Le cinque trappole dell’educazione (*)

Riccardo Petrella

 

Dal 23 al 27 maggio 2000 si è tenuto a Vancouver [Canada] il primo Mercato Mondiale dell’Educazione. Organizzato da una società privata, la Reed Company, specializzata nel settore «fiere, congressi, esposizioni», ha visto la partecipazione di più di quattromila persone. Per la Reed, l’educazione è un business come la nautica, i multimedia, la stampa, il marketing. Il linguaggio «nato» a Vancouver non lascia dubbi sulle tendenze che stanno imponendosi a livello mondiale: «business dell’educazione», «educational corporation», «prodotto educativo», «mercato dei professori», «l’offerta d’educazione», «mercato degli studenti», «competitività inter-universitarie», «performance dei programmi educativi multimediali», «accordi e fusioni tra le imprese educative», «liberalizzazione [del commercio] nel settore dell’educazione».

Tutto è iniziato, a mio parere, una trentina d’anni fa quando anche il mondo dell’educazione ha accettato e generalizzato il concetto di «risorsa umana». È nata cosi la prima trappola nella quale l’educazione è cascata, che consiste nell’aver spostato dalla persona umana alla risorsa umana l’asse centrale della funzione del sistema educativo. Avere accettato la riduzione della persona umana a «risorsa umana» significa aver imprigionato ogni aspetto della persona umana, e non solo il lavoro, nella logica della produzione. Così, il diritto all’esistenza di una «risorsa umana» è condizionato dalla sua utilità per il sistema produttivo. Una «risorsa umana» non redditizia è immediatamente scartata, eliminata. Per un adulto, non v’è più il diritto al lavoro ma il dovere d’impiegabilità. Se una «risorsa umana» non è impiegabile, utilizzabile, non ha più alcun valore. Permettere di acquisire le conoscenze, i saperi e le competenze indispensabili per diventare e restare una «risorsa umana» impiegabile è considerato oramai, da parte dei nostri dirigenti, il ruolo fondamentale dell’educazione secondaria superiore ed universitaria. Più in particolare, è questo il compito che spetta alla educazione/formazione permanente, continua, lunga quanto la vita «economica» di una «risorsa umana», specie in un’era come la nostra di cambiamenti scientifici e tecnologici continui e rapidi. A non aver più la voglia di riciclarsi o non essendo più riciclabili, non v’è scampo: la «risorsa umana» sarà gettata via come una vecchia ciabatta.

La seconda trappola, strettamente legata alla prima, ma dovuta anche ad altri fattori nuovi, quali le politiche della mondializzazione liberista, deregolamentata e privatizzata, consiste nell’aver trasformato il sistema educativo di un paese in uno strumento messo al servizio della competitività nazionale. L’educazione deve permettere di formare le «risorse umane» altamente qualificate e flessibili, di cui hanno bisogno le imprese «nazionali» per assicurare la loro competitività sui mercati inter-nazionali e mondiali. Le istituzioni educative sono diventate i «luoghi» dove le nuove generazioni sono addestrate ad una cultura di guerra [«diventare i migliori», «riuscire meglio degli altri», «essere tra i vincitori»…], piuttosto che ad una cultura di vita [«vivere insieme», «imparare a contribuire allo sviluppo ed alla promozione dell’interesse generale»…].

La logica della competitività ha penetrato il mondo dell’educazione non solo a livello delle finalità dell’educazione, ma anche al livello del comportamento delle stesse istituzioni che sono in competizione tra di loro, le università soprattutto. Se lo spirito e le pratiche della cooperazione tra università di differenti regioni e paesi esistono ancora, è soprattutto perché, nella maggior parte dei casi, ciò consente ad ogni università di essere ancor più [e meglio] competitiva sul «mercato» dei fondi pubblici e privati per la ricerca, per quanto riguarda l’iscrizione degli studenti, la sponsorizzazione di cattedre da parte di imprese private, e via dicendo. Si è addirittura giunti alla situazione per cui membri del corpo accademico hanno accettato di «offrire» le loro competenze al servizio di un sistema di valutazione delle varie università del paese ed estere, per stabilire una classifica delle cosiddette «migliori» e permettere così ai poteri pubblici e ai finanziatori privati di privilegiare il finanziamento delle università classificate ai primi posti.

Piano piano una siffatta logica, autodistruttrice, sta penetrando anche il settore dell’educazione secondaria superiore. La classe politica dirigente è largamente acquisita a tale cultura, come si è dimostrato al Vertice europeo di Lisbona del marzo 2000, allorché i quindici capi di stato e di governo dell’Unione europea hanno adottato una risoluzione solenne, nella quale si proclama che il compito più importante dei cittadini europei, nei prossimi quindici anni, è fare dell’Europa la e-economia più competitiva al mondo, e che il sistema educativo europeo deve essere messo in condizione di sostenere un tale obiettivo aprendosi, tra il 2001 e il 2003, ad una totale penetrazione delle tecnologie d’informazione e di comunicazione e ad una rapida e generale alfabetizzazione numerica.

Non è un caso, in realtà, che la terza trappola in cui è caduta l’educazione sia stata causata dello sviluppo dell’educazione a distanza su supporti tele-informatici e tele-comunicati. La terza trappola è rappresentata della crescente mercificazione delle attività di educazione, sempre di più sottomesse alla logica dell’economia capitalista di mercato. L’occasione immediata e più visibile all’origine della terza trappola è stata data dai multimedia. Al primo Mercato Mondiale dell’Educazione di Vancouver ha trovato conferma un dato abbastanza nuovo: le tecnologie multimediali hanno invaso il mondo dell’educazione a tal punto che numerosi intellettuali credono che l’educazione sia diventata fondamentalmente un problema di multimedia. E non solo gli editori di prodotti multimediali, i creatori e fornitori di servizi on line o di servizi di tele-educazione e tele-formazione, gli operatori di telecomunicazioni e i dirigenti di imprese informatiche. Molti, nel corpo insegnante, ne sono convinti. Compagnie come Microsoft, Aol-Time Warner, Mci-World Com, ViaCom-Crs, Vivendi-Universal, Bertelsman, Sun-Microsystem determinano sempre più contenuti e modalità dell’insegnamento, non solo a distanza, con l’aiuto e l’accordo dei poteri pubblici nazionali, convinti che il loro ruolo è soprattutto quello di creare il contesto più favorevole alla competitività delle imprese del «loro» paese.

Ora, la quasi totalità dei prodotti educativi multimediali e dei servizi on line sono di natura commerciale, ad opera di imprese private il cui obiettivo non è tanto la pedagogia o la formazione, ma il rendimento finanziario. Più l’insegnamento a distanza on line e i prodotti/servizi educativi multimediali si diffondono nel sistema educativo, più assistiamo alla sua mercificazione.

Lo scenario che sembra essere privilegiato negli Stati uniti e che, a causa del mimetismo gregario acritico tradizionale degli europei nei confronti di ciò che «viene dall’America», rischia di diventarlo anche in Europa è quello centrato sullo sviluppo di un sistema d’educazione organizzato sopra ciò che diventerà Internet nei prossimi anni, e cioè un insegnamento individuale e individualizzato, in cui la priorità sarà data all’insegnamento e alla formazione di conoscenze, competenze e saperi utili, redditizi.

La privatizzazione dell’educazione, attraverso il cavallo di Troia rappresentato dall’educazione multimediale e a distanza on line, rischia di passare anche attraverso i negoziati commerciali mondiali [Omc] o regionali [come quelli dell’Unione europea o dell’Alena e, nei prossimi mesi, dell’Alca, Accordo di libero commercio delle Americhe], i servizi pubblici [l’educazione, la salute, l’acqua…] farebbero la stessa fine di ogni altra merce.

La quarta trappola consiste nell’aver lasciato la tecno-logia [cioè il discorso – «logos» – della tecnica] diventare il discorso dell’educazione, cioè il discorso su chi definisce le finalità dell’educazione, su cosa educare e su come educare [apprendere, formare/si].

Il chi è oggi composto dai gruppi sociali il cui potere è fondato sulla tecno-crazia. Si tratta, specificamente, del mondo accademico e scientifico, principale produttore di conoscenze in larga misura messe al servizio dei poteri militari, economico-industriali e politici. Ma anche del mondo finanziario-industriale il cui credo sul primato del rendimento finanziario del capitale passa per una fiducia assoluta nell’innovazione tecnologica. E, infine, del mondo politico e dei media che da tempo ormai giura solo sul progresso scientifico e tecnico come fondamento del progresso economico, e di questo come fondamento del progresso sociale ed umano.

Il come è rappresentato dalle conseguenze legate principalmente alle discipline scientifico-tecniche e alle competenze gestionali-organizzative nel campo economico-industriale-commerciale. Il come si traduce praticamente nell’uso delle nuove tecnologie d’informazione e di comunicazione.

La quinta trappola è fra le più sottili e perniciose. Essa consiste nell’aver accettato l’utilizzazione dell’educazione come strumento di legittimazione dell’ineguaglianza nella cittadinanza; cioè nel potere/diritto/dovere di partecipare alle decisioni relative alla «res publica». La trappola funziona secondo il meccanismo seguente: primo elemento: non è possibile né giusto – si dice – eliminare le ineguaglianze nella cittadinanza perché l’ineguaglianza è nella natura della specie umana e nelle dinamiche sociali.

Secondo elemento: le società sviluppate – si afferma – hanno messo, e mettono tuttora, ogni membro della società nella condizione di uguale partenza consentendo a ciascuno di avere accesso all’educazione di base obbligatoria gratuita [fino a 16 o a 18 anni]. Quindi, se ineguaglianze nei livelli raggiunti di formazione, di competenze e di saperi appaiono alla fine del periodo di scolarizzazione obbligatoria, ciò è dovuto a molti fattori oggettivi e soggettivi che non possono essere combattuti e eliminati.

Terzo elemento: il livello di competenze e di saperi raggiunto è discriminante rispetto al grado di potere/diritto/dovere di partecipare alle relazioni relative alla «res publica». Coloro che sanno – si dice – devono avere più potere decisionale. Conclusione [la trappola]: non si può né è giusto – si afferma – lottare contro le ineguaglianze di potere certificate dall’educazione. Il sistema educativo è diventato così il «potere» di legittimazione [considerata «oggettiva»] delle ineguaglianze nella cittadinanza.


(*) per gentile concessione di CARTA