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Riforma Moratti e scuola di massa:
la scelta liberal-conservatrice

di Giuseppe Toschi

 

La lettura della proposta di Legge – delega sul riordino del sistema di istruzione e formazione deve partire dalle dichiarazioni del Ministro Moratti, rese nei giorni 18 e 19 luglio del 2001 alla 7^ Commissione di Camera e Senato.

In quella sede il Ministro prese alcuni impegni che è opportuno ricordare:

"noi sentiamo, in modo molto forte, la responsabilità di rappresentare le opinioni, le aspettative, i bisogni, anche diversi della società nel suo complesso e, congiuntamente di costruire una scuola in cui tutti possano riconoscersi"

"noi immaginiamo un sistema moderno, competitivo ed innovativo di educazione che sia soprattutto un sistema democratico, aperto, trasparente"

" … intendiamo ridefinire il ruolo dello stato centrale: serve un sistema organizzato su tre livelli: nazionale regionale dei singoli istituti…"

"Punto cruciale ci sembra la necessità di riavviare il processo di riforma consultando e facendo partecipare ad una discussione così importante tutti i protagonisti, insegnanti., dirigenti, genitori e studenti, facendo in modo che non siano obbligati a realizzare la riforma, ma siano l loro stessi a chiarirla, giustificarla e volerla".

Dopo queste parole impegnative e non equivocabili ci sono stati i vari Documenti del Gruppo di Lavoro, presieduto del prof. Bertagna, gli Stati generali e la proposta di Legge – delega del 1° febbraio 2002.

Vari passaggi e tutti molto distanti l’uno dall’altro in termini di contenuti espressi con l’interrogativo ultimo se dunque "la consultazione e la partecipazione di insegnanti, dirigenti, studenti e genitori" avverrà per consentire a tutti questi protagonisti di chiarire, giustificare e volere una riforma o se dobbiamo ritenere chiusa ogni fase interlocutoria con il passaggio in Consiglio dei Ministri della proposta di modifica degli ordinamenti.

E’ un nodo, questo, che il Ministro Moratti ci dovrebbe sciogliere: ci sarà o non ci sarà la consultazione delle Scuole, come promesso e anticipato alle Camere?

Non è solo una questione di forma, ma di sostanza, perché i vari passaggi finora realizzati sono approdati alla scelta di una delega al Governo che riporta tutta la questione dentro gli spazi della "politica" senza intrusioni di carattere tecnico.

La parentesi del Gruppo Bertagna molto probabilmente non ha dato i frutti sperati, anche per i limiti culturali della proposta e per certe scelte di difficile impatto mediatico e comunicativo ( il credito formativo acquisibile alla Scuola dell’infanzia) contenute nel Documento.

La "politica" ha perciò dovuto fare quel passo in avanti, che molto probabilmente non avrebbe voluto compiere ed è dovuta scendere ancora una volta " in campo" per precisare i contorni della riforma che si vuol attuare.

I " tecnici" non sempre riescono a interpretare con chiarezza ciò che la politica vuole da loro e mettono di mezzo la psicologia, la puericoltura,la padagogia, l’ingegneria dei modelli, le stranezze dei crediti formativi, la mancata consultazione di parti importanti come le Regioni e così complicano ancor di più quelle riforme che la politica invece vuole molto semplici, chiari, inequivocabili. ( Il caso, del tutto diverso dell’ex Ministro tecnico Ruggiero è lì a dimostrarlo).

La proposta Bertagna non definiva nitidamente ciò che doveva diventare la Scuola pensata e voluta dal nuovo Governo, perché si sbilanciava attraverso elementi di complessità su tutti gli ordini di Scuola: la materna, l’elementare, la secondaria inferiore e superiore senza cogliere fino in fondo il mandato ricevuto che era quello di opzioni politiche chiare e di rottura con il passato e che possiamo cercare di interpretare(attraverso il ricorso alla ricerca storiografica) rileggendo le parole pronunciate da Ernesto Codignola ad un Convegno di insegnanti medi nel 1919 a Pisa ( subito dopo la fine della prima guerra mondiale)

"L’aumentato benessere delle classi medie e del ceto operaio, la tendenza sempre più accentuata a fare studiare le giovinette, la mancanza, almeno in numerose regioni, di una intensa vita commerciale e industriale e di istituti che attraggono a sé parte dei figli dell’artigianato e della piccola borghesia, il mal vezzo italiano di esigere anche per uffici di secondarissima importanza carta stampata e diplomi, anziché perizia tecnica e buona volontà, hanno inondato le scuole secondarie di una clientela pletorica e plebea, senza interessi spirituali, senza gusto per la cultura superiore e disinteressata, senza voglia di apprendere poiché senza aspirazione a elevarsi, mossa esclusivamente dalla miope e gretta cupidigia del diploma, che le apra la via a grami impieghi pubblici e privati".

Ernesto Codignola nel 1919 da convinto liberal-conservatore propugnava una riforma di una Scuola, che ( per lui e le idee che rappresentava) era diventata la "Caporetto" di una Nazione e di uno Stato "monopolistico" e "protezionistico" ( "le scuole non sono più templi sereni, dove si celebra un rito sacro, ma chiassose locande plebee"; "la scuola decade perché ogni vita spirituale è in essa soffocata da clientela plebea, non nata agli studi, ma alla vanga e alle opere servili"; " C’è bisogno di una rigenerazione basata sulla concorrenza, la libera gara, l’opposizione perché l’opposizione è condizione essenziale di ogni vita").

Se nel 1919 i liberali e i conservatori si ponevano il problema della riforma della scuola media come snodo centrale del cambiamento della scuola e della Nazione, ora il problema centrale che viene posto - senza bisogno alcuno di ricorrere all’enfasi di un oratore come Codignola - dalle forze di governo è quello di una riforma della Scuola secondaria superiore secondo il sistema duale dei Licei e della formazione professionale e all’interno di una concezione liberale e conservatrice della Scuola e della vita della Nazione.

La scuola elementare e la scuola media possono perciò rimanere un passo indietro, a parte , separate e disconosciute nei loro percorsi di avvicinamento e di integrazione (gli Istituti comprensivi), da un progetto di riforma che si concede a questo proposito il massimo di modernismo con l’anticipo della frequenza scolastica e la riproposizione di quell’onda anomala tanto (giustamente ) criticata .

Dove sono finite le belle parole sull’importanza e sulla qualità dell’istruzione della Scuola elementare e il desiderio di non mortificare, ma bensì di valorizzare la funzione della Scuola media?

Nel nulla, perché in questo progetto di ispirazione liberale e conservatrice ( in senso storico e culturale, s’intende ) il nodo da sciogliere è visto là dove le strade e i destini delle persone si devono dividere. Il resto non conta o conta poco. La Scuola di massa, di cui viene implicitamente dichiarato il fallimento, soprattutto se pensata oltre i confini della Scuola media, non ha più ragione di esistere.

La Riforma Moratti prende le distanze da una concezione "democratica" della Scuola (di massa) coltivata in Italia fin dal 1962 e ancor più decisamente dal 1971 e propugna un cambiamento di direzione netto,. sia dal punto di vista degli sbocchi formativi che istituzionali ( lo Stato segue i Licei e la scuola disinteressata, le Regioni seguono la formazione professionale, la Scuola interessata alle opportunità occupazionali locali, al territorio, al lavoro ).

Il caso più eclatante, ma esemplificativo del modello di ordinamento scolastico proposto, ci viene dall’art. 4 sulla formazione in alternanza scuolalavoro, dove l’età di avvio è prevista a 15 anni, ( quando la Scuola media termina un anno e mezzo prima) come se dovesse riguardare esclusivamente i ragazzi cosidetti "drop out", i pluri-ripetenti, i ragazzi a perdere.

Non possiamo allora leggere la proposta di Legge- delega entrando immediatamente nelle ingegnerie degli anticipi o di articoli di Legge ridotti all’essenziale ( in termini di contenuti espressi per rendere minimale o massimalista l’aggancio critico e culturale), ma dobbiamo invece cogliere il cambio di scenario che ci viene indicato e ora anche anticipato dalla Finanziaria e dalle Ordinanze Ministeriali e dalle Circolari sugli organici, la formazione delle classi, l’integrazione dei ragazzi disabili.

La concezione liberal-conservatrice, quella che ha ispirato la Riforma Gentile del 1923, ha certamente una sua legittimità culturale ( e forse una trasversalità di sostenitori inimmaginabile) ed è senza dubbio propugnata da molti che vogliono " liquidare una volta per tutte la mentalità astratta e giacobina " per farci uscire " dai fiumi e dai miti della retorica egualitaria e livellatrice", ma allora è giusto e bene che alle parole seguano i fatti.

Ci è stato detto che gli insegnanti, i dirigenti, gli studenti e i genitori dovranno essere consultati perché è inimmaginabile che siano obbligati a realizzare una riforma non voluta.

Per capire allora chi siamo e che cosa vogliamo, aspettiamo fiduciosi che il Ministro Moratti apra le consultazioni, che ci sono state promesse, anzi quasi sbattute in faccia. La delega al Ministro non esclude che siano sentiti i protagonisti del fare scuola.


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