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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

II CICLO: UN DIBATTITO “SCHIZOFRENICO” E QUALCHE PROPOSTA

A leggere le varie prese di posizione che si sono succedute negli ultimi giorni, dopo la pubblicazione del Decreto sul “secondo ciclo”, rilevo che ci si trova in uno strano impasse. Non mi riferisco solo ai contrasti tra le varie forze di maggioranza governativa, ma alla difficoltà di avanzare una proposta alternativa dalla  parte avversa alla Moratti.

Al di là della stanca ripetizione da parte di una certa sinistra dell’accusa al Governo di voler introdurre una selezione precoce e “classista” (come se essa non fosse già oggi presente nelle scelte tra canale liceale e quello professionale)[i] si avverte un certo disorientamento nei due schieramenti. In particolare direi in quello più vicino alla Moratti, che si sente tradito dalla proposta governativa: ha vinto la “bulimia liceale” come temeva Bertagna, che infatti non ha mancato di far sentire le sue critiche. Mentre a sinistra non si riesce a esprimere una chiara posizione, visto che il Decreto è per certi aspetti “ambiguo”. Alla messe notevole di critiche non segue una chiara indicazione di proposte: evidentemente l’unica alternativa è … ripartire daccapo (le elezioni del 2006 sono ormai prossime e il “nuovo ciclo” non dovrebbe entrare in vigore prima di quella data)
Partendo dal Decreto non è chi non veda la schizofrenia tra l’impianto ordinamentale, che sembra dar ragione alla Confindustria, con la “salvaguardia” dell’istruzione tecnica (non “confinata” nel secondo canale) e la riproduzione sostanziale dello stato esistente con i tre “ordini” attuali (apparentemente i canali sono due, ma in effetti la distinzione tra licei “generalisti” e licei “con indirizzi” ci riporta ai tre “ordini” attuali: licei, tecnici e professionali) e i piani di studio che di fatto “eliminano” quella che era ed è l’istruzione tecnica, così come attuata in Italia da almeno 70 anni, dopo la L. del 1931, che ha riportato i Tecnici nell’ambito dell’Istruzione statale.

Per il primo aspetto, il Decreto viene visto come un arretramento o una vera e propria sconfessione della L. 53 e del doppio canale da parte dei sostenitori del progetto Bertagna.  Dall’altra viene così aggirata quella che è stata sempre la linea Maginot di Confindustria e delle OOSS, in questo stranamente uniti: la professionalità e quindi la “terminalità” dei tecnici rispetto alla “propedeucità” dei Licei. I tecnici, ricondotti all’interno del percorso liceale, perdono la loro terminalità e diventano propedeutici all’Università o alla Formazione tecnica superiore.

Per quanto riguarda le prese di posizione degli oppositori “di sinistra” (e di Confindustria!), anche qui noto una certa “schizofrenia” o comunque un nodo non risolto. Non si accetta la licealizzazione dei tecnici, ma non si vuole la confluenza di questi ultimi nel secondo canale professionale, dando per scontato che esso non può non essere un canale di serie B . Strana concezione del “lavoro”, proprio in chi dovrebbe sostenerne la dignità anche formativa: ma questo è un vecchio vizio della sinistra in Italia, più gentiliana di quanto si creda. Indicativa è il commento di Patroncini (CGIL-scuola) sull’orario della IFP, laddove si afferma che prevedere “almeno ¼ delle ore alla attività lavorativa significa “sottrarre” ore alla scuola.
Ma poiché non si può non riconoscere la necessità di un sistema della formazione professionale, da affidare alle Regioni, (come prescrive l’art 117) e nel contempo non si vuole rinunciare all’istruzione professionale di Stato, ( a meno che non si voglia sostenere l’appartenenza al sistema dei Licei anche degli IPS) ne viene di conseguenza che i canali diventerebbero (meglio, resterebbero) quattro … proprio come oggi!

 

CULTURA- PROFESSIONALITA’ ovvero TERMINALITA’ versus PROPEDEUCITA’

Chi ricorda le battaglie più che trentennali per superare realmente la dicotomia tra l’istruzione tecnica e quella liceale, sa che la felice intuizione del Progetto Brocca, agli inizi degli anni 90, stava nell’individuazione di un equilibrio tra le caratteristiche peculiari dei due ordini (propedeucità-terminalità) attraverso la cosiddetta “preprofessionalità”. Questa era ed è l’unica via che permette di riunificate davvero le due “culture” e, aggiungo, può essere la via di salvezza dei Licei “generalisti”, che erano e restano alieni da ogni rapporto con le professionalità future. Ma il discorso sul rinnovamento dei Licei “storici” sembra non interessare molto. Sembra non ci si renda conto, da una parte e dall’altra, che il Liceo classico ad esempio, nella versione attuale e della Riforma, rischia di essere un “Liceo di antichistica”, riservato ai pochi cultori delle humanae litterae, quando invece avrebbe potuto, inglobando l’indirizzo linguistico e quello artistico, diventare un nuovo “Liceo dei linguaggi e della comunicazione”. [ii]

Bisogna dire tuttavia che quello che mancava nella proposta Brocca era il destino dei Professionali, (a parte l’artistico con il progetto “Michelangelo”) come mancava nella stessa L. 30 di Berlinguer chiarezza sul rapporto tra Licei (allora venivano chiamati “Istituti”) e istruzione e formazione professionale. Cosa sarebbe stata l’istruzione professionale di Stato con la L. 30/2000? Sarebbe confluita nella FP regionale? Non c’è stato il tempo di chiarirlo. La formazione professionale regionale, si sa, non è mai stata considerata prima della L. 53 come “scuola” nell’accezione più ampia del termine. Una “ripartenza” nel 2006 riproporrebbe lo stesso dilemma, per cui non è male pensarci subito, se si vuole davvero essere alternativi.
Quello che non appare chiaro nelle posizioni degli avversari della Riforma Moratti è come intendono “salvaguardare” i tecnici rifiutando lo schema “duale” della Riforma. Intanto sarebbe bene chiarire se si ritiene che istruzione tecnica e professionale debbano rimanere separate come oggi, oppure vanno ricondotti a un unico sistema: sarebbe già una bella semplificazione, come era previsto d’altronde già negli anni 80 (ma poi qualcuno riuscì non solo a salvaguardare l’autonomia degli IPS ma addirittura a farne un modello più avanzato sul piano pedagogico-didattico: pensiamo al Progetto 92 e seguito) E poiché nessuno credo può pensare di far diventare “terminali” anche i Licei il problema è come conciliare la richiesta di un canale tecnico “professionalizzante” con la presenza dei tecnici nel canale liceale.

La stessa posizione dell’ANDIS (vedi sito www.andis.it : Osservatorio sulla Riforma) pure meditata  e razionale oscilla su questo punto e si limita a costatare la ambiguità del testo governativo ponendo delle domande, ma non dando una risposta. “Siamo poi molto preoccupati rispetto ai tempi della  effettiva terminalità del titolo di studio garantito da questi licei: sarà riconoscibile per l’ingresso nel mondo del lavoro? Se no, assisteremo ad un ulteriore slittamento in avanti, fino alla soglia dei 20 anni, per acquisire l’indispensabile specializzazione post-diploma; se sì, le conseguenze saranno gravissime sul sistema dell’IFP affidata alle Regioni, che assumerebbe immediatamente le caratteristiche dell’attuale FP : un canale per drop-out  frequentato da quel 2-3% dell’utenza che assicura uno sbocco breve e precario sul mercato del lavoro, in cui le passerelle sono pura finzione.”

Francamente non vedo quali problemi comporta la presenza di un sistema tecnico-professionale, “connesso” a quello liceale con pari dignità sul piano culturale e sociale (cosa che oggi a 60 anni dalla Repubblica non è, e lo sappiamo bene, salvo gli ipocriti), gestito dalle Regioni, ma nell’ambito delle norme generali fissate dallo Stato e con l’indicazione dei LEP.  Eviterei l’aggettivo “parallelo” proprio per affermare che i due sistemi debbano incontrarsi e “rapportarsi” reciprocamente. Il progetto Moratti non mantiene fede alle dichiarazioni di principio sulla pari dignità? Se ne può discutere, senza “demonizzare” il doppio canale.

Il timore sembra essere principalmente l’eventuale “passaggio” del personale alle Regioni, come temono i Sindacati. Ma questo è un problema aperto che il Decreto solamente sfiora, quando dice che “le competenze relative ai percorsi” del sistema IFP sono trasferite alle Regioni (art. 26) Si tratterà di chiarire l’intero complesso delle attribuzioni Stato-Regioni a seguito anche della sentenza della Corte costituzionale sugli organici e quindi è un problema che riguarda i due sistemi..

 

PROPOSTE

A me sembra comunque che tutto sommato la proposta ordinamentale dell’attuale Decreto, pure se frutto di un compromesso (quella che prima ho chiamato la “schizofrenia”) possa costituire una utile base di partenza per risolvere il nodo istruzione-professionalizzazione e quindi l’”incontro” tra i due sistemi.

Avanzo due ipotesi. La prima è quella di lasciare gli 8 Licei con una restrizione degli indirizzi. La soluzione più valida sarebbe quella di ridurli al massimo a 4 (linguistico-letterario, economico-sociale, scientifico-tecnologico, artistico-musicale), ma occorrerebbe cambiare la L. 53.

Si tratterà certamente di rivedere i “quadri orari”, fermo restando che la sostanziale “unitarietà” del primo biennio va mantenuta.

A proposito di quadri orario, non mi pare produttivo inseguire le lamentele delle lobby disciplinari: il problema non è di salvaguardare posti e cattedre (esigenza comprensibile sul piano sindacale, ma non decisiva sul piano culturale), ma di intendersi su quali sono i “saperi fondamentali” che possono riferirsi anche più discipline. Il discorso vale per la geografia (ai tempi di Berlinguer) o a Diritto ed economia nella fase attuale. Quanto a EF, aspetto che qualcuno chiarisca la valenza educativa e didattica di una disciplina siffatta nel triennio terminale del II ciclo!

In definitiva occorre puntare al “dimagrimento del curricolo” più che a d una sua espansione e questo era un’esigenza più volte affermata già ai tempi della L. 30.

Tralascio qui il discorso sulle ore opzionali e sulla quota riservata alle Scuole, sul Profilo e soprattutto sugli OSA, meritevoli di ben ampi approfondimenti, soprattutto “pluralistici”. [iii] 

La partita vera a proposito del quadro orario si gioca nel secondo biennio, da caratterizzare in termini di maggiore “preprofessionalizzazione”. Al termine del 4 anno la scelta per tutti i Licei e per la IFP è tra la prosecuzione a livello universitario e quello dell’IFTS. Chi sceglie la seconda strada (sia per i Licei che per la IFP) potrebbe raggiungere la “professionalità” dopo 1 o 2 anno o più. Più che un Esame di stato classico, si potrebbe prevedere una forma di “certificazione finale” per l’esercizio della professione.  Interessante e giusta la proposta di un quinto anno come quello proposto nel Decreto: a me pare rappresenti la soluzione migliore per ujn collegamento Scuola-Università, facendo diventare il quinto anno l’anno di “orientamento universitario”.   
Una seconda ipotesi è quella avanzato da Bertagna e che appare in un sito molto vicino alle sue tesi (quello dei DIESSE): mi riferisco al cosiffatto “campus”. E se fosse la soluzione vera del problema? Dopo tante battaglie e polemiche avremmo superato le “barriere” tra i due canali e il punto di “snodo” sarebbe l’allievo! L’aspetto ordinamentale, sul quale tanto ci si combatte verrebbe superato da una considerazione più rivolta all’allievo che alle strutture.
Riporto il nucleo essenziale del ragionamento:
.”L’idea del campus, che da tempo ritroviamo nei documenti e nelle interviste del prof. Bertagna, implica la riorganizzazione delle scuole esistenti attualmente in un territorio (licei, istituti tecnici, istituti professionali, Cfp e apprendistato) in un sistema educativo unico, articolato al proprio interno in un sottosistema dei licei e in un sottosistema dell’istruzione e formazione professionale. Il campus introduce elementi di flessibilità che attualmente non sono presenti nel decreto, poiché avvia le scuole presenti in un territorio verso il reciproco completamento. Il campus infatti, posto che in un territorio siano presenti tutte le possibili offerte formative, privilegia il percorso personalizzato del singolo piuttosto che l’ordine specifico di scuola (sottolineatura mia). L’alunno che accede alla scuola superiore potrebbe in questo modo, accompagnato dal tutor, effettuare un percorso formativo nell’uno e nell’altro dei due sistemi mediante passaggi intermedi che gli consentono di accrescere le capacità e competenze a seconda delle sue attitudini. Non avrebbe senso, in questo modo, dire dal punto di vista ordinamentale che una tale scuola si trova nel primo e nel secondo “canale”.



                                                                          Prof. Pasquale D’Avolio

                                                             Già Preside di Liceo Scientifico e Classico

                                                                                         UDINE

 


 

[i] Non si  riesce a capire che la “selezione” avviene ben prima e che la stessa “dispersione”  , pur se si manifesta nel biennio delle superiori, è “anticipata” nel ciclo inferiore. La pari dignità dei due percorsi (perché non si vorrà dire che il percorso nelle superiori debba essere unico, a meno che si vogliano sposare le tesi massimaliste degli anni 70) la si ottiene dando pari dignità alle due “culture”   già nella Scuola Media. E’ da qui che bisogna partire, ma non ho visto grande dibattito sui fondamenti culturali della Scuola Media.

[ii] Su questo punto concordo pienamente con le osservazioni del collega Pace a proposito del significato dell’umanesimo e sul rifiuto di una “riduzione” della cultura a pura theorein (vedi osservazioni dell’ANDIS sempre sul sito www.andis.it

[iii] Rimando pe3r questo aspetto alle interessanti e approfondite osservazioni di Tiritcco, pubblicate su questo ae altri siti, con le quali non si può non concordare. Colpisce la “sordità” assoluta dei consiglieri-esperti ministeriali, i quali non recedono di un passo sulla strada intrapresa

 


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