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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Rilettura dell’educazione nella nostra Costituzione

di Margherita Marzario

Absract: L’Autrice svela le diverse facce dell’educazione così come emergono nella nostra Costituzione.

 

L’obiettivo (o la “mission”, mutuando un termine inglese usato per dire “mission aziendale” per indicare lo scopo ultimo di un’impresa, la giustificazione stessa della sua esistenza e ciò che la contraddistingue dalle altre) dell’educazione è la formazione della persona. Il testo legislativo più personalistico da cui trarre indicazioni per il percorso educativo è la Costituzione, testo che l’educatore don Lorenzo Milani citava spesso ai “suoi” ragazzi. Vari sono gli articoli in cui si parla espressamente di educazione, gli articoli 27 “rieducazione del condannato”, 30 “dovere e diritto dei genitori di educare”, 33 “istituti di educazione”, 35 “formazione e elevazione professionale” e 38 “educazione e avviamento professionale”. E’ paradigmatico che nell’art. 27 si parli di “umanità” e “rieducazione” per rimarcare che l’educazione è un percorso che si rinnova sempre per acquisire e riconquistare la propria essenza, l’umanità (e questo vale non solo per il condannato). E’ indicativa la sequenza del processo educativo negli artt. 30, 33 e 35, dalla famiglia alla scuola al lavoro. La famiglia e la scuola non sono tanto agenzie educative (non forniscono servizi) quanto soggetti educativi (intessono relazioni) e, in sinergia col mondo del lavoro, devono operare non tra deleghe, ostilità, compartimenti o collegamenti artefatti, ma in un sistema di “com-petenze” e “com-potenze”. Alla famiglia, “società naturale” (art. 29 comma 1 Cost.) spetta l’essenziale compito educativo (art. 31 comma 1 Cost. “adempimento dei compiti della famiglia”) di fornire la natura della persona ed essendo l’educazione “passaggio dalla natura alla cultura” (Jacques Maritain) alla scuola spetta, poi, mediante il “libero insegnamento” (art. 33 comma 1 Cost.) provvedere all’educazione disciplinare (avente come mezzo e obiettivo le discipline). Nel lavoro, “attività o funzione che concorre al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4 comma 2 Cost.) si raggiunge e si esprime la professionalità (dal latino “profiteor”, dire pubblicamente, insegnare, esercitare), intesa come trasmissione e produzione di cultura, da quella rurale a quella tecnologica. Parafrasando l’art. 2, “Funzione docente”, del D.P.R. 31 maggio 1974 n. 417 (uno dei Decreti delegati della scuola) si può dire che il lavoro è esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo all’elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione delle nuove generazioni a tale processo e alla formazione umana e critica della loro personalità soprattutto con l’esempio dell’impegno e del rispetto delle regole. In tal modo si realizza il circolo virtuoso della comunità educante.

Oltre ai suddetti articoli è interessante leggere e abbozzare un’interpretazione sistematica degli articoli in cui si parla di “persona” e del suo aggettivo “personale”. Il primo articolo in cui vi è il riferimento alla persona è l’art. 3 che, nel primo comma, non ammette distinzione di “condizioni personali”. Le condizioni personali costituiscono l’identità di ognuno, quell’identità che etimologicamente ha la stessa origine di identico (da “idem”). Identità che ha diverse sfaccettature, da quella individuale a quella collettiva, è oggi una dimensione ancor più importante a causa della depersonalizzazione tipica della nostra società. L’educazione è, pertanto, educazione all’identità e all’uguaglianza. Nel secondo comma vi è la locuzione “persona umana” doppiamente qualificante. Parafrasando l’intero secondo comma, si può asserire che l’educazione ha il compito di rimuovere gli ostacoli anche di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Rimuovere gli ostacoli fa venire in mente quelle “relazioni d’aiuto” che stanno proliferando quali orientamento, counseling e reflecting. Inoltre la parola “ostacoli” (in inglese “handicap”, termine usato per indicare le menomazioni) evoca vari profili dell’educazione: educazione interculturale, educazione alla diversità, educazione alla vulnerabilità, educazione della paura, nel senso di correggere sia la mancanza sia l’eventuale eccesso di paura in cui ci fa ricadere questa società[1]. Nell’art. 3 l’aggettivo “sociale” compare tre volte da cui si evince che l’educazione è altresì educazione alla socialità. Nell’art. 3 comma 2 si legge la locuzione “effettiva partecipazione”, esplicazione della cittadinanza: può essere questo il fondamento della tanto declamata educazione alla cittadinanza. Anzi l’educazione stessa deve essere una “effettiva partecipazione”. Inoltre la parola “compito” con cui esordisce il secondo comma dell’art. 3 compare anche negli artt. 30, 31 e 38 che si riferiscono pure all’educazione, per cui l’educazione è un “compito” (secondo alcuni dal verbo latino “complere”, colmare, completare, compiere) che spetta alla Repubblica - soprattutto mediante la scuola -, alla famiglia e al lavoro. La scuola, la famiglia e il lavoro sono i principali “contesti” (da “contessere”), le “formazioni sociali” (art. 2), in cui si “compie” la persona.

Nell’art. 13 si disciplina la libertà personale. A tale proposito è indispensabile l’educazione alla libertà da e di e nella libertà, riconducibile a quella libertà espressamente prevista nel primo comma dell’art. 33; il motto della pedagogia dell’austriaco Rudolf Steiner (1861-1925) era “nella libertà educare alla libertà”. Che l’educazione sia una liberazione, un’emancipazione è insito nel suo significato etimologico da cui trae spunto la pedagogia maieutica dal filosofo greco Socrate al nostro Gandhi italiano, l’educatore Danilo Dolci.

L’art. 13 è strettamente correlato all’art. 23 ove si legge l’espressione “prestazione personale”. Anche se l’educazione, sia come diritto sia come dovere, è prevista per legge (si veda già l’art. 30 comma 1 Cost.) non può essere intesa come prestazione personale imposta perché è coessenziale alla natura umana distinguendo l’uomo dagli altri esseri animali.

Nell’art. 27 si parla di “responsabilità penale personale”; togliendo l’aggettivo penale rimane comunque che la responsabilità è personale. L’educazione è una responsabilità proprio nel senso etimologico “che deve rispondere, che è garante per qualche cosa o qualche persona” e educa alla responsabilità.

Nell’art. 32, dedicato alla salute, compare per la seconda e ultima volta la locuzione “persona umana”. Si deve educare alla salute, soprattutto a quella mentale perché “non c’è salute senza salute mentale”, messaggio consegnato alle nazioni europee dalla Conferenza Ministeriale Europea di Helsinki del 2005 e che non è altro che la traduzione dell’auspicio dello scrittore latino Giovenale “mens sana in corpore sano". I soggetti deputati all’educazione sanitaria non sono solo le scuole o altri enti, come previsto legislativamente, ma tutta la comunità educante a cominciare dai genitori, come stabilito nell’art. 24 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 1989. L’aggettivo “umana” che qualifica la persona negli artt. 3 e 32 compare nell’art. 41 per definire la dignità, dopo aver elencato la sicurezza e la libertà, per cui si può dedurre che l’educazione è anche valoriale. Inoltre essendo l’art. 41 dedicato all’iniziativa privata si può affermare che è necessaria anche l’educazione al lavoro che si affianca alla suddetta educazione del lavoro.

L’ultimo articolo in cui si usano le espressioni “persona” e “personale” riferito a libertà è l’art. 111 sulla giustizia; l’educazione deve, pertanto, mirare alla giustizia e alla legalità.

Giustizia (in latino “iustitia”) ha la stessa origine di diritto (in latino “ius”, dal verbo “iungo”, congiungere), che secondo alcuni è lo stesso significato etimologico di legge (in latino “lex”, da legare), tutti significati che convogliano in quello di pace (dal verbo latino “paciscor”, fissare, accordarsi, pattuire), che ha la stessa valenza di solidarietà (dall’aggettivo “solido”, intero). Questo a riprova che nella Costituzione vi è un’intima coerenza che dà consistenza e coerenza a qualsiasi cosa in una sorta di ermeneutica circolare. L’educazione alla pace è stata da sempre propugnata da Maria Montessori a Gandhi. Nell’art. 11 si legge l’espressione “la pace e la giustizia fra le Nazioni”, obiettivo dell’educazione alla cittadinanza mondiale.

Nell’art. 2 si parla di “svolgimento della personalità” e l’educazione tende alla formazione della personalità cercando di tener testa al pessimo esempio della televisione che fa di ognuno un personaggio e ricordando che ognuno ha una propria personalità senza cadere in relazioni “incestuose” in senso lato, ossia quelle relazioni educative, soprattutto familiari, di attaccamento morboso, di dipendenza affettiva o peggio.

Così concepita l’educazione contribuisce alla concretizzazione dell’art. 3 Cost. come commentato da don Milani riferendosi all’episodio di un ragazzo caduto in un fosso mentre si recava a scuola: “La Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano di fatto l’eguaglianza di tutti i cittadini … E ottiene che venga costruita una passerella sul ruscello”. E l’educazione è certamente una passerella tra le generazioni sul ruscello della vita.



[1] Cass R. Sunstein, “Il diritto della paura. Oltre il principio di precauzione”, ed. Il Mulino, Bologna, 2010.

 


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