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Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Bisogno di senso

Forse non so più dove la scuola vada, non so più cosa e come debba fare in questo mondo poverissimo di stimoli, idee, temi, argomenti…

Si dibatte di portfolio, di piani di studio e di personalizzazione. A corsi di formazione si aggiungono corsi su come applicare qualcosa di sterile, di decontestualizzato, di insensato, soprattutto di controproducente perché dentro una situazione di scuola riformata nonostante l’opposizione diffusa del corpo docente alla riforma…

Quando un bimbo o una bimba, un ragazzo o una ragazza batte alle nostre porte con il suo bagaglio di fragilità, di orrori adulti, di miseria, di fame, di lavoro non trovato da genitori in fuga dal proprio paese di origine (non soltanto stranieri), cosa fa la scuola?

Personalizza?!

In quale modo?!

Con quali risorse?!

Con quali strategie?!

C’è il mondo delle guerre, c’è quello della miseria, c’è quello del dibattersi giornalmente tra bollette e assicurazioni, tra modi per integrare stipendi e pensioni, affrontare aumenti di ogni tipo, c’è il mondo dei soldi che non bastano mai, degli affetti che crollano dinanzi alla fatica di vivere.

E la scuola che dovrebbe fare?

Arrendersi a una riforma vuota e contraria alla conoscenza, alla criticità, alla riflessione personale, alla presa di coscienza del dipanarsi della storia, del potere in mano di pochi presuntuosi, arroganti?

La scuola arranca tra la storica mancanza di risorse …ma soprattutto nello svuotamento di contenuti e unitarietà.

Gli studi nel campo delle intelligenze multiple non servono a scardinare l’individualismo pedagogico potenziato dalla riforma, il rinchiudersi dentro l’aula per affrontare “disperatamente” “casi”  in aumento smisurato.

L’ insegnamento si salva ormai soltanto salvando la relazione con gli alunni e le alunne, in quanto per il resto continua a essere ricacciato in una situazione di solitudine disciplinare, didattica, pedagogica…per motivi di orari, organizzazione, mancanza di “continuità” all’interno e all’esterno dell’istituzione.

Di cosa si discorre quando si tratta di portfolio, dei modi per compilarlo o stilarlo? Di tutto e di nulla!

C’è bisogno di rivoluzione, certo non violenta, seppur violenta dovrebbe essere nelle enunciazioni e nelle conclusioni a cui si dovrà o si dovrebbe giungere alla fine di essa. C’è bisogno di una rivoluzione  di teste ben fatte sia al livello dei dirigenti sia a quello dei docenti, una rivoluzione che faccia opposizione a tutto ciò che non preveda il senso della nostra cultura. C’è bisogno che si torni a dissertare orgogliosamente: di esseri umani reali bisognosi di “consolazione”, del rapporto fra letteratura e vita, tra matematica, scienza ed etica, tra musica, teatro e dinamismo culturale, tra arte, sogno e quotidianità, tra tecnologia e libertà…

Il lavoro della scuola, degli istituti “autonomi”, dovrebbe essere sempre più quello di chi trova senso, legami sensati con la realtà e l’utopia…

La scuola sembra aver cacciato dal proprio patrimonio genetico la vita e la riflessione su di essa:  nascita, amore,  affetti, conoscenza del corpo in relazione agli altri,  conflitti,  sentimenti,  rapporto con la materia e il denaro,  malattia,  morte… Matematica, Italiano, Storia,  Scienze, Musica, Immagine…  sono divenute cose da trattare per mezzo di insegnamento verifica e controllo: è, così, impensabile che poi vengano amate e studiate con passione.

Sarebbe il momento di occuparsi non di “riforme”, bensì di ricerca e studio sul/del tessuto sociale reale nel quale deve operare una scuola seria, riflessiva, che “salvi” le persone dal nulla, dalla insensatezza di rapporti che ormai sembrano impostati più sul raggiungimento dei risultati che non sul percorso e sulle problematiche incontrate nell’affrontarlo, che aiuti ad arrampicarsi sugli scogli esistenziali su cui volenti o nolenti si infrangono le menti di adulti e bambine/i di diverse culture, provenienza, ma anche di diversissime problematiche psico- affettive e cognitive.

Il tessuto sociale su cui le persone si dibattono e il fattore pedagogico non possono venir più a lungo trascurati, pena la barbarie educativa. La scuola si fa anche con i “numeri”, ma soprattutto si fa con una buona dose di “interiorità” vigile sull’esterno e lontana dall’esteriorità dei numeri e degli slogan a cui ormai siamo abituati.

La scuola non dovrebbe essere quella delle risposte preconfezionate né in termini di organizzazione né in termine di saperi, poiché è vasto l’orizzonte dei saperi che si presentano numerosi ma non essenziali, quindi essa dovrebbe saper farsi interprete delle carenze cognitive, affettive della società e da queste partire per ricercare il massimo di efficacia nell’individuare ciò che può essere lasciato da parte e ciò che invece consentirà alle bambine e ai bambini, alle ragazze e ai ragazzi di “rivoluzionare” il mondo futuro, che ora è bloccato dalla superficialità diffusa, dall’avere, dal si salvi chi può, dal disincanto. La scuola dovrebbe saper riproporre l’incanto della “domanda” anche nell’affrontare e proporre saperi di tipo pragmatico e nel farlo dovrebbe ricercare altre strade organizzative e di insegnamento/apprendimento che superino la rigida divisione per materie, che sappiano “costringere” gli “insegnamenti” e i loro docenti a confrontarsi sui “significati” delle loro rispettive materie e a farli interagire, a intrecciarli, a renderli dialoganti, a superare la settorialità…

Continuità e coordinamento dovrebbero essere sempre tenuti in considerazione prima dal legislatore, poi nella quotidianità delle azioni e delle scelte didattiche.

Negli ultimi anni si è invece assistito al predominio assoluto di scelte politiche che nulla hanno a che fare con il rispetto della continuità e di un’organizzazione scolastica che tenga conto dei nuovi bisogni di ragazze, ragazzi, dei loro docenti e della vita.

29 settembre 2005

Claudia Fanti


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