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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

LOCALISMO LINGUISTICO ED ESTEROFILIA
tra le minoranze alloglotte

Il pianto speculare

     Le člites colte, interne alle minoranze linguistiche  presenti  nel territorio nazionale, hanno sempre dibattuto  la questione se gli alloglotti debbano scrivere e parlare nel loro dialetto, coltivando gli interessi linguistici in una sfera privata e informale o se abbiano il diritto di istituzionalizzare l'apprendimento della lingua materna per far proprie e  rispettare le regole formali  della lingua d' origine , cosģ come essa viene scritta e parlata, oggi, nella  ex madre patria. Mentre nelle minoranze, per cosģ dire, meno minoritarie, dal punto di vista storico e geo-politico (francofona, tedescofona, slavofona), la controversia ha radici antiche ed oggi  risulta pressoché placata, nelle minoranze grecaniche, occitaniche  e albanofone,  essa conosce attualmente una vivace ripresa, parallela  e speculare alla rivitalizzazione leghista delle parlate padane. Contribuisce ad alimentare il dibattito  la regionalizzazione dell'istruzione, con la sua produzione legislativa  di tutela delle minoranze linguistiche, la deriva federalista e la globalizzazione culturale con le loro contraddittorie tendenze  disgreganti e omologanti. Ma, dietro la questione si nascondono interessi politici (elettorali), clientelari e corporativi. Ha la sua importanza anche la componente pedagogica (socializzazione primaria), quella professionale  (cattedre per l'insegnamento ) e quella socio-culturale  (la lingua come perno per la formazione e il consolidamento dell'identitą dei singoli e della comunitą minoritaria)  A tale proposito, vi č chi sottolinea il carattere mobile e polimorfo dell'identitą in una civiltą dell'incertezza e ricorda che la pluridimensione dell'identitą individuale di pirandelliana  memoria, simboleggiata  nel titolo di "Uno, nessuno, centomila" č applicabile anche alle aggregazioni sociali. Secondo questa  tesi, non solo non si danno identitą fisse, ma č perfino dannoso stabilire dei programmi educativi per promuoverle.  In questo quadro, perpetuare la fissitą plurisecolare di una lingua che rispecchia condizioni di vita medievali, significa cristallizzare l'arretratezza della comunitą alloglotta e ostacolare  i giovani nel loro adattamento al presente  ritardandone   l'ingresso nel futuro.

 

      Secondo altri,  non č disdicevole  insistere sull'identitą in un mondo globalizzato, sottoposto a rapidi processi di deidentificazione e di depersonalizzazione. Ma occorre allargare i confini dell'identitą  ed essere pił estremisti, non nel senso che bisogna andare pił a destra o pił a sinistra, ma pił in alto e pił in basso. Il baricentro dell'identitą dovrebbe oscillare in due direzioni:  in direzione ascensionale, dalla zona cardiaca alla zona cefalo-cerebrale e in direzione "discensionale", dalla zona cardiaca  alla zona "artropodica" o pedestre. In termini meno   allusivi e pił diretti, occorre essere meno sentimentali e pił razionali, occorre investire nell' educazione alla conoscenza scientifica di quei settori di realtą utili alla mobilitą  professionale e geografica. Dunque, la conoscenza delle lingue straniere di pił,   meglio e prima di quella materna  che č indispensabile per piangere e per ridere, ma fino a quando qualcun altro puņ avere un qualche interesse a sentirci piangere e ridere; subito dopo, anche la lingua materna cessa di esserci utile, se non per continuare a ridere con gli amici d'infanzia ,che ,certamente, di pianti  non ne vogliono sentir parlare.  Se proprio non se ne puņ fare a meno- di piangere -  si puņ continuare a farlo nella lingua materna davanti allo specchio e brevettare l'operazione con il nome di "pianto speculare".  Tra l'altro, l'Arbėresh - insinuano i sostenitori della teoria del narciso shqipėtaro in lutto - si presterebbe in modo particolarmente efficace a svolgere questa funzione, per la sua ricchezza musicale in fatto di fonemi e la sua superioritą quantitativa , rispetto all'Italiano, sul versante delle lettere alfabetiche (36 contro le 21 dell'Italiano).

 

      Gli esterofili, seguaci di una ideologia dirigistica , sostengono la necessitą della formazione a tavolino di una koiné linguistica che assuma ed amalgami   elementi locali  ed elementi importati  dall'esterno con lo scopo di soddisfare esigenze di comunicazione istituzionale di tipo amministrativo e di creare i presupposti culturali per una  cooperazione tra alloglotti e istituzioni  del  Paese di esodo .Gli esterofili esprimono perplessitą di fronte alla prospettiva di un pianto speculare di tipo polifonico, anche in considerazione della difficoltą  a reperire  specchi dotati di  superfici speculari che abbiano  dimensioni  proporzionate  alla grandezza  della collettivitą internazionale costituente il coro di emarginati  potenziali e reali delle due sponde opposte, del Mar Adriatico e del Mar Jonio.

     I localisti sostengono che se la lingua parlata puņ svolgere una funzione, questa deve prescindere totalmente dal rapporto con la lingua ufficiale del Paese "straniero" e deve consistere  nella valorizzazione delle tradizioni  locali  veicolate dal mezzo linguistico socialmente operante. Il carattere  isolazionistico di questa concezione  viene  attenuato dalla concessione benevola alla lingua "straniera", parlata nel  Paese di origine, del  privilegio di essere considerata  progenitrice , ma pur sempre lontana,  di una realtą comunicativa  che ormai si é emancipata da ogni sudditanza ed ha acquistato la sua autonomia dalla ex madre patria.

    La riflessione empirica, per immagini e metafore, svolta negli scritti , qui di seguito riportati, che l'autore si rifiuta di chiamare "poesie", rappresenta, a modo suo, il nucleo sostanziale della problematica esposta, per sommi capi,  in questa introduzione. La lingua minoritaria utilizzata come veicolo di rappresentazione dei problemi č quella arbėresh ( Unghirnjot) parlata nella comunitą alloglotta albanofona di Lungro, in pprovincia di Cosenza. Una curiositą: Il nome della comunitą,  Lungro, in Italiano, Ungra, Unghir in Arbėresh, ha assonanze che richiamano  parentele fonetiche con nomi  della Guinea Bissau (UNGRO), dell'Islanda (UNGRI), della Romania (UNGRA) , della Birmania (LUNGRI) e della Gran Bretagna (HUNGRY): la fonetica universale dei linguaggi umani tradisce una segreta aspirazione della natura a sostenere l'utopia dell'esperanto. Altro che localismo linguistico. Ecco  gli "scritti", redatti in Arbėresh lungrese (Unghirnjot) da Antonio Sassone e proposti dallo stesso autore con traduzione italiana a fronte:

 

 

GJUF'E E  QANGIERIT                           UNA LINGUA DA MACELLAIO

 

Albrishti ėshtė  njė gjufė qangieri.              L'Arbėresh č una lingua da macellaio,

Ndan shurbiset si njė topir  e trash .          taglia gli oggetti come una ruvida ascia.

I rruxiartur si ėshtė, rrashkarin misht          Arruginita com'č, lacera la carne

e i lė tulet tė vargarisur  si njė bisht.         e ne lascia sospesi i frammenti come pendule code.

Ndė donje t'e shkilqinje                             A chi volesse lucidarla                          

nėng sosnej moti  t'e pushtinje;                  non basterebbe il tempo per spruzzar saliva

Albrishti ka cickun pa ehjur,                        L'Arbėresh č una scure spuntata,

nėng hin mbrėnda ndė kurmit si gilpier,      non penetra dentro il corpo come un ago acuminato,

ma rri pir jashta                                            ma si ferma  in superficie

e gjimėst e mishit lė tė bģer.                       e disperde nello spreco metą della carne che sfiora.

Albrishti nėng ka stolit tė bėnjė nuse fialat,  L'Arbėresh non ha vesti nuziali per abbellir le spose,  

i lė pa lar e i xheshin mbrolat.                       ma le lascia  contaminate e le denuda.

Ndė donje tė gjėnje buk,                       Se volessi cercare cibo

Se tė mbionje barkun tėnde ,               per saziare la tua fame,

me vet albrishtin ndė grikt ,               con il solo uso della lingua Arbėresh,

mund hanje biav me krunde           rischieresti di nutrirti  di crusca di biada.

 

Si gjithė gjufat tė prer' e tė ēiarė              Come tutte le lingue tagliate e rotte

Albrishti, edhč se nėng ėsht arė,            l'Arbėresh, anche se non č lussuoso come l'oro,

sosin tė qeshėē me shokėt                        ha quanto  basta per farti ridere con gli amici

e t'i mielē sist kur mbarsen  lopėt.             e per farti  mungere le mucche gravide.

Si qumshtin  ēė pi njė viē i vikir,      Come un vitello  latterino aggrappato al seno materno

pive Albrishtin kur u leve.                hai succhiato il latte dell' Arbėresh fin dalla nascita.

 

Kur vdiq jot' ėmė                                 Se alla morte di tua madre

e qindrove pa skamandil                      ti dovessi trovare privo di fazzoletto

tė shutarē sytė,                                     e non sapessi come asciugar le lacrime,

vete ket albrishti                                  puoi lenire il tuo dolore, trovando rifugio nell'Arbėresh,

e e lėpjin si mjal ket gjishti .               e leccarlo come il miele che irrora il dito.

Mund jet se lotėt tė shkasin mė mir      Forse le lacrime scivoleranno pił fluide

e zėmra  rrashkaret  mė pak,                  e il tuo cuore si graffierą di meno,

edhč se u bėre pjak                                 per alleggerire il peso dell'incombente vecchiaia

e nėng je mė bir.                                    e per sminuire la perdita della tua qualitą di figlio.

Albrishti i qilluar ndir syt' e s'at ėmė     L'Arbėresh, addormentato negli occhi di tua madre

ėsht njė gjuf' e fatosur:                           č una lingua fatata:

nga herė ē'e zgjon,                                  ogni volta che le dai risveglio,

ngrėfet jot' ėmė ka bota e ngritė             si desta anche tua madre dalla terra fredda

e tė qeshin me dritė ndir sytė.                 e ti sorride con la luce negli occhi.

 

 

MUNGARJ DYGJUFĖS                  L'AFASIA  DEL  BILINGUE

 

Kur fiet albrishtin,                             Quando parli la lingua arbėreshė,

shkararin ndė halkomit                     infili la testa nella giara gigante

shurbisevet tė harruar;                        delle cose dimenticate:

se tė  gjėcė fialat grisin gjishtin ,        per trovare le parole, consumi il ditale,

ket biercė mot  nga herė si ēot     ogni volta, devi  indugiare in un imbarazzato silenzio

ture kruajrtur kocin  e ēerė,         e nello sforzo di ricordare, gratti la testa e strofini il viso,

bine duke si pulė piklore            fai la figura di una gallina lentigginosa

me kėmbit tė penguar;                che ha le zampe  legate,

ket ecėēė e kėcecė pir ore,           sei costretto a camminare saltellando per ore,

me njė rropaq  ndir duar,                  con un bastone in mano,

mos tė mbaēofecė e se tė rricė shtuar;      per non inciampare e per reggerti in piedi;

ma dhopu ēė fole gjuf albrisht.              ma dopo che hai parlato la lingua arbėreshė

e nxore kamnen ka syt e  gjisht  e la fuliggine hai spazzato via da occhi e dita

adurin e spartavet e ndien                senti il profumo delle ginestre

e shtie lule kopdhit Krisht. e come nel Corpus Domini fai festa, spargendo fiori dalle finestre

 

Kur fiet lėtisht,                                Quando parli un'altra lingua,

je si fucka qumbi,                           sei leggero come una palla di piombo,

duke i maim  si derk kashetjie       ti senti grasso come un maiale

ēė  hipet ndir rahjet,                       che cerca di salire su un  dirupo,

rrugulliset ndir plezkat                      rotola nelle pozzanghere

e krufet se tė nxier pieshtat.       e si gratta strofinandosi per liberarsi dalle zecche.

Si do tė fiaēė, albrisht o lėtisht,     Quale che sia la parlata, arbėresh o non,

Kur gjėnde Unghir                           quando ti trovi a Lungro

ture  sgjiedhur gjiufin                mentre cerchi di  scegliere la lingua,

bier mot par se tė fiaēė ,              ti attardi come una chioccia prima di parlarla

e si kllos ket bėēė dy gėlas.    e come una chioccia espelli due pallottole di guano.

Pir haren atji ēė tė gjegjin           Per fortuna di chi ti ascolta

fiet me grik e jo me shexhin.         parli con la bocca e non con l'ano

 

Ikni mjj, , iknj pieshta              

ecni gjithė ndir ata vreshta.

 

 

I BỄGATJ                                       L'ARRICCHITO

 

Njė herė hanje miell krundie    Un tempo  mangiavi farina di crusca

e teshtėnje qurra hundie,         e starnutivi spruzzando moccio dal naso,

kishe tirqit mė kunjit             portavi pantaloni con la pezza al sedere

e mut ndir thonjt .                  e avevi le unghie sporche..

Nanģ ēė u bėre i bėgat           Ora che sei diventato ricco

ture viedhur mat                     rubacchiando mate

e ture shitur piēėpitat              e vendendo  merci adulterate

nėng qindrove tė grrienje bithin me thonjit , non hai cessato di grattare il culo con le unghie

me duart pa lar i shet bukin gjindies,    porgi il pane ai clienti con le mani sporche,

viell fial me grik .                          vomiti  parole dalla bocca .

Mos tė kurrumbirēė  turrest        Per non contaminare i soldi,

ng'i nget me duar,                       eviti perfino di sfiorarli con le mani,

ma i mer   me  njė thik .            li prelevi  infilzandoli con una lama.

Se tė mbjidhnje sa mė donje     Pur di accumulare altro denaro

Ishe i mir tė shitėnje bithin      saresti capace di mettere in vendita il culo

edhč ahirna nėng e lanje.         e neppure in quella occasione lo puliresti.

Mė njė here o mė dhopu                       Prima o poi

Edhč tj ule i lodht pir posh nji fiku     anche tu ti riposerai, seduto sotto l'ombra di  un fico

E ture ruajėtur qiellin pa ree                 e guardando il cielo senza nubi

Kulton  dritin e vetėherės  ē' i t iku.   rimpiangerai  la luce della vita che non hai  potuto trattenere,

Se me njė dor grrinje bithin    perché avevi una mano occupata a grattare il sedere

e me ietrin shprishnje hithin.      e con l'altra spargevi l'ortica per l' altrui dispiacere.

 

 

 

GROPA                                     LA FOSSA COMUNE

 

Ka Kąrmuni,

ket  shpji e tė vdčkurvet,            Nella cittą dei morti,

mė njėhere  ishė Gropa ,            una volta c'era la fossa comune,

e llutmia shpji atirve                   ultima dimora

ēė nėng kishin ėmrin.              dei senza nome.

 

Sot, sipir grops u rrit          Oggi, sul cumulo di terra č cresciuta

bari i shkret.                           e spadroneggia l'erba cattiva.

E vietir gropa  u buar               La vecchia fossa comune č scomparsa

e me atėn kishterėt  pa ėmir    e cosģ  gli uomini senza nome

buartin  t'llutmin shpji.                hanno perduto anche l'ultima dimora.

Eshtrat i hėngėtin qenėt       I cani randagi ne hanno rosicchiato le ossa.

Unghir, eshtrat e qenvet          A Lungro, le ossa dei cani

gjetin shpjin,                               hanno  trovato dimora,

kishterėt nėng gjetin  ėmrin    gli uomini non hanno trovato il nome

e buartin Gropin.                          e hanno perso la dimora comune.

 

Ėmri ėshtė si lėkura sipir misht.    Il nome č come la pelle sulla carne.

Kur qeni hėngri ashtin                 Quando il cane ha divorato l'osso

ēė mban shtuar                               che sostiene

misht,                                               la carne,

lėkure ėmrit ikin nd'ir duar     la pelle del nome si consuma e sparisce

zotit Krisht.                                   nelle mani di Dio.

 

Unghir kirdhirin se sosin ėmri    A Lungro  sono convinti che basti

i shkruar ndė marmurit        la scritta di un nome sul marmo di una tomba

se tė sgjofet  Hora                a restituire il risveglio ad Hora, la dea

cė ripitirin fialat,          che fa risuonare le parole,

i dirgon ket ieta                ne manda l'eco per il mondo

e bine i gjiegjin tė gjiallt           e tiene desta l'attenzione dei vivi

pir shum  vieta.                        sul nome dei morti, per lungo tempo.

 

Syt e Horės kan dritin tė shuar          Hora ha occhi spenti

E fialt ndir gurt                                    per guardar parole

ng'i shofin tė shkruar.              e nomi su pietra incisi echeggiar non vuole.

 

Atirve ēė ian piakra, pa shurbģer,            Ai vecchi che l'etą ha reso inattivi

Hora i dha shortien mė tė mir se gjithve: Hora ha assegnato una sorte che pił propizia

 

Duket se buartin ėmrin, shpin,    non  avrebbe potuto essere: sembrano persi nome,

gropin e kishterin ē'ishin .             di casa, di fossa  comune e della  stessa identitą.

                                                    

 

Edhč mua, se ti vė kurorin,      A coronamento del tutto,

mė qindron vet                       anche a me non resta che perdere

t'im biret birlloku                 il gioiello da metallaro

ēė   kam ket vroku                che adorna il mio tizzone

i shuar                                        spento

si hilnar i viuar.                      nella custodia di un tremulo baluginare.

 

Qiesh si tė duaēė, shoku im.            Ridi pure, amico mio,

Pir gazin t'ėnde  ng' ėsht vende   Tanto, per il tuo riso non c'č luogo

ket ieta ēė te prier prap.            nell'universo che te ne restituisca l'eco.

Qindronj vet u me pokondrii      Sono il solo ad essere impietosito

t'i tė gjegjin                                    dal ritorno di suono

kur  qeshin ti si njė dhii.               della tua risata caprina.

 

                             ANTONIO SASSONE


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