Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo

Ricerca

 

Il coraggio d’insegnare
fra istituzioni lontane e drammi esistenziali

di Luciano Corradini

 

Sul piano politico istituzionale l’inizio dell’anno scolastico ha visto il discusso avvio, per volontà e con la regia del Ministero, della minisperimentazione nella scuola materna ed elementare e il primo varo, in commissione Cultura al Senato, del disegno di legge delega che va sotto il numero 1306. Seguiremo l’una vicenda e l’altra, interessati a che si ricavino i maggiori lumi che sia possibile dalla sperimentazione nella scuola primaria, che introduce nuove strutture e nuovi strumenti e che ci sembra riduttivo chiamare semplicemente "controriforma", anche se ricupera la figura del maestro prevalente.

 

Minisperimentazione e riforma

Come ritenemmo che la 148/1990 non si giustificasse solo per ragioni sindacali, così ora riteniamo che il disegno riformatore non si giustifichi solo per ragioni di risparmio. Che tuttavia sono pesanti e rischiano di compromettere la riforma e la qualità della scuola che si dichiara di voler migliorare. Certo si fatica a comprendere come le obiettive ragioni che inducono a ridurre la spesa pubblica non valgano anche per i cospicui rimborsi elettorali che i partiti si sono assicurati, e per gli emolumenti dei parlamentari, nazionali e regionali, che non sembrano certo ispirati alla logica dell’austerità. Si potrebbe continuare elencando gli sprechi, ma noi non vogliano "buttare tutto in politica", per condannare i limiti della maggioranza o quelli dell’opposizione e più in generale i limiti della classe politica, col rischio di cadere nel qualunquismo e di autoassolvere la cosiddetta società civile e il mondo della scuola.

Per questo dobbiamo fare ogni sforzo per non spiegare tutti i comportamenti in termini lineari e di interessi di corto respiro. Si tratta di questioni rilevanti, su cui si è svolto un primo dibattito in aula al Senato, fra maggioranza e opposizione, che è stato definito un dialogo fra sordi. Nel dibattito che anche l’UCIIM ha svolto, nel suo consiglio nazionale del 28 e 29 settembre, noi abbiamo auspicato che, al di là dell’esaltazione e della denigrazione ufficiale, che appartengono alle logiche non sempre chiarificatrici della dialettica parlamentare, si approfitti di questi passaggi ufficiali per alimentare anche quella democrazia qualitativa che non si rassegna a registrare le vittorie delle maggioranze numeriche, necessarie ma non sufficienti a governare il paese nella prospettiva dei tempi lunghi, e si cerchi di suscitare interesse e amore per la scuola e per i ragazzi, al di là delle ragioni dei contendenti. Non dimentichiamo che, di fronte alla provocatoria proposta di Salomone, fu la madre vera a rinunciare alla sua metà di figlio.

 

Due giornate per riflettere e per impegnarsi

Per questo vorremmo spostare l’attenzione su due questioni che riguardano proprio i comportamenti dei ragazzi, e su due ricorrenze appartenenti a liturgie laiche (si tratta del 5 e dell’8 ottobre, dedicati rispettivamente agli insegnanti e al rapporto fra genitori e scuole), che sono occasioni per avviare e tenere aperto, non per archiviare con una celebrazione ufficiale, un discorso intorno ai valori che si vogliono segnalare agli addetti ai lavori e all’opinione pubblica. La data del 5 ottobre è la ricorrenza della giornata mondiale dell’insegnante, istituita dall’UNESCO nel 1993 e ricordata in Italia da un documento che abbiamo firmato insieme alle altre associazioni professionali con cui stiamo facendo un tratto di strada che ci auguriamo lungo e utile.

La data dell’8 ottobre è la prima giornata proposta dall’EPA in tutta Europa, per ricordare il nesso, anche se non sempre il felice rapporto, fra genitori e scuola. Questa iniziativa ha avuto il patrocinio della Commissione europea e il sostegno del MIUR. Noi aderiamo in modo convinto, anche partecipando a varie manifestazioni in diverse sedi, così come abbiamo sostenuto la giornata dell’insegnante. Lo facciamo misurando le difficoltà e le potenzialità dell’impresa, avendo negli stessi giorni meditato su due problemi che chiamano in causa a diverso titolo il mondo dei ragazzi e quindi le nostre scuole e la nostra professione.

 

Fatti sconvolgenti e appelli

Il primo riguarda il delitto di Leno. Il sedicenne Nicola ha ammazzato la quindicenne Désiré, che lo aveva rifiutato. Aveva comprato un coltello al supermercato.Aiutato da un quattordicenne e da un sedicenne, suoi amici. Prima di colpire, si è tolto il giubbotto di pelle, per non sporcarlo. Hanno denudato e occultato il cadavere della ragazza di cui sembra che Nicola non potesse fare a meno. E dopo, per una settimana, ha telefonato ogni giorno ai famigliari di Desirée, per sapere come andassero le ricerche. Si è tradito con una telefonata maldestra, poi è crollato, la notte fra il 3 e il 4 ottobre. Due famiglie, una scuola, una comunità, l’intero Paese si chiedono perché. Ci sarà il solito complesso iter processuale. Gli psichiatri diranno che il ragazzo è normale, come gli altri due, e questo aumenta lo sgomento. Come un videogioco.

Grazia Piovanelli, madre di Desirée, lancia un appello che dev’essere meditato e accolto: "Aiutateci, ascoltateci, fate qualcosa per questi ragazzi". Anche il sindaco di Leno usa parole pesanti e pensate: "In noi tutti c’è rabbia, non potrebbe essere diversamente. Ma siamo anche coscienti che solo col dialogo potremo superare una ferita così lacerante"

Sulla prima pagina di La Repubblica del 4 ottobre il prof Marco Lodoli lancia un grido di allarme in un articolo dal titolo "Il silenzio dei miei studenti che non sanno più ragionare".

"A essere massacrate, ha scritto, ancora ignaro del massacro di Leno, sono le intelligenze degli adolescenti, il bene più prezioso di ogni società che vuole distendersi verso il futuro".

Immaginando lo stupore di chi legge, Lodoli precisa: " Veramente non capiscono nemmeno chi sono e cosa stanno facendo, spesso non sanno più incollare una parola all´altra, un pensierino a un altro pensierino. Sono perduti in una demenza progressiva e spaventosa".

Il discorso si dilata: "Il nostro mondo è in pericolo non solo per l´inquinamento, la violenza, l´ingiustizia, il prosciugamento delle risorse prime. La nostra civiltà rischia grosso soprattutto perché la confusione sta producendo esseri disadattati, creature che non saranno in grado di cavarsela, milioni di giovani infelici che strada facendo -la strada che noi adulti abbiamo disegnato - hanno perduto il pensiero".

"Gli insegnanti, aggiunge, si fanno in quattro, cercano di rendere le lezioni più chiare, più dirette, si disperano e si avviliscono, ma non c´è niente da fare, le parole si perdono nel vento, sono semi che rimbalzano su una terra asciuttissima che non fiorisce mai". A lui questi giovani "sembrano solamente l´avanguardia di un mondo diretto verso le tenebre". E conclude sconsolato: "Sono semplicemente un testimone quotidiano di una tragedia immensa".

Non è il caso di minimizzare, ironizzando magari sul fatto che è lui che non capisce i giovani e che non sa fare il suo mestiere, e magari che frasi del genere si trovano anche presso i sumeri. Non si può lasciare marcire quello che lui chiama "pensiero atroce".Se il suo vissuto è questo e se è fondato su elementi di realtà, va preso sul serio, non per gettare la spugna, ma per approfondire la questione e per cercare nel dialogo confronti e alleanze fra colleghi, con i genitori e con gli stessi studenti.

 

Decontestualizzarsi con Comenio, per capire e per ricominciare

Per iniziare soltanto ad abbozzare qualche risposta,vorrei rileggere una pagina di Comenio, il vescovo ceco vissuto durante quella Guerra dei trent’anni, che non dev’essere stata più facile della nostra epoca per un educatore come lui, capostipite dei pedagogisti moderni. "E se fossero proprio i precettori la causa del disgusto verso gli studi? Giustamente Aristotele ha detto che è innato negli uomini il desiderio di sapere… Ma poiché talvolta la blanda indulgenza dei genitori corrompe nei figli quel desiderio naturale, oppure una compagnia frivola li porta verso futilità, o essi stessi, presi dal le mille occupazioni della vita civile e pubblica, o dal sorgere di circostanze esterne, sono condotti ben lontani dai piaceri innati dell’animo, ne deriva che non c’è nessun desiderio di ciò che non si conosce; e che con difficoltà riescono a ravvedersi. Come quando la lingua è impregnata da un sapore, le è difficile giudicarne un altro, così se la mente è tutta occupata da una parte, non fa attenzione a ciò che le viene offerto dall’altra".

"Nei fanciulli, quindi, per prima cosa si deve scacciare ogni sopraggiunto torpore e ricondurre la natura alla sua propria forza. Allora certamente tornerà il desiderio di sapere. Ma quanti di coloro che si assumono l’incarico di educare la gioventù pensano di renderla per prima cosa adatta a ricevere quest’educazione?".

Il discorso sarà forse ingenuo, ma va nell’unica direzione che lasci qualche spiraglio alla nostra professione e alla speranza di futuro.

 

Ricontestualizzarsi in una società confusa e sintonizzarsi con voci intonate

E’ vero. Noi percepiamo che nella società dei consumi la capacità di sublimazione si riduce, il senso dell’insieme si sfilaccia, come il rapporto fra presente, passato e futuro. L’idea del bene comune, sia entro il microcosmo dell’individuo, sia nel macrocosmo della società, ai diversi livelli, non più sorretta da un ethos condiviso, da un pathos durevole e da istituzioni capaci di contenere e di canalizzare in senso collettivo pensieri e sentimenti, perde progressivamente la sua funzione vincolante e orientante.

Chi deve rappresentare un’istituzione o svolgere una funzione direttamente educativa soffre per questa complessità disarticolata e per la difficoltà di contrastare tutti i tentacoli con cui la piovra della diseducazione e della resistenza all’educazione cerca di ostacolare l’adempimento dei propri compiti istituzionali. Al di là di immagini più o meno spaventose e deprimenti, una rappresentazione realistica della realtà, non disgiunta dall’etica e dall’idealità che caratterizzano le professioni educative, non può che aiutare la messa a punto di idee e di atteggiamenti orientati a ridurre i danni e ad aumentare i successi formativi.

Mentre scrivo, ricevo da Acquaviva delle Fonti il messaggio di un ragazzo che ha partecipato a Toronto alla GMG. Mi dice che hanno fatto una mailing list di 300 ragazzi e che sono contenti di comunicare su cose belle e importanti. Il luogo, il "tacco" di un’Italia vicina all’Albania, e lo stesso nome di quella cittadina mi portano una brezza leggera di speranza. Non solo dalla storia del passato, ma anche dalla geografia del presente viene l’aiuto a ripulirsi gli occhi e a riaprire le orecchie.

Quando noi pensiamo che i ragazzi siano troppo cattivi o troppo stupidi o troppo svogliati per giustificare il tempo che dedichiamo loro, siamo vicini alla fine della nostra professione. Il 5 ottobre abbiamo invece confermato, con i colleghi di tutto il mondo, che noi non vogliamo mollare. Lo slogan è: "Ogni giorno gli insegnanti creano il dialogo".


La pagina
- Educazione&Scuola©