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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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DIRIGENTI: QUALE FORMAZIONE PER QUALE RUOLO

Ricordo che nel mio concorso a Preside di Liceo nel lontano ‘85 (quella volta si usava distinguere tra i vari ordini e gradi di scuola e i programmi in effetti erano abbastanza differenziati) gran parte del colloquio fu dedicato alla discussione dell’argomento della mia tesi di Laurea in filosofia di circa venti anni prima. In prima battuta rimasi esterrefatto e come me altri colleghi che non conoscevano le modalità dell’esame; dopo, ripensandoci, capii che non era poi una stravaganza e che attraverso la discussione sulla tesi di laurea, i commissari intendevano accertare intanto le mie conoscenze e competenze disciplinari, metodologiche e didattiche, oltre alle qualità espressive e dialogiche; in sostanza tendevano a valutare il mio grado di cultura generale e professionale. Un bravo Preside deve essere o no un  “uomo di cultura”, senza essere necessariamente né un esperto disciplinare né un pedagogista provetto? Deve o non deve possedere una aggiornata cultura pedagogico-didattica? A mio parere la risposta è affermativa, oggi come allora. Parafrasando Catone sono solito dire che il Preside dovrebbe essere “homo bonus (eticamente parlando) docendi peritus” Naturalmente nel colloquio del concorso non mancarono le domande sulla normativa scolastica e sulla parte più propriamente amministrativa e gestionale, senza tuttavia quell’enfasi che abbiamo dovuto sorbirci in seguito, specie in quella specie di megacorso del 2000 per acquisire la Dirigenza

Oggi leggo i progetti dell’Amministrazione sulla formazione in servizio dei dirigenti scolastici riguardano quasi esclusivamente aspetti gestionali (il Regolamento contabile) e le relazioni sindacali, per non parlare della fatidica 626! E gli aspetti educativi, relazionali (con alunni, docenti e famiglie, il famoso “territorio” di cui tanto si parla nei POF, e non con la RSU!), le problematiche dell’apprendimento e della dispersione, temi come la continuità o l’orientamento, i valori, i comportamenti e le pratiche giovanili? Siamo sicuri che i dirigenti scolastici non abbiano bisogno di aggiornarsi su queste tematiche o riteniamo che le stesse non rientrino più nella professionalità del Dirigente? Vedendo gli interessi e le preoccupazioni dei miei colleghi, specie nelle Superiori, devo riconoscere che ha ragione il Ministero. Per discutere di temi educativi e didattici occorre partecipare a Convegni delle associazione dei docenti. Eppure nell’ultimo bando di concorso si prevede lo svolgimento di un saggio scritto su tematiche relative a:

  • sviluppo della conoscenza in una società globale
  • progettualità formativa nel contesto politico ed economico, scientifico e tecnologico, culturale e sociale
  • valori, comportamenti, pratiche giovanili
  • principi dell'apprendimento, efficienza ed efficacia dell'azione formativa criteri di valutazione

Sono temi di grande valenza. Si pensi solo a quello della globalizzazione con riferimento alle problematiche educative (immigrazione, politiche scolastiche europee e rapporto con i paesi emergenti, di cui ci parlano le indagini OCSE o IEA), o all’impatto delle nuove tecnologie nella scuola. Si crede che il Dirigente scolastico debba occuparsi di multimedialità solo per organizzare i corsi per docenti o mettere in rete gli istituti? Il valore culturale della multimedialità, le nuove forme di pensiero ad essa collegate, le conseguenze sul piano didattico sono o non sono aspetti che interessano un Dirigente scolastico?

Potrei continuare con le nuove teorie dell’apprendimento. In quali corsi per Dirigenti si parla di costruttivismo o di metodo Feuerstein, De Bono ecc.? 

Non vuole essere la mia una accusa ai colleghi: il fatto è che negli ultimi anni siamo stati così “bombardati” dalle novità in campo gestionale che stiamo rischiando di diventare dei semplici dirigenti senza più quella specificità che la gran parte ritiene costitutiva del nostro essere operatori della Scuola e nella Scuola. Non è un caso che si parla per il futuro di nuove figure intermedie che dovrebbero “coordinare la didattica”. Quando questo avverrà (e qualcuno anche tra i DS spera che si arrivi molto preso) il processo di omologazione ai Dirigenti amministrativi sarà completato. Per fortuna spero di essere a quel punto fuori dal servizio.

Dovremo chiederci quanto abbia pesato la scarsa considerazione delle specificità della figura del Preside e del Direttore didattico da parte delle associazioni e dei sindacati di sinistra. Anche la rivendicazione dell’unicità della figura dirigenziale nella Scuola, dalle elementari agli istituti professionali, ha contribuito a questo risultato. Con Berlinguer tutti erano abilitati a dirigere tutto; non è questione di gerarchie, ma solo di competenze, di storie personali e di rispondenza alle caratteristiche di un certo tipo di scuola. Almeno questa è la mia opinione! Gestire una scuola è diverso dal “dirigerla” e forse non ha tutti i torti l’assessore veneto all’istruzione quando riscopre una vecchia idea, quella dei due Dirigenti, uno amministrativo (che può gestire fino a cinque scuole) e l’altro didattico, che deve essere incardinato nella “sua” Scuola. Lo diceva in un recente Convegno il buon Scurati: non si può disgiungere il problema della figura del D.S. dal problema del dimensionamento. Credo che su questi temi occorra ancora riflettere

Prof. Pasquale D’Avolio
Preside I.C. di Arta-Paularo (UD)


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