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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Il silenzio assordante
ovvero Dalla Chiesa del silenzio al silenzio della Chiesa

 

Quando si parla di scuola, formazione, educazione, bambini, giovani, famiglie, si parla di futuro e vita allo stesso tempo individuale, personale e sociale, in un oggi che guarda avanti proiettando valori laici della cittadinanza dimensionabili nell’immanenza come conoscenze, capacità, competenze, educazione al vivere civile, sociale e valori  “altri” che vanno “oltre” e investono le più alte espressioni dello spirito come quelle etiche, esistenziali, religiose ecc. In pratica la scuola, voglio usare questa metafora, può essere vista come il più grande “laboratorio sociale” in cui pulsa la vita del Paese del cui presente e passato raccoglie l’eredità, che elabora criticamente, arricchisce e proietta nel futuro, cercando di assicurare un fecondo passaggio di testimone tra le diverse generazioni, in un’equilibrata combinazione di tratti condivisi del patrimonio culturale, frutto dei processi storici, e aperture verso nuove frontiere necessitate dalle sfide che i cambiamenti del mondo richiedono a società e individui.

Mi rendo conto che il dibattito che si svolge nel Paese è quasi esclusivamente centrato sui tagli assolutamente ingiustificabili a Scuola, Ricerca, Università, con tutto ciò che questi si portano appresso in termini di ingiustizia sociale e futuro scippato alle nuove generazioni; ma non posso tacere  sentimenti di pena e tristezza, che sconfinano nella nausea, se penso che al Paese viene offerta una discussione su statistiche, indagini, raffronti con altri paesi europei, mondiali, modelli costruiti dalla nostalgia e da ricordi personali, non sulla base di una doverosa analisi storica, specifiche e delimitate sofferenze del corpo scolastico generalizzate, assolutizzate ed erette a tumore sociale contro il quale l’unica cura imposta per decreto è il distacco della spina che  lo tiene in vita e costituisce la speranza per le future generazioni.

Non è l’unico momento di crisi e non sarà nemmeno il solo per la nostra scuola, come del resto per il Paese. E’ da questo, infatti, che essa mutua difficoltà, sofferenze, ingiustizie, violenze che arrivano tra i banchi attraverso i bambini/ragazzi/adolescenti che recano in sé i segni e le cicatrici, spesso le ferite vive, dei patimenti che ad essi infligge un tessuto di relazioni pesantemente condizionato dalle mine anti-uomo seminate da una cultura dei media che celebra i famosi nelle loro isole, la ricchezza facile ricavata dall’immagine del proprio corpo venduta come velina, l’effimero successo raggiunto anche e solo col raccontare pateticamente le proprie storie private in televisione, per farne oggetto di triste, ancorché pruriginoso, spettacolo per un pubblico attanagliato dalla vuoto e dal non senso della propria vita.

In altri momenti della nostro passato recente o remoto le difficoltà e l’inadeguatezza storica della scuola, il bisogno di una suo profondo cambiamento, sono stati accompagnati da un grande dibattito di alto livello culturale, consapevoli che il Paese, non il suo governo del momento, si giocava il proprio futuro su quel fronte. E nel progetto di scuola futura si specchiava la speranza di una società più colta, più umana, più capace di affrontare le sfide e le insidie di un futuro in cui appare sempre più difficile far trionfare nel mondo globalizzato la forza della ragione, mentre si consolidava piuttosto la ragione della forza, della competizione. E sono proprio queste ragioni della forza, che si sono sostanziate nella teoria della guerra preventiva e in un neoliberismo senza etica pubblica [1], che vediamo entrate in una profonda crisi in questi ultimi tempi, con tutti i rischi che questa crisi comporta, soprattutto per le parti più deboli della società come i giovani, le donne, gli anziani sui quali vengono scaricati i costi maggiori e che, guarda caso, sono i principali abitanti e condomini del pianeta scuola.

Questo dibattito alto non c’è oggi, vuoi per la povertà di questa nuova destra italiana sempre rivolta all’ indietro a raccattare qualche straccio ideologico dal passato, nel quale essa stessa non crede, avendo come solo ed unico punto di riferimento l’ultraliberismo alla Bush o Thatcher entrato, fra l’altro, in coma profondo proprio con la crisi dei mercati finanziari internazionali; vuoi per lo spiazzamento, il ritardo e la debolezza culturale degli “altri” che, anziché guardare avanti e costruire l’alternativa, inseguono la destra su un terreno ad essa congeniale, cercando solo un’illusoria moderazione della portata devastante delle sue politiche sociali.

C’erano lo spazio e l’opportunità che almeno la Chiesa, in tale deserto, facesse sentire alta e forte la sua voce e invece … silenzio. Un silenzio assordante, incomprensibile, appena attenuato dalle voci di Famiglia Cristiana, dell’Azione Cattolica, del Movimento Ecclesiale che, invece, si alzano cercando di far capire la mancanza di Cristianesimo e di socialità nei provvedimenti del governo.  Eppure la Chiesa sa cos’è il silenzio, soprattutto quello imposto da regimi che si fondono su intolleranze autoritarie di ogni tipo, compreso quello religioso. Lo sa perché lo ha sofferto, ma ora il suo silenzio se lo impone da sola per complicità e calcolo tutto politico.

Dai vescovi silenzio, le uniche parole che risuonano sono quelle di Monsignor Diego Coletti, responsabile scuola della conferenza episcopale italiana che ha sentenziato : ”il problema dei risparmi è certamente sul tavolo ed è ineccepibile….è inutile se non addirittura dannoso intervenire agitando le piazze”. Sarebbe un utile servizio alla chiarezza sapere se queste parole rappresentano il pensiero e, soprattutto, i sentimenti di tutti i vescovi italiani.

Se così fosse, dobbiamo dire che forse le più alte gerarchie ecclesiastiche non si accorgono che meno scuola, meno formazione, meno conoscenza diventano meno diritti di cittadinanza, meno uguaglianza civile e sostanziale, meno pari opportunità, meno Costituzione, ma anche meno persona, meno cultura, meno ricchezza interiore, meno speranza, meno possibilità di salvezza. Non si accorgono che questi tagli, indifferenziati, selvaggi, fanno sì che gli ultimi siano sempre di più  e sempre più ultimi. Non si accorgono che tagliando il tempo della scuola sottraggono ai poveri, prima di tutto, la possibilità che venga loro restituita una speranza di ascesa sociale che meccanismi economici disumani tolgono quotidianamente. Non si accorgono che, pur con tutti i suoi problemi, la scuola ha un ruolo virtuoso di supplenza rispetto al vuoto di cultura, valori, etica, un vuoto favorito dalle peggiorate condizioni delle famiglie e da una comunicazione sociale che spesso si connota per non senso, mancanza di valori, cultura della violenza, della sopraffazione e per l’adorazione di nuovi idoli, quali il denaro, il successo, la competizione, il culto del corpo trasformato in immagine mercificata e vendibile a scopo di profitto. Il meno scuola diventa un formidabile assist all’edonismo materialista contro cui i vescovi dichiarano di fare guerra aperta e senza quartiere. La scuola, suo malgrado, spesso si vede costretta a supplire lo Stato nei quartieri e nei territori pervasi da una diffusa cultura dell’illegalità; spesso si vede costretta a supplire un famiglia sempre più sofferente e preda delle infinite contraddizioni di questa società; spesso si vede costretta a far fronte anche all’indebolimento di un magistero religioso quando questo smarrisce il forte nesso che deve sempre esserci tra educazione religiosa, educazione civile e sociale. Queste, oltre le sue “ordinarie”, sono le funzioni della scuola che decreti e voti di fiducia, arroganza mascherata da decisionismo, mancanza di rispetto istituzionale per minoranze politiche e dissenso sociale colpiscono al cuore.

La Chiesa, quella militante, sta con quei ragazzi che non vogliono essere deprivati del proprio futuro, sta con quelle insegnanti che in tutti questi anni si sono spesso caricate il mondo sulle spalle e hanno lavorato in silenzio con i bambini, per ridare loro fiducia e speranza; sta con quei genitori che vedono nella scuola il ruolo prioritario che essa ha nella società, sta con tutti quei cittadini che riconoscono il valore assoluto della scuola che attua il compito che le ha assegnato la nostra Costituzione.

Quello che si sta perpetrando a danno della scuola della Repubblica è un misfatto senza precedenti e la CHIESA non può rimanere in silenzio. La mancanza di ascolto da parte del governo di tutte le istanze sociali, istituzionali, professionali, scientifiche, la mancanza di rispetto anche nei confronti dei propri parlamentari, oltre che dell’opposizione, mortificati da decreti e voti di fiducia, l’arroganza degli atti e delle parole, da quando in qua sono diventate virtù cristiane? Il silenzio fa venire cattivi pensieri. Il silenzio è parente di complicità.

In queste settimane che hanno visto centinaia e centinaia di migliaia di giovani, insegnanti, genitori per le strade a reclamare il loro diritto allo studio, alla conoscenza, al lavoro, al futuro, la CHIESA si è occupata d’altro, ha parlato d’altro, come se niente accadesse nel corpo profondo della nostra società. Tante persone che guardano al suo magistero hanno atteso invano una parola che non è venuta. Peccato che quando poi è venuta, è stata quella sbagliata e deludente di Monsignor Diego Coletti.

Non vorrei consegnarmi al cattivo pensiero che questo silenzio sia il frutto del baratto col mantenimento dei privilegi della Chiesa nell’ambito dell’istruzione. Riduci pure tutto, basta che non tocchi insegnanti e insegnamento della religione cattolica e scuole private, soprattutto le cattoliche. Le recenti dichiarazioni di Berlusconi a proposito sembrano confermare questa deprecabile tesi.[2]

Meno statale, più privato e confessionale è una visione miope, di basso profilo, corporativa direi e difensiva dello Stato Chiesa, non dell’ecclesia generalmente intesa come comunità di persone che condividono condizioni di vita, cittadinanza, sentimenti, aspirazioni, valori comuni, paideia.

Dalla Chiesa è lecito aspettarsi un messaggio di alto profilo che concili immanenza e trascendenza, autorità e ascolto, congiuntura e diritti, potenza dei primi e solitudine, abbandono degli ultimi, crisi del presente e speranza nel futuro, conformismo indotto e riscatto personale attraverso la cultura e la scuola.

Cosimo De Nitto

 


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