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Il disadattamento sociale

di Vincenzo Ruiz

Si definisce disadattamento sociale l’incapacità di  accettare il gruppo e di vivere la vita di comunità la quale, talora, può condurre a una  avversione aperta degli altri.

E’ , però, necessario distinguere il vero disadattamento da quello che può essere un puro tratto temperamentale.

Infatti, non è necessariamente disadattato, sul piano sociale, il soggetto riservato, sensibile, silenzioso che preferisce essere chiamato che farsi avanti e la cui timidezza può portarlo a riflettere tutte le volte che deve stabilire un rapporto con gli altri.

Di contro, non sono da considerare particolari qualità sociali quelle di colui che sa attirare su di sé l’attenzione attraverso un comportamento chiassoso e stravagante, o che si intromette con naturale sfacciataggine in un gruppo di sconosciuti.

La vita e i rapporti sociali sono qualcosa di più di uno stile, di un atteggiamento o di un modo di fare: coinvolgono le motivazioni, la maturità affettiva e intellettiva, il senso degli altri, il modo di sentire se stessi in rapporto con gli altri.

E’ chiaro che vi possono essere delle cause oggettive a provocare il disadattamento: vi può essere un’ostilità evidente e dichiarata degli altri che impedisce ad un soggetto di sentirsi a proprio agio in comunità; ma vi possono essere anche dei fattori puramente soggettivi per cui quello che conta non è tanto ciò che realmente accade quanto piuttosto quello che ciascuno avverte.

Vi può essere un gruppo oggettivamente accogliente e affettuoso, sentito, tuttavia, come ostile e nemico, da un soggetto.

Può esservi, al contrario, chi non avverte alcun disagio, a vivere con compagni indifferenti, almeno entro certi limiti.

Ed è proprio da qui che nasce la necessità di  verificare individualmente il disadattamento sociale e di seguire ogni soggetto per vedere quale bisogno sociale presenti al fine di un pieno adattamento.

La sociometria può essere una prima strada per verificare tali bisogni .

Le libere scelte dei compagni che ogni ragazzo è invitato a fare per diversi ambiti di attività, non indicano, infatti,  solo l’attrattiva sociale, ma anche di quali compagni ciascuno ha bisogno.

Vi è chi, scegliendo compagni più forti e più bravi, dimostra un bisogno evidente di protezione e di sicurezza; vi è chi, scegliendo compagni più deboli e insicuri, dimostra il bisogno di compensare la propria insicurezza proteggendo altri o mettendosi a confronto con soggetti nettamente inferiori.

In ogni caso la conoscenza individuale di ogni soggetto è essenziale per impostare un adeguato piano di recupero.

Non bisogna, inoltre, dimenticare che il disadattamento sociale assume forme e gradi diversi: da lievi difficoltà di convivenza a forme  vere e proprie di delinquenza.

Ma ciò che maggiormente interessa, a livello scolastico, sono quelle difficoltà che solo raramente assumono forme delinquenziali e che possono essere individuate da una serie di sintomi.

Basti pensare al fatto che l’alunno socialmente disadattato si trova generalmente a disagio in presenza dei compagni: si sente inferiore a loro e vorrebbe essere diverso da come è.

Gli insegnanti potranno rendersi conto di tale condizione riuscendo a rilevare come, per esempio, questi soggetti, nel rapporto con gli altri, desiderino possedere abilità che non hanno o credono di non avere o desiderino essere diversi da come sono.

Vorrebbero, ad esempio, avere più prestigio e imporsi sugli altri per qualche dote o abilità, mentre questo risulta loro impossibile.

Possono essere convinti di non avere amici e avvertire il disagio di non essere invitati o preferiti dai compagni.

Un sintomo di  disadattamento sociale può essere trovato nel desiderio di  avere qualcosa che non si ha: non avere denaro da spendere, sentirsi vestiti male o in maniera diversa dagli altri, non sentirsi stimati quanto si desidererebbe.

Un tratto tipico di disadattamento sociale è l’isolamento, lo stare cioè, prevalentemente soli sia nel lavoro che nel divertimento.

A questo proposito  va notato che la solitudine, comunque vi si arrivi, crea sempre nuovi bisogni di isolamento e porta a una progressiva eliminazione dei rapporti sociali.

E’ questo anche il caso dei superdotati  intellettuali che, mentalmente troppo adulti per stare con i coetanei e fisicamente troppo immaturi per socializzare con gli adulti, molto spesso finiscono per crearsi un mondo di amici fantastici che difficilmente lasciano rischiando, in tal modo, di perdere sempre più il contatto con la realtà.

E’ chiaro che questi non sono che puri sintomi la cui presenza non sempre è sufficiente per individuare il disadattamento che è ,invece ,dato da una sindrome ben strutturata.

 Ciò non toglie che la presenza dei sintomi spesso è causa di destrutturazione della personalità.

Appare evidente che  chi nella scuola opera per aiutare la maturazione umana, oltre che la crescita culturale dei soggetti, non può non preoccuparsi di creare positive condizioni per un sano sviluppo affettivo ,  cercando, al tempo stesso,  di attenuare quelle cause che  ne favoriscono i disturbi.( la vita affettiva si può anche sviluppare  in maniera inadeguata o in forme deviate creando anomalie, specie nel carattere).

Il disadattato, molto spesso, assume aspetti particolari a livello scolastico dove la socialità non è solo una prospettiva futura, ma un tratto operante della persona del ragazzo.

La vita scolastica non deve risolversi, infatti,  in un puro rapporto a due, cioè nel solo incontro docente-discente.

 Essa è vita di comunità e, sia che si accettino sia che si ostacolino, i rapporti sociali non sono solo presenti ma operano come elementi strutturali all’interno della vita della scuola.

E’ inevitabile, talora, che quella incapacità di adattamento che potrebbe anche restare nascosta in famiglia e nei rapporti sociali occasionali, si riveli  improvvisamente nel momento in cui il soggetto è costretto a convivere, a collaborare, ad adattarsi alle norme e alle regole della comunità scolastica.

Da qui nasce per le istituzioni educative la necessità di risolvere il problema dei disadattati per far sì che essi trovino nella scuola un ambiente capace di  permettere loro di conseguire piena maturità  e adattamento affettivo; il tutto mediante strategie di qualità nuove in grado di affrontare realtà nuove, purchè la garanzia di qualità degli interventi non stia solo nelle “parole che si usano”, come diceva anche Platone.


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