COMITATO POLITICO SCOLASTICO
Non statale

 

Seminario di studio

LA SCUOLA NON STATALE LAICA S’INTERROGA:

QUALE RUOLO NEL NUOVO SISTEMA SCOLASTICO NAZIONALE?

 

Redazione degli atti
a cura di

Roberto Pasolini

COMITATO POLITICO SCOLASTICO
Non statale

con il patrocinio

 

Ministero della Pubblica Istruzione

SOVRINTENDENZA SCOLASTICA REGIONALE PER LA LOMBARDIA
e
PROVVEDITORATO AGLI STUDI DI MILANO


Seminario di studio

LA SCUOLA NON STATALE LAICA S’INTERROGA:

QUALE RUOLO NEL NUOVO SISTEMA SCOLASTICO NAZIONALE?

Milano, 7 maggio 1998

 

Sala Stoppani

Istituto dei Ciechi

Via Vivaio, 5 - MILANO

 

PRESENTAZIONE

La scuola italiana sta vivendo una stagione particolare: sono in atto tentativi di rinnovamento e di modernizzazione per impostare un nuovo sistema d’istruzione e formazione che possa rispondere alle esigenze di preparazione delle nuove generazioni del nostro Paese.

Nel quotidiano dibattito che si svolge nelle diverse sedi istituzionali, in numerosissimi convegni, incontri, tavole rotonde e sui quotidiani di maggior tiratura si cerca di superare le difficoltà legate all’arroccamento attorno a posizioni ideologiche che, per il passato, hanno impedito alla nostra Repubblica di legiferare serenamente ed in modo compiuto sul rapporto pubblico/privato nell’ambito della gestione delle istituzioni scolastiche.

Le nuove positive aperture, tuttavia, sembrano portare il dibattito verso un’incompleta soluzione del riconoscimento della presenza d’istituzioni non statali che possano offrire un diversificato servizio pubblico d’istruzione.

La scuola laica non statale sembra discriminata. Sembra, quasi, che si stiano disconoscendo le radici storiche, i meriti educativi e la funzione sociale che la Scuola non Statale laica ha sempre svolto e che potrà sicuramente svolgere nel nuovo sistema scolastico. Si corre il pericolo di ridurre il sistema ad un duopolio scuola statale/scuola confessionale

Questo seminario si pone l’obiettivo di indagare sulle potenzialità di questo settore e di tracciare le linee fondamentali in cui si possano riconoscere tutte le istituzioni laiche non statali che vorranno continuare nella meritevole opera di fornire un prezioso contributo alla gestione del servizio di istruzione nel nostro Paese.


PROGRAMMA

Mattino

9.30 Inizio Lavori

Presiede GIOVANNI BOTTERO

Intervento su "SCUOLA E LIBERTÀ"

ANTONIO MARTINO

Introduzione

ROBERTO PASOLINI

10.30 Tavola rotonda su: RADICI STORICHE DELLA SCUOLA NON STATALE LAICA

FELICE E. CREMA, FRANCESCO GUERELLO, MARIO MAURO

Presiede MARIO VISCOVI

11.30 Tavola rotonda su: RUOLO E FUNZIONI DELLA SCUOLA NON STATALE LAICA

FRANCESCO de SANCTIS, LUISA RIBOLZI

STEFANO VERSARI

12.30 Dibattito

13.00 Pausa

Pomeriggio

Presiede PIA MARTINI DEIDDA

15.00 Tavola rotonda su: LEGISLAZIONE VIGENTE E FUTURA SULLA SCUOLA NON STATALE LAICA

SANDRO ALDISIO, VITTORIA GAETA,

GIANFRANCO GARANCINI

16.00 Dibattito

16.30 Conclusioni

ROBERTO PASOLINI

Relatori

SANDRO ALDISIO

Segretario DIRPRESIDI

FELICE EUGENIO CREMA

Docente di Pedagogia

Università Cattolica del S. Cuore

FRANCESCO de SANCTIS

Provveditore agli Studi di Milano

VITTORIA GAETA

Presidente Nazionale F.I.L.L.

GIANFRANCO GARANCINI

Docente di Storia del Diritto Italiano

Università di Milano

Padre FRANCESCO GUERELLO

Rettore Istituto Leone XIII di Milano

Presidente Regionale FIDAE Lombardia

ANTONIO MARTINO

Parlamentare di Forza Italia

Docente di Economia Politica Università LUISS

MARIO MAURO

Vice Presidente Compagnia delle Opere

ROBERTO PASOLINI

Segretario Generale

Comitato Politico Scolastico non Statale

LUISA RIBOLZI

Docente di Sociologia dell’Educazione

Università di Genova

STEFANO VERSARI

Presidente Nazionale AGeSC

Chairmen

GIOVANNI BOTTERO

Preside Istituto Bernini di Milano

PIA MARTINI DEIDDA

Membro Comitato Cultura Istituto Madre Cabrini

MARIO VISCOVI

Presidente FAES

Segreteria Organizzativa:

Comitato Politico Scolastico non Statale

Via del Carroccio, 9 – 20123 MILANO

Tel 02/89409732 Telefax 02/89405789

E-mail: pasos@iol.it


COMUNICATO STAMPA

GIOVEDÌ A MILANO INCONTRO SUL RUOLO DELLA SCUOLA NON STATALE LAICA

Milano – "QUALE RUOLO NEL NUOVO SISTEMA SCOLASTICO NAZIONALE?" è il tema del seminario organizzato con il patrocinio della Sovrintendenza Scolastica Regionale e del Provveditorato agli Studi di Milano, che si terrà a Milano giovedì 7 maggio alle ore 9.30 presso la Sala Stoppani dell’Istituto dei Ciechi Via Vivaio, 5

Uno Stato, laico per definizione, deve considerare una riforma del proprio sistema scolastico in modo tale che sia garantita la presenza di un pluralismo culturale che si sostanzia con l’operatività, in pari dignità, di istituzioni statali e non statali, siano esse "confessionali" o "laiche".

Il Comitato Politico Scolastico ha ritenuto opportuno porre l’attenzione sull’utilità di una rivalutazione di questo settore e di indagare sulle sue potenzialità: culturali, educative e formative, nella convinzione che una presenza di spessore della scuola laica non potrà che essere di vantaggio per tutto il sistema scolastico nazionale.

Aprirà i lavori del seminario l’on. ANTONIO MARTINO con un intervento sul tema "Scuola e libertà". Seguiranno tre tavole rotonde che approfondiranno il tema proposto da angolature diverse: le radici storiche, il ruolo e le funzioni, l’aspetto legislativo.

La qualità dei relatori: FELICE E. CREMA, FRANCESCO GUERELLO, MARIO MAURO, FRANCESCO de SANCTIS, LUISA RIBOLZI, STEFANO VERSARI, SANDRO ALDISIO, VITTORIA GAETA, GIANFRANCO GARANCINI, è sicura garanzia di un’analisi di alto spessore culturale che potrà sicuramente dare un valido e prezioso contributo al dibattito in corso nel Nostro Paese sulla riforma del sistema scolastico.

Il Comitato Politico Scolastico non Statale chiede, al mondo politico ed agli organi di stampa, attenzione e collaborazione affinché possa essere dato giusto risalto all’iniziativa che si pone come obiettivo fondamentale il miglioramento qualitativo del servizio scolastico. Sarà gradita, per arricchire il dibattito, la presenza di loro rappresentanti.

Il Segretario Generale
Prof. Roberto Pasolini

Milano, 5 maggio 1998


INDICE

Interventi

Conclusioni

Legislazione


REDAZIONE DEGLI ATTI DEL CONVEGNO
(a cura di Roberto Pasolini)

Prefazione

Nel ringraziare vivamente i relatori che hanno voluto onorare il nostro seminario rendendolo, con i loro qualificati contributi, un sicuro punto di riferimento per il cammino che attende la scuola non statale laica alla ricerca di una sua giusta riqualificazione ed una corretta rivalutazione del ruolo decisivo che potrà interpretare nella riforma complessiva del sistema scolastico italiano, rammento ai lettori che tranne i contributi della Prof.ssa Ribolzi e della Prof.ssa Gaeta (pervenutici per scritto dai relatori) la stesura si rifà alla riscrittura di quanto hanno esposto nei loro interventi senza una loro revisione.

Ho ritenuto fosse di utilità per tutti coloro che riceveranno copia degli atti, allegare una raccolta giuridica che vuole avere tre obiettivi:

Milano, marzo 1999

Ringraziamo per i loro messaggi di augurio e partecipazione:

On. Valentina Aprea – Responsabile Nazionale Scuola FI
Dott. Gabriele Albertini – Sindaco di Milano
Prof.ssa Pierangela Bianco – Docenti Liberaldemocratici
Ing. Guido Bombarda – Assessore ai Giovani e alla Form. Professionale – Regione Lombardia
Dott. Francesco de Sanctis – Provveditore agli Studi di Milano
Dott. Antonia Guarini – Segretario Org. Naz. – Italia Federale
Dott. Ermanno Janach – Associazione Amici Scuola Steineriana
Dott. Alberto Malerba – Assessore all’istruzione – Provincia di Milano
On. Mariolina Moioli – Responsabile Nazionale Scuola CDU
On. Angela Napoli – Responsabile Nazionale Scuola AN
Dott. Attilio Oliva – Responsabile Scuola Confindustria
Rag. Rolando Tamagnini – Confcooperative
Dott. Raffaele Tortora – MPI - Direttore Generale Scuola non Statale

Enti ed Associazioni presenti:

ADLI
AGeSC
ANINSEI
Assessorato Istruzione Comune di Milano
Assolombarda
Alleanza Nazionale
Compagnia delle Opere
Conferenza Permanente per le Autonomie
Coordinamento Moderati
Consiglio Comunale di Milano
Docenti Liberaldemocratici
DIESSE
DIRPRESIDI
Europa 2000
FAES
FIDAE
FILL
FOE
Forza Italia
Federazione Provinciale Scuola Materne – Trento
Provveditorato agli Studi di Milano
Rinnovamento Italiano
SIDEF
Sovrintendenza Scolastica Regionale - Lombardia


ANTONIO MARTINO

"Scuola e libertà"

C’è un proverbio tedesco che dice "un professore universitario è uno che la pensa in modo diverso". Io ho sempre ritenuto che questo fosse un privilegio irrinunciabile della mia, per altri versi, non sempre gratificante carriera, e, quindi, alcune delle considerazioni che farò, forse perfino in questo ambiente favorevole all’ispirazione di quello che dirò, saranno considerate, diciamo così, se non provocatorie, certamente non ortodosse.

Il problema che intendo trattare è di natura generale perché è vero che riferirò queste mie considerazioni alla scuola, ma quanto detto per la scuola, con i dovuti aggiustamenti, può essere applicato anche a tanti altri campi dell’assistenzialismo statale. Quello che abbiamo nella scuola è un contrasto che esiste ovunque nel settore pubblico, contrasto fra l’interesse organizzato, consapevole, immediato dei produttori e l’interesse generale e quindi disorganizzato o difficilmente organizzato e spesso inconsapevole della collettività. Da questo punto di vista una certa dose d’onesto pessimismo è giustificata.

Il nostro moderatore ricordava che da 25 anni io mi batto per la proposta di cui ora parlerò. Tengo a sottolineare che lo faccio nello spirito del motto di Guglielmo d’Orange il taciturno: "non è necessario sperare per intraprendere né riuscire per perseverare", e continuo a sostenere queste tesi, non perché creda che prima o poi finiranno con l’essere accettate, ma perché ritengo che siano giuste.

Trattandosi di un tema di cui mi occupo da tanto tempo, avevo pensato di improvvisare per risparmiare tempo (quando ero un uomo libero ero convinto che le improvvisazioni che riescono meglio sono quelle che uno prepara prima). Oggi, non avendo avuto tempo, sono costretto ad improvvisare letteralmente e allora avevo pensato per non improvvisare completamente di leggervi un testo che avevo utilizzato più volte nel lontano passato. Comunque non lo leggerò, ma mi limiterò soltanto a sintetizzarlo. Perdonatemi se sarò un po’ disorganizzato.

Il titolo di questa mia chiacchierata potrebbe essere il finanziamento dell’istruzione in una libera democrazia

Non parlo, quindi, del finanziamento della scuola privata o non statale, ma parlo del finanziamento dell’istruzione senza specificazione. A me sembra, infatti, che il problema del finanziamento dell’istruzione vada visto nella sua complessità, senza distinzioni fra scuola pubblica e scuola privata

In secondo luogo parlo di finanziamento, non di finanziamento pubblico. Parlare di finanziamento pubblico è fuorviante perché nasconde il fatto che il denaro pubblico proviene, inevitabilmente, da tasche private da cui, prima, è prelevato. Il finanziamento, quindi, è solo e sempre privato; può essere coercitivo o volontario, ma non può essere pubblico.

Ora, quando si parla di finanziamento pubblico della scuola, è a mio avviso importante tenere distinti due elementi che non devono essere tra loro confusi, anche perché la soluzione del problema a mio modo di vedere va ricercata nel mantenere il primo di questi due elementi e nell’abbandonare il secondo

Quali sono i due elementi

Primo elemento: quando si parla di finanziamento pubblico si intende che la scuola, l’istruzione, è finanziata con imposte che gravano sulla generalità dei contribuenti, anziché con rette scolastiche che gravano sugli utenti. Ritengo che questo elemento, sia pure contorto, in una certa misura, debba essere mantenuto come chiarirò successivamente.

Il secondo consiste nel fatto che le risorse del cosiddetto finanziamento pubblico della scuola non vanno agli utenti, ma ai produttori del servizio scolastico. Sono erogati direttamente alle scuole sotto forma di stipendi per insegnanti, sotto forma di mobili per la scuola e così via, non vanno, viceversa, a chi chiede l’istruzione cioè ai giovani, e le loro famiglie.

Ora il primo elemento: finanziamento realizzato con le imposte, viene ritenuto ineliminabile per via della obbligatorietà dell’istruzione.

Si sostiene: dal momento che lo Stato rende obbligatorio un certo livello d’istruzione non può poi pretendere che coloro i quali egli obbliga a ricevere quella istruzione, paghino di tasca loro, e quindi deve fornire questo servizio gratuitamente. In effetti, questo non è gratuito. Successivamente chiarirò meglio questo punto.

Il primo è un quesito che non viene mai sollevato: perché la scuola dell’obbligo? Perché dovrebbe essere reso obbligatorio un certo livello d’istruzione, se, come riteniamo tutti, non solo in questa sala, ma in generale, istruzione fa l’interesse del beneficiario dell’istruzione, cioè del ragazzo? Perché costringerlo a fare ciò che è comunque nel suo interesse fare?

Se noi andiamo a vedere gli studi storici che sono stati fatti sulla introduzione dell’obbligo scolastico, per esempio di docenti dell’Università di Ottawa, scopriamo che l’obbligo dell’istruzione è stato introdotto quando l’istruzione era già, di fatto, quasi universale. Allora non è vera l’ipotesi implicita dell’obbligatorietà del sistema scolastico che è un ipotesi di origine paternalistica, in base alla quale se lo Stato non rende obbligatoria l’istruzione, le famiglie fanno crescere ignoranti i loro figli, l’obbligatorietà non è stata introdotta perché altrimenti i ragazzi non sarebbero andati a scuola, l’obbligatorietà è stata introdotta perché era negli interessi dei sindacati degli insegnanti.

Preso atto che l’abbiamo resa obbligatoria ci chiediamo perché deve essere finanziata con l’imposizione. Se l’istruzione è nell’interesse del ragazzo le famiglie dovrebbero essere ben liete di investire nel futuro dei loro figli, pagando l’istruzione relativa. Esisteranno sempre dei casi di famiglie talmente bisognose, e indigenti da non essere in grado di sopportare il costo dell’istruzione, ma sono una minoranza per definizione. Perché costruire l’intero sistema scolastico, sulle esigenze, diciamo, del 5 o del 10% delle famiglie? Non sarebbe meglio provvedere a questo 5/10% con provvedimenti ad hoc, lasciando il resto alle loro decisioni pubbliche

Ai quesiti posti non rispondo nel senso che essi sembrano suggerire. Personalmente ritengo che il finanziamento coercitivo, non lo chiamo pubblico, della istruzione, cioè il finanziamento che si ottiene attraverso l’imposizione, vada mantenuto, ma per una ragione diversa. Mi chiedo perché e cercherò di dare una risposta.

La risposta è questa: l’ha data Milton Friedman diversi anni fa, "è impossibile avere una società stabile e democratica senza che la maggioranza dei cittadini abbia un certo grado di alfabetismo e di conoscenze e senza una diffusa accettazione di alcuni insiemi di valori comuni"

L’educazione può contribuire ad entrambi questi aspetti: di conseguenza l’educazione di mio figlio, contribuisce anche al vostro benessere contribuendo a promuovere una società stabile e democratica. Questa è la tesi secondo Friedman, che allora io condividevo in pieno, ma che ora, per la verità, ho molta difficoltà a condividere. La ritengo ancora condivisibile per quanto dirò adesso.

Secondo Friedman, l’istruzione conferisce due tipi di benefici, il beneficio privato che va al destinatario dell’istruzione., e un beneficio pubblico che va a tutti. Dal momento che vi è questa esternalità positiva, questo beneficio pubblico che va a tutti, è giusto che tutti contribuiscano al finanziamento dell’istruzione di mio figlio.

Prima di procedere vorrei chiarire un aspetto che giudico molto importante.

Ritengo sia fuorviante distinguere fra scuola pubblica e scuola privata perché questa distinzione sembra suggerire che la scuola pubblica ispiri la sua attività alle esigenze di carattere generale che riguardano l’intera collettività, mentre la scuola privata indirizzi la sua opera al soddisfacimento di interessi limitati di singoli o di gruppi, se non addirittura alla ricerca del tanto deprecato utile privato

A me sembra che è molto più pubblica, molto più utile alla collettività una Scuola non Statale efficiente di quanto sia una scuola statale inefficiente

Una scuola statale inefficiente, è da considerare privata nel senso che la sua esistenza soddisfa soltanto gli interessi dei singoli insegnanti, incapaci, a spese e danno dei giovani delle loro famiglie e della collettività tutta intera.

La distinzione rilevante in materia di scuola mi sembra essere una sola, quella fra scuole serie, statali o non statali, e scuole poco serie

Le scuole serie sono pubbliche per definizione, perché la loro attività soddisfa, se ha ragione Friedman, un interesse generale, mentre le scuole poco serie sono solo una passività per il Paese che potrebbe soltanto beneficiare dalla loro scomparsa.

Una seconda considerazione che vorrei fare, in tema di pubblico e privato, consiste nel sottolineare, come dicevo prima, che la distinzione fra finanziamento pubblico e finanziamento privato dell’istruzione riguarda la forma del finanziamento, ma, di fatto, quest’ultimo è sempre privato. Intendo affermare che non esiste una distinzione, come tutti credono, fra istruzione gratuita e istruzione a pagamento. L’istruzione costa quindi è sempre a pagamento.

La cosiddetta scuola gratuita non è affatto gratuita è a pagamento, perché costa

Nulla è gratis in un mondo di risorse scarse.

La differenza è che il pagamento può prendere la forma di imposte che gravano sulla generalità dei contribuenti, il cosiddetto finanziamento pubblico, o di rette scolastiche pagate dagli utenti, il cosiddetto finanziamento privato. In entrambi i casi, è la collettività a pagare. Ora se si accettano queste due precisazioni, cioè che la distinzione importante è fra scuole serie e scuole poco serie, e il finanziamento è sempre a titolo oneroso e non può essere gratuito (si tratta di finanziare con l’imposizione o con le rette), il quesito diventa quale deve essere la forma di finanziamento della scuola che è più idonea a contemperare le esigenze, ad assolvere le esigenze d’istruzione in una democrazia libera

Come ho già detto, secondo Friedman, l’istruzione diffusa costituisce un bene pubblico nel senso che in aggiunta al beneficio privato che ne ricava l’interessato, c’è un benefico pubblico che va a tutta la collettività, e quindi egli conclude: "il costo va sopportato da tutti dal momento che tutti ne traggono benefici"

Dicevo prima come io sia sempre meno convinto della validità di questa tesi, perché la necessità di far finanziare l’istruzione con il finanziamento coercitivo, cioè con le imposte perché esiste un beneficio pubblico, avrebbe senso soltanto se, in assenza del finanziamento con le imposte, l’istruzione fosse destinata a scomparire

Io ritengo, che dal momento che il beneficio privato, il beneficio cioè che riceve il diretto interessato, è notevole, anche in assenza del finanziamento con le imposte, l’istruzione vi sarebbe ugualmente. Ne avremmo, forse, una quantità minore, ma non scomparirebbe, perché è interesse soprattutto delle famiglie che i loro figli siano istruiti. Non ho comunque intenzione di rimettere in discussione questo primo elemento e sostanzialmente ritengo che il finanziamento con le imposte vada mantenuto,

Quanto sopra spiega le motivazioni per accettare il primo elemento, ossia perché ci deve essere un finanziamento realizzato con le imposte, ma non spiega, perché debba essere mantenuto il secondo elemento e cioè perché questi soldi, debbano andare direttamente ai produttori, cioè alle scuole, agli insegnanti, e non alle famiglie e agli studenti. Questo aspetto del problema non è particolarmente nuovo perché nel suo saggio sulla libertà, John Stuart Mill, si poneva esattamente lo stesso problema. Diceva: "anche ammesso che lo Stato ritenga di dover rendere obbligatoria l’istruzione, non c’è nessun motivo per cui debba fornirla lui stesso, quello che deve fare è garantire a tutti, anche alle famiglie bisognose, l’accesso all’istruzione. Lo Stato deve pagare l’istruzione alla famiglie bisognose, ma poi chiunque può fare la fornitura dell’istruzione"

Noi, invece, abbiamo oggi un sistema in cui non solo il finanziamento è realizzato con l’imposizione, ma i soldi vanno alle scuole: il cosiddetto sistema monopolistico-napoleonico, come lo chiamava Luigi Einaudi, un sistema statalista. Quanto questo sistema statalista, sia incompatibile con le regole di una libera democrazia è dimostrato dal fatto che è caratteristico di tutti i regimi totalitari. Tutti i regimi totalitari sono perfettamente consapevoli del fatto che il mancato controllo rigido ed assoluto sull’intero sistema scolastico metterebbe in pericolo la loro sopravvivenza.

Non cadiamo comunque nell’illusione di credere che qualsiasi sistema scolastico sia compatibile con la vita democratica.

La carta costituzionale, da sola, non garantisce la libertà di un sistema democratico. Credo che se noi applicassimo a un settore, che io ritengo meno importante di quello scolastico, il principio che vale per il finanziamento della scuola, tutti ne vedremmo immediatamente il rischio. Cosa pensereste di un sistema informativo basato sul finanziamento pubblico e sul fatto che lo Stato, il Governo impone che cosa i giornali, le radio le televisioni possono dire e non dire? Credo che tutti noi parleremmo di censura. Se la diffusione di informazioni a mezzo stampa, televisione o radio, quindi, dovrebbe essere libera e assicurata dalla concorrenza fra produttori diversi, allora perché non il sistema scolastico?

In secondo luogo il nostro sistema scolastico, nella sua forma attuale con il finanziamento pubblico realizzato con l’imposizione, ed assegnato direttamente alle scuole, cioè del sistema monopolistico napoleonico, è contrario alle regole fondamentali della democrazia non solo perché mette in pericolo la libertà, come ho appena sottolineato, ma perché vìola le regole della giustizia sociale e perché compromette l’efficienza della scuola

Cominciamo, allora, dalla libertà. Venticinque anni fa, in un’occasione analoga a questa, se mi consentite l’autocitazione, dicevo: "il sistema attuale è contrario alla libertà, perché conferisce un ingiusto vantaggio alla scuola statale nella concorrenza con la Scuola non Statale ed è essenziale non dimenticare che l’esistenza della Scuola non Statale è garanzia di libertà perché garantisce alle famiglie la possibilità di un alternativa sia sotto il profilo dell’indirizzo culturale, politico, e religioso e, per quanto riguarda la qualità, per il contenuto dell’insegnamento. Se, l’intero carico dell’istruzione, fosse monopolizzato dallo Stato sarebbe facile trasformare la scuola in un veicolo di propaganda e di indottrinamento al servizio del problema."

Alcune scelte recenti del nostro Ministro dell’Educazione. Nazionale, se mi consentite la battuta, che sono state criticate avrebbero dovuto essere criticate non per il loro contenuto, celebrare l’anniversario di Gramsci piuttosto che un altro, quanto per il fatto che finiscono in concreto per essere universali.

Io non ho nulla da obiettare che si celebri un anniversario piuttosto di un altro, ma ritengo che in una società libera e pluralistica, le famiglie dovrebbero avere il diritto di scegliere quale tipo di programmi i loro figli debbano studiare, naturalmente al di sopra di quelle conoscenze minime essenziali per l’alfabetizzazione.

Vorrei, ora, chiarire due insiemi di considerazioni. È innanzitutto evidente che il principio statalistico, cioè la destinazione alle scuole del finanziamento realizzato con l’imposizione, mette le scuole non statali di fronte a un bivio. Debbono scegliere tra l’accettare un ruolo limitatissimo di scuole per ricchi, destinate cioè a quella piccola percentuale della popolazione che può permettersi di sopportare due volte il costo dell’istruzione dei figli (in questo caso la Scuola non Statale, diverrebbe uno strumento di discriminazione sociale), oppure accettare la tossicodipendenza dal sussidio statale con tutto il rischio che esso comporta per l’indipendenza della libertà dell’insegnamento.

Questo è il secondo elemento. Questo è, a mio avviso, il rischio più grave. Come voi tutti sapete, molte scuole non statali hanno ritenuto che il problema della parità scolastica vada risolto attraverso l’elargizione di sussidi dallo Stato alle scuole non statali, questo sarebbe rischiosissimo, pericolosissimo perché chi paga compra.

La Scuola non Statale non può chiedere libertà ed autonomia quando, per sopravvivere, ha bisogno del finanziamento pubblico, attraverso convenzioni, sussidi, elargizioni. Una scuola che vive solo grazie alle sovvenzioni governative non può opporsi efficacemente al controllo burocratico, perché è un controllo burocratico che è armato della possibilità di ricatto, connessa alla dipendenza della vita delle scuole dalle elargizioni pubbliche. La Scuola non Statale, non è veramente libera se non è autosufficiente, non può impedire di essere irregimentata da chi le fornisce i fondi per restare in vita. Chiarirò meglio questo punto dopo.

Poiché, ovviamente, non sto sostenendo che le scuole non statali, debbano del tutto rinunziare a finanziamenti e che si debbano soltanto finanziare con le rette pagate dai ragazzi, credo che si debbano battere per un sistema, che ora illustrerò, e che le libererebbe dalla dipendenza dalla carità pubblica garantendone l’autonomia e, al tempo stesso, ne garantirebbe la sopravvivenza con l’afflusso di fondi.

Il secondo insieme di considerazioni riguarda il problema dell’insegnamento religioso, Chi vi parla crede fortemente alla laicità dello Stato, alla validità della separazione fra Chiesa e Stato, ma crede ancora più fortemente al valore etico e morale, essenziale alla vita di una libera democrazia, della libertà di coscienza per tutti, credenti e non credenti di qualsiasi fede Paradossalmente, la separazione fra Stato e Chiesa, in un sistema "pubblico" della scuola, può tradursi in violazione della libertà religiosa, in discriminazione delle minoranze, in negazione della libertà di scelta delle famiglie.

In un vecchio mio testo, racconto quanto accaduto negli Stati Uniti d’America dove ancora è molto vivace un dibattito sulla sopravvivenza o meno della preghiera nelle scuole. La preghiera in questione è questa: "Dio onnipotente, consapevole della nostra dipendenza da Te, Ti imploriamo di concedere la Tua benedizione a noi, ai nostri genitori, ai nostri insegnanti ed al nostro Paese"

Il fatto che i ragazzi a scuola dicessero queste poche parole è stato considerato dalla maggioranza dell’opinione pubblica di sinistra contrario alla separazione fra Chiesa e Stato, per cui questa preghiera asettica è vietata.

Questa mi sembra una grave violazione della libertà di coscienza dei credenti. Il problema del contemperamento della libertà religiosa, con la separazione tra Stato e Chiesa esiste soltanto per via del finanziamento pubblico dell’istruzione, che fa sì che qualsiasi decisione non possa che riguardare tutte le scuole.

Qualsiasi decisione di qualsiasi segno, se adottata da tutti non può che violare la libertà di coscienza di qualcuno, l’antipatia diffusa negli ambienti anticlericali per le scuole religiose, è fondata su una serie di equivoci. Non ci si rende conto, innanzitutto che la libertà è indivisibile. Obbligare i ragazzi a studiare religione viola la libertà dei non credenti, ma vietare ai ragazzi di studiarla viola la libertà dei credenti, quindi l’unica soluzione compatibile con le regole di una libera democrazia, è data dalla possibilità di scegliere, fra scuole diverse, quella più affine alle proprie convinzioni, anche religiose.

Le famiglie credenti manderanno i figli in una scuola in cui la religione viene insegnata, le famiglie non credenti li manderanno in una scuola dove la religione non viene insegnata, ma se vanno tutti in una stessa scuola che impartisce lo stesso tipo di istruzione, viene violata la libertà degli uni o viene violata la libertà degli altri

Solo la varietà, la diversità, la pluralità delle scuole possono garantire la libertà, che non può che esser negata dalla unicità del sistema scolastico. Badate bene che questo lo dice uno che sta dal lato della laicità della scuola, queste non sono le considerazioni di uno che parla per patriottismo cattolico o di altra confessione, sono affermazioni di uno che parla per patriottismo di libertà. Credo che i miei amici anticlericali, farebbero bene a meditare sulle parole di Milton Friedman, "anche le scuole laiche insegnano religione, non una religione formale, teista, ma un insieme di valori e di opinioni che costituiscono una religione in tutto tranne che nel nome".

Gli attuali meccanismi del finanziamento delle scuole, violano la libertà religiosa di quei genitori che non accettano la religione insegnata dalle scuole laiche, e sono tuttavia costretti a pagare per avere i propri figli indottrinati da essa, e a pagare ancora di più, se vogliono che i propri figli si sottraggano all’indottrinamento. Quindi c’è un problema di libertà, in questo tipo di finanziamento della scuola.

Il secondo problema connesso a questo tipo di finanziamento, è la giustizia sociale. Se voi parlate con la quasi totalità dei difensori del sistema esistente, vi diranno che esso è giustificato da esigenze di giustizia sociale. Non c’è niente di più vergognosamente falso, perché questo sistema è contrario ai principi basilari della giustizia sociale, proprio in un campo, la scuola, in cui maggiore è la necessità che essi vengano rispettati,

L’istruzione statale è finanziata col denaro dei contribuenti, chi manda un figlio in una scuola statale, riceve un servizio che ha pagato con le imposte, se invece il contribuente non manda il figlio in una scuola statale, paga con le imposte un servizio che non riceve, o ciò che è lo stesso, paga due volte l’istruzione dei propri figli. La prima volta con le imposte, la seconda volta sotto la forma di una retta da corrispondere alla scuola privata.

E’ evidente che pagare due volte l’istruzione dei propri figli, è un lusso che non tutti possono permettersi, Il sistema attuale restringe in nome della giustizia sociale proprio la libertà di scelta dei meno abbienti che non hanno scampo, non possono permettersi alternative alla istruzione statale.

A me sembra che in questo campo, accade quello che accade anche in altri campi. L’istruzione statale, introdotta per garantire libertà di accesso anche ai meno abbienti, invece di garantire l’uguaglianza di accesso, ha finito col garantire la disuguaglianza di uscita, perché solo i benestanti possono permettersi di uscire dall’inefficienza, quando c’è, delle scuole statali, pagando una seconda volta l’istruzione, dei propri figli.

Terzo problema: questa modalità è contraria alla libertà, contraria alla giustizia sociale e contraria all’efficienza. Carità di patria mi spinge a non insistere eccessivamente. Devo però osservare che il fatto che esista un problema di efficienza del nostro sistema scolastico, è riconosciuto da tutti, A parlare di crisi della scuola non è soltanto questo liberista radicale, sono tutti.

Non so quanto ciò sia significativo, ma qualche anno addietro al Politecnico di Milano venne fatto un test sulle matricole in ingegneria per appurare se avessero bisogno di un insegnamento aggiuntivo di matematica, rispetto a quello che avevano ricevuto a scuola: un gran numero di studenti non sapeva cosa fosse pi greco. In tutti i confronti internazionali sull’efficienza dell’istruzione che vedo trattati su varie riviste internazionali non c’è mai l’Italia. Non so a cosa sia dovuta questa assenza ma e’ un’assenza che mi preoccupa. perché inefficiente è la scuola statale e l’intero sistema scolastico.

Efficienza e inefficienza sono malattie contagiose. In un sistema prevalentemente competitivo dove domina la ricerca dell’efficienza, anche la parte più protetta e’ costretta a perseguire almeno un minimo di efficienza. In un sistema non competitivo diventa inefficiente anche il settore privato perché contagiato dalla inefficienza del settore pubblico.

Perché la scuola statale e’ inefficiente? Perché è un istituzione irresponsabile. Non può essere efficiente.

Immaginate cosa accadrebbe se il vostro droghiere ricevesse uno stipendio dallo Stato, indipendentemente dal fatto soddisfi o meno le vostre aspettative di servizio. Non credo che ricevereste molto da lui. Mi sembra che una scuola in cui gli stipendi degli insegnanti e il bilancio delle scuola stessa sono indipendenti dal servizio che essi rendono non possa essere efficiente Chiudo questa parentesi un po’ triste e spero di non aver criticato eccessivamente nessuno dei presenti.

Un modo per uscire da questo sistema c’è, ed è quello di mantenere la prima parte dell’attuale sistema di finanziamento, cioè il finanziamento affidato in larga misura al denaro "pubblico", cioè all’imposizione, ma destinandolo non ai produttori del servizio scolastico, non alle scuole, non agli insegnanti, ma agli utenti, destinatari del servizio scolastico, cioè ai giovani e alle loro famiglie, come?

Non sotto forma di quattrini, sotto forma di un buono, cosa si dovrebbe fare?

Lo Stato attualmente spende una certa cifra per l’istruzione dei giovani ai vari livelli e nei vari anni, se divide la cifra attualmente spesa, per il numero degli aventi diritto, ottiene un certo valore, da’ ad ognuno di essi un buono di quel valore un buono personale e non negoziabile, cioè che non possa essere venduto, e li lascia liberi di scegliere in quale scuola spendere questo buono "statale" o "non statale". Possono scegliere dove andare.

Cosa accadrebbe se si adottasse questo sistema? Anzitutto avremmo libertà di scelta per le famiglie, tutte le famiglie, perché tutte, anche le famiglie dei meno abbienti, avrebbero la possibilità di scegliere presso quale scuola mandare i loro figli. Avremmo, quindi, quella auspicata varietà di scelta. Lo Stato dovrebbe ovviamente, avere il compito di far rispettare alcuni requisiti minimi, e non discriminatori dell’istruzione offerta. Al di la’ di quei limiti, le scuole sarebbero libere di decidere il curriculum, di decidere i programmi di studio. Questo quindi garantirebbe quella varietà, diversità, pluralità di valori che sono essenziali ad una democrazia libera.

La possibilità di un indottrinamento omogeneo di massa, basato sull’imposizione di una ideologia uniforme, uguale per tutti, anche se non accettata dalle famiglie, scomparirebbe. L’ambito delle opportunità di scelta offerte alle famiglie verrebbe allargato e la concorrenza fra tutte le scuole garantirebbe non solo il rispetto di standard qualitativi crescenti ma, soprattutto, la possibilità per le famiglie di esprimere la loro opinione al riguardo.

Cosa accadrebbe? Le scuole serie che soddisfano davvero l’esigenza delle famiglie crescerebbero, sarebbero popolari, i buoni affluirebbero a queste scuole, queste scuole potrebbero espandersi. Le scuole poco serie, quelle che non soddisfano le esigenze delle famiglie, sarebbero costrette a razionalizzare la propria condotta pena la scomparsa, perché l’afflusso di fondi a queste scuole diminuirebbe,

Il buono rispetterebbe i principi di giustizia sociale perché consentirebbe a tutti, anche ai meno abbienti, di scegliere la scuola ritenuta più adatta per i propri figli ma l’effetto più significativo, a mio avviso, sarebbe quello relativo all’efficienza della scuola. Perché sottoporrebbe tutte le scuole alla disciplina della concorrenza e alla esigenza del rispetto del vincolo di bilancio. Avrebbe, quindi, in sé, lo stimolo alla ricerca di una maggiore efficienza, e il criterio di valutazione dell’efficienza

Come si fa, oggi, a sapere se una scuola è efficiente o inefficiente? Non c’è un criterio! La scuola viene finanziata comunque.

Se avessimo questa modalità di finanziamento collegato alle scelte delle famiglie, avremmo anche il criterio per sapere se una scuola è efficiente o inefficiente: il bilancio

Una scuola attiva, cioè una scuola che riesce ad attirare studenti, e coprire i costi con il proprio finanziamento è efficiente, una scuola viceversa che non è considerata valida a coloro i quali sono i destinatari del suo servizio non riuscirebbe a far quadrare il bilancio. Quindi avremmo la continua ricerca di soluzioni per ottenere, da una parte il contenimento dei costi e dall’altra l’elevamento della qualità dell’insegnamento.

Non so se avete mai riflettuto sull’insensatezza di un sistema in cui per modificare i programmi di insegnamento, bisogna aspettare una decisione assunta dall’alto, al Ministero della Pubblica Istruzione, e valida per l’intero paese. In un mondo in continua evoluzione, in continuo cambiamento, deve essere la superiore saggezza di politici e burocrati a dirci cosa devono studiare i nostri figli. Questo non ha senso!

Questa impostazione, oltretutto, presuppone che esistono valori assoluti validi per tutti, e che quindi il Ministro, unico depositario della conoscenza di quali siano questi valori, abbia non solo la possibilità ma anche il dovere di imporli a tutta la società.

Vi sembra sensato tutto questo? Vi sembra sensato che per modificare i programmi scolastici bisogna aspettare il permesso della illuminata saggezza del Ministro della Pubblica Istruzione? Non sarebbe molto meglio che, nel rispetto di alcuni standard qualitativi minimi, non discriminatori, le scuole fossero libere di scegliere, di innovare, di sperimentare, di introdurre nuovi programmi?

Vi è una critica a questa impostazione, a mio avviso, senza senso. Gli avversari del buono, i difensori del sistema monopolistico napoleonico dicono ma nella nostra Costituzione c’è scritto che le scuole private possono essere istituite senza oneri per lo Stato. Il buono scuola non determinerebbe oneri per lo Stato, quello che già oggi lo Stato spende verrebbe diviso per il numero degli aventi diritto quindi non ci sarebbe un aggravio. Gli aventi diritto potrebbero destinarlo a chi credono, alla scuola che scelgono per far frequentare i loro figli.

Un’altra critica è stata mossa e continua ad essere mossa ed è molto sentita ed è importante nel nostro Paese: il sistema del buono favorirebbe le scuole gestite da religiosi, perché queste hanno già una certa consistenza da cui partire. A prescindere da quello che dicevo prima tra scuole laiche e scuole cattoliche, sono convinto che il sistema del buono favorirebbe esclusivamente quelle scuole che offrono alle famiglie quanto queste chiedono.

Se la maggioranza delle famiglie vuole che i propri figli vengano educati da scuole "cattoliche", non si vede come si possa sostenere che ciò non possa essere consentito loro.

Il grande merito del buono è che permette alla maggioranza di avere il tipo di educazione che preferisce senza costringere le minoranze ad uniformarsi a quella scelta. In un sistema statalista tutti ricevono lo stesso servizio, lo stesso tipo di istruzione. Nel sistema concorrenziale del buono, la maggioranza ottiene quello che vuole e la minoranza ottiene quello che vuole, se la maggioranza è per le scuole cattoliche, avranno scuole cattoliche, ma la minoranza non è costretta a far frequentare ai propri figli scuole cattoliche.

In conclusione vorrei trasmettervi una mia convinzione. Credo che tutte le scuole non statali abbiano commesso un grosso errore: il gravissimo errore di battersi in nome della parità scolastica per ottenere provvidenze dal settore pubblico.

Questo, come vi accennavo prima, è un errore gravissimo, perché chi paga compra; scuole che per esistere dipendono dalle elargizioni del Ministero della Pubblica Istruzione, non possono poi chiedere autonomia e indipendenza.

La Scuola non Statale deve battersi, viceversa, perché questo progetto del buono venga sempre più studiato perché si facciano degli studi di fattibilità concreti. Il mio amico Dario Antiseri è molto avanti su questo tema, ma questo tipo di ricerca deve partire anche dal mondo della Scuola non Statale, perché si promuovano dibattiti, perché si diffonda l’informazione in materia.

Se riuscissimo a spuntarla non sarebbe un successo secondario, sarebbe un autentica rivoluzione in senso democratico e liberale che modificherebbe profondamente la nostra scuola ma non solo quella.

Al buono scuola, potrebbe fare seguito il buono sanità, che garantisse la libertà di scelta della assistenza sanitaria agli aventi diritto, e poi il buono casa e cosi via. Passeremo dall’assistenzialismo bismarchiano, che prevale nel nostro Paese, in cui lo Stato fornisce ai sudditi, ritenendoli incapaci di scegliere, i servizi da lui prodotti, a un assistenzialismo liberale con cui ci sarebbe davvero una protezione della giustizia sociale, ma senza compromettere la libertà di scelta.

Credo, vi leggerò questa citazione perché mi sembra appropriata, che debbano essere di conforto nella nostra battaglia contro il monopolio statale le parole di John. Stuart. Mill, quando diceva: "il Governo non può aver mai abbastanza di quella specie di attività che non impedisce ma aiuta e stimola l’iniziativa privata e gli sforzi individuali. Il male comincia quando il Governo in cambio di incoraggiare l’azione degli individui, sostituisce la sua alla loro attività, quando invece di consigliarli all’occorrenza di denunciarli davanti ai tribunali, li lascia in disparte, ne inceppa la libertà o fa per essi i loro affari. La virtù dello Stato a lungo andare è la virtù degli individui che lo compongono e lo Stato che pospone lo sviluppo intellettuale degli individui alla vana apparenza di una maggiore regolarità nella pratica minuta degli affari, lo Stato che rimpicciolisce il popolo per farne un docile strumento dei suoi progetti, anche se generosi, finirà ben presto per accorgersi che grandi cose non si possono fare con piccoli uomini e che il meccanismo, alla cui perfezione ha tutto sacrificato, non gli servirà più a nulla per mancanza di quello spirito vitale che avrà voluto deliberatamente distruggere col proposito di agevolarne i movimenti".

 

ROBERTO PASOLINI

Relazione introduttiva

Il nostro Comitato, costituitosi nel mese di maggio di tre anni fa, ha sempre operato con due obiettivi ben definiti:

La concretizzazione di tale secondo obiettivo è data dalle componenti sia dei fondatori sia degli associati che, in via trasversale, sono espressive della stragrande maggioranza delle aggregazioni associative.

L’espressione concreta di tale impostazione è data dalla composizione (che la rende unica nel campo delle rappresentanze della Scuola non Statale) della segreteria operativa nella quale gli attuali sei membri sono espressione della scuola confessionale, di quella laica, delle scuole Faes, di associazioni genitori e, recentemente, di scuola statale nella convinzione che una grande sinergia scuola statale/non statale finalizzata alla ricerca del miglioramento dell’offerta educativa potrà velocizzare il processo di parità.

Qualcuno potrà notare la mancanza di un rappresentante la Compagnia delle Opere, ma, pur auspicandone al più presto l’ingresso, la sintonia verificata nella sinergia organizzativa delle manifestazioni del Palavobis del 13 aprile dello scorso anno "Difendiamo il Futuro" e la più recente del 25 marzo scorso a Roma su "Autonomia, pubblico non è statale" cui ha partecipato il Ministro Berlinguer sono il segno evidente e concreto di un comune sentire i problemi, le soluzioni e le modalità di pressione.

Non si discosta da questa linea il seminario che abbiamo organizzato oggi.

L’attenzione particolare al settore della scuola laica non statale non vuole essere una mera e specifica collocazione di parte, ma l’ampliamento di un dibattito nella consapevolezza che la laicità, non il laicismo dello Stato deve contemperare tutte le presenze nell’interesse generale di un nuovo sistema scolastico che deve nascere equilibrato Se così non fosse tutto il sistema ne riporterebbe gli svantaggi derivanti da un disequilibrio che inevitabilmente ridurrebbe la qualità complessiva del servizio educativo formativo offerto.

A riprova di quanto sopra esposto, basta elencare i relatori delle diverse tavole rotonde che, a loro volta, sono rappresentativi delle diverse componenti associative o culturali nell’altrettanta consapevolezza che il settore della Scuola non Statale può e deve trovare in prima persona la definizione del proprio ruolo, ma non può non tener conto dei contributi di pensiero che le altre componenti possono costruttivamente offrire con l’obiettivo primario di predisporre un buon tassello che possa essere inserito, con equilibrio, in quel "mosaico" (immagine figurativa che tanto piace al nostro Ministro della Pubblica Istruzione) che rappresenterà il nuovo sistema scolastico, con il vantaggio e nell’interesse di tutto il settore della Scuola non Statale.

Il primo vantaggio di riproporre una valida presenza della Scuola non Statale laica consiste nell’evitare che retrive posizioni ideologiche possano ancora giocare sull’alibi di una contrapposizione alle esigenze di finanziamento della scuola cattolica, deviando, volutamente, dall’obiettivo primario che si deve porre un corretto dibattito sulla parità: quello di offrire, a tutti i cittadini, l’opportunità di usufruire di un sistema scolastico in cui si possa scegliere tra istituzioni che, indipendentemente dalla natura giuridica della loro gestione, garantendo la qualità del servizio offerto, possono operare in pari dignità giuridica e di eliminare, nel contempo, le discriminazioni economiche che possono ostacolare le famiglie nella loro volontà di libera scelta.

La partita non si può e non si deve giocare sulla domanda se sia giusto o no finanziare la scuola cattolica. Da qui la nostra preoccupazione espressa, in brochure, nella presentazione del seminario nell’affermazione "Si corre il pericolo di ridurre il sistema ad un duopolio scuola statale/scuola confessionale ". Una preoccupazione quindi non dettata dalla presenza di due parti contrattuali forti che tendono ad eliminare altri possibili partecipanti ad un accordo politico, ma la preoccupazione che tale visione del problema finisca per far incanalare il dibattito e, quindi, l’eventuale soluzione, su un binario sbagliato che porti alla costruzione di un nuovo sistema non equilibrato, basato su presupposti sbagliati, non completamente aderenti ai principi sanciti dalla nostra Costituzione e, soprattutto, incapace di garantire un reale pluralismo di proposte educative nell’interesse di famiglie e studenti.

D’altro canto il grande valore che assume il pluralismo di offerte educative è stato sottolineato anche dal nostro Cardinale Arcivescovo Carlo Maria Martini, nell’ottobre scorso, durante un incontro con il Ministro Berlinguer, qui a Milano, all'Istituto San Carlo, quando ha affermato: "..la parità può valorizzare al massimo la soggettività d’ogni singola scuola, anche perché c'è libertà vera di scelta nella misura in cui le offerte educative sono tra loro differenti..", dopo aver posto l’indice sul tentativo di omologazione della Scuola non Statale: "..sappiamo che secondo alcuni il sistema scolastico sarà veramente integrato quando risulterà indifferente scegliere un tipo o l'altro di scuola. L'obiettivo di costoro è una Scuola non Statale, ma che assomigli il più possibile a quella statale. Ciò è un sistema d’istruzione che, come una grande catena commerciale, ha gestori diversi, però la merce, il marchio e le divise sono le stesse".

Ampliare il dibattito inserendo a pieno diritto la presenza di una buona Scuola non Statale laica aumenta le possibilità, anche per la scuola confessionale, di giungere in tempi più brevi e con soluzioni migliori ad una legge di parità.

Chiarito l’obiettivo primario del nostro seminario, che avrà sempre come riferimento i principi di libertà sanciti dalla nostra Costituzione: libertà di istituzione, libertà di insegnamento, libertà di apprendimento, libertà di scelta, i lavori si svilupperanno dopo l’importante intervento di premessa che ci ha tenuto l’onorevole Martino, con tre tavole rotonde. L’onorevole Martino, ci scuserà, ma in questa occasione lo abbiamo invitato, non tanto nella veste di parlamentare, ma soprattutto quale opinion leader che ci proponesse riferimenti culturali sui principi di libertà della e nella scuola. Noi lo abbiamo apprezzato, da sempre, leggendo i suoi scritti e per quanto ci ha espresso nella sua relazione fornendo spunti interessanti sia per la prosecuzione dei lavori del nostro seminario sia per il documento di sintesi che ci proponiamo di stilare quale concreto contributo al dibattito complessivo che oggi si svolge nel Nostro paese, ma anche quale riferimento ad una scuola laica che voglia riconoscersi in un disegno di costruzione di una offerta educativa-formativa moderna e di qualità.

La prima tavola rotonda affronterà l’aspetto storico. L’andare a riscoprire il diritto di esistere da un’analisi storica degli ultimi decenni sarà importante per capire i possibili sviluppi futuri di questo settore. Potrà esserci utile capire ad esempio come il termine "laico" sia stato, di fatto, espropriato dalla scuola statale e quali conseguenze ne siano derivate. Il significato fondamentale, infatti, di tale parola, che sta nell’affermazione e nella rivendicazione d’autonomia e indipendenza da qualsiasi apriorismo, è stato manipolato e circoscritto all’accezione di non confessionale e attribuito perciò, nell’ambito scolastico, alle istituzioni educative statali il cui carattere dominante, è, per l’appunto, quello di essere non confessionale.

Ci chiederemo se la Scuola non Statale laica sia stata storicamente partecipe dell’evoluzione culturale del Paese; se abbia concorso fattivamente ad affrontare e risolvere problemi trascurati dalle altre agenzie educative; se abbia avuto riconoscimento giuridico dall’unità nazionale ad oggi, e quali ne siano state le motivazioni; se abbia avuto un radicamento capillare ed un ruolo culturale incisivo nei sistemi scolastici degli altri paesi europei.

La seconda tavola rotonda si porrà il quesito di fondamentale del seminario ossia quello di evidenziare l’effettiva identità di una scuola laica di qualità capace di offrire un servizio pubblico nell'ambito di una pluralità d’offerte educative.

Quale ruolo pertanto potrà giocare, in positivo, la Scuola non Statale laica nel nuovo sistema scolastico? Quale ruolo potrà rivendicare nell'impostazione di un sistema che sia veramente alla ricerca di un miglioramento della qualità del servizio, della sua efficienza, della sua produttività? Quale ruolo strategico potrà rivestire al fine di rendere concreta la massima "libera scuola in libero Stato"? Quale ruolo culturale avrà ai fini del pluralismo dell'offerta e della libera scelta degli studenti e delle famiglie?

Potrà, in prospettiva, avere una funzione educativa? Su quali basi culturali, su quali principi costituzionali? Potrà contribuire positivamente alla formazione delle nuove generazioni sulla base di diritti civili quali il diritto di cittadinanza, la solidarietà, il rispetto delle istituzioni, il rispetto della persona?

Potrà fornire competenze professionali di livello? Come potrà conciliare la preparazione professionale con l’esigenza della formazione della persona? Potrà continuare ad avere una funzione pubblica? Profit e non profit sono discriminanti oggettive od ideologiche?

Potrà continuare ad avere una funzione sul recupero della dispersione e sul riorientamento? Quali indicatori di serietà dovrà seguire per non incorrere nell'etichetta di "diplomificio", ma per far riconoscere la positiva funzione sociale che ha ricoperto e potrà ricoprire in questo settore?

Questi sono i quesiti che chiediamo ai nostri relatori di sviscerare per offrire un valido punto di riferimento a tutte le istituzioni laiche non statali che vorranno continuare nella meritevole opera di fornire un prezioso contributo alla gestione del servizio di istruzione nel nostro Paese

Tenendo presente anche l’attuale clima di una prospettiva interculturale, sempre più sentita a livello non solo europeo ma mondiale, prospettiva che richiede uno Stato operativo fermamente rispettoso della nostra Costituzione, che valorizzi in altre parole le potenzialità didattiche e pedagogiche di tutte quelle fonti di cultura che tradizionalmente hanno operato nel nostro Paese, i nostri lavori si concluderanno con l’analisi della situazione legislativa.

Chiarito se la Scuola non Statale ha diritto di esistere e se ha un ruolo e quale, la legislazione dovrà adeguarsi di conseguenza.

Quali sono i vincoli esistenti nell’attuale legislazione in ordine alla possibilità di sviluppo, in piena libertà, delle istituzioni laiche non statali?

Quale normativa sarebbe necessaria per dare un ruolo concreto e paritario alla Scuola non Statale laica nel nuovo sistema scolastico, "in piena libertà", come previsto dal dettato costituzionale?

Il clima politico in cui si sta svolgendo il dibattito di riforma è consono alle attese o le leggi fino ad oggi approvate (autonomia 59/97 ed esami di Stato 425/97) sembrano ancora discriminanti verso la Scuola non Statale in generale e verso quella laica in particolare?

I risultati di questa tavola rotonda potranno essere importanti al fine di avere indicazioni su cui basare un documento "politico" che evidenzi le linee sulle quali si ritiene debba svilupparsi correttamente un dibattito che riesca finalmente a liberarsi dei vincoli ideologici che fino ad ora hanno bloccato qualsiasi iniziativa tendente a portare a concreta soluzione la regolamentazione del principio di parità sancito dalla nostra Costituzione e che punti, quindi, all’abolizione di quei meccanismi di distinzione che emergono in modo chiaro sia dalla legislazione vigente, sia dalle proposte di riforma discusse e presentate in Parlamento dall’attuale Governo.

Con la speranza che questa iniziativa possa essere un piccolo seme dal quale possa nascere una forte proposta che porti ad una concreta prospettiva di cambiamento nell’impostazione del dibattito generale e di valorizzazione del settore della Scuola non Statale e che il ristretto gruppo di studio di oggi possa ampliarsi entro pochi mesi in una veste congressuale aperta agli operatori, ai docenti, alle famiglie, ai funzionari dell’amministrazione, ai politici, ringrazio la Sovrintendenza Scolastica Regionale ed il Provveditorato agli Studi per l’emblematico e significativo patrocinio all’iniziativa, Alitur e Mc Donald’s per la gentile sponsorizzazione ed auguro buon lavoro ai relatori ed ai presenti

 

RADICI STORICHE DELLA SCUOLA NON STATALE LAICA

GIOVANNI BOTTERO

Come componente la Segreteria del Comitato Politico Scolastico, sono lieto di aver partecipato alla organizzazione di questo seminario dedicato a stabilire se e quale ruolo possa o debba avere la Scuola Non – Statale laica nell’attuale sistema scolastico nazionale e in quello che si profila in vista delle imminenti riforme ministeriali. La prima delle domande che mi pare indispensabile porre per soddisfare il quesito centrale, costituisce il tema della prima tavola rotonda della giornata e riguarda l’individuazione delle radici storico-culturali della Scuola Non – Statale laica.

Ringrazio perciò i relatori che forniranno risposte al quesito proposto.

Non credo tuttavia che sia necessario presentarli, visto che larga parte di Voi conosce gli scritti e l’opera educativa svolta dal professor Crema come docente di pedagogia presso l’Università Cattolica di Milano. Cosi come tutti conoscete padre Guerello, presidente regionale della FIDAE e rettore dell'Istituto Leone XIII. Né vi presento il dott. Mario Mauro perché, come tutti sapete, da anni e anni opera nel nostro settore anche attraverso le cure dedicate alle scuole facenti capo alla Compagnia delle Opere. Vi presento però la cortesia che ci hanno usato, sacrificando altri impegni, per poterci aiutare a trovare le risposte necessarie al tema specifico.

Mi preme, prima di cedere la parola agli illustri ospiti, ricordare che sarebbe impossibile fornire notizie adeguate sulle origini della Scuola Non – Statale laica, se trascurassimo la premessa, sapientemente indicata dal professor Pasolini nel suo intervento iniziale, secondo la quale si sarebbe determinato, nel tempo, un equivoco semantico in base al quale si sarebbe circoscritto l’aggettivo "laico" al significato di "non-confessionale", privandolo di quello più appropriato che indica l’assenza di stereotipi ideologici, religiosi o quant’altro, nella istituzione laica. Ne sono discese due conseguenze che mi pare opportuno sottolineare nella speranza di restituire alla verità le radici e il ruolo della nostra scuola. Da una parte, infatti, si è considerata la scuola confessionale come l’altra faccia della medaglia del sistema educativo vigente, del quale la scuola statale rappresenterebbe il recto ovvero l’unica parte col diritto di essere considerata laica. Esiste invece una Scuola Non – Statale che è forse la più autenticamente laica in quanto non ha necessità di operare nell’obbedienza alla premessa confessionale tipica delle scuole religiose né, tanto meno, è afflitta dai condizionamenti politici che il potere di ogni tempo, dal Cavour ad oggi, ha imposto alla scuola statale utilizzandola spesso come cinghia di trasmissione del suo volere e dei suoi obiettivi. Credo dunque che da un’opportuna indagine sull’evoluzione della scuola nei secoli trascorsi, potrebbe emergere il concorso fornito dalle agenzie educative non-statali al progresso culturale del nostro Paese e che sia di conseguenza lecito rivendicare il loro diritto a proseguire, anche nell’attuale sistema, la loro opera.

Confido perciò negli interventi che seguiranno perché confortino quanto ho anticipato.

 

FELICE EUGENIO CREMA

Il tema complesso richiederebbe sicuramente uno spazio di tempo più ampio per il dovuto approfondimento, mi scuso, pertanto, se mi limiterò ad una relazione schematica anche se esaustiva nel suo complesso.

Ho incontrato inizialmente difficoltà nell’affrontare il tema poiché non è facile dire con esattezza dove inizia la storia della scuola laica in Italia o in Europa, Probabilmente non riuscirei a trovare un momento d’inizio. In realtà, anche se le situazioni storiche sono diverse, sarebbe altrettanto difficile trovare il momento storico d’inizio della scuola cattolica, quale noi la conosciamo. Questo è dovuto al fatto che in realtà noi guardiamo a questo problema attraverso occhi culturali deformati dalla situazione storico-politica che si è creata nell’ultimo secolo in Italia (anche se correttamente dobbiamo affermare che tale situazione non si è creata solo in Italia) per cui il problema della scuola è visto innanzitutto come problema dello Stato e della sua organizzazione e non come problema della scuola che già esisteva. Le scuole non statali esistevano tranquillamente, ma erano un problema della società, non dello Stato.

Per capire questo, vi ricordo solo che quando si fece l’unità d’Italia, su metà del territorio italiano vigeva un regime che prevedeva l’intervento statale nel campo dell’istruzione e nell’altra metà (lo Stato Pontificio e il regno di Napoli) vigeva un regime di libero insegnamento in cui lo Stato non si ingeriva nel sistema scolastico se non per quanto riguardava l’ordine pubblico. Rammento che da questa situazione sono nate, ad esempio, le macchiette dello stereotipo del delegato di polizia del Borbone che entrava nella scuola e veniva beffato da professori e studenti, un modo allegorico per trattare dei problemi della libertà.

Questa era una macchietta che traggo dai ricordi di presentazione di momenti di storia quando frequentavo la scuola elementare. Quanto indica, a mio avviso, va rovesciato nel giudizio. Lo Stato non era affatto interessato a capire che cosa succedeva nella scuola, era solo interessato a far si che nelle scuole non nascessero dei centri di rivoluzione che mettessero in pericolo l’ordine pubblico. Il delegato di polizia non entrava nelle scuole per verificare quanto vi era insegnato, ma solo per valutare che non si trasmettessero teorie e principi con lo Stato.

Questo controllo avveniva non solo, evidentemente, dove c’era il libero insegnamento ma anche, in parte, negli stati dove il potere centrale interveniva direttamente nel campo della pubblica istruzione cioè Lombardo-Veneto, Piemonte, i Ducati Emiliani e della Toscana.

Quando pensiamo alla legge Casati come alla legge istitutiva della scuola italiana in un certo senso affermiamo una cosa vera In effetti è vero che la scuola italiana assume la caratteristica di sistema unitario con la legge Casati, ma in realtà sono moltissimi gli elementi che sfuggono alla sistematizzazione. Penso ad esempio alla labilità con cui è presente l’istruzione tecnica quanto, invece, è estremamente diffusa sul territorio, soprattutto nelle regioni del nord in cui l’istruzione tecnica professionale e tutto questo settore dell’istruzione è legata all’attività della società civile.

Questa è la scuola laica? Non lo so anche se, per certi aspetti credo di sì. Che cosa significa?.

La società nei suoi elementi organizzati, per esempio le corporazioni di arti e mestieri, si preoccupavano di istituire strutture che permettessero la formazione e la trasmissione delle competenze necessarie.

Ricordo la scuola che nasce per opera dell’Associazione dei capimastri. Certamente una scuola laica nel senso di non confessionale.

Potremmo fare tutto un discorso molto complesso su questo settore, ma è giusto ricordare che rappresenta sempre un elemento residuale nel sistema scolastico cioè un settore che produce iniziative, che produce modelli che, in realtà, nel momento in cui appaiono maturi, vengono assorbiti dal sistema nazionale.

Il sistema nazionale nasce dalla legge Casati.

Mi sembra opportuno rammentare uno dei passaggi più significativi dell’assorbimento del sistema di formazione all’interno di un’unica regola dettata dal Ministero: la legge Gentile. Durante la discussione che avvenne prima dell’approvazione della riforma Sturzo obiettò a diverse questioni, ma in particolare al fatto che tutte le scuole di istruzione tecnico-professionale passassero alle dipendenze del MPL.

Questo, secondo Sturzo, determina un indebolimento del legame vitale che le scuole tecnico-professionali devono avere con il contesto sociale e favorisce una loro omologazione ad un modello più astratto.

Quindi dice no, non solo ad un certo tipo di "assorbimento", ma addirittura al legame di controllo, un legame pur debole come quello che viene prefigurato dalla riforma Gentile.

Solo successivamente, negli anni 30 e negli anni 50 con la riforma Gonnella, le scuole tecnico professionali hanno formalizzato criteri che sono propri dei licei e del MPL.

Nel campo dell’istruzione professionale e nel campo della scuola continua ad esistere un settore scolastico che alimenta scuole che si danno regole e che nascono da un ambito civile che io considero laiche. Non riuscirei a definire diversamente questo termine che prosegue, ma che non riesce mai a raggiungere la maturità perché non riesce a darsi dignità di sistema per cui prevale l’esigenza di monopolio dello Stato sull’istruzione in quanto monopolio del sistema.

C’è un secondo tratto che mi sembra significativo per capire questo dinamismo ed è di ordine diverso. Ho citato l’istruzione tecnico-professionale, classe molto complessa, cito anche il segmento della scuola dell’infanzia cioè quelle che noi chiamiamo scuole materne. Anche per queste, dopo l’intervento della scuola statale cioè di una scuola unitaria nel campo della istruzione elementare che, in qualche modo segna la metà del secolo, si nota una forte ripresa di quelle iniziative della società civile.

Abbiamo una fase di sviluppo delle scuole dell’infanzia che precede la metà del secolo soprattutto in alcune regioni del nord, Piemonte innanzitutto, c’è una stasi a metà del secolo in corrispondenza con l’affermazione e l’attuazione della legge Casati e c’è una grande ripresa invece nell’ultimo ventennio dell’ottocento e all’inizio del novecento. Queste scuole si articolano in un modo molto interessante da leggere come modello di scuola laica.

Padre Guerello obietterà che in tutte queste scuole il personale era religioso e suore in particolare. Questo è vero, ma negli anni che vanno dal 1880 alla prima guerra mondiale (successivamente, nel periodo del ventennio non se ne sono istituite molte nuove) l’iniziativa della costituzione delle scuole dell’infanzia è nel 95-98% dei casi, parte da Istituzioni Civili che poi affidano all’Ordine Religioso la gestione educativa della scuola.

Le Istituzioni Civili stipulano una convenzione con gli Ordini anche perché anche Ordini di notevoli dimensioni, come i Gesuiti, possiedono pochissimi collegi (parlo dei tempi d’oro 600-700) ma avevano affidati i collegi nobiliari o delle Istituzioni Civili per la parte educativa,

Anche le esperienze istitutive delle scuole materne assumono la forma di associazioni che, in genere, legano le diverse componenti della comunità locale. Legano gli interessi privati delle persone con gli interessi pubblici delle Municipalità, del Comune della Parrocchia che nell’insieme formano un’associazione, con modalità anche diverse, a natura laica che non ha una dipendenza dalla gerarchia ecclesiastica, ma che tende ad affidare le proprie attività a degli Ordini Religiosi in generale di suore sia per la natura stessa dell’attività sia per l’affidabilità che queste davano anche dal punto di vista organizzativo.

Era il modo più semplice per risolvere il problema organizzativo: trovare qualcuno che ti garantisse di coordinare l’insegnamento di un certo numero, anche minimo, di persone a determinate condizioni economiche. Successivamente non ci si doveva preoccupare d’altro mentre, come è comprensibile, ben altra complessità avrebbe comportato assumere direttamente persone ed occuparsi della gestione della scuola.

Questi brevissimi tratti ci aiutano a capire che il problema della scuola laica e il problema della scuola confessionale - mantengo questi termini per intendersi nel dibattito di oggi - hanno radici comuni nella questione del peso relativo che lo Stato in quanto organizzazione e quindi lo Stato in quanto Governo ha all’interno della creazione del sostegno di un sistema pubblico dell’istruzione.

Il prevalere di questa impostazione, di questa scelta, che, iniziata nell’800, ha continuato progressivamente con forza anche per tutto questo secolo, determina un restringimento degli spazi culturali di significato prima ancor che di spazi operativi della scuola che nasce come autorealizzazione sociale con forme, quindi, estremamente diversificate perché, in realtà, questa è una scuola residuale cui vengono affidati compiti che non si ritengono significativi o sufficientemente significativi in rapporto alle risorse che lo Stato è in grado di mettere a disposizione nel settore dell’istruzione.

Questo comporta una questione e credo aiuti anche a spiegare l’uso che si fa oggi del termine laico e confessionale.

Comporta una compressione della libertà di autorganizzazione sociale che io ho descritto, ho evocato più che descritto, comporta, per certi aspetti, una compressione della libertà civile.

Questo significa che i soggetti più forti sono in grado di resistere ed assumono un valore, un peso più forte e, quindi, un ruolo nel sistema.

La confessionalizzazione del problema della libertà scolastica corrisponde al fatto che la Chiesa Cattolica - storicamente in Italia il soggetto più forte a livello civile - è in grado di opporsi al processo di statalizzazione del sistema e quindi a poco a poco si vengono a determinare delle caratteristiche più specifiche nel sistema che riguardano le scuole che hanno un collegamento con la Chiesa.

Provo a dare due o tre flash per aiutare a capire. La prima questione è presente nella legge Casati.

Noi tradizionalmente riconosciamo nella legge Casati il punto di partenza della vicenda della scuola statale italiana, quella dell’Italia unita, e la legge Casati nel trattare le scuole secondarie, dove non c’è il monopolio statale come per l’istruzione superiore - nell’istruzione superiore c’è l’Università può essere solo dello Stato - lo Stato detta le regole generali dell’istruzione detta i programmi, detta le caratteristiche professionali degli insegnanti e stabilisce condizioni particolari, proprio da questo punto di vista, per i membri degli Ordini Religiosi.

Nella legge si afferma che gli appartenenti agli Ordini Religiosi che hanno come loro vocazione originaria l’insegnamento (Gesuiti, Scolopi ecc.), sono esentati dall’obbligo di avere la patente di insegnamento nel senso che gli viene data ad honorem. Questo è un atto di coerenza con il fatto che anche prima della promulgazione della legge curavano le scuole secondarie, a loro erano affidati i Collegi dei Gesuiti, i Collegi Municipali e, nello stesso regno di Sardegna, fino al 1848 i Collegi Pubblici erano affidati ail’Ordine dei Gesuiti (verranno loro sottratti appunto nel 1848).

Sarebbe stato strano e fuori luogo richiedere loro di subire un esame quando, fino al giorno prima, erano riconosciuti come i soggetti più adeguati per svolgere tale compito.

Un secondo passaggio importante è quello relativo al Concordato del 1929. Non c’è una lettura diretta sul problema della scuola ma ci indica il clima entro cui queste questioni vengono affrontate.

Il Concordato viene trattato e firmato per lo Stato Italiano da Benito Mussolini.

Nei momenti che precedevano questo seminario, la prof.ssa Ribolzi mi ha sottoposto una pagina chiedendomi l’autore di alcune affermazioni: "Nulla è fuori dallo Stato, nulla senza lo Stato, nulla contro lo Stato". L’autore è Mussolini persona che aveva delle idee molto chiare, almeno su questo punto, del problema politico e del problema civile.

Il Concordato viene firmato anche per affermare questo.

E’ ovvio che il Concordato essendo un trattato fra due parti specifiche può difendere in sé i diritti della Chiesa, non può difendere i diritti dei cittadini. Lo Stato non avrebbe accettato una regola concordataria che difendesse il diritto dei cittadini ma avrebbe accettato una regola concordataria che difendesse i diritti dei credenti e dell’istituzione ecclesiastica, nella natura del Concordato.

Questo sposta ulteriormente il problema della presenza e dei rapporti di forza. Noi pensiamo per esempio che l’enorme ampliarsi dell’associazione Azione Cattolica negli anni 30 e 40 dipende dal fatto che è l’unica associazione non di regime che può esistere in Italia, grazie alle norme concordatarie. Tutte le altre non possono esistere.

La pressione dello Stato nel campo dell’istruzione riguardo all’ampliamento di un sistema unitario nazionale controllato e diretto comporta la possibilità di emergere solo a soggetti privilegiati in quanto sono in grado si resistere alla pressione grazie ad una situazione politica contrattuale particolare, ma comporta inevitabilmente la scomparsa o la riduzione della presenza di altri soggetti.

Oggi è anche stata citata la scuola ebraica. Va sottolineato che esiste un sistema di scuole ebraiche, e non una scuola ebraica - un sistema -. La comunità ebraica ha un sistema di scuole perché la istruzione familiare, l’istruzione paterna è fondamentalmente nella cultura ebraica. Nel momento in cui si deve scolarizzare la cultura ebraica tende a muoversi in un universo definito, suo proprio. Questo le ha permesso di sopravvivere anche in un momento tragico quale la persecuzione del ventennio fascista. Sulla presenza delle scuole ebraiche in Italia è stato edito un bel libro due anni fa.

Oppure si è ricordata la scuola steineriana. Sono sorprese, perché anche soggetti relativamente forti dal punto di vista culturale ma deboli dal punto di vista politico hanno mantenuto la loro presenza così come altri soggetti che non hanno una copertura in qualche modo ideologica.

Il problema della libertà scolastica è diventato un problema della libertà ideologica questo è qualcosa che caratterizza la questione oggi e che ci impedisce di osservare realmente qual è il problema i cui termini corretti possono essere riscoperti solo ripercorrendo le strade attraverso cui si è arrivati a questo punto.

Concludo affermando che ripercorrere le radici della scuola laica in Italia è una domanda che non ha di per sé risposta ma trova un suo significato nel ripercorrere le radici di una scuola che è l’espressione di scelte, di volontà, di prospettive che maturano a livello della società civile e che si danno forma acquistando non solo il valore di un’indicazione, di un indirizzo non solo il valore di un’idea ma il valore di una proposta operativa che si misura e sa svolgersi per creare sistemi ed integrarsi in modo tale da rispondere in modo più completo al bisogno formativo che non è mai espresso da ciò che fa una singola scuola ma da un insieme di iniziative che portano in una certa direzione e che fanno maturare l’uomo secondo determinate modalità.

 

PADRE FRANCESCO GUERELLO

Ritengo interessante trattare questo argomento, ma credo vada al di la delle mie competenze e penso che, ad esempio, Padre Reguzzoni con la sua analisi del confronto dei vari sistemi scolastici in Europa avrebbe potuto illuminare molto di più questo seminario. La storia recente o perlomeno dell’800 e del 900 che è stata appena rievocata già ci dice che la contrapposizione tra scuola confessionale, scuola laica, scuola statale è qualche cosa di caratteristico in Italia.

Esordirò con un’affermazione che può sorprendere: a me la parola laico dà fastidio. Ripeto la parola laico mi dà fastidio e penso che altrettanto dia fastidio parlare di scuola cattolica ai miei interlocutori della scuola, a uomini che vivono nell’ambito del Ministero, a coloro che stanno progettando il futuro della scuola. Scuola cattolica, scuola confessionale attribuirei a questa istintiva reattività anche l’intervento del Ministro che ieri si sarebbe espresso contro: "il proselitismo della scuola cattolica".

Fuori da ogni proselitismo, anche la scuola cattolica ha il suo spazio. Sono reazioni istintive che fanno parte della storia del nostro paese.

Quindi la storia dell’800 è proprio la contrapposizione di potere ecclesiastico e di potere politico, la prevalenza, le prevaricazioni del potere politico che si instaura in Italia con un regime monopolistico di stampo addirittura militaresco nell’organizzazione della funzione del servizio scolastico. Potrei citare il dibattito che c’è stato alla fine dell’800, proprio a Milano, intorno all’insegnamento della religione nella scuola elementare e sarebbe interessante proprio analizzare la contrapposizione di parti politiche, anche se tutte di ambito largamente religioso.

Ma il mio intervento vorrebbe limitarsi forse a questa esplorazione del concetto di laico che mi da fastidio. La parola laico risale alle origini del cristianesimo nel terzo secolo e distingue nell’ambito della comunità cristiana coloro che hanno dei compiti specifici da coloro che non hanno compiti specifici: laici e ministri, nei vari gradi del Ministero all’interno della comunità cristiana. Questo continua nel regime di cristianità nel medioevo e quindi si dilata quando la cultura di fatto rimane proprietà, se volete, o comunque ambito dei clerici e i laici rimangono esclusi dall’ambito della cultura.

E questa è la storia del nostro medioevo che naturalmente si radicalizza poi nell’ambito della nostra penisola fino ad arrivare all’illuminismo quando la contrapposizione tra visione religiosa e visione razionale della realtà allora dà origine diciamo, dà fondamento a questo termine laico proprio nella razionalità universale di ogni uomo.

E allora, da quest’epoca in poi, laico viene contrapposto a una visione religiosa della realtà per arrivare fino a i giorni nostri e superare questa contrapposizione nel momento del Concilio Vaticano II, quando non certamente ad opera dei Vescovi italiani ma dei Vescovi europei, preceduti dalla riflessione di Maritaine, si arriva ad affermazioni che liberano questo concetto di laico da pregiudizi, da prevenzioni, quelle che invece sono rimaste nelle mia infanzia, ovviamente. e di cui ho già fatto ammenda pubblica.

Si parla di cultura e si dice che la cultura è laica. La cultura ha un incessante bisogno della libertà per svilupparsi e le si deve riconoscere la legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri principi. Il concetto di laicità della cultura, a ragione dunque, esige rispetto e gode di una certa inviolabilità, salvi evidentemente i diritti della persona e della comunità. Il Concilio dichiara che esistono due ordini di conoscenza: quello della fede e quello della ragione e che la Chiesa non vieta che le arti e le discipline umane si servano nell’ambito proprio ciascuna dei propri principi e di un proprio metodo.

Perciò riconoscendo questo giusta libertà la Chiesa afferma la legittima autonomia della cultura e specialmente delle scienze.

Questo, dal mio punto di vista, è il concetto sano di laicità, cioè l’indipendenza all’interno della ricerca umana da presupposti che non appartengono a quell’ambito di ricerca quindi la scienza, le arti, la letteratura.

Si aggiunge una cosa che mi pare venga a taglio con il discorso che stiamo facendo: è compito dei pubblici poteri non determinare il carattere proprio delle forme di cultura ma assicurare le condizioni e i sussidi atti a promuovere la vita culturale fra tutti, anche fra le minoranze di una nazione.

Perciò bisogna innanzi tutto insistere che la cultura stornata dal proprio fine non sia costretta a servire il potere politico o il potere economico. Detto questo vorrei però richiamare un punto: quando si parla dei cultura non si parla ancora di scuola perché la scuola non è semplicemente trasmissione di cultura e questo sarebbe ridurla ad un aspetto tecnico, ma la scuola è un luogo di educazione. Forse è una parola che è stata usata troppo poco, anche questa mattina.

La scuola è luogo di educazione e l’educazione non è solamente cultura.

Quindi sì alla cultura con la sua laicità radicale proprio perché non deve essere poggiata su delle promesse che esorbitano dalla ragione umana quindi libertà dell’indagine, ma quando si parla di educazione si fa riferimento a un sistema di valori.

Ed ecco allora che qui entra in gioco il discorso della libertà di scelta che deve essere lasciata ai singoli individui ed alla responsabilità delle famiglie.

Quindi sì ad una cultura che è laica in radici, no ad una educazione che non può mai essere neutra. Questo con buona pace di tutte le affermazioni che vengono fatte anche in articoli sui diversi organi di comunicazione dai diversi opinion leader. L’educazione non è mai neutra. quindi l’educazione si ispira ad un mondo di valori. Allora anche una scuola come quella che quest’oggi ci ospita, un’organizzazione di scuole che si dicono laiche cioè non confessionali - è il termine che ben usato - anche queste scuole avranno un loro indirizzo educativo che sarà dichiarato nella loro carta e che verrà esplicitamente esposto ai genitori che liberamente scelgono e accedono a questa forma di educazione. Insisto sulla parola educazione che è quello che lo Stato non si può arrogare in una forma monopolistica e che lo Stato invece ha il dovere di sostenere secondo il principio di sussidiarietà perché dovunque possa arrivare questo aiuto alle famiglie per la educazione dei propri figli dove i cittadini non sono in grado da soli di organizzare il sistema educativo lo Stato ha il dovere proprio nativo, per questo esiste lo Stato, di offrire questo servizio.

Ecco io mi fermerei qui. Non so se ho dato un piccolo contributo a queste riflessioni. Farei un’ultima osservazione però che ci porterebbe lontano: quando ho detto che la scuola non è solo istruzione non è solo cultura devo rammentare anche che è proprio di questi tempi una battaglia circa il fatto che la scuola oggi non può essere scuola centrica, cioè la scuola non esiste più come sistema chiuso in se stesso per la trasmissione di cultura oggi la scuola deve essere un luogo dove convergono pluralità di interventi quindi deve essere in continuo dialogo con la società a cominciare dalle famiglie. È questa l’idea nuova di scuola che si fa strada, che anche il Ministero riconosce: La scuola aperta il pomeriggio non è solo più cultura, è educazione, è dialogo col mondo, è mondo di valori.

Questo fa diventare sempre più urgente il discorso della libertà per non cadere nelle omogeneizzazione.

 

MARIO MAURO

Mi prendo la responsabilità di proporvi un intervento sul quale si possa non essere tutti d’accordo nel senso cioè di dare un taglio non tanto polemico - assolutamente non è nel mio stille - ma che, in qualche modo possa creare discussione anche in relazione al fatto che se da un lato sull’enunciazione dei principi di fondo di quella che è la battaglia per la libertà di educazione c’è, in fondo, un sentire comune da parte di realtà che storicamente e culturalmente sono molto lontane, molto diverse (anche come impostazione della gestione dell’impressa o dell’attività scolastica), dall’altro la possibilità oggettiva di una libera e feconda esistenza di una feconda esistenza della Scuola non Statale in Italia mi sembra un obiettivo non solo non ancora conseguito, ma sicuramente lontana.

Vorrei quindi che questo intervento contribuisse a sgombrare alcuni equivoci che si sono storicamente determinati in un arco di tempo non troppo lontano. Direi che gli ultimi cinquant’anni e in particolare gli ultimi venti contraddistinguono un modo, la forma di lettura che i due mondi, cioè il mondo ella scuola cattolica e il mondo della scuola laica hanno da leggersi.

Se è curiosa l’impostazione di questa prima parte della tavola rotonda che affida l’anamnesi delle vicende della scuola laica a tre esponenti comunque di matrice cattolica, io vorrei parlare invece nella mia riflessione dalle parole di un laico sicurissimo cioè Giovanni Paolo II. Chi è? E’ quello che ha messo in ginocchio il comunismo. E’ famoso per questo!

E’ diventato leader rispettato al punto di permettersi in questa parte del suo magistero, ci auguriamo niente affatto ultima, di andare a rabbonire alcuni esponenti residui del comunismo come il Presidente della Repubblica di Cuba Fidel Castro. Che cosa dice da vent’anni? Quali sono le prime parole del "magistero anticomunismo" chiamiamolo così tra virgolette di Giovanni Paolo II? Sono quelle sulla libertà di educazione, La chiede a gran voce all’indomani del suo insediamento la chiede rivolto ad est dove era ovviamente conculcata addirittura ferita da un sistema mistificante di monopolio delle coscienze e comincia a chiederla anche ad ovest.

Allo stato attuale ha smesso di chiederla ad est e al momento mi risulta che, avendolo chiesto incessantemente, insiste a chiederlo appunto a Cuba e in Italia. In questo ha avuto una sistematicità che è veramente da sottolineare perché nelle parole più usate da Giovanni Paolo II al primo posto ci sono i diritti umani quindi i diritti civili, la richiesta di giudizi sul comunismo, attenzione, che dovrebbero costituire da parte del suo magistero sociale, e aspetto non ultimo c’è la richiesta della libertà del finanziamento della scuola libera in Italia. Un argomento tanto particolare quasi un dettaglio delle cose di cui si deve occupare un Papa: la richiesta cioè che venga riconosciuta la libertà di scelte alle famiglie.

Facciamo un gioco che credo si presti molto a questa nostra forma di lettura: immaginate (anche se non ne valgo ne l’immagine ne lo stipendio) che sia un ancormam del Tg 1 e che dia lettura di una notizia che traggo, diciamo, dalle veline di giornata: "il Presidente del Consiglio ha ribadito l’impegno del Governo per la presentazione di una legge sulla parità scolastica in grado di garantire ai genitori e ragazzi maggiore libertà di scelta sul tipo di scuola da frequentare ..... nell’indirizzo al Santo Padre durante la visita ufficiale in Vaticano ..... citazione, ecc. ecc."

Questa citazione, direte voi, è di qualche mese fa, sarà stato durante un approccio di questo Presidente del Consiglio, tutt’al più dello sfortunato che l’ha preceduto ancor prima. E da poco che si parla di questo in Italia. No questo è un incontro tra un altro Presidente del Consiglio Ciriaco de Mita e sempre lo stesso Papa nel 1988. Il tono dei messaggi degli scambi dei giudizi e dei riporti è sempre identico e sempre lo stesso.

Vale a dire negli ultimi vent’anni questo magistero ha identificato il problema della libertà di educazione quale punto qualificante della sua azione in favore all’uomo. non fosse altro perché l’uomo si comunica e per comunicarsi ha bisogno di inscriversi all’avventura della conoscenza.

Questo non è un passaggio confessionale tant’è che la richiesta di libertà di educazione e di libertà per le istituzioni scolastiche da parte del mondo cattolico. per bocca di tutti gli esponenti dei diversi orientamenti del mondo cattolico, è sempre stata una richiesta a vantaggio di tutti. La battaglia della Chiesa Cattolica a favore della libertà di educazione in Italia, è una battaglia che si intende a vantaggio di tutta la società civile e di tutta la democrazia italiana. È una battaglia per la democrazia italiana!

Questo è lo scenario di fondo, uno scenario nel quale non ci si può ritrovare specie considerando il fatto che abbiamo un obiettivo comune che è quello appunto di poter arrivare alla libertà di scelta per le famiglie di un percorso educativo corrispondente alle loro attese ed alle loro aspettative. C’è però un piccolo passaggio. C’è anche il fatto, ed io non voglio nascondermi dietro un dito, dell’esistenza di una polemica mal sottaciuta tra il mondo cattolico e la scuola laica su quei due criteri identificati, a prescindere da quanto affermato dall’On., Martino, sulla scuola seria e sulla scuola non seria e che quindi sulla determinazione delle strategie per conseguire il finanziamento della parità scolastica questo diventi discriminante.

Cerco di farmi capire. La tesi che io sostengo si riferisce a tutta una serie di passi che sono stati fatti anche nel mondo cattolico da vent’anni a questa parte che hanno come conseguenza ultima, concettuale, il tentativo di emarginazione della scuola laica intesa come laica non confessionale. Questo coincide con un fattore storico irreversibile che è la grande crisi di molti Ordini Religiosi che hanno visto soppiantato nell’arco del loro procedere il campo di attività e di espressione nel terreno dell’educazione da molti soggetti che hanno fatto l’impresa scolastica e che sono andati, in modo crescente, ad occupare spazi sulla formazione superiore e sulla formazione post-obbligo. Questi soggetti hanno dato risposta, sicuramente per un periodo di questa repubblica, a una esigenza particolare che non era tanto di natura educativa quanto di istruzione in senso stretto.

Dal 1984 c’è un passaggio nella storia del nostro paese che attraverso una serie di disegni di legge in Parlamento e di giudizi che sono culminati nel decreto 470’97 del Ministero delle Finanze, finalizzato alla disciplina degli enti non profit, che arriva sostanzialmente ad identificare nell’attività senza scopo di lucro il residuo fondamentale sul quale si potrà costruire l’ipotesi di parità.

Per me questo è un errore cioè non è un fattore di chiarezza ai fini della nostra battaglia ma è invece un fattore usato ideologicamente per mortificare un’esperienza, quello della scuola laica. Come vedete le affermazioni non sono leggerissime, vado, pertanto ad esemplificarle. Innanzitutto nel 1984 la Democrazia Cristiana, questa volta intesa come partito a nome di uno dei suoi deputati, con l’on. Casati presenta un disegno di legge dove per la prima volta si fa esplicito riferimento al fatto che solo per le scuole paritarie è previsto l’intervento di sostegno dello Stato e che le scuole paritarie sono caratterizzate dall’esclusione del fine di lucro.

Io, in questo breve giudizio, parlo anche come vicepresidente nazionale della Compagnia delle Opere.

Siamo un’organizzazione che aggrega al suo interno anche molte scuole, circa 200, e noi preferiamo come forma di espressione delle scuole che andiamo a realizzare, in collaborazione coi nostri associati, la forma dell’organizzazione non profit per una serie di motivi che non sto qui a spiegare. Per noi è un’ipotesi privilegiata, ma siamo timorosi rispetto all’ipotesi ed all’idea che queste organizzazioni debbano essere non profit perché ne venga riconosciuto il valore educativo.

Il valore educativo non può essere ancorato al fatto che l’istituzione che offre il servizio sia con lo scopo di lucro o senza lo scopo di lucro. Il valore educativo, e sono in questo d’accordissimo con Padre Guerello, è legato al valore del progetto educativo che questo progetto educativo è raccordato alle convinzioni di chi anima la scuola, alla preparazione, alla capacità, alla qualità della sua scuola che fare scuola significa instradare all’avventura della conoscenza per promuovere la persona e che questo non può essere mortificato attraverso una espressività che è stata caratteristica della società italiana in anni non sospetti, diciamo dal 200 in poi, quindi la creazione da parte degli Ordini Religiosi degli ospedali, delle reti educative, delle reti di assistenza, di tantissime iniziative che hanno avuto successivamente anche matrici non profit non religiose. Queste, in sostanza. rappresentano una strada non "la strada". Cerco di chiarire questo passaggio che ritengo fondamentale.

Immaginiamo che possa esistere, per quanto il termine possa essere sgradevole, un mercato dell’educazione cioè una realtà di domanda e di offerta sull’esperienza educativa e quindi anche sulla domanda d’istruzione. Su questo mercato corrono veicoli di ogni tipo. Sarebbe un errore chiedere per le nostre scuole "statuti da auto blu": ci vedrebbero finire in breve tempo, vedrebbero finire la nostra libertà. In questo differisco dalle affermazioni dell’On. Martino. Io non sono contrario al finanziamento delle scuole, sono favorevole al fatto che il finanziamento avvenga in forma privilegiata attraverso il finanziamento alle famiglie.

Non sono, in partenza, schierato sull’ipotesi del buono scuola perché credo che in realtà ci avvicineremo, se veramente ci avvicineremo a una soluzione, ad una forma mista che dobbiamo aver la capacità di discutere per trovare i punti di convergenza. Sicuramente dobbiamo toglierci questo sassolino dalla scarpa.

Chi di Voi ha seguito la discussione avvenuta a margine dell’approvazione della legge sugli esami di maturità sa e ricorderà di un momento in cui gli animi si scaldano. Avviene quando c’è da far passare il principio relativo ai diritti che hanno le scuole non statali di avere un certo rilievo nella composizione della commissione e quindi anche l’ammissione dei candidati all’esame di idoneità. In Parlamento si scatena la bagarre e vi è tutta una serie di interventi che introducono nella discussione l’argomento dei diplomifici, famosissimo e consumato, che tutte le componenti si rimpallano perché, a quel punto, i diplomifici non sono di nessuno.

E’ suggestiva per lo meno a questo proposito una brevissima parentesi relativa all’ipotesi che molti diplomifici li ha creati il MPL. Questa ipotesi nasce dalla constatazione che la struttura della Direzione. Generale non statale del MPL è stata una struttura di controllo, di calmieramento di quelli che erano gli archivi della Scuola non Statale in questi 50 anni. In Italia rimane un dato di fatto, agli atti parlamentari, che molte delle scuole che vengono considerate diplomifici sono state, di fatto, istituite in rapporto con onorevoli dell’allora partito di maggioranza relative, in forma distribuita e presente sul territorio e che sono sempre state realizzate quando questi onorevoli avevano un incarico di rilievo, non quello principale, ma altri, meno importanti, presso il MPI.

Chiusa questa parentesi, ritorno alla mia argomentazione e concludo affermando che la discriminante per riconoscere e distinguere la scuola seria dalla scuola non seria non può essere l’immagine della struttura veicolata secondo struttura d’impresa o della struttura invece veicolata secondo l’immagine di scuola istituzione sociale.

In questo senso c’è una difficoltà di carattere costituzionale. Se si vuole imboccare questa strada, a mio giudizio errata, i durevoli costituzionalisti del nostro secolo riconoscano come la problematica delle scuole non statali sia stata dal Costituente pensata non tanto nell’ottica della scuola-impresa ma in quella della scuola-istituzione sociale, quale espressione cioè di opzioni culturali e di tendenza.

Questo è il dato attuale il cui sviluppo è tutto da costruire.

Dal mio punto di vista non dobbiamo farci ingannare. Se l’obiettivo vero è la libertà di educazione nel nostro paese non dobbiamo accettare in questo momento che si venga separati, divisi. in ordine agli strumenti, ma avere sempre, con grande chiarezza, presenti i fini.

Rimane indispensabile, invece, essere inflessibili su quegli aspetti di scuola seria e di scuola non seria di cui parlava l’On. Martino. L’ultima affermazione è riconducibile a un altro rilievo di carattere storico che poi è quasi cronaca.

Nel nostro paese con grande fatica erano state raduniate tutte le forze che si occupavano del tentativo di suscitare l’ipotesi delle autonomie delle istituzioni e nella libertà di educazione in una struttura, realizzata soprattutto col paziente lavoro del Prof. Dalle Fratte, e cioè la Conferenza Permanente delle Autonomie che ancora oggi presidia questi importanti campi.

Laddove si è reso evidente e non più sottaciuto la presenza del pregiudizio cui ho fatto riferimento prima evidentemente il lavoro di questo tipo di istituzione viene oltremodo compromesso perché viene smarrito l’essenziale dell’azione di chi si batte per la libertà di educazione nel nostro paese e ci si attesta invece sull’ultimo passaggio, quello di gradimento dello strumento di finanziamento.

Affido la conclusione ad un altro laico, secondo me, di capacità ciclopiche Tommaso D’Aquino che nella "summa Contragentes"?. Scrive "ipse idem hanno est qui percipit sed intelligere et sentire sentire antem non est sine corpora" cioè non è assolutamente possibile che noi ipotizziamo che ci sia in Italia un’esperienza di scuola libera e non risolviamo il problema della materialità delle risorse. Non per retorica, ma per un motivo semplicissimo perché senza la materialità delle risorse non è neanche vero che si fanno scuole libere; si fanno scuole che assomigliano alla scuola statale.

Questa è un’esperienza diretta e certificata nella Compagnia delle Opere cui tante esperienze educative da noi per offrirci "chiavi in mano" le loro scuole e ci dicono, anche reverendissime madri: "era una scuola che andava benissimo quasi uguale ad una scuola statale". Anche molte delle scuole laiche sono in difficoltà per il fatto che sono quasi uguali a quella statale.

Sarà sulla qualità del progetto educativo, sulla qualità che si raccorda al problema della mentalità delle risorse che si gioca, secondo me, la partita del futuro.

 

RUOLO E FUNZIONI DELLA SCUOLA NON STATALE LAICA

MARIO VISCOVI

Ringrazio il prof. Roberto Pasolini e tutti i componenti il Comitato Politico Scolastico della scuola non statale per aver organizzato questa importante giornata, questo seminario che a mio avviso si colloca nell’alveo di quelle rare manifestazioni epocali che hanno avuto inizio in Italia – se non erro – con il Congresso della Scuola non Statale dell’Ottobre 1997, voluto e animato dal compianto Sen. Salvatore Valitutti.

Contrariamente a ciò che disse Guglielmo d’Orange, io coltivo la speranza che la verità vinca, ma riconosco che bisogna compiere alcuni passi. Questi passi a mio avviso devono forse essere fatti a velocità diverse per le diverse Regioni d’Italia. I contributi di pensiero dei relatori che mi hanno preceduto mi confermano che probabilmente un’unica soluzione da applicare contemporaneamente su tutto il territorio nazionale non è realisticamente raggiungibile in tempi ragionevoli. Il motivo principale è che in alcune Regioni il problema della disoccupazione e del posto statale è più forte che in altre e che in genere l’opinione pubblica italiana non è ancora consapevole dei diritti che le spettano in materia di libertà di scelta della scuola. Infatti, come sottolineava l’On. Martino, sono proprio gli utenti che non hanno ancora piena coscienza del loro dovere di essere i primi responsabili della educazione dei figli.

Ma allora, e qui parlo come genitore, occorre arrivare a favorire la formazione dei genitori perché si prendano seriamente a carico questo loro dovere. La scuola, qualunque scuola, può essere l’ambito giusto nel quale proporre e sviluppare questo argomento della formazione degli utenti alla loro responsabilità educativa, dato che il 100% dei genitori passa, per un periodo significativo, attraverso la scuola.

Questa convinzione mi deriva dalla venticinquennale esperienza della mia Associazione e dal contributo che in questo senso ho potuto dare in ambito europeo. Solo con genitori responsabili, convinti della convenienza di investire denaro nei figli per la formazione di una società migliore, si potrà ottenere quello sviluppo che questo settore scolastico merita perché garantisce una libertà di scelta. Che ciò sia possibile lo dice la nostra piccola esperienza che può essere in alcuni casi di esempio per altri gruppi di genitori o di genitori e insegnanti, i quali si prendano sulle spalle – con responsabilità personale – la creazione e la gestione di scuole e la scelta degli insegnanti. Questo sta facendo il FAES, Famiglia e Scuola, in otto città italiane, ma devo dire che anche in altre parti del mondo sta succedendo altrettanto, e spesso con risultati qualitativamente significativi.

Ho voluto fare questa introduzione sul ruolo dei genitori perché mi pare che riguardi direttamente anche questa Tavola Rotonda.

Ora presento i relatori:

Vi ringrazio per avermi dato questa occasione che è stata da me gradita e do la parola al Dott. Foscarini.

 

SALVATORE FOSCARINI

Il tema che oggi ci viene proposto non può che ricondurci all’ampio dibattito che si é sviluppato nel nostro paese intorno al problema della riforma del sistema scolastico italiano in particolare e più in generale della riorganizzazione della Pubblica Amministrazione.

E parlando di riforma intendo riferirmi a tutti gli ambiti che costituiscono il sistema scolastico dai cicli all’autonomia, dal dimensionamento delle scuole alla loro organizzazione in reti, agli interventi di stato giuridico dei dirigenti e perché no..... anche al vecchio problema della scuola di Stato e della scuola privata.

E si badi bene, fino a qualche anno fa, eravamo abituati ad interventi settoriali o forse meglio a tentativi di riforme parziali, visto che negli ultimi decenni non sono intervenuti provvedimenti di legge rilevanti ed atti a rendere il servizio scolastico più rispondente alle sempre nuove e crescenti esigenze della società di oggi.

Esigenze di rinnovamento quindi che trovano la loro origine nella crisi del rapporto Stato-cittadino (anni 60) e più recentemente nella necessità di adeguare l’organizzazione dell’apparato burocratico allo scenario del sistema Europeo.

Oggi per la scuola come per gli altri settori delle Pubblica Amministrazione il problema é dare servizi soddisfacenti alla domanda diversificata dell’utenza.

Non é casuale che la verifica dei risultati é di gran lunga più importante della verifica del processo delle regole.

In questa logica di risposta sostanziale ai bisogni si colloca l’autonomia, il processo di decentramento, l’allocazione dei centri decisionali là dove c’é bisogno, il riconoscimento di spazi per la creatività degli erogatori del servizio (vedasi il documento dei saggi che definisce i saperi essenziali lasciando ai docenti la libertà di individuare i contenuti).

Tutto questo vale per scuola di Stato, per la scuola confessionale e per quella laica.

La legge 59 del 97 art. 21 inquadra il sistema scolastico italiano e pertanto si riferisce alla scuola di Stato e alla scuola non di Stato.

La scuola laica trae la sua legittimazione nel pluralismo riconosciuto dalla Costituzione che favorisce lo sviluppo della personalità dello studente consentendo diversi tipi di modelli pedagogici dando facoltà ad enti e privati di istituire scuole ed istituzioni di educazione.

Nei fatti la scuola tutta (legge59) trova la fortuna nella capacità di rispondere ai bisogni fondamentali, così come richiamato dal comma 9 dell’art. 21 là dove, fermo restando il perseguimento degli obbiettivi generali del sistema nazionale d’istruzione, fa salva la libertà d’insegnamento del docente, la libertà di scelta della famiglia, il diritto di apprendere da parte dello studente.

Il raggiungimento o meno di questo obiettivo sarà oggetto di verifica da parte dello Stato in via autonoma e da parte della stessa scuola che è tenuta ad "adottare procedure e strumenti di verifica della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi". (Comma 9 parte finale art. 21/59)

Utile appare quale strumento di coinvolgimento e di verifica per quanto riguarda la funzione sociale della scuola, il rispetto delle competenze degli O.O.C.C. e l’adozione di tutti quegli strumenti che di fatto possano garantire la tutela dei diritti dell’utente, tra quelli ritengo di dover citare la funzione della carta dei servizi: strumento modulare e capace di coinvolgere fornitori ed erogatori del servizio, dalla analisi dei bisogni alla verifica dei risultati (legge 59/97 art. 17 comma 1 lettera b).

 

LUISA RIBOLZI

Scuole pubbliche e scuole private; qualche spunto di riflessione sul concetto di sistema integrato.

Il senso e il ruolo di una Scuola non Statale

Scriveva Weisbrod nel suo fondamentale saggio sul non profit (1977): "una situazione di mercato si sviluppa quando un rilevante numero di persone incomincia a pensare che il prodotto pubblico è insoddisfacente in termini sia di qualità sia di quantità". Anche nel settore dell'istruzione, il sorgere di una scuola privata accanto a quella pubblica deriva da un’insoddisfazione verso il modello che quest'ultima propone: è quindi del tutto irrazionale che, nel normare le possibilità di allargare il sistema pubblico anche alle scuole non statali, si parta dall'assunto che la scuola statale va assunta come modello di riferimento, senza mettere in dubbio

Questo, tra l’altro, crea la categoria che Carnie (1996) definisce "privata suo malgrado", e che comprende le scuole che non riescono a raggiungere i requisiti per diventare pubbliche: qualcosa di analogo potrebbe avvenire in Italia se il requisito del dimensionamento divenisse vincolante anche per le sovvenzioni alle scuole private, senza tenere conto della possibilità che siano riconosciute non le singole scuole, ma le reti di scuole o i poteri organizzatori, come in Belgio. Affermare la legittimità di proposte alternative non significa dire che la scuola pubblica statale debba scomparire o essere ridotta ad un ruolo residuale: se riesce a riqualificarsi, svolge (come ha svolto anche in Italia in passato) un ruolo fondamentale nel far crescere il livello complessivo di qualificazione della popolazione.

Resta però improprio sostenere, come molti fanno, che solo la scuola pubblica può garantire alle fasce più deboli l'istruzione di base: da un lato, la ricerca sociologica mostra che essa tende piuttosto a rinforzare le disuguaglianze che non a ridurle, e dall'altro le ricerche svolte nel Terzo mondo, sia in Asia sia in America Latina, (Jimenez, Lockheed, Paqueo, 1994) mostrano che, a parità di condizioni sociali, le scuole private funzionano meglio e costano meno; e le ricerche sulle scuole cattoliche nelle inner cities americane (Bryk et al.) sostengono che il miglioramento è particolarmente sensibile per gli studenti delle minoranze etniche e a rischio. Le scuole confessionali olandesi (Pillarized) sono considerate migliori dai genitori, non necessariamente nel senso che s’ispirano a norme o valori superiori, ma piuttosto nel senso che consentono un più pieno sviluppo delle facoltà del bambino (van Laarhoven et al. 1994). Un sistema integrato in grado di proporre di volta in volta le soluzioni più adatte alle caratteristiche della domanda formativa è con ogni probabilità la risposta migliore al bisogno di formazione.

L'esistenza di scuole private è sostenuta per almeno quattro motivi (Raywid, 1992):

Quanto ai soggetti abilitati ad aprire e a gestire scuole private inserite nel sistema pubblico, si sta diffondendo la tendenza a considerare solo le organizzazioni senza fini di lucro, ma questo potrebbe indurre pericolose discriminazioni. Una volta affermato che "è necessario tenere ben distinti i valori del capitalismo imprenditoriale e quelli di una comunità educativa. Le scuole non sono imprese di affari, e i bambini non sono prodotti" (Carnie, XIV), se si ammettessero solo scuole profit free, si rischierebbe di limitare il campo a quelle scuole che sono sostenute da organizzazioni capillari (come le chiese) o finanziariamente potenzi (come le fondazioni) escludendo le scuole indipendenti gestite da gruppi di insegnanti o anche da veri e propri imprenditori di terzo settore. Queste scuole sono un ponte tra le scuole gestite dallo Stato, le scuole confessionali e le imprese educative, che sono finalizzate esclusivamente a fini di lucro (che è diverso dal consentire un guadagno che ripaghi il rischio imprenditoriale).

Quando si parla di "sistema educativi integrato" non si parla dunque solo di un sistema di istituzioni che si coordinano per sviluppare un azione più efficiente, ma ci si riferisce a questo stesso sistema in termini di rete di soggetti educanti, i cui ruoli sono importanti proprio perché distinti, dalla famiglia alla scuola agli Enti Locali (Bernier, de Singly, 1966), e che operano in relazione tra loro In Italia, il sistema formativo è costantemente oscillato fra scuola ed extrascuola, con una prevalenza netta, negli ultimi cinquant’anni, della scuola, anzi della scuola statale, come agenzia specializzata monopolistica, con il duplice risultato che la scuola stessa si separa dalle famiglie e dalla comunità, e al tempo stesso non regge al sovraccarico funzionale, e in particolare non riesce a rispondere ad esigenze sempre più differenziate. Solo un sistema reticolare, con poche regole essenziali fissate e controllate dal centro, riesce a conciliare uguaglianza e differenza. L’obiettivo è quello di individuare un’area territoriale adeguata su cui creare una scuola "su misura" per ogni studente, scuola che non potrà quindi essere una scuola unica statale (1).

Secondo Madsen (1996) i principi di una scuola diversificata sono:

Il nesso famiglia scuola è oggi un nesso problematico, se non quanto alla sua esistenza (il Parlamento europeo nella sua dichiarazione dei diritti e delle libertà fondamentali del 1989 ribadisce che l’educazione deve essere libera e i genitori devono avere il diritto di dare ai loro figli un’educazione in accordo con le loro convinzioni religiose e filosofiche), sicuramente quanto alle sue modalità di attuazione. Si è tentato di sistematizzarlo secondo varie tipologie, che vanno dal puro e semplice essere informati (audience, communication) alla collaborazione come "insegnanti domestici" o anche nella scuola come rinforzi all’apprendimento o come soggetti anch’essi dell’apprendimento. Più raramente viene loro assegnato un ruolo effettivo di decisori, anche se in un equilibrio complessivo dei poteri essi sono titolari, attraverso le istituzioni educative che decidono di scegliere (o di attivare) del diritto di agire in relativa indipendenza rispetto al potere centrale, che ne fissa le competenze e ne controlla il rendimento. In un modello per autonomie sono le istituzioni educative ai diversi livelli che fissano localmente le strategie e le tattiche in risposta alla caratterizzazione della domanda di formazione dei loro utenti: in questo modello si legittima il carattere pubblico delle agenzie che operano nel sistema formativo allargato (comprese le attuali scuole private) e le scuole che oggi si chiamano pubbliche si emancipano dal loro ruolo di passivi esecutori delle circolari ministeriali. Il cambiamento è simultaneo: il riconoscimento del ruolo pubblico delle scuole non statali non costituisce la panacea all'incompetenza delle scuole statali, e la prosperità di entrambi i settori è connessa in modo inscindibile (Sundquist, 1984:307): se mi è consentito un gioco di parole, le scuole autonome statali dovrebbero agire a tutti gli effetti come quelle che oggi definiamo "scuole statali laiche".

Verso il nascere di un "quasi mercato"

Se anche si arrivasse finalmente ad accrescere la competitività e a modificare il finanziamento, si tratterebbe pur sempre di un quasi mercato, per usare il termine di Bartlett e Le Grand (1994), di un mercato regolamentato all'interno di un servizio che è e resta pubblico e che deve raggiungere i fini di efficienza, responsabilità e scelta senza conseguenze negative sulla crescita dell’equità (come accadrebbe nel caso che fosse possibile "scremare" gli studenti più bravi). L'aumento del numero di produttori è positivo, in quanto, se sono troppo pochi, non c’è scelta, l’efficienza non migliora, non crescono né la responsabilità né l’uguaglianza. Secondo i sostenitori della scuola statale, lo stesso dovrebbe accadere quando l’acquirente è uno solo, lo Stato, che contratta prezzi più bassi, è controllato politicamente dai cittadini, rispecchia i loro bisogni e tutela la giustizia sociale. In realtà, accade che ci sia scarsa considerazione per i bisogni degli utenti, mentre nel contrattare i prezzi lo Stato trattando tutti allo stesso modo non premia la professionalità, e quindi abbatte il "morale" dei fornitori/insegnanti e li deresponsabilizza.

E' chiaro che una scuola che agisce in questo contesto deve avere la possibilità di programmare la propria attività, disponendo sia delle risorse necessarie sia del potere di gestirle: non è nemmeno pensabile che questa sia una delle tante riforme "a costo zero" (che esistono solo nella mente utopica dei legislatori italiani) dal momento che l'operazione di riassetto delle competenze, di formazione del nuovo personale e di riqualificazione del personale in servizio comporterà dei costi, come anche il potenziamento delle funzioni di coordinamento e controllo, prima fra tutte l'istituzione di un servizio di valutazione. Nello stimare i costi del finanziamento delle scuole non statali, e delle sue modalità di attuazione, bisogna però tenere presente che un sistema che funziona secondo logiche diverse dovrebbe essere finanziato diversamente nel suo complesso: non si tratta quindi di calcolare dei "costi aggiuntivi", ma di ripensare totalmente il sistema di costi. Le indicazioni che emergono dalla comparazione internazionale sono sostanzialmente cinque:

Il punto fondamentale da tenere presente è che, in ultima analisi, da chiunque vengano trasferiti, tutti i soldi per pagare l'istruzione vengono dalle tasche dei contribuenti, cui si dovrebbe renderne conto. In un clima di risorse scarse, è certamente scorretto trascurare il fatto che con ogni probabilità l'introduzione di un quasi mercato e di una concorrenzialità, sia pure proteggendo le situazioni più deboli, potrebbe migliorare consistentemente il bilancio della scuola statale: tra il 1989 e il 1994 le spese per la scuola sono aumentate (a lire costanti) del 27.5%, mentre la popolazione studentesca diminuiva dell'11.1%. Anche se lo Stato continuerà a fornire l'istruzione (pagandola con le tasse dei cittadini), affidandosi a fornitori più attenti e controllandoli meglio potrà ottenere sensibili risparmi che potrà reinvestire per migliorare la qualità. Non si dimentichi che secondo l'OCSE (1995), il ruolo dei responsabili del settore pubblico è quello di "creare e far funzionare dei sistemi che consentano di realizzare gli obiettivi delle politiche pubbliche nel modo più efficace e al costo più basso possibile, nel rispetto dei valori specifici del servizio pubblico". Non si tratta quindi di risparmiare a tutti i costi (è una politica miope e fallimentare), ma di ottimizzare il rapporto costi/benefici.

Sempre secondo Bartlett e Le Grand, mentre nel mercato convenzionale le imprese che producono un bene scadente o troppo costoso sono espulse, nei quasi-mercati è l’agenzia che acquista a stabilire la formula che determina il prezzo, che non è formato dal rapporto diretto fra domanda e offerta, e può anche non riflettere i desideri degli utenti, che dovrebbero organizzarsi per essere presenti negli organismi decisionali: se lo Stato decide se, in base a quali parametri e quanto finanziare le scuole autonome, limita la tipologia dell’offerta, e conseguentemente la libertà di scelta. Se poi, come in Italia, gestisce direttamente il servizio senza far pagare nulla agli utenti diretti, non esiste competizione, e i fornitori privati sono "fuori mercato" e possono competere solo offrendo un servizio diverso (o migliore).

Autonomia e decentramento: il ruolo degli enti intermedi

Un ulteriore aspetto del processo di autonomia è la determinazione del ruolo degli "enti

intermedi", e la loro stessa individuazione. L'approccio tradizionale della pubblica amministrazione è duplice: da un lato, la ripartizione del territorio è unicamente quella amministrativa, dall'altro il livello "competente" non è quello che garantisce un livello migliore, ma quello che costa meno. Questo punto di vista è attaccabile per molti motivi, e io ne considero centrali almeno due: primo, gli Enti Locali territoriali non sono stati disegnati con finalità formative, ma di altro genere, e quindi possono avere le caratteristiche di un soggetto educativo, ma possono anche non averle; secondo, operativamente gli Enti Locali sono organizzati come enti multifunzionali di servizi, e le dimensioni ottimali di erogazione di un servizio possono variare molto rispetto a quelle di un altro (la casa e l'istruzione, la previdenza e la sanità).

In entrambi i casi, la produzione diretta di un bene o servizio pubblico da parte di un ente che è stato progettato per altri fini ha buone possibilità di non essere funzionale, né per rispondere al bisogno degli utenti, né per garantire economicità di gestione: secondo Voytek (1993) il Governo locale può risolvere il problema acquistando all'esterno questo bene o servizio, e conservando per sé una funzione di coordinamento per tutte quelle funzioni per cui la propria dimensione è troppo grande o troppo piccola. La variabilità dei finanziamenti fa crescere i costi di transazione, legati alla complessità delle negoziazione per arrivare al contratto, e alla relativa imprevedibilità della domanda futura. Se si è speso molto in fase di determinazione dei requisiti in entrata (per esempio per stendere il contratto), il controllo degli esiti sarà meno problematico, e viceversa (Coase, 1952).

Il decentramento del servizio, che in altra sede (Ribolzi 1987) ho definito "autonomia locale" in opposizione alle "autonomie sociali", ha comunque degli aspetti positivi:

Questo non dice nulla però sul potere decisionale degli Enti Locali nel campo dell'istruzione: a mio avviso, essi esercitano a pieno diritto compiti di controllo e sostegno all'innovazione, mentre possono dare degli indirizzi solo quando abbiano le caratteristiche di un ente sociale intermedio, costituito all'interno della società civile e non emanazione dello Stato. In altre parole, il principio di unità, essenzializzato, è garantito dallo Stato, e quello della diversificazione è attuato dalle istituzioni scolastiche o, mediatamente, dalle formazioni sociali. Un ruolo normativo delle Regioni rappresenterebbe una deconcentrazione, e non un decentramento, di cui non si sente la necessità, e sarebbe un ulteriore manifestazione dell'errore di ricalcare la scuola sul sistema politico, che ha prodotto gli organi collegiali identificando partecipazione e rappresentatività.

L'esercizio in sede locale dei poteri di controllo e sviluppo dell'innovazione è invece molto importante, perché le scuole autonome, e in particolare le reti di scuole costituite sul territorio, possono essere monitorate in tempi brevi, verificando qual'è la migliore tra diverse possibili soluzioni, adattando la struttura a una situazione in rapida evoluzione e contenendo i costi degli insuccessi. Questo insieme di responsabilità comporta necessariamente una riqualificazione dei processi gestionali decentrati, pena la (ri) centralizzazione, attuando un modello decisionale differenziato, decentrato, collaborativo, ad elevata intensità di comunicazione con l'esterno. La scuola autonoma decentrata è una scuola "della comunità" (non dello Stato o delle sue articolazioni periferiche), anzi è essa stessa una comunità che interagisce con i suoi stakeholders.

Note

1. Secondo Young e Clinchy (1992), che citano il caso di una città-dormitorio vicino a New York (Montclair, 38.000 ab.) dove dal 1985 tutte le scuole hanno caratteristiche specializzate, e i genitori possono scegliere, la scelta fallisce se è imposta dall’alto, ma va controllata. Nel caso in questione, le autorità hanno programmato lo sviluppo di alcune "scuole polo" dotate di particolari caratteristiche, singolarmente responsabili del proprio lavoro. L’esito è stato ottimo, ma bisogna dire che la popolazione appartiene a gruppi sociali medio-alti.

2. Per l’applicazione di questi concetti al Welfare State vedi Taylor et al., 1992.

3. Per l'esattezza i Ministeri del Tesoro, dei Lavori Pubblici, della Difesa, dell'Industria, dei Beni Culturali, della Sanità, degli affari esteri, delle Finanze.

4. Ad esempio, il personale ausiliario è pagato dai Comuni nelle scuole elementari, dallo Stato nelle scuole medie e nei licei classici, dalle Province nei licei scientifici e negli istituti tecnici!

5. L'Education Act del 1988 in Inghilterra prevede addirittura la facoltà per le scuole di sottrarsi al controllo delle amministrazioni locali (che le finanziano anche se hanno scelto di dipendere direttamente dallo Stato), finanziandosi direttamente attraverso contributi e donazioni, previa consultazione dei genitori degli alunni.

6. Anche se le scuole si diversificano, realisticamente bisogna pensare che nei piccoli centri la scelta sarà più che altro virtuale, in quanto il criterio dell'accessibilità riduce notevolmente le possibilità di scelta (Buratti, 1993). Per evitare pesanti discriminazioni, il livello di omogeneità dei contenuti (non delle modalità di insegnamento) dovrà restare piuttosto elevato. In questo senso preme anche il valore legale dei titoli di studio e la loro riconoscibilità in ambito europeo.

7. "Una importante condizione perchè i mercati operino efficientemente è che domanda e offerta dispongano di informazioni accurate e poco costose sui costi e la qualità del servizio. I fornitori devono conoscere i costi del servizio per fissare prezzi appropriati, i consumatori devono conoscere la qualità del servizio per impedire ai fornitori di abbassare i prezzi riducendo la qualità (comportamento opportunistico). Il comportamento oportunistico è un rischio dei quasi mercati, perchè nel mercato aperto la competizione con fornitori più affidabili li espelle, mentre nei quasi mercati i tre tipi di contratto possibili (globale, collegato al costo medio per capita e cost-and-volume, con un fisso incrementato in base al numero dei casi) rendono più difficile il controllo" (Bartlett - Le Grand, 1994)

Bibliografia

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BURATTI C. Autonomia e finanziamento degli istituti scolastici, in "Amministrare"n.3 dic. 1993, pp. 449-459

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JIMENEZ E., LOCKHEED M.E., PAQUEO V., The relative efficiency of private and public school in developing countries, in NARSHIMA REDDY K. (ed.),cit. pp.12-29

LeGRAND J., BARTLETT W. (Eds.), Quasi-markets and social policy, MaMillan, Basingstoke, 1993

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NARSHIMA REDDY K. (ed.),Public and private education. An international perspective, Department of sociology, Osmania University, Hyderabad, 1994, pp.12-29

RAYWID, A.M., Choice orientations, discussion and prospects, in "Educational policy", vol.6, n.2, 1992, pp.105-122

STUART WELLS A., CRAIN R.L., Do parents choose school quality or school status? A sociological theory of free market education, in COOKSON P.W. (ed.), cit.,1992, pp.65-82

Van LAARHOVEN P., BAKKER B., DRONKERS J., SCHIIF H., Achievement in Public and private secondary education in the Netherlands, in NARSHIMA REDDY K. (ed.), pp.81-100

YOUNG T.W., CLINCHY E., Choice in public education, Teachers College Press, Columbia University, New York 1992

WEISBROD B., The voluntary non-profit sector, Lexington Books, London 1977

 

STEFANO VERSARI

La sequenza degli interventi è stata considerevole ed esaustiva. Cercherò, pertanto di accelerare quanto più possibile il mio, d’altra parte ognuno intervenendo è convinto sempre di dire cose eccezionali quindi non ve ne faccio grazia. Ho però provveduto a ridurlo e lo leggerò proprio per facilitare la sinteticità.

Quattro punti veloci: quale scuola, quali scuole, la libertà della persona fondamento della libertà d’educazione e la possibilità d’arricchimento dell’esperienza educativa.

Sono poco più che messaggi.

 

Quale scuola. Ciò che consente la crescita e maturazione della persona è un percorso educativo – dico subito che molte delle cose che io vado affermando ho già sentito riverberare negli interventi di questa mattina, prendiamo atto che le dico con la sensibilità da genitore – allora la crescita e la maturazione di una persona avviene tramite un percorso educativo che si sviluppa in una comunità educativa, là dove questa favorisce la comunicazione fra l’alunno e gli educatori.

La scuola è uno strumento educativo se e in quanto consente questa comunicazione cioè un rapporto interpersonale nel quale l’alunno incontra una persona che è limitata, è limitata dalle sue cognizioni, dal suo metodo, dalla stessa materia di insegnamento.

Andrebbe precisato chi ha il diritto di chiarire se uno strumento funziona bene oppure attraverso la sua materia insegna inevitabilmente quello che lui crede sia la verità da comunicare.

Questa comunicazione è tanto più forte più praticabile quanto più avviene in un terreno accogliente, in una comunità scolastica attenta ai bisogni della persona, in una scuola attiva, inserita in una comunità sociale viva.

La scuola, infatti, è prima di tutto luogo di una presenza culturale dei diversi soggetti esprimenti i mondi vitali che hanno prodotto quella scuola.

Tutto il resto deve essere al servizio di quest’attività cultuale del privato sociale.

Da qui la constatazione che non è possibile una vera riforma democratica della scuola se non all’interno di un vasto movimento sociale capace di far diventare la scuola riverbero dell’identità culturale e politica della società. Questa è dall’altra parte l’esperienza delle scuole medioevali nate all’ombra della prorompenza culturale dei monasteri benedettini..

Un’osservazione banale ma non da trascurare: la scuola non è bene in se stesso e perciò, essendo strumento, va tenuta, conservata, se svolge bene il suo compito altrimenti è meglio chiuderla statale, non statale, laica o cattolica che sia.

Uso dei termini laica e cattolica per brevità di comunicazione.

Il punto dolente è questo: occorre da un lato un ente autonomo di valutazione una autority, anche se il ministro Berlinguer ha affermato che ce ne sono già tanti, di cui siano parti attive le varie componenti della scuola.

Questo Ente autonomo avrà il compito di certificare uno standard qualitativo minimo, senza interferire in alcun modo sull’autonomia organizzativa didattica ed educativa della scuola.

A chi spetterà poi, fatti salvi i requisiti minimi, di decretare la crescita o viceversa la morte di una istituzione scolastica?

E’ semplice, ma per alcuni scandaloso. agli utenti della scuola!

Così come avviene per qualsiasi servizio sociale, è chi riceve il servizio che ne decreta il destino. Piaccia o non piaccia questa è la realtà.

Questo può non piacere solo a chi nella scuola non vede uno strumento educativo ma un fine – un fine sindacale, un fine occupazionale, un fine politico, un fine di gestione di potere clientelare. Prendetene nota.

Quanto ho sopra esposto pone il problema della libertà di scelta dello strumento scuola.

 

Quali scuole? Ci sono vari tipi di differenziazione quella più pratica può essere quella di tipo qualitativo: una è meglio e una è peggio.

In questo caso non ci sono differenziazioni tra statale e non statale. Se ne vedono realmente di tutti i colori e nessuno ha il diritto di accampare primogeniture qualitative anche se, e questo è inevitabile, chi è costretto tutti i giorni a fare conti con esigenze di bilancio è forzatamente portato ad una maggiore attenzione qualitativa – è un po’ la regola della vita: il bisogno stimola a migliorarsi.

C’è poi una seconda differenziazione per le scuole quella che è nell’immaginario collettivo: quella dei luoghi comuni, quella dei pregiudizi: "la scuola che impartisce un’educazione neutra è più aperta e democratica". È una delle assurdità!

La prima assurdità è quella della presunta neutralità dell’insegnamento, quando è nei fatti che ognuno trasmette, in ciò che insegna, ciò in cui crede.

La seconda assurdità è che se l’insegnamento non è neutro – e non lo può essere – la neutralità deriva dall’elidersi fra loro dei messaggi educativi così che l’esperienza della torre di babele assurge a rango di paradigma educativo.

Altro pregiudizio: la scuola non statale laica è per assioma diplomificio che non è diverso dall'affermare che i neri sono brutti e cattivi e che i comunisti mangiano i bambini. D’altra parte è ormai noto che i diplomifici esistono i provveditorati non vigilano ed è altrettanto noto che molte scuole statali vanno assumendo modalità degne dei peggiori diplomifici e che, in fin dei conti, lo stesso valore legale del titolo di studio favorisce la proliferazione del commercio di titoli e l’insignificanza stessa del percorso educativo, come ben più autorevolmente osservava a suo tempo don Luigi Sturzo.

Terzo pregiudizio: la scuola non statale cattolica è, come ieri confermato dal ministro, guidata da monachine che fanno proselitismo. Quanto conformismo in queste parole!

Io capisco che deve trovarsi in difficoltà e, secondo l’uditorio che ha davanti, deve prendere le sue posizioni. Evidentemente quello era un uditorio non favorevole alla libertà di scuola, però a continuare a dire tutto e il contrario di tutto si corre il rischio di fare la figura di Pinocchio, Allora, quanto conformismo in queste parole che si scontrano con la realtà!

Quale proselitismo svolgono le scuole cattoliche di Gerusalemme che sono al 60% frequentate da studenti mussulmani? Questo qualcheduno me lo deve ancora spiegare! Proviamo allora ad uscire dai luoghi comuni. Le scuole, tutte le scuole, possono a pieno titolo svolgere la loro funzione educativa e formativa, con la differenza - e io non lo nascondo che è una scelta preferenziale per la scuola cattolica - che quelle statali e non statali laiche hanno un messaggio educativo che potrei definire – forse può non essere condiviso – con un orizzonte antropologico blandamente definito al contrario di come dovrebbe essere per le scuole cattoliche che invece hanno un orizzonte antropologico chiaramente definito che è quello cristiano.

Questa è l’unica differenziazione tra scuole statali e non statali laiche e scuole non statali cattoliche. Tutto qui!

Allora, ancora una volta, a decidere è chiamato l’educando e la sua famiglia cui compete la primaria e naturale responsabilità educativa. La vera democrazia educativa è possibile non nella scuola neutrale, che non esiste, neppure nella scuola totalitaria, che esiste, o di stato, ma solo nella pluralità di offerte formative di scuole aventi pari dignità nella possibilità di offrire il loro servizio educativo.

Prendetene ancora una volta nota: è sempre e solo un problema di libertà!

Ecco allora che la libertà della persona è il fondamento della libertà di educazione – ed è il terso punto – perché affermare il primato della persona significa permetterle il suo costitutivo aprirsi e rapportarsi alla realtà.

Ne consegue che una libertà effettiva può difficilmente attuarsi prescindendo da un rapporto positivo fra il soggetto e la realtà, quella sua personale, come quella universale. La difesa della dignità della persona passa, dunque, dalla difesa della sua libertà di rapporto con la realtà e, perciò, passa anche dalla possibilità effettiva di libertà di educazione.

Per questo la richiesta di un’effettiva libertà di scelta educativa non è una battaglia a tutela di interessi di bottega – sono frasi che io vado portando in giro come slogan – è viceversa una battaglia per il bene comune, perché la parità è per tutte le famiglie italiane, perché possano liberamente scegliere il percorso educativo più idoneo per i propri figli.

La libertà di educazione non è dunque un problema confessionale, ma è un problema che coinvolge la libertà civile del Paese.

A questo riguardo ritengo occorra percorrere più decisamente un cammino tra le varie realtà culturali, apparentemente distanti, eppure protese, pur nella diversità di provenienza e nell’apparente estraneità reciproca, alla tutela dei diritti civili dei cittadini.

Sarebbe conquista democratica per il Paese consentire un incontro concreto tra mondi culturali distanti sul diritto civile ad una reale libertà di educazione. Per questo auspichiamo con forza un’ampia convergenza parlamentare sulla parità perché siamo convinti che sul tema educazione e diritti civili delle famiglie vi siano ampie possibilità di incontro e perciò anche di costruzione e modalità nuove e diverse di confronto democratico.

Ultimo punto, la possibilità di arricchimento dell’esperienza educativa. Occorre introdurre un ultimo principio nella problematica della scuola: il principio di sussidiarietà, cioè basilare perché fonda, all’interno della scuola, un diritto istituzionale alla presenza dei genitori nella scuola da promuovere al loro compito primario educativo.

Questo non basta. La compresenza dei genitori con gli altri soggetti della scuola deriva da un principio ontologico. I soggetti educanti naturali sono portatori di valori educativi nativi specifici necessari ed insostituibili.

Nella cultura di base della scuola è necessario perciò che la funzione tradizionale

 

LEGISLAZIONE VIGENTE E FUTURA SULLA SCUOLA NON STATALE LAICA

SANDRO ALDISIO

Dato che gli interventi della mattinata e del pomeriggio hanno affrontato numerosissimi problemi sui quali anch’io avevo preparato un intervento, dovrò cambiare parte della mia relazione per non ripetere cose già dette. Mi sembra comunque opportuno dire qualche cosa sulla legislazione attuale per cercare di fare chiarezza sul tema del "senza oneri per lo Stato".

Chi ha avuto ed avrà la pazienza di andarsi a leggere gli atti della costituente osserverà sicuramente che gli interventi fatti in relazione all’ormai famoso "emendamento Corbino", passato a maggioranza, e noterà che la volontà del costituente era quella di sottolineare che non doveva esserci l’obbligo costituzionale di garantire il finanziamento, ma non vi era neanche la volontà di un divieto assoluto. Il che significa che l’aspetto del "senza oneri per lo Stato" non è un problema di tipo costituzionale ma un problema di leggi ordinarie, quindi di scelta politica. Questo indica che continuare a rivangare il tema del "senza oneri per lo Stato", classificandolo come un ostacolo insormontabile perché la prima parte della Costituzione non è modificabile, è un pretesto che va smontato definitivamente.

Una seconda cosa che ritengo opportuno osservare é che uno dei principi fondamentali su cui si basa l’impostazione legislativa dell’Europa è quello di sussidiarietà già richiamato. Principio di sussidiarietà che nella revisione della seconda parte della Costituzione avrebbe comportato, almeno per quanto riguarda la scuola, una "devolution", oggi si usa questo termine, di alcuni poteri propri dello Stato agli Enti Locali, chiamiamoli Stati Federati, chiamiamoli Regioni, chiamiamoli Regioni a Statuto variabile o comunque speciale. Solo recentemente in Parlamento è Stato approvato un emendamento che comunque conserva al centro la regolamentazione dei principi generali. A questo punto le carte si riaprono, in un certo senso, e ma diventano forse più equivoche. Cosa si intende per principi generali? In qualche documento ufficiale del Ministero per principi generali sulla scuola si intendono i tipi di corsi di studio, gli orari, i programmi .... Se per principi generali s’intende realmente questo evidentemente non vi è nulla di devolution. Se invece per principi generali s’intendono veramente solo i principi massimi ispiratori del sistema non c’è bisogno di questa riserva perché sono insiti nella prima parte della Costituzione che non è modificabile. Permettetemi una breve parentesi per esprimervi la mia opinione circa il fatto che il ritenere non modificabile la prima parte della Costituzione è un errore gravissimo, come se le Costituzioni potessero essere separate in due. E’ uno dei gravi errori della nostra Bicamerale il pensare di modificare la seconda parte senza modificare la prima se consideriamo che la seconda parte è in funzione dei principi espressi nella prima.

In ogni caso, se venisse applicato seriamente, il principio di sussidiarietà comporterebbe che tutte le competenze relative al problema della scuola statale e non statale venissero assegnate agli Enti Locali che siano essi Regioni o Provincie o quanto altro. Qualche cosa in questo senso sta avvenendo, pur non essendo l’Italia uno stato federale, la cosiddetta legge Bassanini con il decentramento ha trasferito, prevalentemente alle Provincie e alle Regioni, tutta una serie di competenze di tipo amministrativo relative al comparto scuola compresi gli accorpamenti, le nuove istituzioni e i nuovi corsi. L’abolizione, quindi, di scuole e la istituzione di nuove scuole. Nessuno, finora, ha detto se questa norma vale solo per le scuole statali o anche per le scuole non statali. L’apertura, quindi, di una nuova Scuola non Statale potrebbe ricadere sotto la competenza degli Enti Locali. Non credo possano essere attribuite competenze circa la chiusura o l’accorpamento essendo le scuole non statali sostanzialmente aziende private su cui lo Stato, per un problema di libertà, non può intervenire in questi termini. Dislocazione territoriale e, quindi, la nuova istituzione potrebbe, invece, rientrare nella competenza degli Enti Locali. Chiaramente questo è l’accenno ad una possibilità ancora tutta da verificare.

Una terza cosa cui volevo riferirmi rispetto agli interventi di oggi è il pessimismo dell’On. Martino circa l’introduzione di una legge di parità. Il pessimismo dice la strada per la parità è in salita. Io sono più propenso all’ottimismo della volontà piuttosto che al pessimismo della ragione.

A mio avviso c’è un elemento che spinge sicuramente in questo senso. Un elemento che ha aleggiato durante questo seminario, ma che nessuno ha citato, forse dandolo per scontato: il calo demografico. Mi sono chiesto spesso perché in 40 anni di Governo certamente più favorevole da un punto di vista politico al problema della parità nulla si è fatto e poi, improvvisamente, questo problema è scattato all’attenzione di tutti, anche delle forze politiche più contrarie alla parità. Il problema è unico, non voluto da nessuno, ma di cui bisogna prendere atto: il calo demografico che ha fatto scattare tutta una serie di meccanismi importanti, sottovalutati, prevedibili e non previsti ed ha fatto si che l’offerta di formazione in Italia diventasse superiore alla domanda.

Se l’offerta è superiore alla domanda scatta automaticamente la concorrenza. La mancanza di una legge sulla parità fa sì che la concorrenza non è più tale, ma diventa una competizione selvaggia fra scuola statale e non statale, ma anche all’interno stesso delle due categorie. Il problema del calo demografico ha scosso l’immobilismo. Fino a qualche anno fa le scuole avevano tutti gli studenti che desideravano e questo portò come conseguenza che tutti non si preoccupassero della qualità del servizio offerto.. La popolazione scolastica era garantita, il "cliente" era garantito sia per le scuole statali che per le non statali e, di conseguenza, investire in qualità non interessava a nessuno.

La conseguenza logica è che sul mercato dovrebbe rimanere quello che fornisce il servizio migliore. Perché uso il condizionale? Perché non siamo in un regime di concorrenza, ma in un regime di competizione pertanto non vengono escluse le scuole peggiori ma le scuole che, per una serie di circostanze indipendenti dalla loro volontà, si trovano in condizioni marginali: per ubicazione, per scarsi capitali, perché si trovano in situazioni storiche particolari o per una serie di motivazioni che nulla hanno a che vedere con la qualità.

Alcune scuole chiudono, altre rimangono in vita. Sono passato, evidentemente, da un problema di mercato (non spaventiamoci di fronte a questa parola usata per quanto riguarda la formazione) a un problema di qualità. Perché un mercato concorrenziale funzioni occorre che ci siano delle premesse e regole ben precise. La parità di condizioni è fondamentale. Se una delle parti gode o di privilegi o di monopolio non siamo certo in mercato concorrenziale. Se non ci sono neanche regole minime non abbiamo nemmeno un minimo di mercato concorrenziale.

La qualità, quindi, diventa la sfida sulla quale in futuro ci si può confrontare. Tutto il sistema scolastico deve potersi confrontare. La qualità, comunque, è una bella parola, ma diventa molto difficile poi stabilire come valutare la qualità, come misurare la qualità. Chi misura la qualità? Vi sono alcune proposte in materia che non vengono certamente dallo Stato. Quando in sede di Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, ne ho fatto parte per cinque anni, si tentava in qualche modo di proporre verifiche di tipo oggettivo sia nei confronti degli studenti, sia nei confronti delle istituzioni scolastiche, indipendentemente che fossero statali o non statali, c’era una levata di scudi totale, un rifiuto immediato, aprioristico, con affermazioni tipo: l’istruzione non è misurabile, la formazione non è misurale, il servizio scolastico è qualche cosa di non misurabile a priori.

Voi capite che se si affronta il problema della qualità affermando che questa non è misurabile e non è valutabile, è inutile parlare di qualità perché diventa un elemento talmente soggettivo che non è più confrontabile.. Se invece parliamo di qualità in modo serio, allora si presenteranno sicuramente problemi, ma risolvibili e sopravviverà, ne sono convinto, la scuola che si orienterà verso la soluzione di questi problemi. A mio parere personale, spero convincente, prima di tutto non va più misurato lo studente. Lo studente non è il servizio fornito, è il risultato del servizio fornito. Quelli che vanno misurati e valutati sono la prestazione, i servizi erogati.

Se mi metto in mente di valutare la scuola dagli studenti che ne escono, ho un’infinità ed una complessità di problemi perché la qualità della preparazione dello studente che esce, lo discutevamo giorni fa in un altro convegno, è determinata da un’infinità di elementi di cui soltanto una parte è determinata dalla scuola e la parte determinata dalla scuola è inscindibile da altre situazioni. Il problema della valutazione deve essere spostato sulla misurazione del servizio, sulle prestazioni che io fornisco

Inevitabile, a questo punto introdurre l’argomento degli standard. La bozza sull’autonomia emanata dal Ministro parla di standard nazionali. Lo standard nazionale è un’arma a doppio taglio: chi lo stabilisce il limite al di sopra o al di sotto dello standard? Probabilmente la soluzione sta nel fatto che ogni scuola deve dichiarare nel suo progetto educativo, nella sua carta dei servizi, quali sono i risultati a cui tende, che tipo di servizio fa o vuol fare, e solo alla fine si potrà valutare se quel servizio promesso è stato mantenuto oppure no. Da questa analisi deriva l’indice di qualità.

Ogni scuola deve evidentemente presentare progetti di tipo diverso e chiedere che venga valutata su cose di tipo diverso. Questa sarebbe la vera e propria autonomia nelle scuole, perché tutto il resto non è autonomia, può essere decentramento, possono essere tantissime altre cose, ma certamente non è autonomia. Una valutazione di questo tipo viene già fatta, non è una novità. E’ una novità per la scuola, ma non per altri settori. Non parlo di produzione di beni materiali, parlo di servizi e cui si applicano i principi di valutazione stabiliti in ambito europeo (es. ISO 9000).

Questo è il contesto in cui mi andrebbe benissimo il mercato in regime di concorrenza perché ciascuno dovrebbe esplicitare e chiarire oggettivamente quanto offre e quanto vale e i partecipanti al "mercato" potrebbero liberamente scegliere. A mio avviso, invece, la scelta dei genitori, oggi, è assolutamente di tipo soggettivo, discrezionale, basata sul si dice, basata sulla storia passata. Quante scuole a Milano e anche nel resto d’Italia hanno grandissime tradizioni ma oggi non valgono nulla? Abbiamo esempi clamorosi a Milano! E allora l’iscrizione avviene sulla base del passato o su valutazioni di oggi? E queste valutazioni corrispondono effettivamente alla verità oppure no?

Mi sono dilungato sul problema della qualità perché è una parola che è tornata in tutti gli interventi, ma nessuno mai, non soltanto qui, ma anche fuori dice in che cosa e come va misurata. Ho cercato di dare alcune indicazioni, opinabili evidentemente, ma possono essere una soluzione verso la quale avviarsi.

La prospettiva della Scuola non Statale e di quella statale è di indirizzarsi verso questa corsa, verso una valutazione una misurazione di quanto fa, delle sue prestazioni: rese esplicite all’inizio e verificate alla fine. All’inizio non possono essere certamente indicati come obiettivi oggetti non misurabili, ma evidentemente devono essere indicati come obiettivi oggetti verificabili alla fine. Se dico genericamente che voglio educare e, come obiettivo, mi propongo un’educazione in generale, alla fine come si misura l’educazione che ho impartito?

Per concludere il mio intervento colgo una provocazione emersa da una relazione di questa mattina in cui si è fatta una distinzione netta fra educazione e istruzione. A questa distinzione aggiungerei un’altra parola: la formazione professionale. Spesso se ne parla come qualche cosa di totalmente distinto. Io non credo in questa distinzione: l’educazione, l’istruzione e la formazione professionale sono un tutto unico e diventa artificiale, a mio parere, dividere l’uno dall’altro, tenendo presente un fatto che, a mio avviso, la scuola ha come compito primario non l’educazione ma l’istruzione e la formazione professionale. Concorre certo all’educazione dei giovani, ma prioritariamente l’educazione dei giovani spetta alla famiglia e non può da questa essere delegata a nessuno. Allora se si imposta la scuola sull’educazione io credo che si sposti il problema dei fini principali della scuola, che sono altri. Con questo non voglio dire che l’educazione non rientri fra uno dei compiti fondamentali ma certamente non è il primario perché andrebbe a prevaricare quello che secondo la nostra Costituzione e anche secondo la mia concezione è un diritto e dovere principale della famiglia quello di educare i propri figli.

 

VITTORIA GAETA

Le mie congratulazioni per l’organizzazione di questo Convegno così indicativo per il mondo della Scuola. Ritengo, infatti, che questo incontro si proponga un obiettivo molto coerente: vuole essere un’occasione di riflessione sui grossi problemi che assillano le Scuole Non Statali ed insieme riflettere su eventuali problematiche in vista dell’annunciato riordino dei Cicli Scolastici e dell’avvio della Legge sulla Parità scolastica.

E’ utile considerare che è questo il momento in cui tutti gli operatori delle Scuole Non Statali dovranno restare uniti e raccogliere le loro forze per condurre un civile e costruttivo confronto con l’ambiente politico e parlamentare.

Cercherò di sottoporre alla vostra attenzione, tra i tanti problemi che sono la croce e la delizia della Scuola Privata in Italia, soltanto quelli che in questa fase preparatoria del lavoro parlamentare, costituiranno gli snodi essenziali attraverso i quali dovrà passare la normativa sulla Parità scolastica e sul riordino dei Cicli Scolastici. Considerato che la normativa sugli Esami di maturità e quella sull’Autonomia sono già compiute.

Sono portatrice di esperienze concrete come operatore di Scuola non Statale al fine di stimolare riflessioni altrettanto concrete nello scenario della Scuola in generale.

E’ più che nota la situazione di difficoltà e di limitazioni in cui si è da sempre trovata la Scuola non Statale per effetto di una sostanziale discriminazione e suo danno da parte dello Stato per una ormai più che superata cultura del monopolio della Istruzione Pubblica e del relativo centralismo burocratico della medesima.

La fragile area di azione concessa alla Scuola non Statale mediante l’Istituto del legalmente riconosciuto si è rivelata sempre irta di difficoltà, di controlli indiscriminati, lesivi della propria dignità, di divieti e di limitazioni a danno sia degli alunni come dei gestori e del personale docente.

Non vi è dubbio che nella concezione corrente istituzionalizzata via via della Normativa, il diritto della parità sia giuridica che morale e culturale è stata sistematicamente negata alla Scuola non Statale.

Le esemplificazioni più recenti sono rappresentate dai seguenti punti:

  1. Negare ai docenti della Scuola non Statale la possibilità di partecipare ai corsi abilitativi, in quanto il servizio prestato nelle predette scuole non viene riconosciuto titolo valido a tal fine. E’ da considerare che nella prima stesura della Legge Finanziaria del ’96 (Art. 1), legge n. 549 del 28/12/95, si faceva riferimento soltanto ai Supplenti Statali per la frequenza dei Corsi Abilitativi, in seguito ad Istanza, il Ministro Lombardi rispondeva con un aggiustamento dell’art. 28 della detta Legge Finanziaria, attraverso il Decreto Legge n. 118 del 12/03/96 che modificando parlava di ammissione dei docenti con contratto a tempo determinato, allargando anche alla Scuola non Statale.
  2. Altra discriminazione è stata fatta nell’ultima circolare per incarichi e supplenze, poi per certo tempo rientrata, dove tassativamente si considerava il punteggio per le graduatorie soltanto agli insegnanti con contratto a tempo indeterminato. Per la prima volta si faceva questa precisazione, sicuramente consapevoli che molte Scuole Non Statali adottavano, per scelta, un contratto di lavoro autonomo a tempo determinato, definito legale a tutti gli effetti dell’art. 2222 del C.C.. I motivi di tutto ciò sono facilmente immaginabili, quello che sicuramente risulta ingiusto è privare il gestore di una Scola Non Statale della libertà di instaurare qualsiasi contratto di lavoro con i propri insegnanti, inoltre non si potrebbe giustificare che il punteggio che deve derivare dal servizio pertanto, nello specifico professionale, possa dipendere esclusivamente dal tipo di contratto che il docente instaura con il proprio gestore. Del tutto discutibile anche perché la C. M. n. 377 di riconoscimento legale per le Scuole Non Statali, al punto recita: "Il rapporto instaurato dal gestore con il Preside ed i Docenti qualunque ne sia la natura contrattuale....".
  3. Un altro paradossale divieto è costituito dalla negazione cocciutamente ribadita in questi anni, di non fare partecipare la Scuola non Statale alle attività di orientamento scolastico, quando da tutte le parti si ritiene che l’orientamento debba diventare una dimensione strutturale di tutto il Sistema Formativo proprio al fine di assicurare al Sistema la necessaria valenza orientativa in funzione delle dinamiche socio-economiche in continua evoluzione. E qui si vuole parlare soprattutto di orientamento agli allievi delle Scuole Medie Inferiori in prossimità delle iscrizioni alle Scuole Medie Superiori. A molte Scuole Non Statali viene negata da parte degli Organi periferici della Istruzione Scolastica, la possibilità di partecipare a pieno diritto a questa fase molto importante per l’impostazione formativa ed educativa degli studenti, quindi di presentare il proprio P.E.I. al pari delle Scuole Statali. Una situazione tanto critica quanto inaccettabile questa che è stata per il LICEO LINGUISTICO EUROPEO, se vogliamo far un esempio concreto, in questi ultimi anni, molto sofferta. Si pensi che questa sperimentazione, assistita dalla nostra Direzione Generale nel suo Progetto, della filosofia che la anima, nella sua impostazione metodologica e dei motivi contenuti, dopo ormai sei anni di iter e dopo la prima maturità (l’anno scorso) ancora non è conosciuta sufficientemente né dagli allievi, né dai docenti della Scuola Media Inferiore. La ragione della discriminazione risiede nel consolidato preconcetto verso le istituzioni Scolastiche Non Statali, si rifiuta, infatti, l’intervento di un Esperto Rappresentante nelle attività di orientamento scolastico, adducendo che trattasi di pubblicità privata. Per tale considerazione ritengo utile richiamare il 4° capoverso della Circolare Ministeriale n. 377 del 09/12/1987, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 279 del 21/12/1987 il quale recita " Si evidenzia ad ogni buon fine al riguardo che le Scuole L.R. esplicano un servizio di pubblico interesse, rilasciando titoli legali e debbono conformarsi all’ordinamento scolastico nazionale ai sensi e nei limiti delle leggi vigenti". Appare evidente, ma non sicuramente altrettanto chiaro per gli Organi preposti all’acquisizione di questi dettati, che le nostre Scuole, rilasciando titoli legali di studio, sono equiparate per doveri e quindi per diritti, alle Scuole Statali ed acquisiscono pertanto lo stesso diritto delle Scuole Statali a partecipare allo Orientamento Scolastico.
  4. Parlando poi dei corsi di formazione professionale, è già da anni che l’Istruzione Tecnica, Professionale ed anche Classica, viaggiano con il supporto economico della Comunità Europea per mezzo di una convenzione regionale che privilegia direttamente i fondi strutturali europei di finanziamento a favore delle Scuole Statali. Ancora una volta gli allievi delle Scuole Non Statali sono risultati di serie B, anche per la Comunità Europea. Il Ministero ha voluto tenere ben lontana la Direzione Generale da questi interventi diretti. Solo di recente si sta cercando di sensibilizzare il M.P.I. affinché attraverso la Direzione Generale della Scuola Secondaria Non Statale si possono ricevere interventi comunitari per Costi post-diploma della Scuola non Statale. Tutto ciò anche perché va considerata nel Progetto del Governo per il ritorno dei Cicli Scolastici risulta positiva la proposta di Corsi post-secondari per accorciare il cammino verso una professione e rendere più agile l’interessamento delle Università che risultano in crisi e nelle quali "l’elevato tasso di insuccesso, può essere facilmente spiegata dall’essenza di altri canali formativi" così come viene detto nel Documento (pag. 14).
  5. Le discriminazioni più recenti sono date dal provvedimento legislativo sugli Esami di maturità: l’aver tassativamente negato agli alunni delle classi terminali delle Scuole legalmente riconosciute di poter essere considerati candidati interni, ove le predette classi terminali non avessero avuto alle spalle tutte le classi di un corso completo, cosa del tutto normale, invece, per gli alunni delle Scuole Statali.

Altra macroscopica discriminazione a danno dei candidati agli esami di maturità delle Scuole Non Statali legalmente riconosciuti è costituita dalle nuova norme che prescrive che quand’anche una Scuola L.R. ha il numero di candidati per costituire una connessione di maturità organica, operante presso l’Istituto, tali candidati debbono essere smembrati ed assegnati classe per classe ad altrettante classi della Scuola Statale con una visione di controllo quasi poliziesco che non ha senso e validità né sotto il profilo morale né sotto il profilo giuridico, né tantopiù sotto il profilo didattico i una società che si autodefinisce società democratica.

A fronte di queste considerazioni sulle attuali contraddizioni che caratterizzano la Scuola non Statale non è superfluo sottolineare che il problema della PARITA’ SCOLASTICA in Italia è ormai totalmente indifferente e vada quindi rapidamente risolto.

Oltre al più che scrutato quadro di motivi ideologici: in una società veramente democratica il pluralismo scolastico non può essere assolutamente negato, come alterazione di un radicale diritto da parte delle famiglie e dei gruppi sociali di scegliere il tipo di scuola e di formazione desiderato, vi sono altri fattori di ordine socio-economico che impongono che orma il problema della parità scolastica si risolva nei tempi brevissimi e nei modo legislativi più pertinenti.

Non è superfluo, infatti, ricordare che l’ingresso dell’Italia in Europa, sancito qualche giorno fa in maniera inequivocabile dalla nascita dell’Euro, possa fermarsi nell’ambito scolastico formativo e presentarsi quindi in Europa con un sistema squilibrato rispetto agli altri paesi membri. Infatti, la comunità con tutti i suoi atti formali e con vari documenti, ultimo tra i quali il Libro Bianco "Insegnare ed apprendere verso la società conoscitiva" sollecita tutti i paesi membri a puntare sul miglioramento della qualità della Finanziaria mediante il coinvolgimento di tutte le risorse formative pubbliche e private poste su un autentico piano di parità.

La cultura della parità che è ormai un aspetto qualificante e costitutivo della dimensione europea della scuola, esige che anche in Italia si giunga la più presto alla definizione della PARITA’ SCOLASTICA senza preconcetti e senza discriminazioni che avrebbero una ricaduta negativa non solo sul sistema scolastico formativo, ma sull’intero processo di sviluppo della Società Italiana.

E’ auspicabile quindi che il legislatore nella sua formulazione si ispiri ad una concezione equa ed equilibrata e riconosca il primario diritto di un sostanziale pluralismo scolastico che costituisca un bene ed un valore in ogni Società autenticamente democratica. A tale riguardo ritengo di poter dichiarare a nome di tutti che siamo d’accordo sul fatto che la Parità non deve andare a scapito della qualità.

Diffidiamo, tuttavia di una qualità finché fine a se stessa, affidata univocamente al formalismo giuridico ed al meccanismo procedurale, che andrebbero a scapito comunque della libertà sostanziale della Scuola.

Farebbe bene quindi il legislatore a sostanziare la Parità con strumenti giuridici realistici, pensati e costruiti in base all’esperienza concreta degli operatori scolastici e non disegnati a tavolino con la riserva mentale che essere finalizzati ad esercitare in via preventiva una paralizzante sequela di controllo, nella presunzione che soltanto in base al sistema dei controlli si ottenga la trasparenza e la qualità.

Punti basilari di riferimento, quindi devono considerarsi:

  1. L’art. 33 della Costituzione della Repubblica Italiana come specifica il comma, che prevede esplicitamente la legge per la Parità scolastica e verso il quale lo Stato per quasi cinquant’anni è rimasto del tutto inadempiente, mentre ha sempre considerato la clausola del III comma "senza ormai per lo Stato". La clausola "senza oneri per lo Stato" è risultata un determinante significativo nella sua interpretazione rigorosa, ne consegue quindi che la Scuola non Statale Italiana si è regolata sul modello di quella Statale della legge fascista n. 86 dal 19/01/42, dichiarata anticostituzionale dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 30 del 04/06/58.
  2. La Risoluzione del Parlamento Europeo sulla libertà di Insegnamento del 14/03/84 che difende la libertà di insegnamento e di scelta della Scuola da parte dei genitori e dell’art. 9, afferma, quanto al finanziamento "Il diritto alla libertà di insegnamento implica per sua natura l’obbligo per gli Stati Membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e di accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento dei loro compiti e all’adempimento dei loro obblighi in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli Istituti Pubblici corrispondenti, senza discriminazioni nei confronti degli organizzatori, dei genitori, degli alunni e del personale". Oggi, che tanto ci preoccupiamo di entrare in Europa con precisi parametri economici, sicuramente non siamo sufficientemente consapevoli che l’Istruzione e le sue modalità costituiscono il primo fondamento della libertà di un popolo.
  3. Il principio della sussidiarietà, che meriterebbe un capitolo esplicativo di buona consistenza e che possiamo qui sintetizzare nella volontà, da parte dello Stato di sostenere coloro che al posto dello Stato stesso lavorano a comune beneficio della Società e non, come è finora accaduto che lo Stato intervenga per impedire e soffocare le loro attività e libertà.

In un contesto, quindi, di così pesante esigenza quale la Parità, la gestione della Scuole integrate o paritarie, diventa un argomento tanto importante, quanto delicato, per questo occorrerà dettare dei principi cui la Scuola integrata o paritaria deva fare riferimento. E’ qui che potranno nascere dei problemi fra cui mi permetto di citare la PUBBLICITA’ DEL BILANCIO E L’ESCLUSIONE DEL FINE DI LUCRO.

Si tratta di due problemi delicati, complessi ma intrinsecamente interconnessi, sui quali si potrà essere d’accordo in via di principio, di difficile applicazione, ove non si riesca a trovare un sostanziale punto di equilibrio tra le intrinseche contraddizioni dell’aspetto etico e dell’aspetto finanziario e gestionale della funzione di gestore di Scuola Privata.

La pubblicità del bilancio per il gestore onesto, e la maggior parte di essi lo sono, non sarebbe certamente un trauma, ma anche per lui diventerebbe tale, ove non fosse preliminarmente definita la materia relativa al "Non Profit".

Attualmente, infatti, intorno a tale area di attività regna una grande confusione, sia per quanto attiene l’incertezza nella classificazione dei vari soggetti "Non Profit", sia sotto il profilo civilistico e fiscale.

La normativa vigente in materia, infatti, scaturita in modo spesso casuale in conseguenza del rapido e disordinato espandersi dei settori pubblici e privati riconducibili appunto all’area del "Senza fine di lucro", è lacunosa e contraddittoria.

Una conferma di tale situazione e della esigenza di fare chiarezza e di fornire maggiori e più certi principi normativi, è il fatto che si è già sentito il bisogno di riordinare la suddetta normativa con un ampio disegno di legge sul "Non profit".

In una tale situazione "De iure condendo" non si può, a mio avviso, ispirandosi ad una visione genericamente ed intenzionalmente materialistica, affermare a priori che il gestore che chiede di entrare nel servizio Pubblico Integrato, deve essere "Soggetto senza fine di lucro". A me sembra che tale riguardo il ruolo più saggio di operare sia definire, prima la materia del "Non Profit", e poi di accertare se ed in che termini il gestore di Scuola Privata, debba essere classificato come soggetto "Senza fine di lucro".

Tanto più che, a parte tutti gli altri aspetti certo importanti, il vero snodo cruciale di tutta la legge sulla Parità, sta proprio in questa definizione giuridica del "Senza fine di lucro". Se si definirà in modo ottimale tale problema, si avrà una buona legge sulla Parità, altrimenti si avrà una cattiva legge.

In base a tale convinzione, mi permetto quindi di raccomandare al legislatore che, prima di legiferare sulla Parità scolastica, faccia una accurata ricognizione normativa sul "Non Profit" ed attiri un dialogo diretto con l’intera categoria dei gestori di Scuola Privata, sia religiosi che laici.

In sostanza, semplificando il problema per renderlo più esplicito, al di là delle ipocrisie tattiche che spesso non pagano, se è del tutto accettabile impedire, in modo vigoroso, che un gestore di Scuola Privata si trasformi in uno speculatore, tuttavia non credo che si debba ritenere illecito consentire al gestore di Scuola Privata di ricavare dall’investimento del suo capitale e dal suo lavoro, una giusta remunerazione per la sua attività.

Né mi sembra illecito consentirgli di ricavare un’aliquota di utile, a fronte del rischio per l’investimento di capitale corrispondente almeno al tasso medio di interesse bancario che egli ne avrebbe ricavato, ove avesse depositato il suo capitale in banca o lo avesse commerciato investendolo nei vari Fondi Obbligazionari, mentre non avendolo fatto ha reso possibile allo Stato di ricavarne un doppio vantaggio: risparmiare soldi ed attuare una imposizione fiscale sul capitale del gestore investito nella Istituzione di una Scuola.

Come si vede è una materia molto complessa che va valutata con molta serenità e senza pregiudizi. Ciò che è certo comunque è che non si può chiedere al gestore di fare il benefattore, allorché gli si chieda correttamente di finalizzare tutta la sua attività ad una finalità educativa.

E per ultimo la considerazione sulla PROGRAMMAZIONE SCOLASTICA TERRITORIALE.

Altro problema difficile, nell’ambito di una equilibrata attuazione di un Sistema Pubblico Integrato, è quello della programmazione delle Istituzioni scolastiche sul territorio.

Voglio dichiarare subito che il principio di una razionale distribuzione dei vari tipi di Scuola sul Territorio mi trovo del tutto d’accordo. Sono ampiamente d’accordo anche sul principio che ogni Scuola debba aver una certa dimensione quantitativa ottimale, al fine di evitare una dissipazione di risorse finanziarie ed anche al fine di evitare un profilo qualitativo scadente, tuttavia se è in certo qual modo facile per la Scuola Statale attuare quanti principi, ed è auspicabile che ciò venga fatto, tuttavia devo segnalare la reale difficoltà che l’attuazione di tali principi creerebbe alla Scuola non Statale. Se per lo Stato è più facile sopprimere, recuperare e fondere Istituzioni Scolastiche di maggiori dimensioni, ciò diventa quasi impossibile per la Scuola non Statale. Non è facile mettere d’accordo gestori diversi, con situazioni patrimoniali particolari che coincidono quasi sempre con situazioni individuali e familiari, per fondere le Scuole a loro fondate, con storie diverse e interessi diversi.

Si dovrà trovare un modo realistico per fare in modo che la Scuola non Statale possa coesistere in una logica di programmazione territoriale, altrimenti è veramente difficile sopravvivere.

Sarà necessario, inoltre, prevedere delle norme di salvaguardia che prevedano il divieto di istituire una Scuola Statale nella zona dove esiste una analoga Scuola non Statale. Non sarebbe corretto, né giuridicamente accettabile che il predetto principio si applicasse soltanto alla Scuola non Statale nei confronti della Scuola Statale.

E’ come dicevo prima, un problema di difficile soluzione che va studiato a fondo e che mi preme sottolinearlo, in termini molto chiari, non dovrà essere risolto a danno della Scuola Privata.

Altre considerazioni ed approfondimenti sono da considerare, ma ritengo che presto si giunga ad una legge buona sulla Parità se vogliamo veramente essere degni di tenere il passo con l’Europa.

 

GIANFRANCO GARANCINI

Vista la complessità e la esaustività degli interventi è’ difficile dire altre cose, anche perché siamo d’accordo su tutto, anche sulla distinzione tra istruzione e educazione. Il fine della scuola come sistema è l’istruzione, il fine di chi è nella scuola è l’educazione.

Personalmente, da un punto di vista professionale, in qualsiasi cosa faccia, ho un ruolo educativo nei confronti del mio prossimo ma la mia professionalità non si gioca su questo, la mia professionalità si gioca su qualsiasi cosa faccia.

Si potrebbe cominciare questa mia chiacchierata così: un fantasma si aggira per l’Italia, il fantasma del valore legale del titolo di studio che è quello che mette in crisi la questione dei controlli, perché hai voglia di fare controlli di qualità sulla base di uno e duemila se poi per andare a fare i concorsi pubblici devi avere lo stesso titolo di studio che ha lo stesso valore legale.

Ma questo fantasma non è affatto un fantasma: è concretissimo. Ha una serie di funzioni politiche che sono le funzioni di controllo sul sistema dell’istruzione perché chi da i certificati è quello che controlla il certificato. Crea una serie di problemi politici e credo, lo sappiamo benissimo tutti, anche al sistema della Scuola non Statale. Crea una serie di problemi politici operativi, concreti, pratici, di pelle, di simpatia, di antipatia, di con chi stai o con chi sto ecc. Crea nella legislazione (come nell’autostrada Firenze-mare) una serie di caselli intermedi di controllo legislativo sul funzionamento della scuola e crea nella nostra legislazione fondamentalmente la negazione dei diritti costituzionali fondamentali in ordine al sistema insegnamento-istruzione-scuola. Perché Franco Bassanini, che è uno che di queste cose s’intende, nell’art. 21 della legge 59 ha detto quali sono i tre diritti fondamentali: il diritto all’insegnamento, all’apprendimento e la libertà di scelta delle famiglie?

Non ha detto assolutamente - ci ha pensato il Ministero della Pubblica Istruzione - che c’è anche il diritto dell’apparato, che c’è anche un diritto di intervento da parte dello Stato-persona nei confronti del sistema scolastico perché sa benissimo che il sistema costituzionale relativo alla istruzione non parla assolutamente di questo. Il sistema costituzionale relativo all’istruzione indica tre precise titolarità di diritti in ordine a questo comparto e indica alcune funzioni.

Lo Stato apparato, quello che per ragioni di estetica del testo infelicemente nell’art. 33 della Costituzione è chiamato la Repubblica ma non è così, (bisognava scrivere lo Stato istituisce scuole statali, ma non piaceva e il Comitato di coordinamento ha messo "la Repubblica" - si vede che i giuristi quel giorno o sonnecchiavano o erano andati a cena o non c’erano oppure avevano delle buone ragioni per lasciar passare questo), ha sue funzioni. La funzione dello Stato apparato è una funzione di carattere strumentale cioè di rendere effettivo l’esercizio di diritti e, prima di tutto, di stabilire le condizioni giuridiche.

Perché i diritti siano effettivamente esercitati occorre creare valide condizioni sociali ed economiche e pertanto il compito della legislazione sul sistema scolastico, che è tipicamente una legislazione amministrativa, è quello di stabilire le regole valide per tutti, è quello di indicare quali sono i soggetti, è quello di indicare quali sono le relazioni tra i soggetti.

Che cosa succede invece nella nostra normazione legislativa e, molto più abbondante, sublegislativa emanata e, molto più abbondante, annunciata.

Secondo un atteggiamento che è di provincialismo sul piano della cultura giuridica che è spaventoso in questo simpatico paese, si governa con le bozze, ma la cosa più divertente o più pratica è che ci spaventiamo delle bozze.

Allora che cosa dice questa normazione emanata ed emananda legislativa e sublegislativa. Dice tutto il contrario di quello che ha detto il prof. Aldisio prima di me. Dice: "attenzione non esistono diritti ma esistono facoltà che hanno cittadinanza a patto che l’amministrazione le prenda in considerazione in un suo provvedimento". D’altro canto la legislazione sulla Scuola non Statale è esattamente questo.

Avrei qualche difficoltà a parlare di legislazione sulla Scuola non Statale perché la legge del 1942 è stata sbrindellata dalla Corte Costituzionale, da interventi del Consiglio di Stato e da tante altre cose che è un po' come la camicia dell’amico del Principe Felice: non esiste! Eppure le scuole non statali sono caricate di una serie di osservanze, non sono obblighi, di una serie di obbligazioni infinitamente maggiori di quelle che, se ci fosse una legge, potrebbero esservi legittimamente poste.

Perché la regola non è legittimità ma è la discrezionalità amministrativa.

Il problema della normazione sulla Scuola non Statale è un problema tecnico e dopo avete anche il vantaggio di avere una circolare e mezza al giorno dopo che il Ministro Berlinguer aveva detto che "gli altri governavano per circolari" voi ne ricevete una e mezza, due al giorno.

Ma a parte questo, c’è un altro problema che, secondo me, è fondamentale, quello che non fa andare avanti da 50 anni a questa parte il meccanismo della parità di cui parlava prima Vittoria Gaeta. Esiste una mancanza di cultura giuridica sul tema della scuola. La legislazione dimostra che non c’è un clima, una cultura., politico-costituzionale su questa materia. Fintanto che non superiamo queste cose non ne usciamo più.

Riprendo l’esempio di prima. Prima ho citato in termini favorevoli l’art. 21 della legge 59/97, adesso lo cito in termini sfavorevoli. Non ha senso che un articolo di legge di delega che dice che bisogna riconoscere finalmente l’autonomia alle scuole cominci affermando che alle scuole l’autonomia è "attribuita" sarebbe come se a una persona che ha 17 anni 364 giorni 23 ore 59 minuti arrivasse il Ministro e le dicesse: ti attribuisco la maggiore età. Una accidente!. Un minuto dopo diventa maggiorenne.

L’autonomia è uno status, non è un modus, è un modo di essere non è un modo di funzionare. Se è così, l’autonomia non si attribuisce, non si concede. L’autonomia o c’è o non c’è, cioè legislativamente si riconosce. E se si riconosce, si riconosce tutta. Altrimenti che stiamo qui tanto a parlare di autonomia?. Parlo del sistema scolastico statale: finche non risolvete il problema del reclutamento del personale, il problema banale del fare le squadre, è inutile parlare di autonomia.

Fintanto che non posso fare la squadra coerente con gli obiettivi che mi sono proposti, il rischio che corro è quello che mi capiti una squadra di 11 portieri, una squadra di 11 terzini, una squadra di 11 centravanti, una squadra di 11 brocchi. Quello che , secondo me, la legge 59 fa molto bene è invece iniziare un cammino di decentramento, un cammino di decentramento amministrativo, ma attenzione che è radicalmente diverso dal cammino dell’autonomia.

Ma se inserisco questo argomento nel contesto del discorso di oggi, mi inquieto, come da sempre quando facciamo convegni di questo tipo, Roberto Pasolini lo sa, perché anche noi denotiamo un gap culturale nei confronti della scuola statale mentre se c’è una cosa che la scuola non statele può vantare, nel bene e nel male strutturalmente, è di essere autonoma, se c’è una cosa che la Scuola non Statale può opporre alla discrezionalità amministrativa è esattamente la sua autonomia. Non mi preoccuperei più di quel tanto nel momento in cui mi si dice: "ma allora vuoi la protezione dell’art. 41 della Costituzione e non quello dell’art. 33!". (l’art. 41 è quello che parla dell’intrapresa economica). Comunque, nessuna Scuola non Statale potrà essere chiusa, non in forza dell’art. 33, ma in forza dell’art. 41, in forza della libera iniziativa dei cittadini.

Allora se è libera iniziativa dei cittadini, tale deve essere e su questo credo che ci si debba muovere: non chiedendo una legislazione ma sfrondando la legislazione esistente dalle cose eccessive e dalle cose negative, da tutti quegli aspetti negativi di cui parlava Vittoria Gaeta. A me è capitato di dover andare in giudizio in Consiglio di Stato, a vincere in Consiglio di Stato, sul fatto che per l’ammissione ai corsi abilitanti agli insegnanti di Scuola non Statale si d’esse metà punti degli insegnanti delle scuole statali. La sentenza 424 del Consiglio di Stato dava ragione e diceva che non è possibile e annullava l’ordinanza relativa. Il giorno dopo Rosa Russo Jervolino, Ministro della PI. Ha fatto un’ordinanza nuova in cui si diceva la stessa cosa. Io insegno agli studenti che questa è elusione del giudicato.

Occorre, quindi iniziare da qui, sfrondando quindi non solo il troppo e il vano ma anche ciò che si oppone alla libera iniziativa e ad un trattamento reale di parità.

Recentemente in Commissione VII al Senato vi è stato un intervento del sen. Biscardi sulla legge di parità. Ha fatto un’affermazione che ha lasciato francamente perplessi sul piano della legislazione generale: ha detto non è possibile mettere scuole statali e non statali sullo stesso piano e criticava lo strumento del buono scuola perché questo minerebbe l’"unità del sapere". Ho vaghe idee di che cos’è l’unità del sapere, ma ho una sensazione molto netta e molto precisa, che abbia confuso unità del sapere con uniformità dell’insegnamento.

Capite che, allora, è inutile che stiamo a discutere di leggi di parità fintanto che non c’è il riconoscimento che la differenza è una risorsa, che la differenza è qualche cosa che consente non solo ai clienti di scegliere sul mercato, ma che consente anche a chi è portatore di una qualità differente da quella di un altro, di essere operatore del servizio più genuino, più concreto, più legittimo, più professionale, a differenza di chi invece pensa d’essere operatore del servizio semplicemente attraverso l’adeguarsi di a una serie di osservanze.

E’ la vecchia questione che la sociologia della scuola ha sempre discusso e che circa 80 anni fa ha dibattuto aspramente se gli insegnati debbano essere funzionari o se debbano essere professionisti.

Credo che non ci sia nessuna possibilità di equivoco sul fatto che le scuole non stateli, confessionali o non, laiche o non, non possono non essere professionali cioè non possono non qualificare la loro ragion d’essere sul fatto di esercitare una funzione professionale nei confronti dei fruitori. D’altro canto, leggevo, nelle pagine introduttive di Roberto Pasolini, "una buona scuola non statele" e nel 1977, credo il Vaticano, non la CEI, diceva la scuola cattolica per esser cattolica, deve essere soprattutto scuola, cioè professionalmente preparata.

Cosa vuol dire che la Scuola non Statale oggi si deve muovere nella linea dell’applicazione finalmente dell’art. 33, 4° comma della Costituzione per una legge sulla parità?

Intanto, a mio avviso, vuol dire che non si deve fare una legge sulla parità, ma una legge sull’uguaglianza, che è un’altra cosa. Devo dire che è molto più semplice perché si fa una legge la quale dice che si riconoscono determinati diritti e che si pongono, sempre sul, piano tecnico, le condizioni giuridiche perché questi diritti siano effettivamente esercitati.

La parità implica ancora che la scuola statale sia un modello e se nel contesto dell’autonomia c’è un’idea di differenziazione di modelli di scuole statali, allora è chiaro che non c’è più un modello. E’ chiaro allora che la parità non può essere di carattere amministrativo, quindi seppelliamo definitivamente la legge del 42.

La parità non può che essere di carattere strettamente giuridico nel senso di porre le condizioni perché si possa esercitare un diritto.

Qui sorge un equivoco in cui cadono molti politici che si rifanno all’ispirazione cattolica (e in cui sono caduti tutti i democristiani): la distinzione fra condizioni giuridiche e condizioni economiche. Se otteniamo la parità giuridica è una grande vittoria! Ai vari convegni Presidenti di Associazioni intervengono soddisfatti che per comunicare che "ci hanno dato la parità giuridica nella bozza di legge, naturalmente siamo sistemati, siamo tranquilli per il resto dei nostri giorni, la parità economica verrà".

Mi permetto, umilmente, di dissentire. Secondo il nostro sistema costituzionale, le condizioni economiche di uguaglianza sono condizioni altrettanto giuridiche che le condizioni formali di uguaglianza, anzi starei per dire che le condizioni formali di uguaglianza sono l’intendenza che segue nel momento in cui si è detto stabiliamo delle parità di condizioni economiche. Per avere una conferma di quanto dico è sufficiente vedere tutta la legislazione sul lavoro, tutta la legislazione sull’assistenza, non sull’assistenzialismo ecc. La questione economica ruota intorno a una cocciutissima difesa del "senza oneri per lo Stato", una difesa assolutamente cocciuta!

Non è che i fautori di questa posizione non siano andati a leggere gli atti, sono andati a leggerli eccome! Credo anche che siano andati a leggersi i libri di quelli che hanno scritto di queste cose. Mastropasqua ogni tanto fa una nuova edizione del suo "Sistema Costituzionale della Scuola", aggiungendo un’altra versione interpretativa del senza oneri per lo Stato. Io boccerei gli studenti che mi traducessero il termine oneri in obbligazioni. Uno studente del primo anno di giurisprudenza deve dirmi che onere non vuol dire obbligo, vuol dire assunzione eventuale di responsabilità di fronte a una decisione, di fronte a un’espressione di volontà. Se decido di mettermi la giacca ho l’onere di controllare che i bottoni ci siano tutti, ma se decido di non mettermi la giacca non ho nessun onere di controllare che i bottoni ci siano tutti. Credo che la prospettiva sia quella di riprendere davvero seriamente i temi disboscando il più possibile l’aspettativa di normazione.

Vorrei che ci fosse una norma di poche e precise indicazioni di principio, la quale poi davvero all’interno di questo lasciasse l’autonomia ai soggetti. Vorrei che questo fosse per il sistema della Scuola non Statale. Vorrei che questo fosse per il sistema della scuola statele. Vorrei che quello che è per il sistema della Scuola non Statale fosse messo per iscritto.

Chiudo recitando ancora una volta che fosse messo per iscritto che condizioni uguali vuole dire condizioni uguali: dal punto di vista giuridico, sociale, normativo.

Abbiamo sempre detto:- al di là del fatto che ci voglia comunque un pezzo di carta in mano anche per la Scuola non Statale, che rispetto alle esigenze normative circa il carattere dei requisiti oggettivi nessuno ha niente da dire, che se per fare scuola ci vuole questo è quest’altro tanto poi credo che nei confronti delle scuole non statali ci pensino le aziende sanitarie locali, ci pensano i vigili del fuoco ecc., ciò non toglie che in una città della mia provincia, un edificio in cui da 20/25 anni c’era stata una scuola media statale improvvisamente, quando è diventata una scuola media non statale, è diventata inagibile.

Credo di non dire cose molto strane e credo di non dire cose che siano al di fuori dell’esperienza vostra, ma che sono dentro all’esperienza quotidiana di tutti. Allora se condizioni di uguaglianza devono esserci devono essere condizioni di uguaglianza su tutto il fronte.

Ultimissima cosa: il buono scuola: (mi dispiace di non aver potuto sentire l’on. Martino e di non averlo potuto salutare), attenzione che buono scuola è un nome, non è un fatto.

Nel momento in cui metto in una normazione sulla scuola che il contributo di funzionamento e il contributo perequativo è dato a tutti gli istituti statali e non statali in ragione del numero degli allievi, ho tradotto in termini normativi il buono scuola. Non si tratta di andare a commerciare mazzette di soldi più o meno nuovi e di euro più o meno nuovi. Il problema non è quello del buono scuola, il problema è di assicurare a tutti l’accesso al sistema scolastico (non è diritto allo studio perché quello è l’accesso alla scuola come organizzazione di risorse umane e materiale), di assicurare a tutti l’accesso al sistema scolastico in condizioni di uguaglianza.

Non riguarda assolutamente il rapporto tra il singolo genitore o il singolo cittadino che abbia superato i 18 anni e lo Stato persona o lo Stato apparato, concerne un problema organizzativo dello Stato apparato il quale ha semplicemente il compito di erogare determinati fondi, che per altro sono una partita di giro, di erogare o di rigirare determinati fondi a coloro che hanno il diritto di utilizzare questi fondi per esercitare i propri diritti.

Devo dire con tutte franchezza che una discussione come questa, oggi, in termini legislativi e normativi a livello di centro di amministrazione non è stata fatta.

É stata fatta in Consiglio Nazionale ma è stata accuratamente tenuta nascosta, ho fatto fatica a farmi dare i verbali di quelle riunioni, a livello di Ministero una discussione così non è stata fatta.

Non perché non sono capaci di farla, ma perché una discussione così sposta i termini del problema.

Il controllo non sarebbe più un controllo dall’alto nei confronti delle osservanze procedimentali, ma non potrebbe che essere un controllo finale del rapporto costi-benefici. Cosa oggi che si fa su tutto nella pubblica amministrazione, su tutto tranne che sulla scuola.

 

ROBERTO PASOLINI

Conclusioni

La ricchezza degli interventi e gli approfondimenti storici, culturali e normativi che possiamo trarre da molti passaggi, hanno dato un contributo significativo all’obiettivo che ci eravamo posti nel momento in cui abbiamo deciso di realizzare questo seminario. Obiettivo che rimane ora ancor più evidente al punto che questo seminario si è ben definito quale il primo passo verso una serie d’iniziative che tenderà a ridisegnare la nuova fisionomia che la scuola laica non statale dovrà assumere, per garantirsi un ruolo di protagonista nella complessa operazione di riforma del sistema scolastico italiano. Vorremmo che l’impegno della stesura degli atti fosse seguito dall’elaborazione di un documento-manifesto riportante i principi fondanti e su questo indire un congresso per l’avvio di una nuova stagione della scuola non statale laica cui, ci auguriamo collaboreranno le varie Associazioni.

Non mi dilungherò pertanto in analisi e disquisizioni che rischierebbero di essere limitative rispetto al giusto ed ampio approfondimento che il materiale raccolto merita.

È giusto sottolineare che l’intervento di molti relatori ha inevitabilmente debordato verso il tema della parità, tema la cui risoluzione non può che essere propedeutica a qualsiasi altro discorso sulla presenza della scuola laica non statale. È giusto sottolineare anche che esiste il rischio, indicato anche in premessa e nella presentazione del seminario, che è indispensabile un’azione culturale immediata verso il mondo politico e ministeriale al fine di evitare il nascere della convinzione che la scuola non statale laica è solo una minima componente, che si identifica con i diplomifici, che è meglio non considerarla, che la sua sparizione sarebbe un bene per l’intero sistema.

So che sono affermazioni forti, ma chi opera nel nostro settore sa quanto siano piene di fondamento e nutrano la preoccupazione che "in attesa della parità", la legislazione operi nel senso di creare la possibilità che il nuovo sistema veda la presenza solo della scuola confessionale e della scuola "laica" statale al fine di riconoscere solo a loro la possibilità di entrare nel cosiddetto "sistema integrato paritario".

Questo sarebbe una grave danno per l’evoluzione culturale del nostro Paese, per l’evoluzione e l’efficienza del nostro sistema scolastico, per l’effettiva libertà di scelta delle famiglie.

La battaglia di libertà che ha echeggiato più volte in questa sala, deve orientarci all’ottimismo, alla consapevolezza che occorrerà essere attivi e vigili e che non bisognerà lasciare nulla di intentato affinché il nostro Paese si doti di una legge che porterà a tutti i cittadini un migliorato senso di democrazia e libertà.


Quadro storico

La Legge Casati emanata nel 1859 dal Ministro dell'Istruzione del Regno di Sardegna, Conte Gabrio Casati, senza discussione parlamentare, durante la II Guerra di Indipendenza, la legge fu progressivamente estesa a tutte le provincie d'Italia man mano che venivano annesse al costituendo Regno d'Italia.
Con tale legge si provvedeva al riordinamento di tutti gli ordini di istruzione e si istituiva un corso superiore di studi tecnici, di durata triennale (Istituto Tecnico).
Pur peccando di autoritarismo e con diversi limiti legislativi, fra cui l'istruzione obbligatoria solo per i primi due anni delle elementari e una gratuità di fatto mai realizzata, la Casati fu la legge fondamentale dell'ordinamento scolastico italiano e, con qualche modifica, fu operante fino alla riforma Gentile del 1923.
La Legge Casati aveva stabilito l'istituzione della scuola elementare "inferiore" obbligatoria, costituita da una prima e da una seconda classe, e della scuola elementare "superiore", costituita dalle classi terza e quarta. Erano i Comuni che dovevano gestire l'istruzione elementare. Con la formazione dello Stato unitario nel 1861, tali disposizioni si estendono a tutto il territorio nazionale, ma con esiti vari a seconda delle zone.
Questa legge, sebbene non estesa egualmente nelle sue singole parti alla varie regioni d’Italia, vale come la prima e fondamentale fonte del nostro diritto scolastico, sebbene dai successivi regolamenti sia stata modificata, ampliata e perfino violata.

Con la riforma Gentile del 1923 si portano a cinque le classi della scuola elementare, con l'aggiunta di un "corso triennale di integramento" con le classi sesta, settima ed ottava.

Il Testo Unico del 1928 riordina l'istruzione elementare suddividendola in grado inferiore di 3 anni ed in grado superiore di 2 anni, con un esame di passaggio fra i due gradi.

Nel 1933 tutta la scuola primaria pubblica viene "avocata" allo Stato, completando un processo iniziato nel 1911.

La Legge n. 1254 del 1957 sostituisce l'articolazione in gradi con la suddivisione in cicli didattici; la prima e la seconda classe costituiscono il primo ciclo, la terza, la quarta e la quinta il secondo ciclo. Viene abolito l'esame di passaggio fra i due cicli.

Con Decreto n. 503 del 1955 vengono adottati nuovi programmi che sono rimasti validi fino al 1985.


Legislazione



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