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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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               Contenuti vs saper insegnare

Nel suo articolo apparso sul Messaggero il 14-03-2009 col titolo "Tornare ai contenuti, la sfida della scuola "  il Prof. Giorgio Israel così afferma:

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"Una “valanga” di 5 in condotta e di insufficienze nella scuola. Ma è proprio così?.... 35 mila discoli su due milioni e mezzo di studenti è un numero incredibilmente basso che non dimostra che la scuola è un paradiso, bensì che gli insegnanti non riescono a imporre la disciplina."......

"Per quanto riguarda le insufficienze, pare che siano aumentate rispetto all’anno scorso. Ma si tratta di aumenti modesti, dell’ordine di un’unità percentuale o poco più, che dicono poco..."

 

"In conclusione, sono dati che non indicano alcuna apprezzabile crescita di rigore da parte degli insegnanti sia sul piano della condotta che su quello disciplinare e non dicono nulla di decifrabile per quanto riguarda il rendimento degli studenti."

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Strana questa sua argomentazione, prof. Israel. Forse non si è accorto del rischio delle sue affermazioni. La Gelmini, sua committente ed estimatrice, certamente la bacchetterà perché lei non può sminuire e svilire con le sue posizioni il frutto di tanto lavoro del ministero, che ha faticato duramente e per lunghi mesi al fine di partorire le disposizioni in materia di valutazione del comportamento e degli apprendimenti; dal Decreto ministeriale n.5/2009, alla Circolare n. 10 del 23 gennaio '09, all'ultimo Schema di Regolamento del 13 marzo '09. Lei in pratica dice alla sua ministra che tutto ciò su cui lei si sta spendendo e giocando la propria immagine di ministro dell'intransigenza, della fermezza e del rigore, con la quale vuol passare alla Storia, non serve a niente. Non produce risultati, non caccia nemmeno un "bullo" dalla scuola. Non riconduce all'ordine "gli insegnanti che non riescono a imporre la disciplina". La ministra, poverina, dal canto suo ignora che non si fa fatica in Italia a trovare qualcuno che sia sempre un po' più intransigente e severo degli altri.

A quanto pare, per lei Prof. Israel il numero dei voti pessimi è troppo esiguo perché la ministra se ne possa vantare e trarre merito come il suo collega Brunetta a proposito dei fannulloni. Me lo faccia dire, Prof. Israel, lei non dimostra riconoscenza alcuna verso chi le sta dando lustro ed evidenza. Rischia di fare la fine del Prof. Bertagna, suo opposto pedagogico, nonostante la Moratti e la Gelmini appartengano allo stesso partito del Presidentissimo. Triste fine dei pedagogisti di Stato "usa e getta" a dimostrazione della vuotezza culturale della destra italiana in merito ai problemi della scuola. Se lei non vuol fare la fine del buon Bertagna, dica che i votacci sono tanti a dimostrazione che finalmente la scuola sta diventando più severa e la cura Gelmini sta facendo effetto.

E poi, mi tolga una curiosità, perché 35.000 alunni è un numero statisticamente irrilevante? Affinché il numero degli asini e dei maleducati sia rilevante a quanto dovrebbe ammontare? Faccia lei, 70, 100, 300 mila, quanti?. Curioso come sono mi piacerebbe sapere la stima ponderale di quanti necessariamente devono essere gli asini e i maleducati su 2 milioni e mezzo di studenti, affinché la proporzione sia accettabile e il rapporto sia considerato naturale e ottimale per dare luogo ad una scuola seria ed efficace. E poi mi piacerebbe sapere, già che ci siamo, in base a quale teoria simil-malthusiana la proporzione è così determinata. Forse se sapessimo prima che, poniamo su 10 alunni, 3-4 non possono farcela per natura o per cultura, comunque non importa, potremmo cercare di individuarli preventivamente e farli fuori (scolasticamente si intende) per salvare il sistema e garantirci il merito e l'eccellenza. E così la finiremmo una volta per tutte con il buonismo, il sessantottismo, l'asinismo, il pedagogismo ecc.

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"Forse sarebbe il caso di affrontare la valutazione dello stato della scuola italiana al di fuori dell’ossessione per le cifre e per le percentuali. Magari fosse soltanto una mania nazionale, ereditata dal Duce che ne era talmente affetto da consultare continuamente statistiche e tabelle..."

"Purtroppo è una mania dilagante. Viviamo nell’era della metrica. Tutto attorno a noi viene standardizzato, quantificato e misurato..."

 

"...si critica anche l’ingenua pretesa di ottenere con i numeri valutazioni semplici e oggettive: i numeri sembrano oggettivi ma la loro oggettività può essere illusoria. I numeri...non sono intrinsecamente superiori a giudizi ponderati."


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No, Professore. Questo proprio non lo doveva dire. La ministra ha fondato la politica del suo ministero su cifre, percentuali, statistiche che, come un rosario, snocciola ogni volta, e sempre nello stesso modo, nei vari salotti televisivi, su organi di stampa ecc. per dimostrare il teorema (indimostrato e indimostrabile) secondo cui in Italia si spende troppo per la scuola (che poi non è vero) e pertanto, facendo tagli rilevanti, necessariamente e di gran lunga aumenterà la qualità della stessa.

Ha inoltre guidato la Crociata per il ritorno al voto espresso in numeri decimali nella scuola primaria attuando il dettato pedagogico del ministro dell'economia Tremonti (Un voto, Un libro, Un maestro, come corrispettivo nell'educazione della più generale triade fascista  "Dio, Patria e Famiglia"). Ancora oggi la ministra continua a ritenersi fiera di aver operato un rivoluzione copernicana nel campo della valutazione con la sostituzione del "giudizio", troppo didattichese, poco chiaro e incomprensibile a sua detta,  con il voto espresso in numeri perché i numeri sono chiari, oggettivi.

Così assistiamo ad una curiosa situazione in cui lei Professore, che è matematico, mette in guardia dalla "oggettività illusoria" dei numeri, mentre la ministra Gelmini e il suo maestro Tremonti che nella matematica e nella scuola non vantano competenze specifiche, sostengono il contrario. Noi persone di scuola abbiamo tante volte e in tutti i modi cercato di dire al duo Gelmini-Tremonti le stesse cose che sostiene lei, ma non ci è andata bene, perché chi critica è necessariamente di sinistra, sessantottino, ideologico e via snocciolando. Speriamo che sentano almeno lei che non è prevenuto, non è sessantottino, non è di sinistra, non è ideologico e quel che è più, lei è uno scienziato dei numeri.

A cifre, percentuali, numeri demandano una verità oggettiva che non si ha voglia di andare a cercare nel suo habitat naturale in cui vive, nelle scuole, negli ambienti di apprendimento; ma anche lì è tuttavia difficile coglierla nel suo permanente stato di liquidità dato dalla relazione tra le strutture materiali, le risorse, i bisogni, i condizionamenti ambientali e le storie, i processi vissuti e il modo di pensarli e rappresentarseli da parte degli attori sul campo. Non si cambia la scuola con la legge finanziaria, né con decreti e circolari necessitati dalla stessa, condendo il tutto con un grembiulino qua e un voticino là.

E poi, sta chiamando eredi del Duce la sua ministra e il suo Presidentissimo? Incauto. Lei sta affermando ciò che tanti sessantottini e, quel che è peggio, pedagogisti vil razza dannata hanno cercato di dire in questi mesi, a proposito del malessere della scuola; inascoltati dai media e pubblicamente messi alla gogna dalla ministra.

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"La scuola italiana va male, comprese le elementari, e non servono numeri per constatarlo, anche se pure le rilevazioni quantitative più recenti lo confermano."

"Dalla matematica alla storia, dalla geografia alla fisica, è l’immagine di un autentico disastro culturale."

"E per verificare cosa e come si insegna esistono indicatori di contenuto molto più attendibili di incerte manipolazioni numeriche: i programmi, che si desumono dalle “indicazioni nazionali”, i libri di testo circolanti e l’esperienza sul campo."

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I suoi giudizi sulla scuola, anche quelli particolarmente accaniti e livorosi contro la scuola elementare, sono scolpiti nella roccia e non ammettono replica. Sono assunti quasi a principi di fede o assiomi laici. Per il benessere interiore e per onestà intellettuale non farebbe male qualche ombra di dubbio, dialogicità e problematicità, quanto meno di disponibilità e attesa verso studi e verifiche che processino le ipotesi interpretative, con un atteggiamento e un approccio, qui sì, scientifico. Occorrerebbe almeno lasciare aperta la possibilità alla considerazione che la scuola non è un monolite monoblocco tutta uguale dalla Sicilia alla Val d'Aosta, dalla periferia urbana delle metropoli alle piccole frazioni di montagna. Lo stesso fatto che una scuola si trovi in un paesino sui Monti Peloritani oppure nella centralissima Milano comporta delle differenze enormi, da tutti i punti di vista, a cominciare dai contenuti e dalle forme dell'apprendimento e dell'insegnamento. E pertanto non abbiamo "una" scuola o "la" scuola, ma tante scuole, tante problematiche. Le scuole sono quasi come le classi, è molto difficile che ce ne siano due uguali. Se tali appaiono è un problema nostro che vediamo solo le somiglianze e trascuriamo le differenze, che ci sono e tante.
Per verificare lo stato di salute della scuola italiana non sono sufficienti gli indicatori tutti verticali che lei propone e sugli stessi, comunque, occorrerebbe discutere molto.

Perché le Indicazioni, sono Indicazioni e non Programmi.

Perché i libri di testo sono tanti, i materiali che li accompagnano e il modo di lavorarli da parte degli insegnanti sono infiniti.

Perché l'esperienza sul campo può dire tanto, ma può dire poco o niente nello stesso tempo, se non è "trattata", ma lasciata ai si dice da parte di "molti insegnanti che conoscono la situazione sul campo".

Insomma materia di cui discutere non manca, se si vuole ricercare e approfondire in vista di iniziative che nel concreto smuovano le situazioni problematiche, difficili e diano la possibilità di costruire politiche scolastiche condivise dagli attori protagonisti. Con gli anatemi (altro che "giudizi ponderati") contro la scuola ("autentico disastro culturale"), contro gli insegnanti ("persone dedite a fabbricare teste vuote mal fatte"), non si va da nessuna parte, non si cambia niente e nessuno, non si creano neppure le premesse per il cambiamento.

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"la scuola italiana ha conosciuto fino a una trentina di anni fa soltanto insegnanti formati in modo puramente “trasmissivo” e senza la formazione al “saper insegnare”. Eppure era una delle scuole migliori del mondo."

"l’ideologia delle “teste ben fatte” piuttosto che piene è penetrata nella scuola italiana da un trentennio ed è divenuta un luogo comune ossessivo"

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E' molto difficile interloquire con chi chiama a un banale referendum in cui votare seccamente per scegliere se si è per "i contenuti" o per "il saper insegnare", per “teste ben fatte" (piuttosto che piene), o piene (piuttosto che ben fatte). La teoria che è a fondamento di questo referendum non solo non la conosco, ammetto la mia ignoranza, ma non riesco nemmeno ad immaginarla. Se si vuol rimanere nel banale si può rispondere che ci vogliono gli uni (i contenuti) e l'altro (saper insegnare). Che il saper insegnare senza la conoscenza del "cosa" insegnare non ha senso, è inconcepibile, oltre che impossibile. Che i "contenuti" senza le capacità professionali dell'in-segnante, sono "oggetti" vuoti e insignificanti, non viaggiano da soli, non si strutturano da soli, non si impongono da soli nella testa dello studente, ma tutto ciò unicamente con l'empatica e co-operante azione e relazione tra insegnante e allievo in un "ambiente di apprendimento" favorevole.
La querelle tra disciplinaristi, da un lato, e pedagogisti (filosofia, psicologia, didattica, metodologia) dall'altro ormai è vecchia, fuori moda, superata dall'evoluzione delle scienze della formazione.

E' possibile che ancora dobbiamo ripeterci che conoscere una disciplina non implica automaticamente e naturalmente essere in grado di insegnarla al meglio? Lo sanno tutti e soprattutto i docenti. Non è una bella cosa trovarsi davanti una classe e avere in dotazione solo il "cosa" insegnare (i "contenuti" disciplinari) mentre per il "come" (didattica) si cerca di ripescare nella memoria il modello dei propri vecchi docenti per fare come loro hanno fatto. Il "cosa" e il "come" dell'insegnamento e dell'apprendimento non possono essere considerati separatamente, né tanto meno messi l'uno contro l'altro. Servono i saperi disciplinari, le scienze della formazione, le "sensate esperienze" sul campo. Le esperienze non saranno "sensate" solo per il genio personale dell'insegnante, che elabora in magnifica ed ispirata solitudine, ma grazie ad un processo di formazione continua in servizio in cui al contempo si approfondiscono i saperi disciplinari e si affina la didattica, il "cosa" e il "come". Non dimenticando il "chi", l'alunno. Non c'è insegnamento efficace se non c'è apprendimento efficace. Non c'è apprendimento efficace se non si conosce com'è fatto dentro l'alunno. Come per l'alunno al giorno d'oggi, non trent'anni fa, si ritiene che non basta imparare, ma occorre imparare ad imparare, anche per l'insegnante, oggi, non trent'anni fa, si ritiene che non solo debba insegnare, ma debba continuamente imparare ad insegnare, studiando l'evoluzione dei saperi propri delle scienze della formazione.

Cosimo De Nitto

 

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N.B.  Non mi piacciono termini e espressioni come "contenuti" e "saper insegnare":

- "contenuti" vuol dir tutto e niente allo stesso tempo, troppo indeterminato e poi rimanda sempre ad una sorta di dualismo inaccettabile col "contenitore". Meglio, per me, conoscenze, nozioni, informazioni, saperi, concetti, teorie ecc.;

- al posto di "saper insegnare", troppo vago, userei "competenze professionali".


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