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Riflessi di valori e qualità

di Giuseppe Campagnoli

Poiché in questi momenti di profonde mutazioni, che passano ahimè ancora per ridondanti "letture burocratiche" ed adempimenti incalzanti, non ci è concesso il tempo di soffermarci a riflettere mi è parso utile affrontare alcune "parole calde" in una specie di "brainstorming" in rete, più per evocazione che per filosofare o proporre dotti saggi.


I modelli valutativi possibili pare si possano raggruppare in due grandi famiglie antagoniste: quella fenomenologico-narrativa o "della persona" e quella positivista e docimologica o "del prodotto".
Il trionfo ancora non celebrato della scuola efficiente e produttiva ha una origine "stigmatica" dalla prima bacchettata economica dell' O.C.S.E. nei confronti dell'Italia e dell'infondato ma crescente complesso di inferiorità della cultura mediterranea nei confronti di quella anglosassone, mitteleuropea ed anche più semplicemente "esotica". Il pensiero politico sedicente "avanzato" pretende di eliminare i formalismi burocratici sostituendoli con formalismi tecnocratici ed efficientisti, dove il problema principale non è la crescita dell'uomo ma l'occupazione a "prescindere" e la scuola non è "magistra vitae" ma luogo di "garanzia" per le conoscenze,le competenze e le capacità che il mercato unico globale richiede in un accesso di liberalismo da "laissez faire".
Per fortuna la globalizzazione economica che tutto pretende di assorbire ed asservire sta mostrando le prime crepe politiche ed ideologiche.
Il punto di vista non è reazionario e conservatore nel senso di non credere che debbano esserci cambiamenti nella scuola. Ma è forte la convinzione che le riforme debbano essere auto-riforme leggere e diffuse in modo reticolare e non gerarchico, per ampia convinzione e condivisione nel ritenere il momento educativo un "dialogo" tra soggetti,un racconto pieno di imprevisti e la valutazione un processo di reciprocità e di consapevolezza di sé e del mondo, e della storia....... in vece di una "osservazione" pur sempre "ex-cathedra" ed un giudizio "ex-technica".
In questo contesto di innovazioni reali o apparenti, possibili o pretestuose,appare troppo realistico il trasfert dalle discipline economiche che va oltre il linguaggio,fin dentro la sostanza del fare scuola.
Si va affermando una pericolosa identità tra processi e percorsi cercando di valutare i primi per sottovalutare i secondi, con gli apporti perniciosi di certo psicologismo che complica e rende virtuale o patologico ciò che è nella natura delle diversità e di una diffusa docimologia che pretende di misurare anche il rapporto educativo rendendolo semplicistico e legato ai "quanti" e non anche ai "quali".A questo punto è importante la memoria del "valere" contrapposta al "validum facere".
La bontà generica di alcuni principi come quelli della continuità educativa dell'autovalutazione e della necessità di poter "spendere" nella vita ciò che si è appreso, si scontra nella prassi indotta da Leggi importanti quali l'elevamento dell'obbligo in un contesto educativo ancora segmentato e sostanzialmente obsoleto o l'introduzione di un esame di stato conclusivo del percorso secondario superiore, con connotazioni a volte contraddittorie tra le pretese oggettive di valutazione, i rigidi schemi di misurazione e l'imprevisto di un cammino educativo che valorizza e valuta anche l'errore come erranza e ricerca e che nel dialogo tra "persone" può emergere e veramente "valorizzarsi"
L'esigenza del mercato dell'istruzione e della persona intesa essa medesima come "bene che non si consuma" non potranno mai coincidere.
Sarà comunque quella stessa persona, divenuta colta, abile, aperta, a trovare la sua via esistenziale ed il suo ruolo per la collettività intesa anch'essa come insieme di persone, non di interessi economici su cui un certo liberalismo della concorrenza in tutti i campi è fondato.
In questa accezione infatti anche la valutazione si fonda sulla furbizia e sulla prevaricazione nelle "gare" di mercato e non sulla saggezza e sull'impegno disinteressati e autenticamente "autonomi" . Si tratta di una valutazione "su" non "con" il soggetto che diventa così inevitabilmente oggetto.
Nel significato della terminologia è anche l'essenza dell'azione valutativa.
Essa può essere condivisione della propria identità e della propria comune competenza tra docente e discente oppure una modalità tecnica di fissare temporanei momenti di consuntivo tra "debiti e crediti" storicizzati e circoscritti, senza che siano considerati episodi di un continuum narrativo, orientante ed educante.
La cosiddetta autovalutazione può essere invece dialogo crescente e ricerca reciproca, processo non lineare e grarchico ma reticolare ed anche ex-centrico.
Può essere un processo di acquisizione di valori e non meramente crescita tecno-fisiologica o accumulo di competenze che determinano anche l'invecchiamento della persona e dell'apprendere.
Quale nesso vi può essere tra la consapevolezza di sé e del mondo e quell'immagine "oggettiva" cha la "nuova società" economica pretende come fotografia del sapere e del saper fare, utilitaristica chiave di volta per il lavoro ed il mercato?
La globalizzazione dei problemi e degli interessi fa perdere la vera autonomia che è quella intellettuale e culturale a vantaggio di una "autoregolamentazione" delle "procedure" insite nell'insieme di "sistemi" dell'istituzione scuola per un "servizio" che garantisca un prodotto di qualità per efficacia,efficienza ed economicità.
Tutto il contesto valutativo dell'offerta formativa,della professionalità docente e non docente, disillusi passeggeri del Caronte traghettatore verso un "nuovo" indotto da altri, punta diritto alle concezioni pragmatiche di una scuola ingenuamente funzionale e pericolosamente classificatoria in tutte le sue componenti, innescando perniciosi processi di competizione, di autopropaganda.
Così si favorirà la spinta ad un concetto di qualità mutuato dall'organizzazione aziendale e tristemente già sperimentato altrove, dove la "qualità" diventa di fatto una travestita "quantità", l'unica che può essere misurata da griglie,tests e questionari.
Tutto ciò, per perseguire la garanzia del successo formativo e scolastico in particolare che rende ambigua la libertà di scelta dell'individuo a decidere del proprio progetto di vita ,per assurdo verso insuccessi dell'"attitudine al lavoro" a vantaggio del successo della persona.
Una persona, a questo punto, più consapevole ma anche connotata da maggior flessibilità,la flessibilità che può solo dare l'essenza dei valori acquisiti per conoscenze fondate e capacità, spiritualmente profonde, di ricerca e scoperte non definite e definitive.
In una teoria storica semplificata,il modo di concepire la scuola si è fatto prima prevalentemente mistico e poi umanistico,quindi razionale e illuminato,poi ancora spirituale ed infine scientifico,tecnico e tecnologico per diventare e consolidarsi come tecnico ed economico,riducendo anche il fare artistico e la creatività,virtù trasversali, a fenomeni economici, globalizzati e tesi al "successo".
Occorre pensare che invece l'uomo non muta nell'essenza:quello che muta è,passatemi la parola,l'"interfaccia" con il reale e le sovrastrutture che non è assodato siano "buone per lui" quando lo sono per il mercato.Se l'uomo che insegna e quello che apprende sono cambiati è nel rapporto con un reale fisico che si fa sempre più virtuale ma non virtuoso: del resto i loro comportamenti sono sorprendentemente gli stessi descritti anche da Socrate per bocca di Platone.
Che gli strumenti valutativi allora restino strumenti indifferenti ma limitati ad episodi e non determinanti,ma aperti, rispetto ai fondamenti dialogici dell'educazione e dell'istruzione. Così potranno comunque far trasparire la loro vera qualità durante il racconto di cose fatte, di emozioni condivise e di conoscenze profondamente scoperte ed assimilate ma anche creativamente utilizzate all'occorrenza dell'esercizio e della vita.
In un contesto di valenze e misure suggerite per "rendicontare" tutto ,dal sapere all'essere, sfugge che nella scuola l'essenziale è l'uomo come pluralità di soggetti: che apprende, che insegna, che guida senza dipendenze ma con relazioni e reciproche narrazioni.
Da qui e solo da qui può avere luogo una riforma autorigenerante.
L'assenza di entusiasmo innovatore fa ricadere su se stesso qualsiasi movimento indotto dall'esterno in un riavvolgersi inerte e ad libitum.
Nessuna riforma " ex machina" potrà avere successo; lo dicono anche i discorsi attuali delle genti della scuola militante che anelano a quel nuovo che fa tesoro della memoria positiva e della storia,di quel quid che è al di sopra delle parti e per fortuna non rischia l'obsolescenza.
Se poi non ci si muove con "juicio" avremo già i primi giudizi di valore lapidari come quelli sugli "accanimenti pedagogici" delle sperimentazioni "indotte" dall'alto o le resistenze di docenti che si sentono cavie impreparate per le nuove "incombenze" proposte nella buona fede di innescare giusti e tardivi progressi ovvero precoci e pericolosi esperimenti "in vitro" avviati,a mio parere,senza lasciar tempo alla necessaria, laboriosa, comune riflessione.
Sono le ipocrisie di un presuntuoso rinnovamento, in una autonomia che può tranquillamente essere ancora autoreferenzialità o guinzaglio lungo di un centralismo del sapere che manifesta nel tempo le sue multiformi apparenze, funzionali sovente ad una idea "aliena" al mondo della scuola?
La vera rivoluzione, se ha da essere, può avere origine solo dalla storia del pensiero libero che si evolve, facendo tesoro dei successi della pratica, e delle conoscenze dello studio, dal confronto continuo sul campo,che pure c'è sempre stato,soprattutto nella scuola che e-duca ed in-segna non in quella che ad-destra alla competizione.
Guai alle traslazioni disciplinari mascherate da utile contributo, anche solo linguistico:budegt, know-how, interazione,ottimizzazione, approccio,obiettivo, programma, motivazione, delega, modello e ancora,orrore degli orrori: diagnosi, competitività, strategia.........perché sta diventando una babele perniciosa,se ogni dialogo si deve avviare con una preventiva,spesso inutile, traduzione.
Guai a valutare chi ha valore ma non può farsi valere per mancanza di orientamento,di ruolo,di strumenti,di risorse e di convinzione.
Propongo una migrazione attraverso il repertorio storico delle "buone cose" della scuola militante ed una antologia ragionata dei punti fermi che possano aiutarci a concepire la qualità come "essenza",a perseguirla senza schemi e programmi quando essa si "muove" e si evolve.Sarà allora più facile valutarla come "valore" anticonformista e non come convenzionale "validità".
La ricerca è ancora aperta perché le certezze credo non possano esistere in campi che intersecano il fisico e il metafisico,l'etico e l'estetico.


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