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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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Lo statuto della persona minore d’età nella legge istitutiva del garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza

di Margherita Marzario

Abstract: L’Autrice, attraverso un esame filologico e un rapido confronto con la legislazione regionale in materia, mette in evidenza l’importanza della legge 112/2011 nella realizzazione della persona di minore età.

Dopo l’istituzione del Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza da parte di quasi tutte le Regioni italiane (una delle ultime è stata la Regione Sardegna con la legge regionale 7 febbraio 2011 n. 8), finalmente è stata emanata la legge statale 12 luglio 2011 n. 112 “Istituzione dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza” che con un breve articolato (solo sette articoli), oltre ad istituire il Garante nazionale, costituisce un traguardo per alcuni principi di diritto minorile anche se con contraddizioni o lacune.

Innanzitutto il Garante è definito “per l’infanzia e l’adolescenza” e non “dell’infanzia e dell’adolescenza” come in qualche legge regionale, come quella della Regione Basilicata (legge regionale 29 giugno 2009 n. 18), per sottolineare che l’infanzia e l’adolescenza non è qualcosa di cui semplicemente ci si occupa ma piuttosto qualcosa di cui ci si “pre-occupa”, verso cui si “attende”, come nella denominazione del Tribunale per i minorenni chiamato, invece, impropriamente Tribunale dei minori.

 L’incipit dell’art. 1 recita: “Al fine di assicurare la piena attuazione e la tutela dei diritti e degli interessi delle persone di minore età […]”. Questo per richiamare che in campo minorile, come in altri o forse più di altri, urge l’effettività (di cui nell’art. 3 comma 2 Cost.) delle situazioni giuridiche attive. Apprezzabile l’uso del verbo “assicurare” che evoca il concetto di “sicurezza” (anche in seno alla famiglia), diventata un’emergenza ancor più del “benessere” più volte citato nella Convenzione di New York del 1989. La locuzione “diritti e interessi”, già presente nella legislazione regionale, serve ad abbracciare la totalità delle situazioni giuridiche attive. Encomiabile la locuzione “persone di minore età” in luogo di quelle solitamente usate “minore” o “minorenne” che considerano la minore età trascurando l’essere persona. La minore età è un dato anagrafico dell’identità e non una condizione di inferiorità, come qualcuno ha detto non sono “figli di un Dio minore”.

L’art. 3 sembra delineare un vero statuto dei diritti della persona di minore età, a cominciare dal comma 1 lettera a) in cui si legge “diritto della persona di minore età ad essere accolta ed educata prioritariamente nella propria famiglia”. Questo vuol essere un monito soprattutto per ogni famiglia, perché ogni persona di minore età deve essere accolta ed educata in seno alla propria famiglia e non viziata o maltrattata come accade spesso oggi. Alla lettera e) si legge: “[…] alle persone di minore età siano garantite pari opportunità nell’accesso alle cure e nell’esercizio del loro diritto alla salute e pari opportunità nell’accesso all’istruzione anche durante la degenza e nei periodi di cura”. È davvero importante che si parli di “pari opportunità” già nella minore età e non solo nella maggiore età proprio per far sì che siano efficacemente pari opportunità. Inoltre si noti il connubio tra salute e istruzione, come nel disegno costituzionale in cui all’art. 32 Cost. sulla salute segue l’art. 33 sull’istruzione, perché entrambe contribuiscono al benessere della persona soprattutto di minore età. Comunque sarebbe stato preferibile prevedere le pari opportunità non solo riferite al diritto di salute ma in senso lato, come per es. nell’art. 1 comma 2 legge regionale 18/2009 Regione Basilicata ove si legge: “[…] affermare le loro pari opportunità stimolando la rimozione di ogni tipo di disuguaglianza”. Nella lettera g) si rimarcano i diritti fondamentali delle persone di minore età, diritti che concorrono allo sviluppo armonico e globale della personalità: diritto alla famiglia, all’educazione, all’istruzione, alla salute. Mentre nell’art. 1 della legge regionale 29 luglio 2009 n. 18 della Regione Umbria si comincia più giustamente l’enucleazione dei diritti fondamentali dal diritto alla vita. Alla lettera h) si prevede la presa in carico da parte delle autorità competenti delle persone di minore età in stato di abbandono. In realtà la presa in carico non dovrebbe essere prevista solo per le situazioni estreme e in capo alle autorità competenti ma da parte di tutta la società (nella figura delle persone con responsabilità, dai genitori a tutti gli altri educatori) e nei confronti di tutte le persone di minore età. Alla lettera l) si parla dei diritti civili e sociali di cui all’art. 117 comma 2 lettera m) Cost., a conferma che la persona di minore età è pienamente persona indipendentemente dalla sua capacità d’agire (già nell’art. 4 della Convenzione di New York si prevedono “diritti economici, sociali e culturali”). Alla lettera m) si prescrive “la sensibilizzazione e la diffusione della cultura dell’infanzia e dell’adolescenza” (locuzione già presente nella legislazione regionale), cultura spesso ignorata dagli stessi genitori che inducono i figli all’infantilismo o all’adultismo. Alla lettera o) si cita la “cultura della mediazione”, riferimento molto importante perché evidenzia come la mediazione, da quella familiare a quella penale, non sia tanto un’attività da riconoscere legislativamente quanto un fatto culturale. Ed è proprio sulla cultura che bisogna puntare ed investire per migliorare il presente e offrire un futuro alle nuove generazioni.

Mentre alcune leggi regionali (per es. art. 2 lettera n legge 18/2009 Regione Umbria e art. 3 lettera p legge 8/2011 Regione Sardegna) menzionano anche la famiglia perché non si può trattare l’infanzia e l’adolescenza in maniera avulsa dalla famiglia, la legge 112/2011 considera solo le associazioni familiari ma non la famiglia in sé, quale principale formazione sociale ove si svolge la personalità dell’uomo a maggior ragione durante l’infanzia e l’adolescenza.

Non si parla di ascolto delle persone delle persone di minore età, come per es. nell’art. 2 lettera c) della legge regionale 29 luglio 2009 n. 18 della Regione Umbria, ma di “forme idonee di consultazione, comprese quelle delle persone di minore età” (art. 3 lettera d), formula non del tutto adeguata proprio in riferimento alle persone di minore età. Manca pure il richiamo del “superiore interesse” delle persone di minore età (anche se dovrebbe essere implicito in ossequio all’art. 3 della Convenzione di New York) come ricordato, invece, nell’art. 1 comma 3 legge regionale 18/2009 Regione Umbria.

In tutta la legge si ripropone la distinzione tra infanzia e adolescenza, come introdotto una delle prime volte dalla legge 28 agosto 1997 n. 285 “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza”, a differenza del passato in cui si parlava indistintamente di infanzia o di minore età. Non si distingue, però, tra bambini e bambine e tra ragazzi e ragazze come opportunamente riportato in alcune leggi regionali (per esempio nell’art. 1 delle relative leggi della Basilicata, dell’Umbria e della Sardegna) per rimarcare le differenze di genere e d’età.

In più punti si ripete congiuntamente “promozione e tutela” distinguendo tra “promozione e tutela delle persone di minore età” e “promozione e tutela dei diritti”, perché la persona è fondante dei diritti e non vi può essere rispetto della persona senza rispetto dei suoi diritti e viceversa non vi può essere rispetto dei diritti senza rispetto della persona.

Come in altre leggi di recente emanazione, vi sono le discutibili clausole “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica” (art. 3 comma 7 e art. 5 comma 2) e “nei limiti delle risorse” (art. 5 comma 1) in contrasto con l’inizio della legge, in particolare con la locuzione “assicurare la piena attuazione”, e con la ratio stessa della legge. La valutazione complessiva è soddisfacente con l’auspicio che questa legge, dopo l’istituzione del Garante nazionale, non resti lettera morta com'è successo per altre leggi, tra cui la stessa legge 285/1997.


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