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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro
Sentenza n. 7485/2003

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. al Pretore-Giudice del Lavoro di Foggia R. D. conveniva in giudizio la s.p.a. omissis esponendo: di essere stato assunto dalla cennata Banca in data 7 gennaio 1980; di avere inviato alla datrice di lavoro in data 20 dicembre 1992 un certificato medico comprovante una grave forma di esaurimento nervoso; di avere richiesto alla omissis in data 28 dicembre 1992 e reiterato la richiesta in data 30 gennaio 1993 di essere autorizzato a svolgere l'attività lavorativa part-time e di avere avuto respinte entrambe tali richieste dalla Banca; di avere richiesto un periodo di congedo retribuito con decorrenza dal mese di febbraio 1993 e di avere avuto respinta dalla Banca anche tale richiesta; di avere presentato (a partire dal mese di aprile 1993) domande di trasferimento, di aspettativa per malattia e di congedo per motivi di salute e che pure tale richieste erano state respinte dalla Banca; di essere stato sottoposto su disposizione della omissis a visita medica ex art. 5 della legge n. 300/1970 e, all'esito di tale visita, di avere ricevuto la comunicazione di riprendere immediatamente servizio; di avere richiesto di usufruire dell'intero periodo di ferie spettantegli, al termine del quale - per effetto dell'accoglimento della richiesta di dimissioni rassegnate in data 7 settembre 1993 - era stato estinto il proprio rapporto di lavoro con la Banca; "che, al momento in cui aveva presentato richiesta di dimissioni, le sue capacità di valutazione dei dati della realtà erano falsate, a motivo della grave crisi depressiva nella quale era caduto a far data dal 1992". Il ricorrente richiedeva, quindi, all'adito Giudice del Lavoro "di ripristinare il suo rapporto di lavoro, previo annullamento delle dimissioni rassegnate ex art. 428, primo comma, cod. proc. civ., nonchè la condanna della Banca al risarcimento dei danni corrispondendogli le retribuzioni medio tempore maturate ed alla ricostruzione della sua posizione assicurativa e contributiva, il tutto con condanna al pagamento delle spese legali".

Si costituiva in giudizio la s.p.a. omissis che impugnava integralmente la domanda attorea e ne chiedeva il rigetto.

Il Pretore-Giudice del Lavoro accoglieva parzialmente la domanda attorea e - su appello principale della omissis e appello incidentale del D. - il Tribunale di Foggia (quale Giudice del Lavoro di secondo grado). "rigetta(va) l'appello principale e quello incidentale e per l'effetto conferma(va) la sentenza pretorile, compensa(va) le spese".

Per quello che rileva in questa sede il Giudice di appello ha rimarcato che: a) "il c.t.u. dott. C., chiamato a stabilire se al momento delle dimissioni richieste dal D. alla omissis, l'originario ricorrente versasse in uno stato di incapacità di intendere e di volere, ha ritenuto, sulla base dell'esame della documentazione medica relativa al periodo immediatamente antecedente a quello in cui il D. rassegnava le dimissioni, che nel momento e quindi sulla base della quantità e qualità dei sintomi espressi (astenia, depressione del tono dell'umore, sentimenti di incapacità, ricerca di protezione, idee persecutorie allargate ai contesti familiari e lavorativo, compromissione della capacità di giudizio, di critica ed incapacità di valutare le conseguenze degli altrui comportamenti) che il D. al momento in cui rassegnava le dimissioni fosse affetto da un disturbo depressivo maggiore"; b) "le conclusioni dell'espletata c.t.u. inducono a ritenere che la momento in cui il D. presentava le dimissioni, si trovava in uno stato di incapacità di intendere e di volere tale da impedirgli di percepire con esattezza il significato delle sue azioni e rendersi conto delle conseguenze pregiudizievoli che dalle stesse sarebbero potute derivare"; c) "ai fini della prova dello stato di incapacità di intendere e di volere, non si ritiene sia necessario dimostrare che al momento del compimento dell'atto il soggetto fosse - in uno stato di totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo piuttosto sufficiente fornire la prova che le stesse fossero i scemate in modo tale da ostacolare il normale processo di valutazione dei propri atti"; d) "le valutazioni effettuate dal dottor C., nonché quelle svolte dai medici che hanno visitato il D. in epoca anteriore, appaiono sufficienti ai fini della dimostrazione che l'originario ricorrente al momento del compimento dell'atto si fosse trovato in uno stato di menomazione delle capacità valutative, dato che le stesse appaiono complete ed accurate"; e) "circa la prova del grave pregiudizio, la circostanza che un soggetto rimanga privo del posto di lavoro costituisce di per sé sola prova del fatto che al soggetto sia derivato un pregiudizio grave avendo egli perso la propria fonte di reddito".

Per la cassazione di tale sentenza la s.p.a. omissis propone ricorso affidato ad un unico motivo.

Resiste con controricorso l'intimato R. D. il quale ha proposto sia un proprio autonomo ricorso (notificato il 28/29 agosto 2000), sia ricorso incidentale (notificato il 16 settembre 2000) e, successivamente, ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

Anche la s.p.a. omissis ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. limitandosi a contrastare la cennata impugnativa del D..

MOTIVI DELLA DECISIONE


I -. Deve essere disposta la riunione dei ricorsi summenzionati in quanto proposti contro la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

II -. Con l'unico motivo del ricorso "principale" (r.g. 16598/2000) la omissis s.p.a. - denunziando "violazione dell'art. 428 cod. civ. [1] anche in relazione agli arti. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ. e vizi di motivazione" - addebita, sotto un primo profilo, al Giudice di appello "di essersi limitato a recepire in maniera assolutamente apodittica e tautologica le risultanze della consulenza tecnica di ufficio e d'avere completamente omesso di considerare circostanze fattuali o elementi documentali - ritualmente acquisiti agli atti di causa ed evidenziati dalla Banca in sede di gravame - che avrebbero imposto una conclusione radicalmente difforme da quella in effetti recepita dal Tribunale di Foggia in ordine alla sussistenza dello stato di incapacità naturale ... non tenendo conto delle deduzioni e circostanze evidenziate nella consulenza tecnica di parte del dott. S. R." e, sotto un secondo profilo, censura la sentenza impugnata per non avere il Giudice di appello considerato che "le dimissioni volontarie del lavoratore, in quanto atto espressamente previsto e disciplinato dalla legge, non possono ritenersi per loro intrinseca natura pregiudizievoli per il dipendente, ai fini dell'annullabilità per incapacità naturale, [atteso che] la valutazione del grave pregiudizio non deve contemplare le sole ricadute patrimoniali dell'atto, ma anche quelle psicologiche, familiari e sociali, abbracciando tutta la sfera degli interessi del soggetto".

Con l'unico motivo del ricorso "principale" (r.g. 16944/2000) R. D. chiede "la cassazione e l'annullamento della ricorsa sentenza del Tribunale di Foggia, nella parte in cui non gli ha concesso di poter ottenere il recupero delle somme medio tempore maturate, ovvero pure di quelle relative al periodo intercorso tra le dimissioni prestate, senza averne consapevolezza e coscienza, e la data dell'effettivo reintegro. Si chiede ulteriormente che si voglia ordinare la ricostruzione ed il recupero di tutto quanto nello stesso periodo maturato al proposito delle percezioni e dei versamenti assicurativi, contributivi e previdenziali propri del rapporto di lavoro in essere tra lo stesso R. D. e l'Istituto di Credito omissis S.p.a., come pure di tutto quanto abbia ad incidere nel decorso della carriera, nel curriculum lavorativo, nelle anzianità convenzionali, negli automatismi economici, negli eventuali scatti di anzianità con rivalutazione economica ed interessi, anche ai fini delle pure lamentate omissioni contributive e previdenziali".

Con il ricorso "incidentale" (r.g. 17528/2000) il D. indica solo nell'intestazione dell'atto contenente il "controricorso avverso il ricorso principale r.g. 16598/2000" che lo stesso debba intendersi anche quale "ricorso incidentale", ma in realtà, nel corpo dell'atto e nelle conclusioni dello stesso, non deduce alcuna autonoma censura alla sentenza del Tribunale di Foggia, né alcuna doglianza o richiesta comunque assumibile come impugnativa di detta sentenza.

III -. Prima della disamina del ricorso principale della società omissis deve essere valutata l'eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dal D. per nullità della notifica di detto atto perchè avvenuta nei confronti dell'avv. C. B. "che non è più difensore del controricorrente come potrà facilmente evincersi dalla allegata documentazione già presente e nel fascicolo di causa".

L’accennata eccezione è da respingere attesa la sua evidente inammissibilità in quanto - per il principio di autosufficienza che regola il contenuto degli atti di questa sede al fine di consentirne il controllo al giudice di legittimità che non può sopperire alle lacune dell'atto con indagini integrative - il D. ha omesso di indicare da quale specifica documentazione si sarebbe potuto evincere che l'avv. B. non fosse più stato il suo difensore nel giudizio di appello.

In ogni caso - a conferma, comunque, dell'infondatezza dell'eccezione de qua - dalla copia della sentenza impugnata risulta che era stato proprio l'avv. B. a richiedere la notifica di detta sentenza nei confronti della controparte al fine di provocare il decorso del termine dell'impugnativa ex art. 326 c.p.c. e, pertanto, in quel momento - valido agli effetti processuali collegati al successivo ricorso per cassazione - lo stesso avv. B. aveva sicuramente titolo per richiedere tale notifica in quanto, appunto, difensore del D..

IV/a -. Passando ora alla valutazione dell'unico motivo di ricorso s sviluppato dalla società omissis - nei due profili dinanzi precisati ed esaminabili conseguentemente poiché intrinsecamente connessi -, lo stesso si appalesa infondato e deve, quindi, essere respinto.

Al riguardo è da rilevarsi - in linea generale sulla consistenza dello stato di incapacità di intendere e di volere quale causa di annullamento delle dimissioni del lavoratore - che l'incapacità ex art. 428 cod. civ. non presuppone la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive, in quanto ai fini della configurabilità dell'incapacità naturale è sufficiente che le facoltà intellettive o volitive risultino diminuite in modo da impedire od ostacolare una seria valutazione dell'atto e la formazione di una volontà cosciente (cfr. Cass. n. 6756/1995, Cass. n. 7784/1991, Cass. n. 4955/1985). Si tratta, al riguardo, di un perturbamento psichico (anche transitorio) tale da menomare gravemente, pur senza escluderle totalmente, le facoltà intellettive del soggetto in modo da impedire una seria valutazione dei propri atti e la formazione di una volontà cosciente (Cass. n. 7344/1997, Cass. n. 418/1977).

In sostanza, non occorre la totale esclusione della capacità psichica e volitiva del soggetto, purchè l'incapacità sussista al momento dell'atto "dimissionario" (Cass. n. 10505/1997, Cass. n. 3569/1991) e sia comunque tale da arrecare al soggetto un notevole stato di turbamento psichico, idoneo a far venire meno la sua capacità di autodeterminazione e la consapevolezza dell'atto che sta per compiere (Cass. n. 6199/2000, Cass. n. 6756/1995 cit., Cass. n. 2364/1977).

IV/b -. Appare, quindi, corretto il decisum del Tribunale di Foggia che ha ritenuto, ai fini della configurabilità dello stato di incapacità invalidante l'atto di dimissioni giudizialmente annullato, non necessario uno stato di totale privazione delle facoltà intellettive e volitive posto che era sufficiente che fosse accertato che le stesse erano state tali da ostacolare il normale processo di valutazione dei propri atti.

Il relativo giudizio, come più volte ribadito da questa Corte (cfr., ex plurimis, Cass. n. 6756/1995), è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato e, proprio sotto tale profilo, la ricorrente denunzia che nella specie la sentenza impugnata non sarebbe stata adeguatamente motivata in quanto il Tribunale di Foggia non avrebbe tenuto conto della consulenza di parte e dei documenti sanitari prodotti in atti.

Siffatte censure si rivelano infondate atteso che il Tribunale ha espresso il proprio giudizio sulla base di una seconda consulenza tecnica ammessa nel giudizio di appello (conforme alle conclusioni della prima consulenza svoltasi nel giudizio di primo grado) di cui ha controllato la correttezza metodologica.


In ogni caso, a conferma dell'infondatezza delle censure formulate dall'odierna ricorrente, si rimarca che: a) il giudice, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico, assolve al proprio obbligo di motivazione limitandosi ad indicare le fonti del suo convincimento, senza dover esaminare specificatamente le contrarie deduzioni di parte, che debbono così intendersi per implicitamente disattese (Cass. n. 3711/1989, Cass. n. 4817/1987, Cass. n. 322/1986); b) in particolare, il giudice che abbia disposto nuova consulenza tecnica, qualora ne condivida i risultati non è tenuto ad esporre in modo specifico le ragioni del suo convincimento e può limitarsi a riportare il relativo parere, quando questo per la sua analiticità costituisca idonea risposta ai rilievi critici mossi dalla parte alla consulenza precedente, posto che la decisione di rinnovare la consulenza implica valutazione ed esame dei detti rilievi, mentre la formale trascrizione e l'argomentata accettazione del parere del consulente, delineando il percorso logico della decisione, ne costituiscono motivazione adeguata, non suscettibile di censure in sede di legittimità (Cass. n. 334/1998, Cass. n. 271/1995); c) il vizio di omessa o errata motivazione deducibile in sede di legittimità sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulti dalla sentenza, sia riscontrabile il deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè l'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. non conferisce alla Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, valutare le risultanze processuali, controllarne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le stesse, quelle ritenute più idonee per la decisione (Cass. n. 685/1995, Cass. n. 8653/1994, Cass. n. 10503/1993); d) quando il Giudice di merito ponga a base della propria decisione le considerazioni svolte dal consulente d'ufficio, o a queste faccia riferimento anche implicitamente, non è tenuto a motivare il proprio dissenso dalle osservazioni svolte dalla consulenza di parte, la quale costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico (Cass. n. 15028/2001).

IV/c -. Quanto all'ulteriore censura della ricorrente sul vizio di insufficiente motivazione che avrebbe inficiato la sentenza impugnata in merito alla prova del grave pregiudizio subito dal lavoratore per l'annullamento delle dimissioni rese in stato di incapacità di intendere e di volere, si rimarca che il cennato grave pregiudizio non è soltanto di natura patrimoniale, ma può incidere sull'intera sfera di interessi del lavoratore, per cui i fattori da considerare sono molteplici (cfr. Cass. n. 10577/1990).

Alla luce di questo rilievo non merita alcuna critica la statuizione del Tribunale di Foggia che, su tale punto, ha ritenuto che la circostanza che un soggetto rimanga privo del posto di lavoro costituisce, di per sé sola, prova del fatto che al soggetto sia derivato un pregiudizio grave avendo egli perso la propria fonte di reddito (scilicet, essendo venuto improvvisamente meno un flusso reddituale che per la sua natura alimentare rappresenta di per sé grave pregiudizio patrimoniale) e, inoltre, avendo la perdita del lavoro indubbiamente inciso in maniera determinante sull'intera sfera di interessi del lavoratore.

Comunque, giusta quanto affermato da questa Corte con orientamento consolidato e che nella specie deve trovare ulteriore conferma, ove una sentenza (o un capo di questa) si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario - per giungere alla cassazione della pronunzia - non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia avuto esito positivo nella sua interezza con l'accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo stesso dell'impugnazione.

Questa, infatti, è intesa alla cassazione della sentenza nella sua interezza, o in un suo singolo capo, idest di tutte le ragioni che autonomamente l'una o l'altro sorreggano.

E' sufficiente, pertanto, che anche una sola delle dette ragioni non formi oggetto di censura, ovvero che sia respinta la censura relativa anche ad una sola delle dette ragioni, perchè il motivo di impugnazione debba essere respinto integralmente, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni (così, di recente, Cass. n. 5149/2001).

IV/d -. In conclusione non si evince, nella disamina della sentenza impugnata, l'esistenza di una errata disamina e valutazione o di una insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia dato che il Giudice di appello, con completa e congrua motivazione in relazione alle risultanze processuali, è correttamente pervenuto alla decisione a mente della quale ha ritenuto che il D., nel momento in cui ha presentato le dismissioni, si trovava in uno stato di incapacità di intendere e di volere tale da determinare l'annullamento delle cennate dimissioni considerato il grave pregiudizio provocato dalle stesse.

V -. Per quanto concerne il ricorso "principale" (r.g. 16944/2000) proposto dal D. con atto notificato il 28/29 agosto 2000 e il ricorso "incidentale" (r.g. 17528/2000) proposto dallo stesso D. con atto notificato il 16 settembre 2000, gli stessi - da esaminarsi congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi - si appalesano inammissibili.

Al riguardo deve, anzitutto, rigettarsi l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla società omissis per essere stati entrambi i cennati ricorsi sottoscritti dal D. e non dall'avv. M. R. - nominato difensore del predetto D. con procura in calce ai summenzionati atti autenticata dallo stesso avv. R. -, atteso che la firma apposta dal difensore per l'autenticazione della procura speciale (mandato ad litem) scritta in calce o a margine del ricorso per cassazione vale anche quale sottoscrizione del ricorso perchè consente di riferire al difensore che ha autenticato la sottoscrizione della procura speciale anche la paternità del ricorso medesimo (Cass. n. 1083/1995).

In ordine, poi, al ricorso (r.g. 16944/2000) - che, se pure proposto tardivamente oltre la scadenza del termine perentorio ex art. 325 capoverso c.p.c. [ricorso notificato il 28/29 agosto 2000 rispetto alla sentenza impugnata notificata il 27 giugno 2000], resta valido come ricorso incidentale (Cass. n. 10284/1994) -, lo stesso è comunque inammissibile per l'omessa indicazione dei motivi di ricorso che debbono essere completi e riferibili alla sentenza impugnata (Cass. n. 3805/1999, Cass. n. 7851/1997), mancando totalmente nel cennato ricorso la specifica individuazione di pretesi errori di attività o di giudizio attribuibili alla sentenza impugnata e la relativa motivazione delle censure proposte (cfr. Cass. n. 2924/1971, Cass. n. 2572/1970).

Anche il ricorso "propriamente" incidentale (r.g. 17528/2000) notificato il 16 settembre 2000 è inammissibile per avvenuta consumazione del potere di impugnazione perché successivamente proposto proposta dal D. che, avendo ricevuto ex adverso la notifica del ricorso in data 12 agosto 2000 avverso la stessa sentenza, aveva in precedenza notificato (ripetesi, il 28/29 agosto 2000) l'autonomo ricorso per cassazione r.g. 16944/2000.

IV -. In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto dalla s.p.a. omissis deve essere - rigettato, mente vanno dichiarati inammissibili i ricorsi r.g. 16944/2000 e r.g. 17528/2000 proposti da R. D..

Ricorrono giusti motivi (idest: "reciproca soccombenza") per dichiarare compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

PER QUESTI MOTIVI

riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso r.g. 16598/2000 proposto dalla s.p.a. omissis; dichiara inammissibili i ricorsi incidentali r.g. 16944/2000 e r.g. 17528/2000 proposti da R. D.; compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

Depositata in Cancelleria il 14 maggio 2003.


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