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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Sentenza n.12684/2003

Suprema Corte di Cassazione
Sezione Quarta Penale

OSSERVA

1. Il 29 gennaio 2002 il Tribunale di Sanremo, in composizione collegiale, rigettava il ricorso proposto da M. E. G. avverso il provvedimento di quello stesso Tribunale, in data 9 novembre 2001, che aveva rigettato una istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, rilevando che, ai sensi dell'art. 1.6 l. n. 217/1990, a quel beneficio non poteva essere ammesso lo straniero non residente in Italia.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso G., denunziando vizi di violazione di legge.
Posto che l'art. 1.6 succitato dispone che "il trattamento riservato dalla presente legge al cittadino italiano è assicurato altresì allo straniero e all'apolide residente nello Stato", deduce che "il tenore letterale della norma riportata, esaminato sotto il semplice profilo grammaticale, evidenzia come la necessità della residenza nel territorio dello Stato (...) sia riferibile esclusivamente all'apolide e non anche (come sostenuto nel provvedimento in questa sede impugnato) allo straniero, visto che, diversamente, il legislatore avrebbe usato la parola "residenti" e non la parola "residente" (...)"; e critica, al riguardo, le argomentazioni esplicitate nel provvedimento impugnato.
Soggiunge, poi, che, trattandosi di cittadino comunitario, il provvedimento impugnato "costituisce un'evidente violazione dei principi fondamentali del Trattato istitutivo della Comunità Europea", segnatamente degli "artt. 2, 11, 12 e 17 della l. 1203/57, parte 3, come modificata dalle ll. 454/92 e 209/98", nonché dell'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo.

3. Il provvedimento impugnato è pervenuto alla espressa statuizione rilevando che "lo straniero non residente in Italia, se ammesso al gratuito patrocinio, verrebbe a trovarsi in una ingiustificata posizione di privilegio rispetto sia all'apolide che al cittadino italiano", giacché, se per un verso "la sua posizione non sarebbe dissimile da quella dell'apolide", per altro verso per il cittadino la legge "attiva dei rigorosi controlli, volti a verificare l'effettiva sussistenza dei presupposti di reddito" e "nel caso dello straniero non residente tali controlli risulterebbero estremamente limitati (...)". Il P.G. in questa sede requirente rileva, dal canto suo, che "a prescindere dall'aggettivo "residente" formulato al singolare e, quindi, grammaticalmente riferibile al solo apolide, l'argomento decisivo consiste nella disparità di trattamento con il cittadino italiano che verrebbe a determinarsi ove si seguisse la tesi formulata dall'attuale ricorrente", posto anche che "l'autorità consolare (...) non può certo venire messa - con riguardo alla necessità di verificare le dichiarazioni dell'istante - sullo stesso piano del Direttore generale delle entrate e/o delle autorità diverse cui perviene copia della domanda dell'istante (...)".
Ma deve rilevarsi che con la sentenza n. 219/1995 la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 5, 3° c., della l. n. 217/1990, limitatamente alle parole "per quanto a conoscenza della predetta autorità", rilevando che l'autorità consolare, "se vuole rendere una attestazione utile in favore dell'interessato, non può più limitarsi a raffrontare l'autocertificazione con i dati conoscitivi di cui eventualmente disponga, ma (nello spirito di leale collaborazione tra autorità appartenenti a Stati diversi) ha (non certo l'obbligo, ma) l'onere (implicito nella riferibilità ad essa di un atto di asseveramento di una dichiarazione di scienza) di verificare nel merito il contenuto dell'autocertificazione indicando gli accertamenti eseguiti"; e "il giudice diviene libero di valutare l'idoneità degli accertamenti eseguiti e la congruità delle risultanze degli stessi rispetto a quanto emergente dall'autocertificazione (...)". Deve, quindi, ritenersi che, quanto all'accertamento dei presupposti reddituali richiesti dalla legge, è in tale guisa venuta meno la disparità di trattamento tra cittadino italiano e straniero. D'altra parte, rilevato che tale pronuncia del Giudice delle leggi non distingue tra cittadino straniero residente o meno in territorio nazionale, l'argomento giustificativo espresso nel provvedimento impugnato (e fatto sostanzialmente proprio dal P.G. requirente) non diversamente rileverebbe anche per il cittadino straniero residente in Italia, quanto ai suoi redditi prodotti all'estero, per il quale, invece, analoga tematica implicitamente si adduce non sussistente; e, quanto alla negata equiparazione tra l'autorità consolare ed il Direttore regionale delle entrate, non può non tenersi conto della specifica situazione indotta dalla cittadinanza straniera dell'istante e della conseguente "leale collaborazione tra autorità appartenenti a Stati diversi" che tale situazione inevitabilmente impone.
Se, dunque, alla stregua della nuova normativa scaturente da tale pronuncia di illegittimità costituzionale l'esplicitato argomento del provvedimento impugnato non si appalesa decisivo e dirimente, rimane che il letterato dettato della norma (art. 12 delle preleggi) con l'uso dell'aggettivo al singolare dopo la parola "apolide" (per quest'ultimo, non cittadino di altro Stato, diversamente si propone la tematica in questione), come rileva il P.G. requirente, induce a ritenere la fondatezza della diversa tesi prospettata dal ricorrente, tenuto conto che la stessa suindicata pronuncia della Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1.6 della l. n. 217/1990, rilevando che "anche lo straniero (senza distinguere - già s'è detto - tra residente o non residente in territorio nazionale) fruisce della garanzia costituzionale in ordine ai diritti civili fondamentali, in particolare in ordine al diritto di difesa, nel quale è compresa anche la difesa dei non abbienti".

4. L'impugnato provvedimento va, dunque annullato, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sanremo.

P.Q.M.

La Corte annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Sanremo per nuovo esame.

Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2003


Legge 30 luglio 1990, n. 217

Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti

Art. 1 (Istituzione del patrocinio)

1. E' assicurato il patrocinio a spese dello Stato nel procedimento penale ovvero penale militare per la difesa del cittadino non abbiente, imputato, persona offesa da reato, danneggiato che intenda costituirsi parte civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per la pena pecuniaria.

2. Il patrocinio è altresì assicurato nei procedimenti civili relativamente all'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno e le restituzioni derivanti da reato, semprechè le ragioni del non abbiente risultino non manifestamente infondate.

3. Nei procedimenti penali l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato giova per tutti i gradi del procedimento.

4. Nei procedimenti di cui al comma 2 l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato ha effetto per tutti i gradi di giurisdizione qualora la parte ammessa risulti totalmente vittoriosa.

5. Nel processo penale a carico di minorenni, quando l'interessato non vi abbia provveduto, l'autorità procedente nomina un difensore cui è corrisposto il compenso nella misura e secondo le modalità previste dalla presente legge. Lo Stato ha diritto di ripetere le somme pagate nei confronti del minorenne e dei familiari che superano i limiti di reddito di cui all'art. 3.

6. Il trattamento riservato dalla presente legge al cittadino italiano è assicurato altresì allo straniero e all'apolide residente nello Stato.

7. Le disposizioni della presente legge si applicano fino alla data di entrata in vigore della disciplina generale del patrocinio dei non abbienti avanti ad ogni giurisdizione.

8. La disposizione del comma 1 non si applica ai procedimenti penali concernenti contravvenzioni. Tuttavia il patrocinio a spese dello Stato è assicurato anche relativamente a detti procedimenti quando essi:

a) sono riuniti a procedimenti per delitti;

b) sono connessi a procedimenti per delitti ancorchè non riuniti.

9. In ogni caso, la disposizione del comma 1 non si applica nei confronti dell'imputato per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto.


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