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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Il grave problema degli stranieri a scuola

di STEFANO STEFANEL

 

            Nel momento in cui tutto il mondo della scuola si stava aspettando una parola definitiva sulla Riforma delle Scuole secondarie di 2° grado (“si farà”, “sarà ancora rinviata”, “come si farà”) e mentre i fatti di Rosarno mostrano il problema dell’immigrazione in Italia in tutta la sua gravità e drammaticità il Ministro Gelmini annuncia l’arrivo della normativa relativa al tetto del 30% di alunni stranieri per classe, con deroghe possibili in base alle competenze linguistiche degli alunni stranieri. Il provvedimento del Ministro – che ancora una volta preferisce anteporre la carcassa mediatica al dibattito interno e specialistico – in sé non fa altro che registrare quanto già avviene nelle scuole, in quanto sia le classi di soli alunni stranieri, sia quelle con pochi italiani sono dettate più che da scelte da necessità o da situazioni contingenti.

         Il provvedimento annunciato e che probabilmente non sarà dello stesso tipo di quello emanato, come ormai siamo abituati a veder accadere in quasi ogni occasione, in realtà non sposta né l’entità del problema reale, né riesce ad entrare in quella che è la criticità dell’immigrazione extracomunitaria che riversa i suoi figli nelle scuole. Credo possa essere utile analizzare quanto prefigurato dal Ministro alla luce non delle dichiarazioni di politiche e sindacali parte, che purtroppo ci sono state anche questa volta, ma di un’analisi schietta delle questioni sul tappeto.

 

DOVE ABITA PIU’ DEL TRENTA PER CENTO

Il 30% è un numero che in alcuni casi è inutile, in altri inapplicabile:

  • la gran parte dei Paesi e delle Città italiane non ha un problema del genere in quanto o ha pochi stranieri residenti oppure ha strutture ricettive con numeri che permettono una distribuzione equa degli stranieri delle classi;
  • alcuni quartieri in alcune città italiane invece sono abitati quasi solo da stranieri e le scuole di riferimento ne accolgono moltissimi: quando non si rispetta il tetto dove vanno i bambini in più? Sto parlando qui di bambini soprattutto dai 3 agli 8-9 anni, quelli che  non usano i mezzi pubblici, che vengono accompagnati dai genitori, che hanno paura, che sono troppo piccoli per percorrere lunghi spazi cittadini da soli, che vivono in luoghi dove non è previsto il servizio di scuolabus.
  • se una scuola ha pochi italiani chiude del tutto visto che non potrà applicare il 30%?

Quelli che ho riportato sono solo alcuni esempi eclatanti di una norma applicabile quasi dovunque, ma che, dove non sarà applicabile, porterà alla paralisi. I minori obbligati espulsi dalle scuole per superamento del tetto del 30% dove vanno? Chi decide quali stranieri accettare e quali no? Come è facile capire potrei complicare la questione con mille esempi, ma mi preme solo far comprendere come un meccanismo numerico applicato ad una questione storico-sociale non sempre è il modo adatto per risolverne la criticità.

Se in un quartiere di Roma o Napoli o Torino abitano molti stranieri si assisterà ad un meccanismo molto semplice: gli italiani tenderanno a portare i propri figli “un po’ più in là” anche se si rispetterà il 30%, mentre gli stranieri non sapranno dove andare. Una soluzione pericolosa in caso di espulsioni massicce a quel punto sarebbe o quella di non far frequentare ai figli le scuole, aumentando il disastro sociale e cancellando le residue possibilità di integrazione, o cercare di dar vita a scuole di quartiere in cui si accettino tutti senza limiti e che magari abbiano connotazioni etniche.

Se mal applicato o applicato in forma rigida il provvedimento annunciato dal Ministro Gelmini rischia di lasciare indifferenti la gran parte degli Istituti italiani (che hanno classi con molto meno del 30% di stranieri) e al tempo stesso di rendere ancora più incandescente e drammatica la situazione delle scuole che vivono situazioni di frontiera.

 

CHI E’ STRANIERO

Mentre è abbastanza chiaro chi è straniero e chi italiano per la legge diventa molto complicato stabilire chi lo è perla scuola. Per capirci faccio due esempi-limite ma che presentano una casistica abbastanza diffusa:

  • un bambino di madre e padre africano e di nazionalità africana nato e vissuto sempre in Italia che come prima lingua l’italiano ma non padroneggia correttamente e che ha sempre e solo frequentato scuole italiane è uno straniero da computare nel 30%? Secondo quando si è letto dalle dichiarazioni del Ministro no, ma la sua competenza linguistica va prima verificata, anche se un italiano può parlare meglio o peggio di lui e non essere computato;
  • un bambino figlio di padre e madre italiana che ha vissuto negli Stati Uniti e che parla come prima lingua l’inglese è da computare tra gli italiani? Secondo quanto ha detto il Ministro sì, anche se quel bambino ha problemi linguistici superiori a quelli dell’africano sopra descritto.

 Lasciare alle scuole la scelta sulla deroga può essere pericoloso, perché qualche Dirigente può utilizzare il tetto del 30% per non accettare stranieri e qualche altro per accettarne troppi e salvare così cattedre (come fa lo straniero accettato o respinto a fare i conti? Come si contano in classe quelli che sanno o non sanno l’italiano?).

Il problema della cittadinanza legale e di quella reale è stato complicato e non poco dalle nostre complesse norme sull’immigrazione. Non credo lo si possa risolvere con un decreto che stabilisce quote, perché le quote di alunni stranieri per classe non dicono cosa fa un bambino straniero che parla l’italiano così e così, che la scuola inserisce tra gli stranieri da conteggiare dentro al 30%, ma che abita a 10 chilometri dalla scuola più vicina a quella d’elezione che lo respinge.

La norma “annunciata” del Ministro Gelmini riapre l’idea delle classi di ingresso (ma si guarderà bene dal dire chi le paga e dove si fanno e come) e cancella la possibilità di classi con soli alunni stranieri, anche se a volte quelle strutture limite impongono forti meccanismi di integrazione che aiutano gli alunni più della loro dislocazione a quote nelle altre classi. Attuare un programma di italiano per stranieri o insegnare la matematica a chi non parla italiano è molto diverso che trovarsi a gestire in classi 28/30 alunni tre quattro ragazzi che non parlano e non  capiscono l’italiano. In alcuni casi le classi di soli stranieri per alcune materie fortemente personalizzate con l’integrazione nelle altre col sistema delle classi aperte potrebbe aiutare molto di più del sistema delle quote. In Italia oggi comunque gli stranieri sono molto più bocciati degli italiani.

 

GESTIRE I FLUSSI CITTADINI

         La questione sollevata dal Ministro Gelmini e che certo non sarà risolta dalla misura inutile o difficilmente applicabile del 30% va a toccare un nervo scoperto della società italiana: i Comuni non gestiscono i flussi dei minori stranieri nel loro inserimento nelle scuole. Gli alunni stranieri vanno nelle scuole per scelta propria o per vicinanza abitativa, ma i loro problemi linguistici o culturali, le loro privazioni e la soglia della povertà quando questa è varcata sono questioni che compaiono a scuola e che l’ente locale non vuole conoscere. In questo momento esiste un vero baratro tra i servizi di assistenza sociale comunali e le scuole perché non stanno perseguendo la stessa missione.

         Qui è insito il vero problema sollevato dal Ministro Gelmini, che non si risolve né con misure di tipo xenofobo (espulsioni, denunce, allontanamenti, ecc.) né con misure di apertura totale ad un’immigrazione che non siamo in grado di gestire e che poi finisce nei centri d’accoglienza o alla mensa della Caritas. Quello che è il problema dell’immigrazione si riverbera sui minori in età scolare senza che i flussi cittadini vengano neppure minimamente gestiti. C’è una sorta di zona di nessuno tra la vita dello straniero e l’obbligo scolastico dei suoi figli. Chi fa il Dirigente scolastico sa che non è sufficiente dire ad un genitore straniero che le classi sono piene e che quindi il bambino o ragazzo non può essere accettato, perché il genitore non molla la presa e capisce subito che la scuola vicina a casa è un servizio, quella lontana un impegno inaffrontabile.

         I Comuni dovrebbero capire che la scuola non  ha una struttura tipica di accoglienza  per gli stranieri, ma che semplicemente adatta le sue pratiche ai nuovi arrivi. Qualche volta questa procedura è facile da attuare, qualche altra no e quando lo straniero invece di arricchire l’ambiente lo impoverisce, lo disturba, lo contamina anche in forma teppistica salta tutto il meccanismo dell’accettazione e dell’integrazione. Se non  si gestiscono i flussi cittadini nei confronti della scuola ci si troverà sempre di più davanti alla fuga degli italiani dalle scuole dove gli stranieri sono governati male. Lasciare le scuole sole con la “frontiera” del 30% significa soltanto cementare le difficoltà trasformandole in muri che sarà difficile abbattere.


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