Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Dibattito a Tre

 di Maurizio Tiriticco

 

Ho sotto gli occhi la relazione che Bertagna non ha potuto svolgere al convegno SDI il 14/12 e l’articolo del Corsera del 16/12. Rapidamente vi rappresento alcuni punti che ritengo chiave ai fini di un approfondimento dei vostri scritti.

1.           Apprezzo molto il vostro lavoro, defatigante e coraggioso. Però, in primo luogo, adoperatevi perché si cancelli quell’orribile termine di bipartisan che sa tanto di pastetta della peggiore specie, quando è invece più che giusto che si proceda il più possibile “insieme” per affrontare la difficile sfida della riforma del sistema di istruzione.

2.           Va sostenuto un Sistema di Istruzione Pubblica con apporti diversi, pubblici in senso stretto (Stato, Regione, Comune et al.) e in senso lato (paritari, enti, privati in genere); va superato il concetto di scuola di Stato e, conseguentemente va superata la sterile contrapposizione “scuola di Stato – scuola privata” che aveva un senso ai tempi dell’ADESPI, ma che oggi è solo di retroguardia e ci fa perdere di vista gli obiettivi reali. E va, peraltro, difesa e applicata la Legge 62/2000.

3.           Le vie da percorrere sono già tracciate da due importanti innovazioni istituzionali e costituzionali, il processo autonomistico (che, tra l’altro,  non investe solo della scuola) e la Legge Cos. 3/2001.

3.1         Il DPR 275/99 (che regolamenta la Legge 59/97) afferma che: a) il sistema di istruzione si deve far carico di educazione, istruzione, formazione (tre concetti molto forti, che hanno precisi significati e che indicano ben precisi impegni); b) il sistema di istruzione deve garantire a ciascun cittadino/alunno il successo formativo (art. 1, c. 2); c) vanno definiti obiettivi nazionali (sic!) e percorsi funzionali alla realizzazione del diritto ad apprendere. (specificherei, ad un apprendimento efficace!) (art. 4, c 1). Sono tre indicazioni di intenti che da sole sconvolgono tutto l’impianto del sistema scolastico che è ancora vigente!

3.2         Il Titolo V Cos. affida allo Stato la potestà legislativa esclusiva per quanto riguarda le “norme generali dell’istruzione” e la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. Quest’ultimo comma richiama l’articolo Cos. n. 2 che recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, (e la scuola è una formazione sociale, n.d.a.), e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

3.3         Tocca pertanto allo Stato definire i curricoli – come recita l’epigrafe dell’art. 8 del DPR 275/99 – in cui vanno indicati gli obiettivi generali del processo formativo, le discipline, gli standard relativi alla qualità del servizio e tutto ciò che dal medesimo articolo è indicato.

4.           Non occorre, quindi, scrivere Programmi – e lo dite anche voi – ma la norma non dice neanche che bisogna scrivere Indicazioni, che poi devono essere stemperate e mitigate da Raccomandazioni. Occorre allora che centralmente si “scriva” solo quello che detta l’articolo 8 e lasciare che siano le scuole (magari ai livelli di reti e consorzi, interagendo con le istanze del territorio, come si evince dal D. Lgs 112/98. Mi limito a ricordare che è delegata alla Regioni – tra altre – la seguente funzione amministrativa: la programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale) a declinare gli obiettivi generali e gli standard di qualità in ordine alle situazioni in cui operano e alle vocazioni socioculturali del territorio, ma coordinate con quelle dell’Unione europea (in un mondo che si globalizza occorre evitare ogni ghettizzazione e marginalizzazione!). Obiettivi e standard vanno “manu-tenuti”, monitorati, corretti, aggiornati anno dopo anno da un comitato ad hoc, stante lo sviluppo sempre più veloce delle conoscenze, dei saperi, delle tecnologie, dei profili professionali.

5.           La questione dell’obbligo

5.1         Obbligo di istruzione (l’espressione obbligo scolastico non è corretta: è la Cos. art. 34,che parla di istruzione inferiore obbligatoria e gratuita!) – Le leggi 9/99 e 30/2000, a tutt’oggi non abrogate (qualsiasi “sospensione” di sorta non ha validità giuridica!), prescrivono un obbligo di istruzione di 10 anni, che, tuttavia, in sede di prima applicazione ha la durata di 9 anni e si deve adempiere nella scuola secondaria di Stato. A mio vedere, va recuperato ed attuato l’obbligo decennale. Semmai, si potrebbe prevedere che dopo la licenza media (dopo il 14° anno di età) gli alunni possano adempiere gli ultimi due anni anche nell’istituendo sistema di istruzione e formazione professionale purché gli obiettivi terminali essenziali dell’obbligo medesimo e la qualità del servizio siano indicati centralmente. Ma è una norma che va ben ponderata e scritta… Si pensi alla sentenza del TAR Lombardia a proposito del protocollo MIUR-Regione!

5.2         Obbligo formativo – l’impostazione normativa è corretta, va attuata ed incrementata.

5.3         Il diritto-dovere dodecennale di cui al ddl 1306 non mi convince ed apre le porte ad ogni possibile scelta di percorso (in quali scuole, con quali curricoli, con quali obiettivi?) che favorirebbe un impoverimento di una formazione iniziale essenziale, non “minima”, forte ed unitaria valida per tutto il territorio nazionale.

5.4         Mi sembra che la stesura del Profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del primo ciclo di istruzione (6-14 anni) che compare nei documenti propositivi del ministro Moratti in effetti nasconda questo disegno: con la scuola media si conclude un primo ciclo obbligatorio (per altro dissolto nel dodecennio!) e, per quanto riguarda il percorso successivo, si aprono tutte le possibili porte, anche nella FP regionale o chissà dove… senza alcun controllo centrale di sorta.

6.           La questione del nesso tra istruzione che possiamo chiamare “gratuita” e istruzione “finalizzata”. Quando tutti hanno gridato al lupo al lupo alla prima uscita della proposta Moratti, io non mi sono affatto scandalizzato. Tutti accusavano la Moratti di voler instaurare un sistema duale, una scuola per i ricchi ed una per i poveri! Ma non si erano mai accorti che nel nostro Paese un sistema duale sui generis è sempre esistito?! E che la stessa Legge 30 lo lasciava tale e quale? Ma… se in quella proposta, per la prima volta, anche se in modo assolutamente rozzo e impasticciato si voleva proporre il problema di un rapporto corretto tra i due sistemi, allora… parliamone!

6.1         Bertagna e Maragliano affermano – e sono d’accordo! – che vanno superate, e definitivamente, alcune barriere, ereditate da una visione della cultura e dell’educazione funzionale ad una scuola “divisa” (liceo e addestramento professionale), funzionale ad un lavoro a sua volta “diviso” (intellettuale e manuale) e funzionale una società a sua volta “divisa” (i “ricchi” e i “poveri”, per dirla con larga approssimazione!). Le barriere sono:

-                        la divisione tra percorsi curricolari e non curricolari; in effetti ogni percorso, se è formativo, è un curricolo;

-                        la divisione rigida e arbitraria tra le discipline in funzione di una visione modulare dei processi di insegnamento/apprendimento;

-                        la divisione tra materie generali, di base, culturali e materie di indirizzo, professionali, in funzione di una unitarietà dei saperi;

-             la divisione tra professioni “alte” e “mestieri” di basso profilo; in effetti è in atto una rilettura completa dei profili professionali che tutti richiedono conoscenze, competenze e capacità di elevato profilo.

-            se si vuole, la divisione tra educazione e istruzione, tra atteggiamenti e comportamenti, tra condotta e profitto e relativi voti.

6.2         Afferma BertagnaLa «formazione professionale», finora, è stata considerata dal punto di vista del lavoro e non della persona. Con la «formazione professionale» si impara un mestiere, ci si adatta alle dinamiche economiche del mercato, ma non si cresce in cultura e non ci si educa come persone. Questa concezione, tuttavia, non è più presentabile, oggi. Ed è così. La Legge quadro in materia di formazione professionale n. 845, che è del 1978, afferma chiaramente che la FP è “strumento della politica attiva del lavoro, si svolge nel quadro degli obiettivi della programmazione economica e tende a favorire l'occupazione, la produzione e l'evoluzione dell'organizzazione del lavoro in armonia con il progresso scientifico e tecnologico”. E’ la legge che 24 anni fa sanciva la separazione tra due concezioni della formazione: da una lato quella finalizzata al proseguimento degli studi e alle professioni che una volta si chiamavano liberali; dall’altro quella finalizzata ai riequilibri del mercato e dell’occupazione!

6.3         Ma molti di noi, consapevoli che il diaframma tra i due settori formativi, quello “nobile” e quello “meccanico”, sotto i profili culturale, civile, educativo – e con i cambiamenti che già 20 anni fa si avvertivano nel sociale – si sono sempre adoperati per nobilitare il secondo. Il Progetto 92 (Istr. Prof.), l’area di Progetto (Istr. Tecn.), il Progetto 2002 hanno profondamente rinnovato da oltre un decennio l’istruzione professionale e tecnica arricchendole di contenuti forti, proprio al fine di superare la separatezza delle “due culture”. Ma anche nella Formazione professionale si sono fatti grossi balzi in avanti (ho esperienza diretta dell’ENAIP!). E’ tutto un patrimonio che va assolutamente valorizzato, in quanto orienta per gli stessi processi di innovazione!

7.           Veniamo al dunque delle prospettive che si aprono dopo il varo del Titolo V!

7.1         Non sono assolutamente d’accordo con Bertagna quando scrive: “In tempi più o meno rapidi dovrà essere regionale, accanto all’attuale formazione professionale (che interessa il 5,5% degli studenti oltre i 15 anni), anche l’attuale istruzione professionale statale (che coinvolge il 20% degli studenti a partire dai 14 anni) e quella parte di istruzione tecnica statale (39% sul totale degli studenti dai 14 ai 19anni) che rilascia diplomi ad alta terminalità professionale (circa il 50% degli istituti tecnici esistenti)”. La norma Cos. è una cosa, la sua applicazione un’altra! L’art. 117 dice: “Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a:… istruzione, fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale…”. La norma detta una linea di principio e non dice che gli istituti professionali e una parte di quelli tecnici debbono passare sic et simpliciter alle Regioni!!! Saranno le leggi e i regolamenti applicativi – e i dibattiti che le accompagneranno – ad indicare le scelte operative!

7.2         E’ noto che molti istituti secondari superiori in questi ultimi anni sono diventati “istituti comprensivi orizzontali” e che nel liceo x c’è una sezione professionale, come nell’istituto professionale y c’è una sezione classica! E quanti IP e IT si stanno consorziando, per giungere forti ad una eventuale redde rationem! In forza dell’autonomia, le offerte educative si stanno moltiplicando e vanno oltre gli ordini a cui siamo abituati! Ed ancora! Situazioni di stage, di tirocinio, di alternanza con regioni, imprese et al. danno vita a percorsi per certi versi assolutamente nuovi, proprio in forza di quella pluralità di offerte che un Sistema Pubblico di Istruzione consente, autorizza e sollecita! Si aprirà, così una stagione di corrispondenze in cui caso per caso Stato, Regioni, Istituti autonomi, Enti di formazione professionale nel quadro di una norma di cornice stabiliranno come, dove e perché attivare certi percorsi e non altri!

7.3         Insomma, occorre dar vita ad una pluralità di percorsi indotti, appunto, da un sistema pubblico di istruzione aperto e pluralista, e – non si dimentichi – interculturale anche, ma che persegua pur sempre obiettivi di profilo elevato, per tutti! Qui occorre la massima attenzione! Non sono d’accordo con Bertagna quando fa questa affermazione: “La scelta tra istruzione (liceale) e formazione (professionale) perde, quindi, la sua drammaticità alternativa ed assume piuttosto le vesti di un continuo adeguamento agli stili personali di apprendimento e ai personali progetti di vita che ciascuno ha il diritto di veder sostenuti. E’ una affermazione pericolosa! Gli stili personali di apprendimento e i personali progetti di vita in larghissima misura sono indotti dai condizionamenti sociali. E si correrebbe il grosso rischio di avallare differenze sociali come differenze personali e di imputare al soggetto la responsabilità di libere scelte che libere, invece, non sono affatto! Del resto ormai la stessa ricerca sociologica ed educativa riconosce che gli stessi concetti di capacità e di merito, come indicati nell’articolo Cos. 34, sono totalmente da rileggere… e da riscrivere!

Roma, 16 dicembre 2002

 


La pagina
- Educazione&Scuola©