisti e ai social-democratici, che la società potesse essere in primo luogo dall’azione statale. Il ruolo dello Stato, secondo lui, era piuttosto quello di fornire un quadro legale a un socialismo che doveva invece emergere dalla base creando delle istituzioni alternative.

La rivoluzione russa da una parte lo eccitava, per la prospettiva di una esperienza socialista autentica, ma dall'altra lo spaventava, per il ricorso sistematico dei bolscevichi al terrore, la soppressione delle istituzioni democratiche a la "dottrina cinica del fine giustifica i mezzi", che non era altro, pensava, che l'amoralità del calcolo mercantile leggermente trasposta.

L'Essai sur le don rappresenta prima di tutto una risposta agli avvenimenti in Russia - e in particolare alla Nuova Politica Economica decretata da Lenin nel 1921, che rinunciava ai tentativi precedenti d'abolire il commercio. Se persino in Russia, che era probabilmente la società europea meno monetarizzata, si rivelava impossibile abolire il mercato per decreto, allora con ogni evidenza - era la deduzione di Mauss - bisognava che i rivoluzionari riflettessero molto più seriamente sul mercato, sulle sue origini e su ciò che potrebbe seriamente rimpiazzarlo.

Le conclusioni di Mauss sono sorprendenti. Innanzitutto, sembra che quasi tutto quello che la scienza economica ha da dire sulla storia economica sia falso. L'ipotesi condivisa da tutti i fanatici delle libera concorrenza, allora come oggi, è che il movente essenziale degli esseri umani sia il desiderio di massimizzare i propri piaceri, comfort e possedimenti materiali (in una parola, la propria "utilità") e che quindi ogni interazione umana significativa possa essere analizzata in termini di relazioni mercantili. All'origine, spiega la versione ufficiale, c'era il baratto. Per ottenere ciò che si desiderava si era obbligati a scambiare direttamente un bene per l'altro. Ma siccome non era pratico, fu necessario inventare la moneta e farne il mezzo di scambio universale. Le tecniche di scambio che apparvero in seguito (il credito, la finanza, le Borse) non furono altro che semplici conseguenze logiche di questa prima invenzione.

Mauss, però, si rese presto conto che nessuna società si è mai fondata sul baratto. Al contrario, ciò che gli antropologi scoprivano in quegli anni erano società nelle quali la vita economica si ispirava a principi profondamente differenti, gli oggetti circolavano sotto forma di doni e tutto ciò che consideriamo rilevante nell'azione "economica" si basava su una dimostrazione di generosità e sul rifiuto di stabilire con precisione chi ha dato e a chi.

A volte queste "economie del dono" potevano diventare molto competitive, ma in modo radicalmente opposto al nostro: i vincenti non erano coloro che accumulavano di più, ma coloro che donavano di più. In casi famosi come quello dei Kwakiutl della Columbia Britannica, ciò poteva portare a drammatiche sfide di generosità, nelle quali capi ambiziosi si sforzavano di schiacciarsi a vicenda distribuendo migliaia di braccialetti d'argento, coperte minuziosamente lavorate o macchine per cucire Singer. A volte i contendenti arrivavano a distruggere le loro ricchezze - gettando in mare i gioielli di famiglia o bruciando enormi mucchi di beni preziosi - per sfidare poi i loro rivali a fare altrettanto.

Tutto questo può sembrare molto esotico. Ma fino a che punto, s'interrogava Mauss? Persino nella nostra società, non c'è qualcosa che suona strano nell'idea del dono? Come mai chi riceve un dono da un amico (una bottiglia di vino, un invito a cena, un complimento) si sente in qualche modo obbligato a ricambiare? Non si tratta forse di esempi di sentimenti umani universali, che le nostre società considerano poco importanti, mentre in altre costituiscono la base del sistema economico? E persino nel sistema capitalistico occidentale, gli impulsi e i criteri morali di questo tipo non sono forse alla radice delle aspirazioni a visioni alternative del mondo e a una politica socialista?

Secondo Mauss, nelle economie che si fondano sul dono gli scambi non presentano quel carattere impersonale che assumono sul mercato capitalista. In effetti, persino quando oggetti di grande valore passano di mano, ciò che importa veramente è la relazione tra le persone; l'oggetto dello scambio è la creazione di legami d'amicizia o la messa in gioco di rivalità e obbligazioni. E' solamente a margine che si tratta di far circolare ricchezze. Di conseguenza tutto è personalizzato, anche la proprietà: nelle economie del dono i beni più preziosi - gioielli di famiglia, collier, armi, mantelli di piume - sembrano possedere una personalità propria.

In una economia di mercato avviene esattamente il contrario: le transazioni appaiono unicamente come il mezzo per appropriarsi di beni utili. In teoria le qualità personali dell'acquirente e del venditore sono totalmente non pertinenti. Ne risulta che le persone stesse sono trattate come se fossero cose.

Mauss non seppe mai bene quali conclusioni pratiche trarre da queste osservazioni. L'esperienza russa l'aveva convinto che le relazioni d'acquisto e di vendita non possono essere limitate da una società moderna, almeno "in un avvenire prevedibile", ma anche che ci si può sbarazzare dell'ethos del mercato. E' possibile organizzare il lavoro su basi cooperative, garantire una protezione sociale effettiva e creare un nuovo ethos secondo il quale la sola giustificazione alla ricchezza sarebbe la capacità di donare tutto, per una società in cui i valori più importanti consisterebbero nella "gioia di dare in pubblico, nella spesa artistica generosa, nel piacere dell'ospitalità in feste pubbliche o private"

Anche se tutto questo può sembrare un po' ingenuo, le intuizioni centrali di Mauss sembrano ancora più penetranti oggi che la "scienza economica è diventata la religione rivelata dell'età moderna. Questa, era in ogni caso, la convinzione dei fondatori del MAUSS

 

Il progetto del MAUSS nasce nel 1981 a seguito - sembra - di un pranzo tra il sociologo francese Alain Caillé e l'antropologo svizzero Gerald Berthoud. Durante un convegno interdisciplinare sul dono, i due constatano con stupore che nessuno degli studiosi riuniti sembra supporre che la generosità o una sincera preoccupazione per il benessere altrui possano costituire moventi significativi del dono.

Il presupposto comune è che "i doni in realtà non esistono: grattate abbastanza in profondità e finirete sempre per scoprire, dietro ogni azione umana, una strategia di calcolo egoista" . L ipotesi dei congressisti è che questa strategia egoista costituisca sempre e necessariamente la verità profonda di ogni questione. Come se scientificità e obiettività fossero sinonimi di cinismo.

Perché quest’obbligo di cinismo? Per spiegarlo Caillé tirò in ballo il cristianesimo. Roma antica preservava ancora qualcosa del vecchio ideale aristocratico della generosità. I notabili edificavano monumenti e giardini e sovvenzionavano i giochi più magnifici. Ma, evidentemente questa generosità era anche offensiva: una delle consuetudini favorite dei ricchi consisteva nel gettare monete d'oro e gioielli alla folla e Stare a guardare i poveri che si battevano nel fango per impossessarsene. E' in reazione a queste pratiche odiose che i primi cristiani svilupparono la loro concezione della carità. La vera carità non deve poggiare su alcun desiderio di affermare la propria superiorità, di ricavarne dei favori o, più in generale, su alcun motivo egoistico di qualunque tipo. Se si può ritenere che il donatore abbia guadagnato qualcosa dal suo atto, allora non si è trattato di un dono.

Ma questa visione a sua volta, solleva problemi senza fine, poiché è molto difficile immaginare un dono che non porti nulla in cambio. Anche un atto assolutamente esente da egoismo può essere fatto nella prospettiva di guadagnare il paradiso. Così fu presa l'abitudine di scrutare in ogni atto la parte di egoismo che vi si cela e di considerare che è quella che conta veramente.E' lo stesso movimento del pensiero che si ritrova sistematicamente nelle scienze sociali moderne. Gli economisti, come i teologi cristiani considerano che se c'è del piacere in un atto generoso allora in un modo o ne11'altro quell'atto non è generoso come sembra. Divergono solo sulla valutazione morale della cosa. E' per contrastare questa logica particolarmente perversa che Marcel Mauss insisteva sul piacere e sulla gioia di dare. Nelle società tradizionali, nessuno vedeva una contraddizione tra ciò che potremmo chiamare il proprio interesse o interesse egoistico (nozione intraducibile nella maggior parte delle lingue umane) e le preoccupazioni degli altri. Il punto fondamentale ne1 dono tradizionale è che obbedisce ai due motivi contemporaneamente.

 

E' in questo genere di discussioni che s'impegnò il piccolo gruppo di studiosi francofoni (Alain Caillè, Gerald Berthoud, Ahmet Insel, Serge Latouche, Paulette Taieb) che in seguito sarebbe diventato il MAUSS. Il gruppo sorse intorno a una piccola rivista, battezzata Bulletin du MAUSS stampata alla buona e su carta pessima, che gli autori concepivano più come uno scherzo che come l'inizio di un serio lavoro scientifico o addirittura come il portabandiera di un vasto movimento internazionale allora inesistente. Questi studiosi rifiutavano la schiavitù dell'utilità che a partire dall'economia ha finito per condizionare tutti gli ambiti dell'umano. Ad essa contrapponevano il dono, cioè qualsiasi prestazione di beni e di servizi effettuata senza garanzia di restituzione al fine di creare, alimentare o rigenerare il legame sociale. Si tratta di un fenomeno nel quale ciò che realmente importa non è il valore d'uso di ciò che si scambia, quanto piuttosto i1 valore della relazione umana che si stabilisce fra le parti. Caillé scriveva manifesti Insel si divertiva a immaginare i grandi congressi mondiali antiutilitaristi dell'avvenire, gli articoli sull'economia si alternavano a estratti di romanzi russi. Ma progressivamente, il movimento iniziava a prendere corpo.

 

Nel corso degli anni il MAUSS ha saputo interessare un pubblico ben più vasto di quello iniziale, e trovare autori e lettori fuori della Francia. A poco a poco superando la posizione puramente critica degli inizi, ha contribuito allo sviluppo di tutto un insieme di teorie e di approcci originali che fanno ora apparire la Revue du MAUSS come l'organo di una corrente di pensiero originale nel campo delle scienze sociali e della filosofia politica.

Negli anni Novanta il MAUSS è diventato ormai una rete di ricercatori formata da sociologi, antropologi, economisti, storici e filosofi d'Europa, Nord Africa e Medio Oriente, che si esprimono attraverso la rivista, i libri e gli incontri annuali.

 

Dopo gli scioperi del 1995 e l’elezione di un governo socialista, le opere dello stesso Mauss hanno riconquistato un interesse considerevole in Francia con la pubblicazione di una nuova biografia e di una raccolta dei suoi scritti politici. Dal canto suo, il gruppo del MAUSS si è impegnato sempre di più in politica. Nel 1997, Caillé scrive un lungo articolo intitolato “30 tesi per una nuova sinistra”, e il MAUSS inizia a dedicare i suoi incontri annuali a temi politici.

La risposta dei “Maussiani” alle continue ingiunzioni di adottare il “modello americano” e di smantellare il sistema francese di previdenza sociale fu di cominciare a diffondere un’idea inizialmente difesa dal leader della Rivoluzione americana Thomas Paine: il reddito minimo garantito. La vera riforma della protezione sociale, spiega il MAUSS, non passa dalla liquidazione degli acquisti sociali, ma dalla riformulazione completa di quello che lo Stato deve ai cittadini. Sbarazziamoci degli stages[s3]   e delle politiche specifiche per i disoccupati, e al loro posto creiamo un sistema attraverso il quale a tutti i cittadini francesi venga garantito uno stesso reddito di base (per esempio, 20000 euro versati direttamente dallo Stato). Poi, a ciascuno di giocarsi [s4] (2).

Non è molto semplice collocare questa sinistra maussiana, tanto meno che a volte M. Mauss è presentato come un’alternativa a Marx. Sarebbe abbastanza facile evitarlo presentando i Maussiani come dei super-social-democratici, non troppo preoccupati di trasformare radicalmente la società. Riconoscendo che il mercato è in parte inevitabile, le “30 tesi” di Caillé per esempio si collegano a Mauss; ma come quest’ultimo, esse mirano all’abolizione di un capitalismo definito dal perseguimento del profitto finanziario, diventato poi fine a sé stesso. A un altro livello tuttavia l’attacco maussiano contro la logica del mercato è diversamente più profondo e più radicale di tutti quelli che troviamo oggi in campo intellettuale. Ed è proprio per questo motivo che gli intellettuali americani, e particolarmente quelli che si ritengono i più radicali e i più pronti a sviscerare tutti i concetti –tranne quelli di attrattiva del lucro o di egoismo- non sanno semplicemente cosa fare dei Maussiani e del fatto che il loro lavoro è ignorato da tempo.

 

 

 

NOTE:

 

(1) David Graeber è professore di antropologia all’università di Yale, USA. Questo articolo è apparso nella rivista In These Times il 21 agosto 2001, con il titolo “Give it away”, e segnalato in copertina con il titolo in grassetto “The new maussketeers”.

 (2) Qui, David Graeber attribuisce al MAUSS le prime posizioni presentate in realtà all’inizio da Philippe Van Parijs con il nome di sussidio[s5]  universale, mentre il MAUSS difende un reddito di cittadinanza per niente incompatibile con il mantenimento del salario minimo e di certe misure di politica sociale specifiche all’occorrenza. Le due posizioni hanno in comune l’affermazione del principio incondizionato d’umanità e/o di cittadinanza gerarchicamente più importante di ogni considerazione di efficacia strumentale. Per di più, 20000 euro hanno significato solo a titolo di capitale incondizionato e non di reddito minimo.


 [s1]Lett. posta in gioco

 [s2]sapientoni, presunti intellettuali

 [s3]dovrebbe andare bene questa traduzione

 [s4]il divertimento. Oppure: “E poi, che ciascuno se la giochi.”

 [s5]Dovrebbe andare bene questa traduzione

 

 

 

La Revue du M.A.U.S.S.
(Mouvement anti-utilitariste dans les sciences sociales*)

 

1°) Petit historique et présentation
2°) On dit du MAUSS (article de D. Graeber)
3°) Principaux thèmes
4°) Qui écrit dans La Revue du MAUSS ?
5°) L’équipe de La Revue du MAUSS semestrielle
 1°) Petit historique et présentation
     La décision de fonder la Revue du MAUSS a été prise en 1981 par quelques universitaires, sociologues, économistes ou anthropologues français insatisfaits de l’évolution subie à l’époque par les sciences sociales. Ils leur reprochaient de se soumettre de plus en plus à l’hégémonie du modèle économique et à une vision purement instrumentale de la démocratie et du rapport social.
     La référence à Marcel Mauss et à la critique de l’utilitarisme qui inspirait l’École Sociologique française dans le sillage d’Émile Durkheim permettait de rassembler les énergies critiques de manière suffisamment claire et explicite. Une association de 1901 fut ainsi créée qui, tout de suite décida de publier une revue, conçue de manière très modeste à l’origine comme un outil de liaison et de discussion capable à la fois d’assumer les enjeux théoriques du projet mais aussi de s’ouvrir aux non-universitaires, aux militants et à toute personne soucieuse de réfléchir en dehors des corporatismes disciplinaires et du jargon académique.
     Au départ trimestrielle et totalement artisanale, La Revue du MAUSS, qui s’est d’abord appelée Le Bulletin du MAUSS (1982-1988), puis, après sa reprise par les éditions La Découverte en 1988, La Revue du MAUSS (trimestrielle), est devenue en 1993 La Revue du MAUSS semestrielle.
     Au fil des années, elle a su intéresser bien au-delà du petit public initial et trouver auteurs et lecteurs hors de France. De même, peu à peu, dépassant la posture purement critique qui était la sienne au départ, elle a contribué au développement de tout un ensemble de théories et d’approches originales — dont le plus petit commun dénominateur est probablement ce qu’elle appelle le paradigme du don —, qui la font maintenant apparaître comme l’organe d’un courant de pensée original dans le champ des sciences sociales et de la philosophie politique.
 2°) On dit du MAUSS
     Un internaute australien nous a communiqué cet article d’un universitaire américain, lu dans la revue en ligne In These Times. (www.inthesetimes.com) Avec l’autorisation de son auteur nous le reproduisons ici car il donne une présentation parfaite (et sympathique) à la fois de la personne et de l’œuvre de Marcel Mauss, et de l’esprit qui préside à La Revue du MAUSS

Donnez donc ! ou les nouveaux Maussquetaires


par David Graeber(1)


     Avez-vous remarqué qu’on ne trouve plus guère de nouveaux intellectuels français ? À la fin des années 70 et au début des années 80, c’était plutôt le trop-plein : Derrida, Foucault, Baudrillard, Kristeva, Lyotard, de Certeau... Mais, depuis, à peu près plus rien. Du coup les universitaires tendance et les intellectuels dernier cri se sont vus contraints de recycler indéfiniment les théories d’il y a 20 ou 30 ans, ou bien d’aller chercher de la métathéorie mirobolante dans des pays comme l’Italie ou même la Slovénie.
     Il y a beaucoup de raisons à cet état de fait. La première est en rapport avec l’évolution politique de la France où l’on a assisté à un effort concerté des médias pour remplacer les vrais intellectuels par des têtes-creuses et pontifiantes à l’américaine. Cet effort n’a pourtant pas été pleinement couronné de succès. La raison la plus importante tient à l’engagement politique croissant de la vie intellectuelle française. La presse américaine fait une sorte de black-out sur les nouvelles culturelles qui concernent la France depuis que celle-ci, avec le grand mouvement de grève de 1995, est devenue le premier pays à avoir rejeté radicalement le « modèle américain » de l’économie en refusant de démanteler son système de protection sociale. Aussitôt, dans la presse américaine, la France apparut sous les traits du mauvais élève s’évertuant en vain à nager à contre-courant de l’histoire.
     Bien sûr, ce n’était pas cela qui allait déranger les lecteurs américains habituels de Deleuze et Guattari. Ce que les universitaires américains attendent de la France, c’est de la hauteur intellectuelle, la capacité de nous faire vibrer avec des idées dérangeantes et radicales — qui démontrent par exemple, la violence inhérente aux conceptions occidentales de la vérité ou de l’humanité, ou des choses de ce genre —, mais sur un mode qui n’implique aucun programme politique déterminé ni, plus généralement, un quelconque appel à s’engager concrètement en quoi que que ce soit. Il n’est pas difficile de comprendre pourquoi c’est ainsi que raisonne cette catégorie sociale — les chercheurs et les universitaires — à laquelle tant les élites politiques que 99% de la population dénient la moindre pertinence politique. Bref, alors que les médias américains insistent sur la folie française, les universitaires sont à la recherche de penseurs français glamour.
Voilà pourquoi vous n’entendez jamais parler de certains des chercheurs français parmi les plus intéressants d’aujourd’hui. Comme par exemple, ce groupe d’intellectuels réunis autour de l’appellation plutôt incommode de Mouvement anti-utilitariste dans les sciences sociales, ou M.A.U.S.S., qui a décidé de s’attaquer aux fondements philosophiques de la théorie économique. Ce groupe puise son inspiration chez le célèbre sociologue français du début du XXe siècle, Marcel Mauss, dont l’œuvre la plus fameuse l’Essai sur le don (1924), est sans doute la plus magnifique réfutation jamais écrite des hypothèses qui sont à la base de la théorie économique. À une époque où l’on nous serine à longueur de temps que le « libre marché » est le résultat à la fois naturel et nécessaire de l’humaine nature, le travail de Mauss — qui démontre que non seulement la plupart des sociétés non occidentales ne s’organisent pas en fonction de quoi que ce soit qui ressemble aux principes du marché, mais que cela est vrai également de la plupart des Occidentaux modernes — apparaît plus pertinent que jamais.
     Petit retour en arrière. Mauss est né en 1872 dans une famille juive pratiquante des Vosges. Son oncle, Émile Durkheim, est considéré comme le fondateur de la sociologie moderne. Durkheim s’est entouré d’un cercle de brillants collaborateurs, parmi lesquels Mauss, assigné à l’étude de la religion. Ce cercle, cependant, fut décimé par la Première Guerre mondiale. Beaucoup disparurent dans les tranchées, dont le fils de Durkheim, et Durkheim lui-même mourut de chagrin peu après. Il ne restait plus que Mauss pour recoller les morceaux.
     Tout indique qu’il ne fut jamais pris pleinement au sérieux dans ce rôle d’héritier présomptif. D’une érudition extraordinaire (il parlait au moins douze langues, dont le sanscrit, le maori et l’arabe classique), il lui manquait toutefois la gravité qu’on attend d’un grand professeur. Boxeur amateur dans sa jeunesse, solidement bâti, du genre joueur et plutôt original, il était plus enclin à jongler avec une dizaine d’idées brillantes à la fois qu’à bâtir des grands systèmes philosophiques. Il passa sa vie à travailler sur cinq livres en même temps (sur la prière, la nation, les origines de la monnaie, etc.) sans jamais en achever aucun. Pourtant, il réussit à former une nouvelle génération de sociologues et à inventer, presque en solitaire, l’anthropologie française tout en publiant une série d’essais incroyablement novateurs dont chacun a donné naissance à un pan entier de la théorie sociologique.
     Mauss était aussi un socialiste révolutionnaire. Déjà, étudiant, il donne des contributions régulières à la presse de gauche et il restera presque toute sa vie un membre actif du mouvement coopérativiste. Fondateur d’une coopérative de consommation parisienne, qu’il aida longtemps à gérer, il fut chargé de prendre contact avec le mouvement coopérativiste étranger (c’est à ce titre qu’il passa quelque temps en Russie après la Révolution). Pour autant, Mauss n’était pas marxiste. Son socialisme s’inscrivait davantage dans la lignée de Robert Owen ou Pierre-Joseph Proudhon. Il rejetait la croyance commune aux communistes et aux sociaux-démocrates que la société pourrait être transformée au premier chef par l’action étatique. Le rôle de l’État, selon lui, est plutôt de fournir un cadre légal à un socialisme qui doit plutôt émerger de la base en inventant des institutions alternatives.
     C’est ainsi que la Révolution russe le plongea dans une ambivalence profonde. Excité d’un côté par la perspective d’une expérience socialiste authentique, il était horrifié, de l’autre, par le recours systématique des bolcheviques à la terreur, par la suppression des institutions démocratiques et par l’essentiel de leur « doctrine cynique que la fin justifie les moyens », qui n’était rien d’autre, pensait-il, que l’amoralité du calcul marchand légèrement transposée.
     Son essai sur le don représentait avant tout une réponse aux événements de Russie — notamment à la NEP décrétée par Lénine en 1921 et qui renonçait aux tentatives précédentes d’abolir le commerce. Si même en Russie, qui était probablement la société européenne la moins monétarisée, il s’avérait impossible d’abolir le marché par décret, alors de toute évidence, en déduisait Mauss, il allait falloir que les révolutionnaires se mettent à réfléchir beaucoup plus sérieusement à ce qu’est le marché en réalité, d’où il vient, et à ce qui pourrait prétendre le remplacer de manière plausible. Il était temps de prendre en compte les résultats de la recherche historique et ethnographique.
Les conclusions de Mauss étaient surprenantes. Tout d’abord, il apparaissait que presque tout ce que la science économique avait à dire sur l’histoire économique était faux. L’hypothèse partagée par tous les fanatiques de la libre concurrence, à l’époque comme aujourd’hui, est que le mobile essentiel des êtres humains est le désir de maximiser leurs plaisirs, leur confort et leurs possessions matérielles (en un mot, leur « utilité ») et qu’en conséquence toute interaction humaine significative peut être analysée en termes de relations marchandes. À l’origine, explique la version officielle, il y a eu le troc. Pour obtenir ce que l’on désirait, on était obligé d’échanger directement un bien contre un autre. Mais comme ce n’était pas pratique, il fallut inventer la monnaie et en faire le moyen d’échange universel. Les techniques d’échange qui apparurent ensuite (le crédit, la finance, les Bourses) ne furent que de simples conséquences logiques de cette première invention.
     Le problème, comme Mauss s’en convainquit rapidement, c’est qu’aucune société n’a jamais reposé sur le troc. Au contraire, ce que les anthropologues découvraient, c’était des sociétés dans lesquelles la vie économique s’inspirait de principes profondément différents et où les objets circulaient sous la forme de dons — et où à peu près tout ce que nous considérerions comme relevant de l’action « économique » se basait sur une démonstration de générosité et sur un refus de calculer avec précision qui a donné quoi et à qui. À l’occasion, ces « économies de don » pouvaient devenir hautement compétitives, mais c’était alors d’une manière radicalement opposée à la nôtre : au lieu de lutter pour accumuler le plus possible, les gagnants étaient ceux qui s’arrangeaient pour donner le plus possible. Dans des cas fameux, comme celui des Kwakiutl de la Colombie britannique, cela pouvait déboucher sur de dramatiques défis de générosité par lesquels des chefs ambitieux s’efforçaient de s’écraser les uns autres en distribuant des milliers de bracelets d’argent, de couvertures ouvragées, ou des machines à coudre Singer et même parfois en détruisant leurs richesses — ils jetaient alors à la mer des bijoux de famille réputés ou mettaient le feu à d’énormes piles de biens précieux pour défier leurs rivaux de faire de même.
     Tout cela peut sembler bien exotique. Mais jusqu’à quel point, s’interrogeait Mauss ? Même dans notre société, n’y a-t-il pas quelque chose qui résonne étrangement dans l’idée de don ? Comment se fait-il que celui qui reçoit un don de la part d’un ami (un verre, une invitation à dîner, un compliment) se sente en quelque sorte tenu de rendre la pareille ? et que celui qui y échoue s’en trouve diminué ? Ne trouve-t-on pas là des exemples de sentiments humains universels — même s’ils sont d’une certaine manière minorés dans notre société alors que dans d’autres, ils formaient le soubassement du système économique ? Et même dans notre système capitaliste, les impulsions et les critères moraux de ce type ne sont-ils pas à la racine de nos aspirations à des visions alternatives du monde et à une politique socialiste ? C’est en tout cas très certainement ce que pensait Mauss.
     À bien des égards, l’analyse de Mauss ressemble étroitement aux théories marxistes de l’aliénation et de la réification développées à peu près à la même époque par des auteurs comme Georg Lukacs. Selon Mauss, dans les économies qui reposent sur le don, les échanges ne revêtent pas la dimension impersonnelle qu’ils prennent sur le marché capitaliste. En fait, même lorsque des objets de grande valeur passent d’une main à l’autre, ce qui importe vraiment c’est la relation entre les gens ; l’objet de l’échange est la création de liens d’amitiés, ou la mise en jeu des rivalités et des obligations. C’est seulement à la marge qu’il s’agit de faire circuler des richesses. En conséquence tout est personnalisé, même la propriété : dans les économies du don les biens précieux les plus fameux — bijoux de famille, colliers, armes, manteaux de plumes — semblent toujours posséder une personnalité propre.
Dans une économie de marché, c’est exactement le contraire qui se passe. Les transactions apparaissent uniquement comme un moyen de s’approprier des biens utiles. En théorie, les qualités personnelles de l’acheteur et du vendeur sont totalement non pertinentes. Il en résulte que tout, jusqu’aux personnes elles-mêmes, y est traité comme s’il s’agissait de choses (considérez d’ailleurs sous cet angle l’expression « les biens et services »). La différence principale avec le marxisme, cependant, est que les marxistes de l’époque invoquaient un déterminisme économique radical, alors que Mauss soutenait que dans les sociétés sans marché — et du coup dans toute société pleinement humaine à venir —, l’« économie », au sens d’un domaine d’action autonome concerné uniquement par la création et la distribution de richesses, n’existe tout simplement pas.
     Mauss ne sut jamais très bien quelle conclusion pratique en tirer. L’expérience russe l’avait convaincu que les relations d’achat et de vente ne peuvent pas être éliminées d’une société moderne, au moins « dans un avenir prévisible », mais que l’on peut se débarrasser de l’ethos du marché. Il est possible d’organiser le travail sur un mode coopératif, de garantir une protection sociale effective et de créer un nouvel ethos selon lequel la seule justification à l’accumulation de la richesse serait la capacité à tout donner. Avec, au bout du compte, une société dans laquelle les valeurs les plus hautes consisteraient dans « la joie de donner en public, de la dépense artistique généreuse, dans le plaisir de l’hospitalité dans les fêtes publiques ou privées ».
     Vu dans une perspective actuelle, tout cela peut sembler quelque peu naïf. Mais pour l’essentiel, les intuitions centrales de Mauss semblent encore plus percutantes aujourd’hui qu’il y a 75 ans — maintenant que la « science » économique est devenue bel et bien la religion révélée de l’âge moderne. Tel était, en tout cas, le sentiment des fondateurs du MAUSS.
     Le projet du MAUSS naît en 1980(2) à la suite, paraît-il, d’un déjeuner entre un sociologue français, Alain Caillé, et l’anthropologue suisse, Gerald Berthoud. Sortant de quelques jours de colloque interdisciplinaire sur le don, ils constatent avec stupéfaction qu’aucun des savants réunis ne semblait avoir soupçonné que la générosité ou une véritable préoccupation pour le bien-être d’autrui puissent constituer des mobiles significatifs du don. En réalité, le présupposé commun était que les « dons » n’existent pas en réalité ; grattez assez profondément et vous finirez toujours par découvrir, derrière toute action humaine, une stratégie de calcul égoïste. Plus bizarrement encore, les savants congressistes faisaient l’hypothèse que cette stratégie égoïste constitue toujours et nécessairement la vérité profonde de l’affaire ; plus réelle en tout état de cause que tout autre motif qui pourrait s’y mêler. Comme si pour être scientifique et « objectif », il fallait être complètement cynique. Pourquoi cette obligation de cynisme ?
     Pour l’expliquer, Caillé en vint à incriminer le christianisme. La Rome ancienne préservait encore quelque chose du vieil idéal aristocratique de la largesse. Les notables édifiaient des monuments et des jardins publics, et c’était à qui subventionnerait les jeux les plus magnifiques. Mais, de toute évidence, cette générosité était aussi blessante. Une des coutumes favorites consistait à jeter des pièces d’or et des joyaux à la foule, et à la regarder se ruer dessus et se battre dans la boue pour s’en emparer. C’est en réaction à de telles pratiques odieuses que les premiers chrétiens développèrent leur conception de la charité. La charité véritable ne doit s’appuyer sur aucun désir d’affirmer sa supériorité, de gagner des faveurs ou, plus généralement, sur aucun motif égoïste de quelque ordre qu’il soit. Si on peut penser que le donneur a gagné quelque chose dans l’affaire, alors c’est que son don n’en était pas un.
     Mais cette vision, à son tour, soulève des problèmes sans fin puisqu’il est très difficile d’imaginer un don qui ne rapporte rien. Même un acte absolument exempt d’égoïsme est susceptible de marquer des points auprès de Dieu. Ainsi fut prise l’habitude de scruter dans chaque acte la part d’égoïsme qui s’y dissimule et de considérer que c’est elle qui compte vraiment. C’est le même mouvement de la pensée qu’on retrouve systématiquement dans les sciences sociales modernes. Les économistes considèrent, comme les théologiens chrétiens, que s’il entre du plaisir dans un acte généreux, alors d’une manière ou d’une autre il l’est un peu moins. Ils ne divergent que sur l’appréciation morale de la chose. C’est pour contrecarrer cette logique particulièrement perverse que Mauss insistait sur le « plaisir » et la « joie » de donner. Dans les sociétés traditionnelles, personne ne voyait de contradiction entre ce que nous appellerions le self-interest, l’intérêt égoïste (une notion intraduisible dans la plupart des langues humaines, soit dit en passant), et le souci des autres. Le point fondamental dans le don traditionnel, c’est qu’il obéit à ces deux mobiles en même temps.
     C’est dans ce genre de discussions en tout cas que s’engagea le petit groupe de savants francophones (Caillé, Berthoud, Ahmet Insel, Serge Latouche, Paulette Taieb) qui allaient devenir le MAUSS. En réalité le groupe démarra sous la forme d’une revue, baptisée Bulletin du MAUSS — une très petite revue imprimée au petit bonheur et sur du mauvais papier —, que les auteurs concevaient aussi bien comme une sorte de plaisanterie que comme l’amorce d’un travail scientifique sérieux, voire comme la revue porte-drapeau d’un vaste mouvement international alors inexistant. Caillé écrivait des manifestes. Insel s’amusait à imaginer les grands congrès anti-utilitaristes mondiaux de l’avenir. Les articles sur l’économie alternaient avec des extraits de romans russes. Mais, progressivement, le mouvement commençait à prendre corps. Vers le milieu des années 90, le MAUSS était devenu un impressionnant réseau de chercheurs — allant des sociologues et des anthropologues aux économistes, aux historiens ou aux philosophes d’Europe, d’Afrique du Nord ou du Moyen-Orient — dont les idées s’exprimeraient dans pas moins de trois formules de la revue , dans une importante collection de livres (tous en français) et dans des rencontres annuelles.
     Après les grèves de 1995 et l’élection d’un gouvernement socialiste, les œuvres de Mauss lui-même ont connu en France un regain d’intérêt considérable avec la publication d’une nouvelle biographie et d’un recueil de ses écrits politiques. De son côté, le groupe du MAUSS est devenu de plus en plus engagé politiquement. En 1997, Caillé rédige un gros article intitulé « 30 thèses pour une gauche nouvelle », et le MAUSS commence à consacrer ses rencontres annuelles à des thèmes politiques. La réponse des Maussiens aux injonctions permanentes d’adopter le « modèle américain » et de démanteler le système français d’État-providence fut de commencer à propager une idée tout d’abord défendue par le champion de la Révolution américaine Thomas Paine : le revenu minimum garanti. La vraie réforme de la protection sociale, explique le MAUSS, ne passe pas par la liquidation des acquis sociaux, mais par une reformulation complète de ce que l’État doit aux citoyens. Débarrassons-nous des stages et des politiques spécifiques pour les chômeurs, et à la place, créons un système dans lequel chaque citoyen français se voit garantir le même revenu de base (par exemple, 20 000 euros versés directement par l’État). Après, à chacun de jouer(4).
      Il n’est pas très facile de savoir comment situer cette gauche maussienne, et d’autant moins qu’ ici ou là, M. Mauss est présenté comme une alternative à Marx. Il serait assez facile de s’en débarrasser en présentant les Maussiens comme des super-sociaux-démocrates, guère soucieux de transformer radicalement la société. En reconnaissant que le marché est pour partie inévitable, les « 30 thèses » de Caillé par exemple rejoignent Mauss ; mais, à l’instar de ce dernier, elles visent à l’abolition d’un capitalisme défini par une poursuite du profit financier devenue à elle-même sa propre fin. À un autre niveau, cependant, l’attaque maussienne contre la logique du marché est autrement plus profonde et plus radicale que tout ce qu’on trouve ailleurs aujourd’hui dans le champ intellectuel. C’est précisément pour cette raison sans doute que les intellectuels américains, et particulièrement ceux qui se croient les plus radicaux et les plus prompts à déconstruire tous les concepts — sauf ceux d’appât du gain ou d’égoïsme — ne savent tout simplement pas quoi faire des Maussiens et que leur travail a été largement ignoré.


(traduit par Pierre Eliac)
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1. David Graeber est professeur d’anthropologie à l’université de Yale, États-Unis. Cet article est paru dans la revue In These Times (21 août 2001) sous le titre « Give it away », et était annoncé en couverture avec en gros titre « The new maussketeers ».
2. En fait en 1981 [NdT].
3. Le Bulletin du MAUSS (1982-1988), puis La Revue du MAUSS trimestrielle (1989-1992), et enfin La Revue du MAUSS semestrielle, la formule actuelle née en 1993.
4. Ici, David Graeber attribue au MAUSS les premières positions présentées en fait au départ par Philippe Van Parijs sous le nom d’allocation universelle, alors que le MAUSS défend un revenu de citoyenneté nullement incompatible avec le maintien du salaire minimum et de certaines mesures de politique sociale spécifiques le cas échéant. Les deux positions ont en commun d’affirmer un principe inconditionnel d’humanité ou/et de citoyenneté hiérarchiquement premier par rapport à toute considération d’efficacité instrumentale. Par ailleurs, 20 000 euros n’ont de sens qu’à titre de capital inconditionnel et non de revenu minimum.
 3°) Principaux thèmes
C’est dans La Revue du M.A.U.S.S. qu’a été amorcée (au moins en France), la discussion de :
     — l’allocation universelle, le revenu de citoyenneté
     — la socioéconornie (A. Etzioni), la nouvelle sociologie économique (M. Granovetter, R. Swedberg)
     — la critique de la théorie des jeux
     — l’actualité des travaux de K. Polanyi
     — la nécessité de créer, sous l’étiquette d’humanités modernes (socioéconomiques, sociohistoriques, etc.) un enseignement interdisciplinaire à l’Université
     — la pertinence actuelle des catégories de droite et de gauche
     — la place de l’utilitarisme dans les sciences sociales et en philosophie
     — la nécessité d’explorer des voies nouvelles dans la lutte contre le chômage. Le M.A.U.S.S. est à l’origine de l’Appel des 35 publié dans Le Monde du 28 juin 1995, qui donnera naissance à l’AECEP (Association pour une économie et une citoyenneté plurielles)
     — du rôle du tiers secteur, de l’économie solidaire et des associations
     — la question de la confiance
     — l’opposition universalisme/relativisme
     — la critique de l’occidentalisme et du fétichisme de la croissance
     — la réévaluation de la place de Marcel Mauss en sociologie
     — l’élaboration du " paradigme du don "
     — etc.
 4°) Qui écrit dans La Revue du MAUSS ?
     Étrangère à tout académisme et à tout mandarinat, La Revue du M.A.U.S.S. ouvre ses colonnes à de parfaits inconnus — étudiants, praticiens, chercheurs, écrivains… Mais elle n’est pas non plus fermée à des auteurs de renommée internationale…
     — En économie : S. Bowles (Massachussets) R. Boyer (Cepremap), H. Denis (Paris I), J.-P Dupuy (Polytechnique, Stanford), M. Guillaume (Paris IX), A. 0. Hirschman (Princeton), S. C. Kolm (EHESS), J.L. Le Moigne (Aix-Marseille), A. Orléan (Polytechnique), D. North (prix Nobel d’économie), K. Polanyi(†), J.M. Servet (Lyon II), Ph. Van Parijs (univ. Louvain), C. Arnsperger (univ. Louvain), P. Cahuc (Paris I), etc.
     — En sociologie : J. Baechler (Paris V), M. Callon (CSI, École des mines), R. Castel (EHESS), J. Elster (Oslo), A. Etzioni (Washington Congress), A. Evers (Bielfeld), A. Gouldner (†), M. Granovetter (Evanston), Ph. d’Iribarne (Cepremap), B. Latour (CSI, École des mines), D. Le Breton (Strasbourg), R. Swedberg (Stockholm), I. Silber (Univ. Bar-Illan, Israël), S. Kalberg (Univ. Boston, USA), Y. Lambert (CNRS) T. Perna (Italie), etc.
     — En philosophie : J.-M. Besnier (Compiègne), J. Bidet (Paris X), C. Castoriadis (EHESS †), J. Dewitte (Berlin), R. Esposito (Naples), J.-M. Ferry (Univ. libre de Bruxelles), J.-J. Goux (Rice Un. Texas), P. Hirst (Londres), B. Karsenti (Lyon II), E. Laclau (Essex), C. Lefort (EHESS), C. B. McPherson (†), R. Misrahi (Paris I), E. Morin (EHESS), C. Mouffe (Westminster), C. Taylor (Mac Gill), M. Hénaff (Univ. San Diego, USA), D. Howard (Univ. Stony Brook, New York), etc.
     — En anthropologie : M. Anspach (Polytechnique), A. Babadzan (CNRS), G. Charachidzé (EHESS,), G. Dalton (Texas), D. de Coppet (EHESS), M. Douglas, R. Girard, R. Hamayon (EPHE), 0. Herrenschmidt (Paris X), P. Jorion, L. Scubla (Polytechnique), D. Sperber (Polytechnique), A. B. Weiner (New York †), R. Jamous (CNRS), S. Trigano (Paris X), etc.
     — Politique, questions de société, autres disciplines : Denys de Béchillon (Pau), J.-M. Belorgey (Conseil d’État), B. Canonne (Caen), F. Dosse (Paris X), D. Duclos (CNRS), B. Ginisty (Témoignage Chrétien), A. Gorz, R. Lane (Yale), P. Lévy (Montréal), J. Lurçat (physicien, Paris XI), 0. Mongin (Esprit), T. Paquot (Urbanismes), J.-C. Perrot (EHESS), H. Raynal (écrivain), J. Robin (Transversales), A. Salsano (Edit. Bollati Boringhieri), I. Wallerstein (EHESS), J.P. Le Goff (CNRS), B. Perret (Plan, Esprit), J.C. Michéa (philosophe, Montpellier) B. Viard (univ. Aix-Marseille), etc.
 5°) L’équipe de La Revue du MAUSS semestrielle
     Conseil de publication : G. Aktar, P. Alphandéry, R. Arvanitis, J. Baudrillard, P. Bitoun, J. -L. Boilleau, H. Brochier, G. Busino, C. Castoriadis †, A. L. Cot, H. Denis, M. Douglas, J.-R Dupuy, A.-M. Fixot, M. Freitag, R. Frydman, M. Guillaume, A. Haesler, P. Lantz, B. Latour, C. Lefort, L. Moreau de Bellaing, C. Mouffe, T. Paquot, J.-C. Perrot, W. Sachs, A. Salsano, J.-M. Servet, L. Scubla, P. Taieb, A. Weiner †.
     Comité de rédaction : M. Anspach, G. Berthoud, P. Chanial, P. Combemale, J. Dewitte, J. T. Godbout, E. Fourquet, P. Jorion, S. Latouche, J.-L. Laville, J.-C. Michéa, P. Rospabé, F. Vandenberghe.
Secrétariat de rédaction : A. Insel. Directeur de la publication : A. Caillé.
 
 

Liste chronologique des numéros publiés

 

     Le M.A.U.S.S. a commencé par publier un « Bulletin du M.A.U.S.S. » trimestriel, qui s'est appelé « La Revue du M.A.U.S.S. trimestrielle » après sa reprise par les éditions La Découverte en 1988, avant de devenir « La Revue du M.A.U.S.S. semestrielle » en 1993.
     Les sommaires détaillés se trouvent dans la liste des articles (avant 1993 pour le Bulletin et la Revue trimestrielle ; depuis 1993 pour la Revue semestrielle)
 La Revue du M.A.U.S.S. semestrielle :
N°19 Y a-t-il des valeurs naturelles ? (2002, 1er sem.)
N°18 Travailler est-il (bien) naturel ? Le travail après la « fin du travail » (2001, 2e sem.)
N° 17 Chassez le naturel… Écologie, naturalisme et constructivisme (2001, 1er sem.)
N° 16 L'autre socialisme. Entre utilitarisme et totalitarisme (2000, 2e sem.)
N° 15 Éthique et économie. L'impossible (re)mariage ? (2000, 1er sem.)
N° 14 Villes bonnes à vivre, villes invivables (1999, 2e sem.)
N°13 Le retour de l'ethnocentrisme. Purification ethnique vs. universalisme cannibale (1999, 1er sem.)
N° 12 Plus réel que le réel, le symbolisme (1998, 2e sem.)
N° 11 Une seule solution : l'association ? Socioéconomie du fait associatif (1998, 1er sem.)
N° 10 Guerre et paix entre les sciences. Disciplinarité, inter et trans disciplinarité (1997, 2e sem.)
N° 9 Comment peut-on être anticapitaliste ? (1997, 1er sem.)
N° 8 L'obligation de donner. La découverte sociologique capitale de Marcel Mauss (1996, 2e sem.)
N° 7 Vers un revenu minimum inconditionnel ? (1996, 1er sem.)
N° 6 Qu'est-ce que l'utilitarisme ? Une énigme dans l'histoire des idées (1995, 2e sem.)
N° 5 À quoi bon (se) sacrifier ? Sacrifice, don et intérêt (1995, 1er sem.)
N° 4 À qui se fier ? Confiance, interaction et théorie des jeux (1994, 2e sem.)
N° 3 Pour une autre économie (1994 1er sem.)
N° 2 Cheminements politiques (1993, 2e sem.)
N° 1 Ce que donner veut dire (1993, 1er sem.)
 La Revue du M.A.U.S.S. trimestrielle (1989-1992)
N° 1 (1988 3e trim.) Rationalisme et relativisme I
N° 2 (1988 4e trim.) Rationalisme et relativisme II
N° 3 (1989 1er trim.) De l'économie non politique
N° 4 (1989 2e trim.) L'impossible objectivité ?
N° 5 (1989 3e trim.) Mémoires de l'utilitarisme I. Pour le plus grand bonheur du plus grand nombre
N° 6 (1989 4e trim.) Mémoires de l'utilitarisme II. Le don contre l'utilité
N° 7 (1990 1er trim.) Les sauvages étaient-ils démocrates ? Le problème de la vengeance
N° 8 (1990 2e trim.) La démocratie inachevée
N° 9 (1990 3e trim.) La socio-économie, une nouvelle discipline ?
N° 10 (1990 4e trim.) Explorations socio-économiques
N° 11 (1991 1e trim.) Donner recevoir et rendre : l'autre paradigme
N° 12 (1991 2e trim.) Le don perdu et retrouvé
N° 13 (1991 3e trim.) Droite ? Gauche ?
N° 14 (1991 4e trim.)Que des milliers d'espaces politiques fleurissent
N° 15-16 (1992 1er et 2e trim.) Dix ans d'évolution des sciences sociales
 Le Bulletin du M.A.U.S.S. (1982-1988)
N° 1 (sans titre)
N° 2 (sans titre)
N° 3/4 L'échange en question (numéro double)
N° 5 L'économisme historien
N° 6 Autour de l'utilitarisme
N° 7 La diversité
N° 8 Marchés et non-marchés
N° 9 Économisme et libéralisme
N° 10 La non-utilité des femmes
N° 11 Culture et anthropologie
N° 12 Évanescence de l'économique
N° 13 Étranges racines du présent
N° 14 Dieux, loups, morts et échanges, du nouveau en anthropologie ?
N° 15 La leçon des paysans
N° 16 Misère des sciences sociales
N° 17 Le capitalisme avant… et après
N° 18 Théories de la modernité. Autour de Karl Polanyi
N° 19 Promesses d'une sociologie sacrée
N° 20 L'anti-utilitarisme comme idéologie
N° 21 Les avatars du corporatisme. Masses et identités
N° 22 Au cœur des sciences sociales : Homo œconomicus ou Homo sociologicus
N° 23 Du revenu social : au-delà de l'aide, la citoyenneté ?
N° 24 Développement, éthique et politique

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