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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Cercasi tecnici disperatamente

di STEFANO STEFANEL

 

L’anno scolastico appena terminato ha ribadito che il maggior tasso di dispersione del sistema scolastico italiano si concentra negli Istituti Tecnici e Professionali. Sorprende che quelle Scuole spesso ritengano che l’alto tasso di “bocciature” sia un sinonimo di qualità, ma ognuno si autovaluta come vuole. Una delle cause di questa dispersione endemica è nota a tutti: la mentalità “gentiliana” che voleva l’umanesimo come punto più alto della cultura nazionale ha lasciato un solco profondo e indelebile nella scuola e nella società italiana e così i migliori alunni sono spinti da tutta la società verso i Licei. Non ci sarebbe niente di male in questo se la qualità complessiva del sistema tecnico e professionale italiano potesse reggere a questa assenza di studenti di alta qualità e fosse quindi in grado di licenziare comunque soggetti con forte competenze spendibili nel mercato del lavoro. Non sto sostenendo che negli Istituti Tecnici e Professionali non ci siano ottimi alunni, sto sostenendo che il sistema scolastico italiano tende ad orientare i migliori alunni verso i Licei. Il direttore del Corriere della Sera Ferruccio De Bortoli ha fatto un Istituto Tecnico, ma pare più essere un’eccezione che una regola.

Ci sono poi anche delle cause strutturali molto banali, come la preparazione indubbiamente migliore al fine dell’accesso all’Università che i Licei danno, anche se i Licei possono far raggiungere risultati migliori ai propri studenti soprattutto perché hanno gli studenti migliori. Resta evidente che al di là di quelle che sono le cause e di quelli che sono i meccanismi di sistema su cui il Miur interverrà, esiste un problema degli Istituti Tecnici e Professionali, che non mi pare in alcun modo possa essere demandato ad un dibattito interno a quel segmento scolastico. Mi pare di poter dire che gli Istituti Tecnici e Professionali non amano interrogarsi sulla propria profonda e necessaria modifica, ma cerchino di perpetrare quanto già fatto da loro negli ultimi anni.

 

MA L’EUROPA

La strategia EU 2020 ci può forse aiutare a capire a che punto si trova la formazione tecnica e professionale italiana. La Commissione europea ha lanciato il 3 marzo scorso la strategia Europa 2020 (EU 2020). Nel documento della Commissione, vengono indicati i tre motori di crescita: crescita intelligente (promuovendo la conoscenza, l'innovazione, l'istruzione e la società digitale), crescita sostenibile (rendendo la nostra produzione più efficiente sotto il profilo delle risorse e rilanciando contemporaneamente la nostra competitività) e crescita inclusiva (incentivando la partecipazione al mercato del lavoro, l'acquisizione di competenze e la lotta alla povertà).

I progressi registrati verso la realizzazione di questi obiettivi saranno valutati sulla base di cinque traguardi principali rappresentativi a livello di UE, che gli Stati membri saranno invitati a tradurre in obiettivi nazionali definiti in funzione delle situazioni di partenza:

1.   il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro;

2.   ­il 3% del PIL dell'UE deve essere investito in Ricerca & Sviluppo;

3.   ­i traguardi "20/20/20" in materia di clima/energia devono essere raggiunti;

4.   ­il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve avere una laurea o un diploma; .

5.   ­20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà.

Se leggiamo quello che dice l’Unione Europea ci appaiono subito alcune “materie” che compaiono negli obiettivi europei e non nella nostra scuola tecnica o professionale. Ne cito alcune al solo fine di sollecitare l’attenzione sulla distanza tra l’organizzazione della scuola italiana a classi di concorso nate negli anni settanta e nuovo mondo globalizzato.

Ambiente, ecosostenibilità e sviluppo. Le conoscenze in questi settori non sono di per sé specialistiche, ma sono attualmente scollegate a tutte le modalità didattiche tecniche e professionali presenti in Italia, dove quanto ha a che fare con ambiente e sviluppo è di tipo solo progettuale. Questi però sono settori emergenti e che creeranno occupazione e sono legati a centri di conoscenza non italiani. La questione qui è molto delicata, perché non si tratta di studiare cose attinenti all’ambiente, all’ecologia e allo sviluppo sostenibile, ma proprio di disattivare materie obsolete ed introdurne altre fresche. Questo è un settore che va velocissimo, ma la scuola italiana invece rimane ferma a descrizioni tecniche del passato e sottomette la sua formazione tecnica alle competenze certificate dal Ministero per l’insegnamento.

Gestione algoritmica dei flussi informativi. La progettazione e la programmazione di tutta la multimedialità passa attraverso il padroneggiamento del linguaggio algoritmico, mentre tutta la matematica insegnata in Italia sostiene la preminenza delle equazioni, della trigonometria, della geometria analitica. Ho chiesto qualche tempo fa ad un docente di materie scientifiche dell’Università il perché in Italia si insegnano le equazioni e nel resto del mondo gli algoritmi. La sua risposta è stata lapidaria: “In questo momento lo studente italiano a differenza di quello cinese, coreano o indiano non è in grado di dedicare tutto il tempo necessario agli algoritmi. E’ già tanto se si riescono ad insegnare equazioni, integrali, derivate, ecc. Gli algoritmi richiedono applicazione, tempi lunghi, dedizione maniacale”.

Lettura delle altre società. Il distacco profondo tra l’Italia e il resto del mondo nella formazione tecnica e professionale è più ampio che altrove. Gli studenti dei tecnici e dei professionali devono imparare a leggere il mondo, non a leggere Verga, Pirandello o Dante. Qui si tratta di scelte strategiche: i nostri studenti degli istituti tecnici e professionali leggono male la nostra letteratura, mentre non sanno da parte cominciare a leggere società diverse dalla nostra. Anche in questo caso non si tratta di “riformare” l’italiano o la storia, ma proprio di introdurre nuove materie. Non più studio della letteratura, ma “lettura” del mondo attraverso la multimedialità, la conoscenza delle lingue, la comprensione di modelli di sviluppo e dei cambiamenti storico sociali. Si tratta di introdurre la materia più sconosciuta nella scuola italiana: la conoscenza della realtà qui e oggi.

 

RICERCA E SVILUPPO

Dice l’Europa: ­“il 3% del PIL dell'UE deve essere investito in Ricerca & Sviluppo”. Questo è un parametro Europeo, non italiano e dunque basta che finlandesi, svedesi e tedeschi lo applichino e poi si fa media. Mi sembra che in questo momento l’Italia  investa qualcosa come l’1% e dunque un salto dall’1 al 3 pare impossibile. Tra l’altro gran parte della ricerca italiana è in mano a ricercatori non più giovani o a ricercatori precari. Poiché il modo con cui l’Italia si occupa di Ricerca & Sviluppo è folle, dovrebbe essere semplice cambiarlo. Non è così anche perché chi ha bisogno di più ricerca e di più sviluppo (gli Istituti Tecnici e Professionali) non le chiede, ma anzi chiede che tutto rimanga uguale. Può darsi che la Riforma Gelmini del secondo ciclo dell’Istruzione sia sbagliata, ma tra quella poca innovazione che introduce e il nulla che molta parte della scuola vorrebbe credo sia necessario accettare la sfida e cercare di introdurre più innovazione e ricerca possibile.

         Nel momento della loro massima espansione Microsoft, Google e Yahoo dedicavano il 10% del loro bilancio annuale alla Ricerca. Io credo che nelle nostre scuole quel 10% dovrebbe essere raddoppiato, perché non possiamo più continuare a fornire conoscenze obsolete a ragazzi svegli. Chissà che l’Europa non ci salvi ancora e che qualcuno non prenda sul serio quei parametri. Oggi più della speranza non possiamo avere.


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