Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Dedica a ROBERTO LEYDI

di

Laura Zanetti

 

Danza con noi

 

 

INTERVISTA A ROBERTO LEYDI – ETNOMUSICOLOGO

Avevo conosciuto " quel discolo", come Umberto Eco amava chiamare Roberto Leydi, a Trento, in un Convegno organizzato dal Comune  per l’Anno Internazionale della Montagna. Lo rividi a Bologna per un ‘intervista,  nella primavera del 2002,  nella sede del DAMS, fondato nel '72 dallo stesso Leydi con Umberto Eco.Grande maestro, fascinatore e trascinatore dei suoi allievi, si muoveva ovunque come un discolo, per via di quella sua straordinaria vitalità ,simpatia e inesauribile curiosità verso le cose belle della vita. Come la musica. Come la montagna. Come anche ... la musica della montagna. "Voglio conoscere il suo Lagorai" mi disse " io le farò conoscere Lorenzè e i miei monti, le farò assaggiare il nostro brulè con dentro il pezzetto di burro"...Se ne è andato il febbraio scorso , lasciando alcuni appuntamenti irrisolti, ma credo ..anzi ne sono certa, che un po’ ovunque si aggiri ...come un mitico, discolo folletto.

di Laura Zanetti


Professor Leydi ,Lei che è conosciuto come uno tra i massimi esperti in etnomusicologia europea e americana, ci vuol raccontare come è nata questa sua vocazione per la ricerca del canto e della musica popolare.?

Ho iniziato ad occuparmi anzitutto di musica contemporanea nel secondo dopoguerra.

Negli anni’50 collaboravo con Luciano Berio e Bruno Madera attorno alla nascita di uno studio di fonologia della Rai di Milano. Era la prima sperimentazione di musica elettronica e concreta denominata " Ritratto di Città".

Si trattava di un lavoro destinato al Premio Italia, ma i dirigenti, dopo l’audizione, si rifiutarono di mandarlo a concorso. Stessa sorte per "Omaggio a Jocye" di Umberto Eco e Berio. Mai trasmesso. Lo studio andò così in crisi e chiuse i battenti.

Cosa rimane di quell’esperienza ?

Fortunatamente tutto. Grazie ad una dirigente Rai, alla quale quattro, cinque anni fa venne assegnata una stanza dotata di un armadio dove ella scoprì tutto quel materiale straordinario e lo catalogò. La Rai riscoprì così un tesoro che ora è uscito per Nuova Musica della Eri con "Ritratto di Città" e " Omaggio a Jocye".

E dopo la RAI ?

Ero critico musicale per L’Avanti e per il Festival di Musica Contemporanea di Venezia. Da sempre appassionato di Jazz.

Si, è stato proprio attraverso lo studio delle origini del Jazz che ho scoperto la musica popolare americana e con Tullio Kezic feci un libriccino per le Edizioni Avanti, dal titolo "ascoltami mister Bilbo", una raccolta di canti di protesta politico-sindacali del popolo americano contro quel senatore reazionario. Era il ’55 e con Tullio ci chiedemmo perché in Italia non ci fossero analoghe esperienze. La risposta? Semplicemente perché nessuno li aveva mai cercate!

Da quel momento nacque il mio impegno per una ricerca organica sul canto sociale in Italia, passaggio obbligato per arrivare poi al canto popolare e alla scoperta che la polivocalità è non esclusiva, ma dominante al Nord, mentre il canto del Sud è prevalentemente solistico-monodico.

Qualche esempio?

Erano gli anni ‘60 e a Lomellina c’era ancora la monda del riso, ma non più quelle singolari emigrazioni, strumento di enormi emancipazioni al femminile. Pensi: le cattolicissime padovane a contatto con le reggiane evolute! Si cercò così mano d’opera nell’Abruzzo e nel Lazio. Anni fa ho ritrovato un gruppo di vecchie mondine abruzzesi che lassù avevano si imparato i canti popolari, ma non sapevano fare la "terza", perché non c’è l ’hanno come tradizione.

E di questi anni il suo rientro in Rai ?

Si, lavoravo da quattro anni alla casa Editrice Musicale Savini e Zerboni, con la Ricordi la più importante, quando venni richiamato in Rai per la trasmissione "Lascia o Raddoppia", come selezionatore di esperti .Poi spentasi questa esperienza, ecco la telefonata di Ladislao Sugar, che mi proponeva di lavorare per la sua casa musicale.

Contemporaneamente fui chiamato da Tommaso Giglio, redattore capo dell’Europeo: "senti vuoi venire all’Europeo" ? Economicamente, significava quadruplicare il mio stipendio Rai che era di 80.000 lire mensili. Detto fatto.

Erano gli anni ’60 e quella grande libertà economica fu quella che mi permise di pormi in ricerca, fare viaggi bellissimi con Ferdinando Scianna, grande fotografo di Bagheria .In Asia centrale soprattutto, dove raccolsi eccezionali canti sociali, politici e popolari.Poi quella telefonata di Umberto Eco. Era il ’72, la nascita del Dams.

Gli anni ’60 professore ed il suo incontro con Teresa Viarengo, la contadina- proletaria di Asti ?

Teresa Viarengo aveva 65 anni quando la conobbi e nei suoi canti vi era tutta la civiltà del mondo contadino astigiano. Con questa donna di straordinaria intelligenza ho registrato ben trecento canti, credo non tutti, che era poi il repertorio della nonna e della suocera. Una stratificazione di antiche ballate piemontesi.Cantava bene Teresa e si sa che chi canta bene è anche molto intelligente!

C’e qualche analogia tra ballate di area trentino – veneta e quelle piemontesi- canavanesi Professore ?

Vi sono bellissime ballate trentine, ma certo le piemontesi hanno più " corpus", perché entrate da quel "granaio" eccezionale che è la Provenza, anche se la musica popolare non è databile. Nel Piemonte la ballata è musica colta, è il livello alto della tradizione popolare, tuttavia anche in area veneta vi è un’ importante tradizione sconosciuta fuori dall’Italia: E, vorrei aggiungere, nella musica popolare c’è Freud senza averlo studiato. Penso a quei canti sessualmente metaforici dai toni eufemistici fino a quelli più spinti.

Veniamo al coro, alla genesi della vocalità alpina.

I primi cori che si possono definire alpini sono stati i Cori Friulani, il Ceresio di Lugano, la Sat. Ora non è un caso che tutto questo sia nato in area contigua ai paesi di cultura austro- ungarica. In Trentino, ad esempio, sono nati per emulazione dei cori tirolesi di Innsbruck. Fu Cesare Battisti a sostenere la necessità di fondare un coro nel Tirolo italiano. E’ stato così anche per il Friuli e andrebbe studiato.

Professore,questa forma di pratica corale, ha in qualche modo omogeneizzato la vocalità non organizzata. I "tiir" ad esempio?

Si certo! Ora c’è il tentativo di avvicinarsi al coro alpino ,uccidendo la tradizione " tiir", quello straordinario gioco di 5, 6, 7 voci che si rubavano le parti, con le loro particolarità: quelle piemontesi con due moduli unici di canto polivocale, dove il problema non era cercare cantori, ma scartarli. Poi quello unico di Ceriana, nelle Alpi Marittime con quella struttura a "bordone " che tiene sempre una nota bassa.

Il Suo è quindi un giudizio severo sulle attuali pratiche del canto corale?

L’effetto sonoro, pur nell’emozione che può trasmettere, è spesso formalizzato, rigido, tonale, nel colore e nell’impasto della voce. L’altra cosa è che così si distruggono i testi e le ballate ridotte spesso a tre strofe.

Ultima domanda Professore: la funzione pedagogica del canto popolare può avere ancora un suo significato?

Le rispondo raccontandole un’esperienza scolastica inglese degli anni’60. Gli scolari furono stimolati a portare a scuola dei canti del loro paese d’origine. I bambini delle minoranze etniche furono più bravi dei bambini inglesi. Fu anche questo un loro modo per riscattarsi.

 Laura Zanetti

Bologna Aprile 2002


In Interlinea :

Guido Fink

In cerchio» e al centro la scuola


 

Addio a Roberto Leydi

Leggerezza, gaiezza, sicurezza di giudizio critico, senso del teatro e ricerca eccezionale di un grande etnomusicologo

Umberto Eco

Con il suo senso dello humour, con il suo scetticismo piemontese, con il gusto dell'aneddoto per cui andava famoso, avrebbe riso con me della sua sorte: Roberto Leydi è morto nel tardo pomeriggio di un sabato e proprio di quel sabato in cui si svolgevano a Roma e nel mondo le grandi manifestazioni per la pace. Il giorno dopo e anche il lunedì successivo le pagine dei giornali erano dedicate a quegli eventi e solo nel giro di alcuni giorni i grandi quotidiani hanno commentato la scomparsa di questo singolare e indimenticabile personaggio. Ma si sa, quando la notizia non è più fresca, al massimo si dedicano allo scomparso una colonna o due , anche se, come è accaduto con "Repubblica", le due colonne erano firmate Luciano Berio. Mi diceva un giorno Roberto: «Non bisogna mai morire di ferragosto, non se ne accorge nessuno». Ecco. Ma devo dire che ho trovato su Internet molti e commossi ricordi, da parte di tanti cultori della musica popolare.

Molti non lo sanno, ma quando cantano sulla chitarra antiche canzoni operaie o contadine, e altri reperti di un mondo ormai scomparso, lo debbono a Leydi, che è andato con insaziabile curiosità e pazienza certosina a registrare quel patrimonio musicale dalla viva voce di testimoni anche vecchissimi. E poi ha fatto circolare le sue scoperte attraverso libri, dischi, e scorribande teatrali per tutto il paese, facendole sovente cantare da sua moglie, quella Sandra Mantovani di cui negli anni Sessanta avevo scritto che aveva un «duende padano».

Di Leydi etnomusicologo si parlerà ancora a lungo. Ma questa attività (che l'aveva portato a diventare professore ordinario al Dams e ad appassionare a questi temi tanti giovani) rappresentava la punta dell'iceberg Leydi. Per quanto mi riguarda, lascio la parola agli esperti, e continuerò a cantare tra me e me le canzoni che ho appreso da lui - e mi rammento che una sera a casa sua ci ha fatto sentire il nastro, su quegli immensi registratori di allora, che aveva registrato non so dove, in qualche balera, dicendo che si doveva prestare attenzione alla voce di quella ragazza ancora ignota, che si chiamava Mina. Vorrei invece ricordare altri aspetti di Leydi.

Per esempio un anno fa aveva pubblicato "Gelindo ritorna. Il Natale in Piemonte" (Omega edizioni) per cui mi aveva chiesto una prefazione-testimonianza fatta di ricordi personali. In molte città piemontesi, da quasi due secoli si rappresenta a Natale una commedia dialettale, che narra di come il pastore Gelindo e la sua famiglia assistono alla nascita di Gesù, in una zona imprecisa tra il Tanaro e Betlemme. L'unica ricostruzione che si ricordi dei testi originali (ma ormai in vari posti come ad Alessandria, questa rappresentazione per metà sacra e per metà comica, si recita a braccio su canovacci tramandati oralmente, come accadeva per la commedia dell'arte) era "Il Gelindo" di Rodolfo Renier, del 1896.

Leydi è andato alla ricerca dei vari testi, diversi per città e provincia, ha ricostruito la storia del Gelindo, ha ritrovato manifesti, musiche, documenti iconografici, dedicando persino un dotto capitolo alla piva di Gelindo (Leydi era espertissimo di zampogne). La ricerca sembra immane, ma non a chi conosceva Roberto e aveva visitato la sua casa, un vero e proprio museo dell'inatteso. Leydi era un collezionista delle cose più strane, di quelle che la gente non pensa a collezionare, e a giudicare da quello che sto per raccontare lo era sin da piccolo.

Infatti a metà degli anni Cinquanta io ero giovane funzionario della televisione di Corso Sempione e prendevo sessantamila lire al mese. Leydi, che collaborava alla Rai e aveva quattro anni più di me, mi raccontò un giorno che aveva deciso di lavorare sino a che guadagnava trecentomila lire al mese, e poi si divertiva. Se si calcola che entro poco sarebbe apparsa la Seicento Fiat che costava seicentomila lire, trecentomila era un bella sommetta. Come la realizzava Roberto? Affittando dischi alla Rai. C'era bisogno per qualche trasmissione del primo discorso di Roosevelt, della registrazione della celebre trasmissione di Orson Welles sui marziani, della radiocronaca in diretta della tragedia dello Zeppelin, della prima canzone cantata, che so, da Marlene Dietrich? Leydi a casa sua aveva il disco o il nastro. Dove scovasse tutte quelle cose non l'ho mai saputo. Ma lui le aveva.

L'anno scorso ha tenuto per la Scuola Superiore di Scienze Umanistiche di Bologna una serie di lezioni sulla "Musica di Weimar". Ci ha fatto rivivere, attraverso brani musicali sempre originali, commoventi e sublimi nel loro gracchiare a settantotto giri, tutta la storia di un'epoca, collegando Kurt Weill alla musica dodecafonica, alle vicende politiche, alla letteratura dell'epoca. Una esperienza indimenticabile. Con leggerezza, gaiezza, sicurezza di giudizio critico, senso del teatro e documentazione eccezionale, ci ha dato l'ultima possibilità di intrattenerci con lui, conversatore dotto e trascinante.

Ciao, Roberto, anzi, "ciau".

Fondo Roberto Leydi

Il Fondo Roberto Leydi comprende una ricca e articolata collezione di materiali sulla musica e la cultura popolare, un vasto mondo di oggetti sonori e di suoni che costituiscono il risultato delle numerose esperienze di ricerca sul campo, dell'incontro con suonatori, costruttori, "informatori", nonché della sua inestimabile esperienza di docente.

Cinquant'anni di ricerche e di solidi rapporti personali hanno permesso la costruzione di una collezione tra le più interessanti e complete d'Europa comprendente

649 strumenti musicali popolari (tre quinti italiani e più di 500 provenienti dall'area europea) suddivisi in:
115 idiofoni (scacciapensieri, campanacci, campane, caveja, castagnette, triccheballacche, scetavaiasse, raganelle, traccole, tabelle, spaventapasseri, giocattoli sonori, piattini, crepitacoli, sonagliere, tirititì, crotali, triangolo, sanza, richiamo per allodole);
58 membranofoni (tamburelli, tamburi a frizione, tamburi cilindrici, mirliton);
38 cordofoni (liuti, liuta ad arco, chitarre, lire, bassetto, ghironda, banjo, chitarra, autoharp, arpe, cetre, mandoloncello, monocordo, arpe)
438 aerofoni (flauti, ocarine, fischietti, flauti di Pan, richiami da caccia, oboi, clarinetti, zampogne, trombette giocattolo, corni, trombe, organetti, ancie doppie e semplici, concertina, fisarmonica, sirena).
6000 libri di interesse etnografico e musicologico (a cui si aggiungono circa 2000 documenti cartacei: fogli volanti, canzonieri e stampe popolari);
10 000 dischi e CD;
1045 nastri per oltre 3000 ricerche.
Tali oggetti e suoni - molti dei quali oggi non più reperibili - potranno continuare ad essere fruiti, ascoltati, studiati grazie alla raccolta e alla sistemazione che Roberto Leydi ha operato nel tempo, un prezioso patrimonio, unico nella sua specificità.


La pagina
- Educazione&Scuola©