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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Gabriele Boselli

Per una teoria del riformare

 

Il Cambiamento

Cambiare qualcosa di importante, nella scuola come altrove, vuol  dire  mutare abitudini di pensiero, precarizzare equilibri, mutare il campo degli eventi, mettere in tutto o in parte fuori gioco risorse e posizioni sino ad allora apprezzatissime e che assicuravano buone rendite di posizione. Il cambiamento non è sempre sinonimo di progresso; è positivo quando è innovazione (Schumpeter) ovvero quando veicola e attua idee nuove, dinamizzando il settore. Nella scuola è innovazione quando le idee –nuove- costituiscono un rilucere della tradizione culturale e pedagogica dell’Occidente.

Il novum ordinariamente non abita la contingenza ma la storia nella sua interezza. La creatività diffusa di cui vi è bisogno per riformare fondazionalmente la scuola attraversa il tempo e ogni altro tempo. Non viene dal nulla ma dal tutto, dalle cose che sono state e da quelle che saranno; è nel punto di collimazione tra il passato e il futuro. E’ tuttavia impresupposta,  pura, disinteressata, gratuita, politica e impolitica insieme.

Chi insegna, segna dentro, dissemina segnavia (Heidegger, 1985) negli altri e in se stesso; deve preliminarmente essere operatore di epoché, nel doppio significato di sospensione dall’epoca e di messa in parentesi e in questione di ogni dato e di ogni teoria convenzionalmente accettate. Mentre il dio della programmazione opera una sorte di micropredestinazione dei soggetti e delle idee , l’uomo che insegna lascia agire l’umanità in se stesso come negli altri senza predeterminazione degli sviluppi, solo accompagnandola per i sentieri di tremila anni di cultura occidentale. Tremila anni di pedagogia, che è scienza filosofica, ci invitano a lasciar essere il meglio di quel che la cultura e il soggetto sono, lasciare che il soggetto-persona prenda liberamente forma in ogni uomo (1). Il senso di ogni istituzione educativa è nell’innovare se stessa per  lasciare che il soggetto conosca con occhi suoi il mondo in cui è capitato ed evolva secondo il senso iscritto nella propria identità originaria.

 

Riformare per aiutare ciascuno a conoscere e trovarsi  bene nel mondo avendo cura di se stesso

La tradizione culturale dell’Occidente e il dovere di onorare l’eredità del pensiero filosofico, politico e pedagogico occidentale ci danno altre indicazioni, ci fan cenno a una perenne facoltà dell’istituzione cui apparteniamo: operare affinchè ciascuno sia se stesso, introdurre al creare. Non creare è non essere, non dare spazio alla infinita virtualità di ogni soggetto umano; il soggetto-persona, infinito frammento di infinito, è per quel poco o quel tanto di proprio che riesce a offrire al mondo nella sua ora di luce.  Il soggetto, di per sè finito, attraverso la finestra della creatività può illuminare il mondo con infiniti raggi di luce, divenire egli stesso una epifania di quel Dio che la tradizione ebraico-cristiana peraltro indica da sempre come suo Padre. Solo l’integralismo della modernità poteva far sì che si ritenesse improponibile ogni domanda sull’Oltre, che il figlio disconoscesse il Padre e con ciò perdesse ogni attributo divino, divenisse mortale anche nello spirito, limitato anche nell’anima, incapace conoscersi, di esistere di generare pensieri. Educare  alla identità e alla creatività è fare spazio all’infinito soggettuale nel suo riflettersi nell’esistente concreto.

Educare a essere se stessi vuol dire lasciarsi intelligentemente essere, vincere lo spirito di gravità e l’inerzia, lasciar agire l’attrazione all’infinito che è in ciascuno di noi. L’educazione di tutti al pensiero pensante  non solo al pensiero applicativo ma anche al pensiero creativo (nonché critico) è parte essenziale della perenne missione della scuola, da Socrate a oggi, all'anno IOOOO e oltre, finchè vi sarà donna o uomo sulla Terra.  Possono arrivare tutte le prescrizioni più livellanti,  tutte le “valutazioni oggettive” pensabili:  noi continueremo ad aiutare bambini e giovani a essere persone libere nel pensare e pensando creare il loro mondo, divenire con-creatori della storia e autori della loro vita.

Porre il problema di una costellazione educativa che aiuti ciascuno a essere se stesso significa infatti parlare delle possibilità del lasciar-vedere-ulteriormente entro e al di fuori dai disegni pre-costituiti; dunque in primo luogo dei limiti e delle possibilità dell'ulteriore, del complesso delle pro-tensioni verso l'alterità (altro dall'acquisito)  che é nel soggetto pensante.

Sono necessari progetti individuali e collettivi che intro-ducano, portino dentro a più ampi orizzonti di idee. La scuola, nel profondo sempre se stessa, è comunque e sempre in riforma, sempre antica e sempre nuova, muta continuamente forma perché la scuola è lo spirito e lo spirito è vento. Vento che non è solo signore dell’aria ma penetra gli abissi della terra e dei cuori, innalza le menti fino all’ ultima stella, dona futuro alle anime. Che abbia luogo nella città ideale o si trovi a predicare tra le mura della più feroce delle tirrannidi, comunque attraverso la voce del maestro innescherà nuovi eventi di pensiero.

Ordinariamente il vero maestro, in quanto inviato (messo in via) dal passato e annunciante e curante i pensieri a venire non si trova a proprio agio nei territori di quel presente in cui il caso lo fa capitare. Ma non ha il diritto di abbandonarsi al pessimismo  e al disimpegno. Deve collegare i suoi pensieri all’intero dibattito pubblico per elaborare un’idea di cultura e, consequenzialmente, un’idea di scuola. Qualunque vera Riforma della scuola è una grande impresa culturale, politica (come visione ed evoluzione complessiva della città) e pedagogica; costituisce un modo in cui dei maestri e una società vedono e interpretano  il mondo, i mutamenti in atto e pensano di rispondervi elaborando una teleologia generale o specifica.

Una riforma della scuola è dunque tale quando esprime una evoluzione della morfologia culturale, un nuovo stato dell’Idea. Solo così  sarà un atto di pensiero capace -come avvenne con Gentile- di cambiare attraverso una parte l’Intero e di introdurre durevoli mutamenti del pensiero e dunque della “realtà” (il mondo come appare alla soggettività trascendentale costituente l’esperienza):  le vere riforme sono autoriforme del pensiero, passaggi del pensare in cui un pensiero il più possibile puro inventa se stesso.

V’è da dire che queste riforme sono rarissime; la scuola è troppo importante per essere lasciata completamente  libera di adempiere alle sue finalita, che non sono mai figlie esclusive del tempo: far giungere la voce delle grandi anime ai giovani, tramandare lo spirito della cultura occidentale, lasciarlo parlare all’anima dei giovani sospendendoli per qualche ora al giorno dalle devastanti radiazioni del sistema manipolativo globale. La scuola in ogni epoca fatica a essere autoaffermazione dello spirito, a rappresentare la cultura stessa nel momento in cui subisce il passaggio dai vecchi ai giovani corpi, per vivere eterna. Naturale che la vera scuola si trovi in conflitto con la città. fu così con Socrate, con il Cristo, con Pestalozzi. Provvidenzialmente non fu così con Gentile, che vide la sua riforma ferità sì dal regime, ma per affermarsi nella sostanza e vivere ben oltre la sua vita.

Stranissimo: un pensatore sommo il quale consegue vittorie che attraversano ogni contingenza culturale e politica, dall’obsolescenza del Moderno al Postmoderno, dalla notte della democrazia al suo rilucere, forse alla sua nuova deluminescenza.

 

Riforma della scuola come coscienza istituzionale, assunzione di nuova forma, atto puro di un pensiero pensante

Penso che, come accadde giusto ottant’anni fa con Giovanni Gentile, una buona riforma possa trar forma solo dal vento dello spirito, da uno sguardo sul mondo che riassuma in sè tutte le epoche, guardi in avanti e crei l’avvenire introducendo nuovi modi di pensare. Ogni autentica riforma scolastica è un intervento del pensiero a venire  perchè muta la teleologia educativa, ossia il quadro delle finalità che una costellazione scolastica si propone. E con essa la società.

La scuola va aiutata a riformarsi (sempre con molta prudenza e con la partecipazione di tutti) in quanto la cultura, la scienza e il contesto sociale cambiano, ci sono nuove domande formative; non dovrebbe essere però operazione di semplice adeguamento, di un mero “stare al passo con i tempi”. Perchè una scuola deve pensare a tutti i tempi, portare ogni soggetto al centro di ogni possibile storia. E’ il grande insegnamento di Socrate, Nietzsche, Gentile, Bertin: una scuola maestra del passato al presente ma tesa al futuro e che per questo sappia anche  essere inattuale.

Tenendo presente anche lo scenario attuale degli eventi di riforma, cercherò di argomentare come nello studio dei processi riformistici come già in tutti i campi di ricerca, occorra effettivamente e definitivamente superare il modello classico di matrice altomoderna come quello  positivista. Occorre accostarsi a scenari che, accogliendo gli insegnamenti fondazionali del pensiero husserliano e gentiliano, esprimano anche una lezione epistemologica postmoderna, principalmente articolata attraverso la teoria della complessità, la fenomenologia e l'ermeneutica.

Sono dunque ottant’anni da che Giovanni Gentile ebbe licenziato il suo grandioso disegno riformatore. Un disegno che nelle sue profonde fondazioni filosofico-pedagogiche probabilmente probabilmente resterà insuperato ancora per secoli. Anche perché quel disegno non ha solo la forza del genio gentiliano ma esprime (Natoli 1988, Del Noce 1990, Boselli 1991, Turi 1995) il meglio del pensiero europeo e soprattutto è una manifestazione di quel vivido e immenso raggio di luce, l’idealismo, che attraversa dalle origini il pensiero d’Occidente.

Son anche sessantacinque anni da che Edmund Husserl ebbe terminato di scrivere il suo cruciale “Crisi della scienze europee”. Libro cruciale in quanto luogo d’incontro e di conflitto, di sofferenza e di generazione, pietra tombale dello scientismo moderno e inizio di una nuova vita della scienza come sapere del mondo-della-vita, non epistemico ma epistemologico, chiave di ogni sapere venturo. Con Idee per una fenomenologia  pura  (1913) rappresentò il poderoso avvio di un movimento culturale che, portando oltre la lezione dell’idealismo, con il World Institute for advanced Phenomenological research di A.T. Tymieniecka e la rivista Analecta Husserliana ha esteso la sua vettorialità a tutte le scienze, non solo a quelle dello spirito (a).

Penso che occorra affrontare lo studio dei processi di riforma come quelli in cui è attualmente impegnata la scuola con la maggior consapevolezza storica e filosofica possibile, questo anche nell’analisi delle procedure sia politologiche che pedagogiche; altrimenti si fa solo, dalle opposte parti, cattiva ideologia o chiacchiera da mass-media. E –nella frenesia di affermare o respingere una tesi o una volontà di determinazione- l’immensa portata di radici e implicanze culturali viene trascurata, con esiti che, in una istituzione delicatissima come la scuola, possono essere esiziali.

 Dunque occorre in questo campo, il campo della preparazione, della stesura e della traduzione in atto delle riforme, un approfondito lavoro scientifico e questo in una stagione in cui più che mai la discriminante della scientificità é in discussione: forse nella nostra cultura nessun concetto é più contradditoriamente in tensione tra l'esigenza e la difficoltà del rigore e quella di comprensività e di sintesi in senso kantiano. Questo non solo nell'ambito delle scienze umane, ma  anche della scienza in generale.

Occorre allora una ricognizione dei possibili modelli epistemologici applicabili nell'ambito politico e pedagogico, ovvero in ricerche che, per essere in un in una zona di frontiera della pedagogia e della politica, richiedono sempre a chi le affronti un certo coraggio e una notevole sopportazione dell'incertezza (1).

Secondo l’ indirizzo mediaticamente accreditato, sarebbe  possibile conoscere (gli effetti di una legge di riforma) nel senso di determinare l'oggetto in se stesso; la realtà sarebbe conoscibile e costruibile attraverso una sua replica in termini di linguaggio e di definizioni normative. Conseguentemente, si procederà ipostatizzando le strutture formali ovvero considerando realmente  esistenti o automaticamente applicabili i propri concetti.  Allora l'operazione non é altro che il riconoscimento nella realtà di oggetti formali prima "nascosti" nella cosa in sé (ovvero nella mente del riformatore) e ora divenuti accessibili e trasferibili, quando non automaticamente applicabili.

Cosa rimane, secondo me, dell'oggetto dell’attenzione politica o pedagogica dopo il travaglio scientifico ed epistemologico contemporaneo? Soprattutto, direi,  il significato simbolico, il suo valore di esortazione del soggetto (individuale o collettivo) a rendersi conto dei limiti inerenti alla propria identità e posizione, non ascrivendo in toto ciò che sente o vuole alla natura di ciò che vede o crede di vedere. Il legislatore o il funzionario dello Stato (che -come l’ultimo Gentile di Genesi e struttura della società insegna- non coincide con il governo) non possono porsi come demiurghi, cercare di indurre obbedienza o tentomeno intimidire i resistenti, devono invece acquisire consensi, estendere l’area di convolgimento.

Nel campo teorico della postmodernità l'oggetto  é il riferimento dell'osservazione, non sarà mai il suo approdo necessario.   Il pensiero occidentale nasce proprio da una laica disposizione di sospetto verso le parvenze del precostituito, del predefinto, del prepensato, a partire dalla platonica ricerca di una verità oltre il velo dell'oggetto imposto.

Cosa rimane del soggetto? In un mondo di fatti (non-atti, senza soggetto vivente e pensante; non-atti, a soggetto reificato) lo spazio e la vitalità del soggetto sono solo fattori accrescimento  del sistema, raramente di disturbo.  Ma nei luoghi ove si perpetra la quotidiana mortificazione del soggetto (alcune università, fabbriche, scuole a "qualità totale", sale giochi, famiglie efficientiste e proiettate verso il successo) la marginalizzazione e l’inebetimento artificiale del soggetto sta gravemente impoverendo la stessa produttività. Riformare la scuola per ridare al soggetto-persona la sua autonomia.

 

Obsolescenza della politica e crisi delle scienze: edificazione epistemica o elaborazione epistemologica?

Si tende da sempre a costruire teorie (disegni riformatori) che stiano sopra i fenomeni e gli eventi (epi-steme) e a non accettare quel che a mio avviso sarebbe ineludibile: la condizione di meri agenti epistemologici ovvero di soggetti che semplicemente discorrono, dibattono per costruire  ma senza poter stabilire  niente. Quest’ultimo atteggiamento, epistemologico, mi sembra democratico; il primo, proprio delle tecnocrazie senza consapevolezza filosofica, oligarchico e dogmatico.

I processi di riforma più recenti (Berlinguer-De Mauro e Moratti) sono condotti con più o meno diretta ispirazione di settori scientifici delimitati. Questo fa sì che le riforme abbiano poi una base di consenso  spontaneo piuttosto ristretto e limitato a settori del mondo accademico non abbastanza estesi da provocare un’adesione fin dall’origine sufficientemente ampia. La riforma Gentile -pur se venne inzialmente attuata anche con ricorso a mezzi scarsamente congrui- fu forse l’unica a essere autenticamente condivisa da larghi settori del mondo della cultura e della ricerca.

Il primo obiettivo di una ricerca politica o pedagogica che debba accompagnare un evento riformatore, come argomenterò più oltre, é  quello di superare lo spaesamento e il senso di disagio provocato da teorie inadeguate all'esperienza degli eventi. I processi riformatori sono invece solitamente condotti e subiti secondo visioni tardopositiviste (non per niente è Comte il padre di tutti i riformismi) e manca quasi sempre una vera attenzione al nuovo che sgorga e si produce oltre i disegni.  Se la riforma Moratti-Bertagna, come già quella di Berlinguer e altri precedenti tentativi, non nasce da movimenti pedagogici fortemente diffusi e sentiti, né è stata formalizzata da larghi settori del mondo scientifico, dovranno essere gli insegnanti delle scuole e delle università –superando il disagio da estraneità proprio dell’attuale momento- a caricarla di significato e a conferirle autorevolezza culturale e scientifica.

Una riforma è ( in senso gadameriano) una più o meno rigorosa teoria: intende portare l’universo di riferimento a procedere verso un fine. Tra esperienza e teoria riformatrice, e ancora di più tra teoria ed eventi in riferimento ai quali questa sia stata invocata (chiamata dentro), una distanza inevitabile é estesa e per la natura degli eventi e per gli innumerevoli fattori di inquinamento percettivo e di costruzione categoriale. Ogni teoria riformatrice  pertanto é in parte destinata ad una tripla distanza: dai protagonisti, dagli eventi e dalla stratificazione storica delle esperienze nel cui campo gli eventi succedono.  Dev’essere però vicina alla fantasia dell’attore (l’insegnante in primo luogo, il dirigente e l’ispettore) in quanto questi supera i propri stati culturali.  Altrimenti hanno successo le “teorie  di autodifesa” delle categorie che a torto o ragione si sentono minacciate e che coincidono di più con le fantasie e i vissuti dei non-protagonisti, quelle predisposte a innestarsi nelle nicchie sistemiche; quelle che confermano, riformulandoli, i pre-giudizi esistenti o magari avviano nuove strutture pregiudiziali di difesa dall'evidenza.

Nella teoria non sperimentale –come è in gran parte quella politica o pedagogica- questa distanza dall'evidenza é destinata a rimanere.  Mentre il teoreta puro (o il riformatore cattivo ideologo) vivrà un'esistenza piuttosto indifferente rispetto ai propri errori e non percepirà le proprie curvature d’ interpretazione, fermo dietro la trincea dei propri pregiudizi, lo studioso impegnato nella prassi educativa avvertirà in modo particolarmente intenso un disagio inevitabile ogni qualvolta egli avrà una voce che esprime contenuti diversi rispetto all'esperienza vissuta. La vera riforma è quella che passa nel pensiero e nel sentire di chi insegna o comunque concorre al fare educativo.

 

Sagge vie dell’intersoggettualità: innovazione senza agitazione

Si può parlare di innovazione politologicamente e pedagogicamente fondata  quando un ampio universo di soggetti (la comunità scientifica e gli insegnanti) si muove intorno ad essa, per sostenerla, accoglierla, comprenderla.  Influiscono sull'innovare le persone che si incontrano, i luoghi che si attraversano, gli spazi che si occupano; in questo intreccio, in questa relazione tra le parti pluralmente si costruisce e s'inventa l'innovazione.

La vera riforma –come viene affermando anche il Ministro attuale-  non sarà tanto quella che stanno scrivendo, ma quella che noi operanti nella scuola  realizzeremo.

L'innovazione è il segno e il sogno del politico vero (l’uomo che si spende non per sè ma per la città) come della scuola migliore;  esprime il fervore, la tensione creativa della città e degli insegnanti, la capacità di difendere e possibilmente estendere spazi di libertà di critica, di creatività.

Ciò che è da temere, oggi nella scuola come nella vita politica nonché negli ambienti che le studiano, è la quotidianità senza senso, l’indifferenza etica, la passività intellettuale, l’atteggiamento di avversità pregiudiziale come di applicazione acritica.

L'innovazione è anche il coraggio di opporre l'"inutile" al necessario; è pensare al futuro come luogo dell’inedito e dell'indicibile; è l'audacia di guardare il sole venturo.

A mio avviso innovare è portare nel mondo qualcosa che prima non esisteva;  nella vita politica e nella scuola è applicare capacità creative alle interconnessioni della complessità (Bertagna 2002). Tra le istanze che si stanno ponendo fortemente alla scuola  c’è quella di flessibilità organizzativa, di riduzione anche delle residue rigidità istituzionali.

 

Dettati e autodettati

Spesso i dettati della parte decidente di quell’ipersistema tardomoderno che copre il mondo-della-vita non sono il frutto di un dialogo o di una dialettica coinvolgenti tutte le componenti della società, della cultura e dello stesso sistema economico. Sono dettati, appunto, non sintesi (come Hegel e Gentile avrebbero voluto), non concordati. Non si impongono con la forza del pensiero ma con ordini anche non brillanti di per sè ma aventi comunque la forza di determinare fatti. Non ragion pura ma ragion determinante. Noi sappiamo che la ragion determinante non può nulla sulla ragion pura (se non a costi umani immensi) ma i decisori no e a volte insistono con azioni prima ancora che sbagliate, inefficaci e controproducenti.

Sia la pedagogia che la politica si trovano così a fare i conti, anche duramente, con l’atteggiamento dogmatico (forse ciò è sempre accaduto con alti e bassi a seconda dei momenti storici),  ossia con il porsi delle proposizioni politiche e pedagogiche come Romae volunctas anzichè come intento di chi ci lavora, come episteme anziché come discorso epistemologico. La volontà di Roma come l’Episteme è l’incontrovertibile, ciò che sovrasta, luogo precostituito, è lo standard imposto, spartiacque, sintagma delle proposizioni ritenute corrette.  Epistemologico è invece quel discorso che, sia in politica che in pedagogia,   si rende conto della opinabilità di tutti gli assunti  senza  tuttavia  cadere nelle aporie  del relativismo per cui tutto viene posto sullo stesso piano (Albert-Antiseri  2002).  Una democratica proposta di riforma  (dunque efficace poichè il ragionare degli insegnanti è democratico) si dedica a una costruzione dialettica e dialogica con completezza di documentazione, valorizzazione delle esperienze locali, immersione nel campo da cui estrae quadri teorici rigorosi  e pregnanti intrecciando teoria e prassi.  Questo non può che avvenire in un clima di libertà ed è compito della politica dell’istruzione garantirlo.  La ricerca pedagogica ha bisogno di autentica autonomia, di democrazia.(3).  Credo sia necessario un  contesto politico in cui la democrazia acquisti sempre maggior respiro, una democrazia  necessariamente rinnovata poiché si inserisce in un processo di  mondializzazione;  un contesto  in cui la conoscenza non si traduca in tecnocrazia ma sappia far circolare, senza paure, un pensiero autonomo; un contesto in cui la ragion tecnica non pretenda di egemonizzare la nostra vita e di presentarsi come unica espressione  possibile di razionalità.

L’atteggiamento epistemologico è dunque democratico, quello epistemico come quello centralistico  esprime l’atteggiamento mentale delle tecnocrazie che almeno da una ventina d’anni pretendono di imporre le proprie strutture concettuali a tutti i campi dell’attività umana ivi compresa l’istruzione. La ragion tecnica –dunque una parte sola della Ragione occidentale- è purtroppo diventata centro di gravità culturale del discorso scientifico e scolastico, luogo di determinazione dei valori e dei principi di comportamento (v. intervento di Bertagna Ottobre 2003). Valori oggi dominanti sono, ad esempio, la capacità di adattamento  e  la flessibilità, virtù meramente passive; quarant’anni fa, quando studiavo a Forlimpopoli, lo erano il pensiero critico e la creatività, qualità oggi quasi temute. Il pensiero prevalente non è tanto interessato a scavare nel profondo, perché pensare costa fatica ed è difficilmente controllabile; si stenta a sviluppare analisi rigorose, documentate, argomentate, critiche,  attente alla dimensione storica. Proveniente direttamente dal mondo economico e tecnico,  è stata ad esempio quella programmazione per tassonomie e obiettivi (4) da cui le più recenti Raccomandazioni e Indicazioni ministeriali iniziano a prendere le distanze.

La scienza dunque anche la politica e la pedagogia non sono né mai saanno super partes  perché sono fatta dai soggetti, son figlie delle loro storie e delle contingenze. Il loro rigore consiste essenzialmente nel dichiarare attraverso quali costrutti teorici, con quali strumenti s’indaga il  mondo e come avviene l’interpretazione (Agazzi 1992). La conoscenza scientifica ( e la progettazione politico-pedagogica che augurabilmente ne consegue) non può essere oggettiva né deve essere totalizzante. L’indagine scientifica costruisce una conoscenza che nasce dal tipo di problema individuato, dalle domande che si pone, dalla qualità dell’ ipotesi formulata, dagli strumenti impiegati, dal modo in cui i dati vengono interpretati e dalla fortuna.

Sulla realtà delle scienze umane e dei processi politico-pedagogici sussiste comunque l'obbligo non voler imporre nulla, di non dare nulla per scontato, di riflettere filosoficamente. Auguro che l’epistemologia possa illuminare la politica e la pedagogia nel senso di orientarle verso progetti di riforma che costituiscano rappresentazioni aperte del protendersi di ogni soggetto e della società verso il futuro.

L’augurio principale è che la scuola continui ad essere libera di interrogarsi, di pensare, di insegnare al mondo a riflettere secondo basi culturali estese nello spazio e nel tempo e non schiacciate sulla cronaca. Ciò significa mantenere attiva  la memoria, la capacità critica, la fantasia e il dono divino di generare attraverso il pensiero altri mondi.

 

Antichi sentieri che portano al Novum. Idee per una pedagogia pura

Vi affido alcune miei orientamenti di rotta di vecchio insegnante che ha attraversato sostanzialmente indenne (per ora) quarant’anni dei complessivi ottanta di tentativi postgentiliani di riforma. Vi dirò anche della terra comune, delle parole essenziali e di alcuni dei paesaggi e dei porti ove ho potuto attraccare nella non finita e infinita navigazione.

La terra comune è l’Europa. La grande cultura etico-politica e pedagogica europea, con le sue immense radici greche, ebraico-cristiane e romane fa della nostra terra comune la costellazione più vivida mai apparsa nella storia del mondo. Essere cittadini d’Europa è essere cittadino di Atene, abitare Israele, potersi dichiarare “civis romanus”; è far parte dei comuni del Medioevo, aver conosciuto le cinque giornate di Milano, aver sofferto con i martiri della libertà che in ogni epoca e paese hanno illustrato le nostre nazioni.

 Se un tempo il mondo "ufficialmente reale" rappresentato dal sapere ufficiale delle scuole "moderne", dalle enciclopedie in carta e cuoio, dalla macchina massmediologica preinformatica, dalle Leggi della scienza e dell'economia era una "cornice" lignea che offriva allo sguardo un contenuto altro da essa, che mostrava altri mondi, ora la cornice dei saperi é diventata di plastica e si é estesa all'interno fino a occupare gran parte  dello spazio visibile e, talvolta, ad addormentare per sazia atrofia il senso dell'invisibile.

Può una tradizione come quella delle scuole europee, giustamente centrata sulla cultura "alta" e sul valore della soggettualità, proporre una lezione ascoltabile nel tempo del plagio di massa, della virtualità dei riferimenti e della serializzazione/standardizzazione dei processi formativi?

La scuola può essere il luogo della memoria e dell’identità europea, il punto ove i cammini delle nazioni s’incontrano e si addensano in nuclei intenzionali comuni. Nelle scuole l’Europa dei popoli riconfigura le identità delle nazioni, costruisce il futuro tramandando i saperi costituiti  ed edificandone di nuovi. L’incontro al plurale delle lingue (auspicabilmente non egemonizzate da quella anglo-americana, che opprime ormai anche i regni d’Inghilterra e di Scozia) evocherà nel mondo con i suoi molteplici colori plurali e interrelati mondi.

Le parole essenziali sono condensabili in alcuni preziosi avverbi, preposizioni e interlocuzioni: forse, secondo me, probabilmente, auspicabilmente, dal mio punto di vista, parrebbe che etc e dall’uso prevalente del congiuntivo e del condizionale ovvero dei modi verbali della ricerca che sa approdare a realizzazioni costruite tenendo conto della complessità, del dubbio, della messa in questione, di una relativizzazione che non annulli il valore dei valori a confronto.

Guardare lontano è difficile; il non pensiero ci fa vedere solo la contingenza e il nostro interesse è sequestrato dall’emergenza.

            Tra i paesaggi e i porti mai completamente attraccati metterei in evidenza i seguenti.

---La Terra e il Cielo come fisici e metafisici riferimenti perenni e generativi del cammino esistenziale e pedagogico. Ho sofferto per la prima, coperta di cemento e rifiuti (vedi l’orrida megalopoli costiera Gabicce-Cervia), mi sono intristito per il secondo, velato dai fumi e ammorbato dalla decomposizione del corpo terrestre. Ma ho anche visto tratti di bellezza nella Terra residua e stelle brillare nel Cielo di qualche notte tersa, a ricordarmi com’erano e come forse torneranno a essere dopo il passaggio dell’uomo.

---Sul pianeta si muovono come mai prima masse erratiche sospinte dalla fame, dall’oblio/svalorizzazione delle loro tradizioni e da sogni artificiali fuori dalle loro terre, aprendo frattali, portando il loro dolore e il loro lavoro in terre che attraverso conflitti vedranno seccare e/o mutare  le loro radici, alterare (render altre) le loro visioni del mondo e i loro assi trasformazionali

---Pieghe imprevedibili si formano per effetto di tensioni discontinue sul piano evolutivo della cultura e con meccanismi d’onda ne aprono altre sull’esistenza e sull’educazione dei soggetti. L’oscillazione e le non linearità sono variamente controllate dai decisori di sistema ma proprio qui si aprono ancora spazi per i soggetti eticamente e pedagogicamente motivati.

-- Aumento della dinamica superficiale. L’ampia  virtualizzazione del mondo riduce la solidità della “cosa” dei blocchi di inerzia e  rafforza i “quanti di forza”, i vettori, i tensori che con ampie e non lineari escursioni di potenza poco prevedibilmente ridisegnano il mondo. Ciò apre all’attività pedagogica tradizionale (finalizzata non al sistema ma alla soggettualizzazione entro costellazioni orientanti) spazi per sperare di poter influire significativamente.

---L’evoluzione della società disciplinare in società di controllo (dove il controllo è tale da non avere neppur bisogno di essere esplicitato, è inerente alle pratiche stesse) esige una risposta pedagogica non astraente ma attraversante, ironica, giocosa, erosiva dei più artificiosi tra i connettori logici e non-logici, creativa di codici di intervento o almeno di difesa, attivatrice di desideri originari.

---Nelle produzioni dell’io riemerge la capacità di porre l’altro (il fichtiano non-io)  come riferimento ideale di ogni atto esistenziale e pedagogico in particolare, motivo di superamento dell’inerzia, volto del procedere dell’io e del noi oltre il proprio stato immediato.

---Dalle brume tardomoderne emerge il soggetto-persona, il Volto irriducibile (Mancini) che famiglia e scuola ospitano ma professionalmente non formano perchè la forma appartiene al soggetto da quando ancora egli era nei sogni dei genitori.

---Come tanti altri elementi dell’universo, anche il pensiero umano ha i suoi cicli, i momenti di depressione come quello attuale cui ne seguono altri di puro volare: l’età dei grandi poemi arcaici, l’età di Platone, l’età romantica, il primo Novecento di Plank, Einstein, Heisenberg, Husserl, Gentile, Heidegger. Il giorno del nuovo volo verrà, ma forse è lontano.

---La pedagogia, in quanto scienza filosofica, prepara chi dovrà volare a guardarsi, volgere lo sguardo oltre l’orizzonte di ciò che è al momento visibile, leggere le mappe, rafforzare le ali, avere il coraggio di un distacco dalla superficie e di un viaggio senza ritorno.

---Intanto, non resta che il maestro per svelare la pochezza del non-pensiero vincente, alimentare la speranza nel pensiero a venire; non resta che il maestro anche per far cenno alla sicura incombenza del mistero e alla sperabile presenza del divino (l’assolutamente Altro) oltre il visibile, l’ascoltabile, il tangibile, il pensabile. Una teoria e una pratica pedagogiche fan parte di un’epoca ma vengono da altre e inviano ad altre ancora, così come ai luoghi che non hanno il tempo tra le loro dimensioni. Dobbiamo istruire alla sopravvivenza nel mondo attuale e in quello imminente ma anche aiutare ad educare soggetti che, nelle ristrette contingenze e nei sempre brevi anni della loro vita, hanno diritto alla vita (la pienezza dell’esistenza) e a intravvedere e possibilmente avvertire il Tutto e l’eterno.

           

Cercheremo in questi giorni di essere pluralistico luogo di incontro di insegnanti, dirigenti, ispettori, amministratori e studiosi che, a un livello elevato di analisi scientifica, intendano fare i conti, entro gli scenari della cultura, con ottant’anni di riforme e pseudo-riforme, senza cattiva ideologia e senza pre-giudizi in pro o in contro i singoli momenti di innovazione.

Il tutto non solo per capire ma anche per estendere il campo di fondazione scientifica, approfondire radici e vettori del momento; per vincere un certo disagio da estraneità, rendere chi lavora nella scuola non solo attore ma anche autore dei propri giorni di magistero.


Ottant’anni dopo
Memorie, attualità e scenari del processo riformatore nella scuola


Nella redazione del presente scritto si sono prevalentemente utilizzati due articoli: il mio ““Comprendere la complessità“, apparso in Scuola e didattica nel giugno 2002 e, per gentile concessione dell’Autrice, “Riforma ed epistemologia politica” di Agostina Melucci, pubblicato nel numero 2 dell’annata 2003-04 di Nuova secondaria. Entrambe le riviste son edite da La Scuola di Brescia.

Note

(1) In campo tecnologico hanno il via libera solo quelle invenzioni che i managers valutano controllabili e utili alle loro compagnie (esemplare il caso dei motori a ciclo Otto o Diesel, non ancora soppiantati, nonostante il massiccio sviluppo della ricerca, a oltre un secolo dalla loro introduzione). In generale anche le èlites del potere accademico puniscono severamente gli ideatori di teorie divergenti..

(1) L'incertezza é del resto un tratto costitutivo di quelle esperienze scientifiche del Postmoderno che della nuova epoca accolgano anche l'epistemologia e i suoi originali tratti derivati dall'ermeneutica e dalla teoria della complessità. Coloro che senza certezza, o meglio l'illusione di questa, non sanno proprio stare, hanno sempre a disposizione il modello positivistico di scientificità o i suoi derivati.

(a) E' da qualche decennio una felice evidenza la capacità della fenomenologia e delle sue derivazioni  di rappresentare il piano epistemologico di raccordo tra le più avanzate e varie ricerche scientifiche. Il "movimento fenomenologico" ha messo a disposizione di ogni forma di sapere un linguaggio, una tipologia di approccio e un metodo utili per ogni scienza quando questa si trovi a compiere un lavoro di individuazione di senso, di leggibile traduzione delle esperienze, di delineazione di tratti progettuali.

In pedagogia il movimento fenomenologico mondiale trova una importante espressione con ENCYCLOPAIDEIA, un gruppo di studiosi che dal 1987 si raccoglie a Bologna intorno alla prestigiosa figura di Piero Bertolini, fin dagli anni '60 maestro degli studi italiani di fenomenologia della vita e dell'educazione.

(2)           L'evento é un accadimento che avviene esternamente al soggetto e perviene a evidenza nel suo campo di attenzione.  Il soggetto però non può coglierlo nella sua essenza ma solo costruirvi intorno un sistema di rappresentazione che ne permetta l'accesso entro il sistema categoriale. Accade qualcosa di esterno al soggetto che non é dato da lui, che non é conoscibile in sè e per sé, ma solo nel modo in cui entra nell'esperienza del soggetto, per modificarla in qualche modo nei suoi assetti.

Nessuno esperisce né teorizza altro mondo che il proprio. L'analogia che statisticamente si costituisce intorno agli esiti dei punti di vista corrisponde alle analogie tra i soggetti che ne sono autori e al relativo campo di eventi.

(3) Sono state per me importanti le relazioni di Piero Bertolini, Antonio Erbetta ed Edgard Morin al convegno bolognese dello scorso Novembre “Pedagogia e politica” organizzato presso l’università di Bologna dalla rivista Encyclopaideia;  lucide analisi   delle difficoltà che stiamo vivendo ma concluse  con  un atteggiamento di speranza. Ci può essere l’imprevedibile positivo anche in tempi difficili e lo si è sostenuto su basi storiche. Il loro non era superficiale ottimismo.  Atteggiamento analogo è stato recentemente espresso anche da Aldo Masullo  nel corso della prima conferenza regionale sulle scuole dell’infanzia tenutasi a Bologna il 25 ottobre dello scorso anno . Masullo poneva in evidenza come sia il futuro il vettore essenziale dei  soggetti e delle società più vive. Si  tratta di messaggi significativi espressi da persone con un lungo e ricco patrimonio di esperienza e di cultura. Persone anagraficamente anziane che ci rivolgono un messaggio di grande fiducia. Il diritto alla liberta dell’educazione  in tutte le scuole, statali o a gestione privata che siano, è fondamentale per l’evoluzione della cultura e della democrazia; coincide con il diritto al futuro. Per garantire ciò occorre avere cura  innanzitutto della nostra Terra-Patria (secondo la felice definizione di Morin).

(4) Anch’io mi sono scontrato con l’atteggiamento epistemico quando nell’86, con Agostina Melucci e Marina Seganti,  elaborai la teoria della postprogrammazione entro un contesto sperimentale. Era allora il periodo in cui regnava, in qualità di teoria assoluta, la programmazione tassonomica.

La nostra impostazione provocò una polemica molto dura (ora forse sarebbe inconcepibile). Non che non mi renda conto come l’evoluzione del pensiero sia anche il frutto di scontri, conflitti, tensioni.  Il contrasto e il  contraddittorio sono elementi preziosi per la ricerca. Allora perà non si confutavano le idee; l’anatema veniva scagliato contro il solo fatto di contraddire un dogma; per fortuna ebbi il sostegno di Piero Bertolini sul piano scientifico e di due grandi ispettori, Ugo Montanari e Guglielmo Giovagnoli (l’illustre pascolista) sul piano istituzionale.


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