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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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La gravità di una crisi

di STEFANO STEFANEL

 

La scuola pubblica italiana vive un momento di grave crisi, ma lo sta vivendo attraverso azioni che sono difficili da comprendere. Se poi i genitori scelgono le scuole confessionali con sempre maggiore frequenza, come ha scritto Reginaldo Palermo su Pavone Risorse, non ci si deve stupire più di tanto. Ritenere che alla base della crisi della scuola italiana ci sia solo una politica ministeriale tesa a dimagrire un sistema scolastico diventato gigantesco e dichiarato inefficiente, significa scambiare gli effetti per la causa. Da oltre dieci anni siamo tutti d’accordo che la scuola italiana è una scuola da riformare, ma ogni riforma è stata affondata nel giro di uno o due anni dal sindacato (Berlinguer, “il concorsone”), dalle elezioni politiche (De Mauro, “il riordino dei cicli”), dal cacciavite (Moratti, “la riforma Moratti”), dal cambio di Governo (Fioroni, “la politica del cacciavite”) e credo che questa sarà la fine anche dei provvedimenti del Ministro Gelmini. Quando un sistema non funziona e non vuole o non riesce a cambiare ad un certo punto non regge più. Il ritornello “la scuola deve essere riformata, ma non in questo modo” ormai non regge più, perché se c’era un modo condiviso da tutti per cambiare sarebbe stato trovato, mentre le riforme che si susseguono vertiginosamente alla fine sono solo esperimenti mal riusciti. In questo momento stanno fioccando le risposte che gettano sulla scuola ulteriori problemi e che non vanno al nocciolo della questione, almeno a parere mio. Ne enumero alcune.

 

Tornano i voti e l’Italia si disperde. Ero stato facile profeta quando in più di una sede avevo previsto che il ritorno dei voti avrebbe solo aumentato la dispersione scolastica senza migliorare la qualità dell’insegnamento. Gli stessi docenti che contestano il ministero e appoggiano i sindacati hanno fatto nascere i trecentomila 5 in condotta di cui si sta vantando l’Italia e hanno certificato che il 75% degli studenti delle Scuole secondarie italiane ha delle insufficienze. Davanti a questa bancarotta  educativa troppi si sbracciano a lodare il “rigore” e la “serietà” della nuova scuola italiana, mentre pochissimi notano come nel 2000 anche noi avessimo firmato un trattato con cui ci impegnavamo a diminuire la dispersione scolastica, che con questa bella pensata è solo aumentata. Se poi andiamo alla radice della questione vediamo che troppi 5 in condotta sono stati dati per futili motivi e troppi 5 in italiano o matematica  o inglese perché dietro c’erano pratiche didattiche obsolete. Chi ha voluto provocare sui voti, anche in nome di nobili e condivisi ideali, non ha trovato poi altro che proporre il 10 a tutti in tutte le materie, mettendo un macigno nelle mani di coloro che ritengono che la scuola italiana sia seria sola quando boccia in massa (soprattutto se sono alunni stranieri).

 

L’ideologia del tempo scuola. L’Italia è sempre più un Paese di scelte disomogenee e di famiglie che non vogliono assomigliarsi. Il Ministero ha compiuto alcune mosse discutibili ma legittime: aumento delle possibilità temporali alle primarie, diminuzione dei modelli di scuola secondaria di 1° grado, eliminazione delle sperimentazioni nella scuola secondaria di 2° grado. Bisognerà vedere nei fatti se queste soluzioni migliorano o peggiorano il sistema, ma noi in Italia abbiamo politicizzato tutto e trasformato le 24 ore in una scelta di destra e le 40 in una scelta di sinistra. Quando poi ci si mette a spiegare che lo si fa “per il bene dei bambini” allora ogni possibile dialogo diventa impraticabile, perché da una parte c’è chi “difende” i bambini, dall’altra chi non li difende. Se questo va nelle orecchie dei genitori non c’è da stupirsi che qualcuno scappi da tutto questo e scelga un ambiente che si presenta come protettivo (la scuola privata), anche se con connotazioni confessionali.

 

Il precariato. La difesa del precariato e del suo diritto ad entrare di ruolo attraverso le graduatorie e non attraverso concorsi selettivi sta creando una parità di livello culturale tra una parte dei docenti italiani. Da un lato i precari della scuola pubblica che vengono lentamente immessi in ruolo, dall’altra gli stessi precari che insegnano anche nelle scuole private. La situazione diventa così confusa e la famiglia vede la stessa insegnante che spesso passa da una scuola pubblica ad una privata. Anche in questo caso la scelta è difficile, poco motivata e il sistema va in crisi.

 

Le buone pratiche e i pessimi risultati. Sempre più spesso chi vuole ostacolare una riforma o un cambiamento a gran voce parla di “smantellamento della scuola pubblica”, “distruzione dei modelli migliori di scuola”, ecc. Una parte dell’opinione pubblica è stanca delle riforme ed è stanca della lotta alle riforme e così cerca di portare suo figlio fuori dal dibattito, magari aspettando tempi migliori. L’esibizione delle buone pratiche scolastiche è ormai diventata una documentazione impresentabile e impraticabile, con video e fotografie, slide e lavori dei bambini e dei ragazzi messi in rete senza selezione. Da un lato l’Ocse e l’Europa segnalano una grave crisi della scuola italiana, dall’altro lato ogni scuola esibisce le sue buone pratiche: che l’opinione pubblica non ci stia credendo più non è difficile da ammettere. E tutto questo diventa un meccanismo perverso che toglie credibilità al sistema scolastico pubblico nel momento in cui si devono fare scelte difficili.

 

Mi fermo qui, perché credo che il mio ragionamento sia chiaro: non è pensabile affrontare problemi seri e strutturali senza entrare nel merito dei singoli problemi , senza cercare di superarli con richiami ideologici o a pratiche del passato. Il ministero sembra emanare provvedimenti difficilmente applicabili e confusi nelle loro definizioni, i sindacati sembra vogliano solo difendere quello che c’era, le scuole cercano linguaggi comuni, ma trovano solo modelli diversi, tutti dichiarati come perfettamente funzionanti, che però nel complesso danno esiti negativi. Se i genitori poi levano la solidarietà alla scuola e portano i figli altrove (quest’anno una piccola percentuale, il prossimo annovedremo) questo sarà solo un ulteriore problema da affrontare.


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