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Dalla parte delle bambine e dei bambini

di Mara Pacini

Nella "Bozza disegno di legge di revisione della legge 30/2000" troviamo l’articolato "Norme generali sull’istruzione e livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e di formazione professionale".

Verrebbe voglia di farne un’analisi linguistica, perché subito si notano parole che impostano il significato e danno forma a contenuti, non sempre assunti in modo conforme, dal momento che le interpretazioni variano a seconda di chi ne fa lettura. La parola "prestazioni" per esempio evoca un immediato riferimento ai risultati, al ‘profitto’, alla riuscita, al successo. Nel medesimo titolo si usa ben due volte la parola istruzione, e si affianca alla parola formazione l’aggettivo professionale. Queste parole introducono chiaramente alla visione che della scuola si ha e dalla quale non ci si vuole discostare. Nei percorsi sin qui seguiti, si era invece avviato un "riordino", una completa rivisitazione dell’intero sistema formativo di base, alla luce delle esigenze scaturite dall’analisi approfondita della situazione corrente. Abbiamo visto il crescente fenomeno della dispersione e dell’insuccesso scolastico manifestarsi nel cuore della scuola secondaria di primo e secondo grado, parallelamente ad una disaffezione allo studio, alla caduta di interesse per la lettura, alla riluttanza all’argomentare, suffragati da dati allarmanti raccolti in innumerevoli ricerche, segnali visibili di un’inadeguatezza crescente, dello stridore tra domanda e offerta, della lontananza del mondo della scuola da quello fuori, "vero", moderno, veloce e sappiamo bene quanta insoddisfazione è maturata anche tra gli insegnanti e quante critiche sono state sollevate da esperti e da gente comune (ricordo un documento per tutti: quello ad opera della Commissione dei "Saggi" su "I contenuti essenziali della formazione di base" - 1^ versione ‘97 e 2^ ’98).

L’unica scuola di cui si è parlato bene, anzi sempre meglio, è la scuola dell’infanzia, quella rivolta ai bambini dai tre ai sei anni, un’istituzione che pur non essendo obbligatoria si è conquistata sul campo la fiducia della quasi totalità delle famiglie, con elevatissime punte di frequenza su tutto il territorio nazionale. Se per la riforma degli altri "cicli" si è guardato all’estero, cercando stimoli e modelli di funzionale rinnovamento, per quanto riguarda il primo settore è avvenuto il contrario: è la "nostra" scuola dell’infanzia ad aver attirato l’interesse di studiosi e di ricercatori stranieri, fino a diventare ambiente di studio e di ricerca, osservatorio privilegiato sulle dinamiche relazionali, sui processi evolutivi, sui contesti educativi.

Si ha l’impressione che i legislatori, oggi più che mai, tendano a dimenticare completamente le ragioni profonde di questa accresciuta popolarità, dell’efficacia della formula che, pur con infinite sfumature e adattamenti, si sta assestando su modelli di qualità sempre più funzionali e flessibili.

Nei testi normativi l’uso delle parole annuncia e traduce un’idea di scuola.

Confrontiamo l’art. 2 della Legge 30/2000 con il corrispondente testo nella recente Bozza:

Legge 30/2000

Bozza

Art.2 Scuola dell’infanzia

1. La scuola dell'infanzia, di durata triennale, concorre alla educazione e allo sviluppo affettivo, cognitivo e sociale dei bambini e delle bambine di età compresa tra i tre e i sei anni, promuovendone le potenzialità di autonomia, creatività, apprendimento, e operando per assicurare una effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto dell'orientamento educativo dei genitori, concorre alla formazione integrale dei bambini e delle bambine.

"Art.2 Scuola dell’infanzia

1. La scuola dell'infanzia, di durata triennale, concorre alla educazione e allo sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo e sociale delle bambine e dei bambini, promuovendone le potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, e opera per assicurare una effettiva eguaglianza delle opportunità educative; nel rispetto dell'orientamento educativo dei genitori, contribuisce alla formazione integrale delle bambine e dei bambini.

2. La Repubblica assicura la generalizzazione dell'offerta formativa di cui al comma 1 e garantisce a tutti i bambini e le bambine, in età compresa tra i tre e i sei anni, la possibilità di frequentare la scuola dell’infanzia.

2. La scuola dell'infanzia, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza la continuità educativa con il complesso dei servizi all'infanzia e con la scuola primaria.

3. La scuola dell'infanzia, nella sua autonomia e unitarietà didattica e pedagogica, realizza i necessari collegamenti da un lato con il complesso dei servizi all'infanzia, dall’altro con la scuola di base."

3. La Repubblica assicura la generalizzazione dell'offerta formativa di cui al comma 1 e garantisce la possibilità di frequentare la scuola dell’infanzia. Alla scuola dell’infanzia possono iscriversi le bambine e i bambini che compiono i 3 anni di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento."

Come è visibile il testo è pressoché identico; sono invertite le posizioni dei punti 2 e 3; in quest’ultimo, però, nella bozza di revisione è inserita la precisazione evidenziata in merito ai ‘confini’ dell’età di iscrizione introdotta e retta da quel "possono iscriversi", su cui scivola l’impianto dichiarativo precedente: tutto l’impegno garantito nell’intero articolo perde completamente di ‘consistenza’ agli occhi di chi conosce la scuola dell’infanzia e i bambini che la frequentano. La contraddizione diviene ancora più chiara con la lettura del seguente articolo, molto diverso da quello della legge 30, a cominciare dal titolo

Articolo3 - Primo ciclo di istruzione

1. Il primo ciclo di istruzione è costituito dalla scuola primaria, della durata di 5 anni, e dalla scuola secondaria di primo grado della durata di 3 anni. Esso è organizzato in periodi didattici biennali, il terzo dei quali assicura il raccordo educativo e didattico tra la scuola primaria e quella secondaria di primo grado. E’ assicurato altresì il raccordo con la scuola dell’infanzia e con il secondo ciclo. Alla scuola primaria si iscrivono le bambine e i bambini che compiono i 6 anni di età entro il 31 agosto. Possono iscriversi anche le bambine e i bambini che li compiono entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento.…"

La scuola dell’infanzia ha quindi perso il riconoscimento di ‘primo’ ciclo fondativo del percorso scolastico, perché qui si parla di "istruzione", non più di formazione o educazione, che poi è il termine a cui personalmente rimango affezionata. Per me l’azione dell’educare, ha acquisito nel tempo il profondo senso dell’ e-ducere (tirare fuori da …) e dell’ edu-care (educare prendendosi cura di…). Nella stesura del piano di attuazione del riordino dei cicli, discusso e proposto dalla Commissione De Mauro un anno fa, la scuola dell’infanzia aveva dialogato per la prima volta in una sede ufficiale con gli altri ordini di scuola, aveva evidenziato le proprie specificità introducendo alcuni temi nel dibattito sul curricolo e condividendo un interessante approfondimento sul tema del rapporto tra campi di esperienza e discipline.

Chi lavora in Istituti Comprensivi sa la difficoltà dell’interazione tra i maestri e le maestre della scuola dell’infanzia ed elementare e i professori e le professoresse della scuola media, per non parlare dell’improbabile incontro con i professori delle ‘superiori’, ma riconosce progressivamente l’interessantissima sfida, sul piano culturale e professionale, che questo incontro consente e promuove. Le possibilità di scambio e di arricchimento reciproco sono innumerevoli.

I punti di vista dai quali guardare la proposta Moratti sono dunque principalmente tre:

dalla parte dei bambini, dalla parte dei genitori, dalla parte degli insegnanti, 

che vorrei includere nella categoria degli esperti e dei professionisti del settore (non è solo la scuola dell’infanzia ad esserne investita, ma gli asili nido e le scuole elementari).

Viene da pensare che la prospettiva di guardare ai genitori come ‘clienti’ genera una sorta di cecità e di farneticazione: l’idea di consentire alle famiglie maggiori possibilità di scelta (come se fin qui non ve ne fosse stata) si estende a questioni che peraltro nessuno ha mai sollevato o richiesto.

Sembra che si voglia a tutti i costi equipararsi a parametri europei, senza intervenire laddove la scuola sappiamo davvero avere bisogno di effettive modificazioni: la scuola secondaria di 1° e 2° grado. E’ lì che i ragazzi cominciano ad abbandonare l’interesse per lo studio, è lì che si comincia a sentire e a vivere la noia dell’incompatibilità e lo scollamento tra il mondo scolastico e quello extrascolastico, è lì che si sviluppa, e si manifesta la difficoltà a mantenere alta la curiosità e la motivazione dei giovani sulla cultura, sulle forme dei "saperi" e i loro strumenti. E’ lì che i ragazzi abbandonano, falliscono, rinunciano, è da lì che gli studenti fuggono. Non possiamo però credere che siano i ragazzi a dover cambiare; almeno prendiamo atto che i giovani non possono cambiare se lasciati soli, se l’istituzione scuola, che ha senso di esistere solo per e in funzione loro, non materializza l’essenza della conoscenza come apertura, sostegno, approfondimento, estensione, sviluppo, disponibilità.

Se da anni si discute sui ‘saperi’, sui loro codici e sui loro alfabeti, se la scuola reclama la specificità di luogo per la conoscenza, l’istruzione e la formazione, rispondendo anche ad esigenze sociali precise, se il dibattito si è sviluppato anche sulla modificazione dell’idea di curricolo, sulla centralità del soggetto che apprende, sull’individualizzazione degli interventi didattici, sulla estensione delle pratiche educative ad ogni momento della giornata scolastica, allora non si può né pensare né permettere che una variante come quella del tempo possa essere così semplicisticamente registrata.

Nelle istituzioni in cui ci occupiamo di infanzia, di bambine e di bambini, ogni momento ha un suo peso, ogni giorno è un evento, ogni settimana segna un passaggio, ogni mese assume vari connotati e innumerevoli modificazioni. Seguire quotidianamente i bambini fa toccare con mano quanto un bambino ‘cresca’ in conoscenza, competenza e maturità negli ultimi mesi del terzo anno di frequenza della scuola dell’infanzia. Perché bruciare questo tempo speso così bene nell’imparare giocando e entrando in contatto graduale e garbato con coetanei e adulti, andando ad accorciare i tempi di permanenza, col rischio di sacrificare preziosi mesi di esplorazione e affinamento di competenze, anticipando oltretutto tensioni e problemi?

Non basta cambiare una data per dare la possibilità alle famiglie di scegliere! Affinché le scelte siano veramente tali, bisogna mettere le scuole in condizioni di garantire ai bambini e alle loro famiglie quell’accoglienza e quello star bene che tutti gli indirizzi programmatici professano e dichiarano. Da tempo abbiamo evidenziato (noi della scuola che sperimenta, studia, ricerca e cresce) le necessarie condizioni di fattibilità per riuscire a realizzare pienamente i percorsi didattici che programmiamo, per garantire le esperienze che nelle Indicazioni Curricolari degli Orientamenti del ’91 sono così ben suggerite e stimolate. Da tempo sappiamo cosa serve ai bambini di questa età e agli adulti che lavorano con loro, per rispondere in modo idoneo ed esauriente a tali bisogni; lo si è capito sempre più e sempre meglio e lo si è documentato, scritto, motivato, approfondito, discusso, reclamato, per dare visibilità, fondatezza e supporto teorico alle richieste sempre più precise e dettagliate inoltrate agli organi di competenza. Le abbiamo evidenziate così tanto e da sì tanto tempo da ritenere di non doverlo nuovamente ribadire.

Sembra che la scuola dell’infanzia sia diventato il terreno su cui agire senza il minimo riguardo: variando il limite di età di iscrizione, senza fare il minimo cenno ad un impegno istituzionale di variazione e miglioramento delle strutture, dei servizi, degli ambienti, del personale, non solo si privano i bambini di tempi preziosi di crescita in ambienti più idonei, ma si mette in atto un vero e proprio scombussolamento, senza, peraltro, alcuna giustificazione, se non quella di voler mantenere l’arco della scolarità nel margine dei dodici anni, con l’uscita a diciotto. Chiediamo: farebbe davvero così male stare a scuola fino a 19 anni? Dove devono correre i ragazzi in uscita dalle scuole secondarie di 2° grado? All’Università? A lavorare? Quanti sono gli studenti che si laureano rimanendo in corso? Che prospettive offre il mondo del lavoro?

L’unica cosa certa è che se le bambine e i bambini cominciano bene, proseguono meglio e c’è da sperare che possano innamorarsi dello studio al punto di continuare a studiare e ad apprendere tutta la vita. Invece di pensare ad un anno "superiore"da dedicare alla contemporaneità, alle prospettive, a se stessi in relazione al mondo, un anno di perfezionamento, di approfondimento, di orientamento, di viaggio nelle possibilità, si va a toccare quella scuola alla quale si è da sempre negato l’obbligo per non intaccare equilibri gestionali, per non dover investire di più e ovunque.

L’infanzia è il periodo del silenzio: bambine e bambini non incidono socialmente, non direttamente almeno; non manifestano, non contestano, non "occupano"; la loro presenza è testimoniata dagli adulti, i loro bisogni vengono interpretati, spesso subordinati a quelli dei genitori, delle famiglie, degli insegnanti, dei collaboratori scolastici; i bambini sono costretti a fidarsi e ad affidarsi agli adulti che si occupano di loro, nel bene e nel male, a volte rispettandoli, a volte ignorandoli.

Noi saremo sempre e soltanto dalla loro parte.


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