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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

IN TEMPI (OSCURI) DI VOTI, RAGIONIAMO DI STANDARD E DI SFUMATURE NON QUANTIFICABILI

Paolo Citran

 

Tempo fa ho buttato giù qualche appunto sulla controversa questione degli standard.

 

La mia convinzione è che degli standard di apprendimento  vadano definiti. Anche per combattere la tendenza alla abolizione legale del titolo di studio. Non è pensabile che in un modo si valuti il profitto a Verbania ed in un altro totalmente diverso a Canicattì, in un modo a Tarvisio ed in un altro a Lampedusa. Pur se è indubbio che le realtà socioantropologiche sono assai diverse e che gli standard non possono essere eccessivamente rigidi. Probabilmente pesanti limiti delle valutazioni internazionali sono legate proprio a questioni di tal fatta.

 

E’ una questione di equità/iniquità controversa. E’ iniquo usare standard diversi in Friuli ed in Sicilia, in campagna o nelle piccole isole, ma è anche iniquo usare standard uguali per soggetti diversi (per soggetti che appartengono a situazioni socioculturali, sociofamiliari, socioeconomiche, ecc. diverse).

 

Si tratta di un’aporia terribile! E’ una questione di equità denunciata dai tempi del prete Milani.

 

So bene che lo “standard” dovrebbe appartenere all’universo della precisione. Però in realtà quando si ha a che fare con umani viventi e dotati di una psiche (comunque la si interpreti) ed inseriti in un contesto culturale, ci troviamo nel mondo del pressappoco, non solo, ma nel pieno della complessità, della problematicità, dell’interpretabile, dell’ambi-polivalenza semantica, di confini semantici non totalmente netti. A meno che non si  effettuino operazioni di matematizzazione, che rischiano pericolosamente di perdere ciò che più importa.

 

E qui il richiamo al ritorno del voto nel cosiddetto Ciclo Primario credo abbia ovunque evidenziato l’aleatorietà dei voti numericamente espressi. Aleatorietà che ha sempre caratterizzato le Superiori e che oggi torna a caratterizzare Primaria e Medie forse ancor più marcatamente.

 

Ho presieduto gli scrutini di tutte le classi affidatemi come capo d’Istituto (ancorché non obbligato, cosa discutibile) per mantenere un minimo di equità/omogeneità all’interno almeno dello stesso Istituto. Da un plesso ad un altro ho riscontrato modalità valutative di una disomogeneità solo in piccola parte risolubile in uno scrutinio.

 

Il ricorso stabilito nel “mio” Collegio Docenti ad alcuni parametri qualitativi da accostare alle valutazioni quantitative  è servito nella mia esperienza di quest’anno a verificare la possibilità di una qualche attenuazione delle discrasie valutative e di fornire una valutazione qualitativamente un po’ migliore e maggiormente informativa e trasparente nei confronti delle famiglie e degli alunni. Con tutti i limiti del caso.

 

Io ho proposto in altra sede “standard laschi”, perché lasca è la vita, unitamente ad “obiettivi graduati”.

 

Allora il fatto che si possa pensare anche ad una contradictio in terminis accostando lo “standard” al “lasco” permette:

 

a. dal punto di vista filosofico, di essere aderenti alla realtà della vita, a prodotti dell’attività umana senza volerla ingabbiare  con un’impossibile precisione assoluta;

 

b. dal punto di vista pratico-pragmatico di poter esprimere una valutazione che lasci un margine semantico sfumato e se occorre qualche concessione alle nuances, e soprattutto alla pluralità dei  livelli di un certo quid ben poco quantificabile.

 

La descrizione di un traguardo dovrebbe essere non di precisione assoluta, ma

  • scomponibile in livelli;
  • rapportabile ai contesti ambientali;
  • sufficientemente “manipolabili” nella varietà delle situazioni.

 

Per fare ciò non dovrebbero esserci obiettivi plurimi accozzati insieme, ma nemmeno troppo scomponibili in ulteriori elementi “atomici”. Si può lavorare obiettivo per obiettivo (non troppi!) , giungendo ad elementi isolabili, non confondibili, non confusi insieme.

 

Con questo ritorno a chi ha costretto a quantificazioni spesso arbitrarie e bolse, l’accostamento del qualitativo al quantitativo non è la panacea ma non è neanche nulla.

 

Per ora continuiamo a fare del nostro meglio, nei limiti concessici dalla norma.

 

Vorrei concludere questa nota ricordando un bel libro a suo tempo curato dal  compianto Bertolini, La valutazione possibile, edita dalla Nuova Italia nel 1999: Vi ho trovato molte cose vere, vere in senso forte,  certo non vertecchiane (non perché a volte quelle vertecchiane non siano vere, ma  propendono un po’ troppo per l’esprit de géométrie, a discapito dell’esprit de finesse). Presento una piccola antologia di aforismi tratti da questo libro, credo con qualche utilità.

 

Piccola antologia

1.

Quando il campo d’analisi è dominato da parametri siffatti – mutevolezza, ambiguità, imprevedibilità, incostanza, molteplicità – l’accuratezza appare davvero una sviante chimera (Massimo Pomi)”.

Si provi ad applicare quest’aforisma per esempio all’esame di Stato, attribuendo punteggi dal 60 al 100.

2.

Ne consegue che è “meglio restare scettici che diventare cinici, se la scepsi di cui si tratta vuol dire concretezza, sana disposizione al dubbio e alla verifica intellettuale e pragmatica delle proprie asserzioni e convinzioni, leggerezza e attenzione, responsabilità ed indulgenza, quella che ci consente di non prendere troppo sul serio il nostro punto di vista. Il cinismo è invece la resa dell’intelligenza, l’eutanasia dell’immaginazione: Il cinico non ha più dubbi né stupori. (Pomi)”

3.

In opposizione ad una rigida programmazione lineare “il progetto non può assolutamente prevedere assunti e percorsi rigidamente precostituiti, per essere, al contrario, altamente flessibile, negoziato, permeabile alle sollecitazioni e alla ridefinizione delle situazioni e degli sviluppi. (…) La valutazione formativa  si caratterizza per accettare  l’errore e l’incertezza come condizioni ineliminabili per chi opera in ambienti complessi (Pomi)”.

 4.

Dovere della scuola non sarà quello  di rilasciare un certificato di competenza, ma esprimere una seria motivata e documentata valutazione circa la formazione dell’allievo nell’istituzione scolastica, in considerazione del suo doversene far carico in prima persona per tutta la vita (Pomi)”.

5.

“L’espressione della valutazione potrebbe privilegiare la modalità narrativa, dialogata, la quale, non oggettivando i termini, orienti entrambi i soggetti in relazione a chiarificarsi le difficoltà, gli ostacoli, le interpretazioni sbagliate. (…) La forma oggettivata della valutazione in un giudizio analitico/sintetico (o, più semplicemente, nel voto) costituisce un marchio certificativo indelebile su cui non si discute né si costruisce. (…) Il valutare le esperienze attraverso la narrazione di percorsi contribuisce a demistificare le spinte della valutazione selettiva (Enrico Bottero)”.

6.

Il soggetto esiste e la valutazione deve portargli rispetto (Agostina Melucci)”.

7.

“Poiché l’oggetto della valutazione e l’autore della stessa devono in primo luogo sopravvivere, quest’ultimo valuterà quel che gli danno da valutare secondo i criteri voluti dal committente: Ma lo farà avvicinandosi all’altro soggetto e distanziandosi criticamente dal prodotto-valutazione, rendendosi conto che esso può avere poco o nulla a che vedere con le persone e i loro atti (Melucci)”.

8.

Fissati “determinati processi di standardizzazione”, pervenuti a  “certificazioni di validità sopranazionale”, “ il  sistema valutazione deve favorire un processo di elisione delle differenze e delle diversità”, dato che “la grande melassa del MUM rende tutto tragicamente uguali. (…)  La valutazione ermeneutica è una teoria critica, uno strumento di liberazione dai falsi universali del valutare; ma è anche una proposta alternativa, un percorso che chi vuole potrà compiere una volta assolto ai propri doveri professionali attraverso le pratiche dell’imminente valutazione ufficiale (Melucci)”.

9.

“Verifichiamo pure, ma rendiamoci conto del contenuto di verità estremamente modesto che rimane nelle reti del nostro valutare (Melucci)”.

10.

“Nel processo formativo di chiunque incidono anche fattori legati alla casualità, fattori esterni, fattori programmati e voluti secondo precise intenzioni, fattori interni non spiegabili e non riducibili a paradigmi oggettivi, oltre che fattori legati alla razionalità che si accompagna a un processo educativo (…) Là dove si persegue uno standard rigido le situazioni vengono per lo più risolte dal caso. (…) Là dove viene lasciato più spazio a misurazioni  su scale numeriche, si lascia anche più spazio al caso (Mariangela Giusti)”

11.

Valutare è un prendersi cura, un accompagnare qualcuno nel corso di un progetto che si fa insieme e che inevitabilmente si rispecchia nella valutazione stessa (Giusti)”.

 


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