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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Solitudini in cerca di firma d’autore…

Carriera? Valutazione?…

 

“Cose” che vorrebbero chiamarsi riforme, decreti e decreti “incomprensibili”, aumenti di prezzo indiscriminato che si fanno eco…Ora vorremmo differenziazioni stipendiali in base alla carriera?! Che soluzione alta e giusta ai problemi di questa società, ai problemi della dispersione giovanile! E’ questo il nocciolo della rimotivazione professionale?

 

Noi, semplici e umili cittadini di un mondo impazzito per quattro euro, vogliamo continuare a prendere su sorrisi di politici, ammiccamenti di associazioni, spiegazioni di quotidiani che un giorno si schierano di qua e uno di là…? Vogliamo veramente credere alla buona fede di chi ci propina la giustezza della differenziazione retributiva?

 

Siamo di fronte alla questione delle televisioni, a quella della scuola pubblica senza risorse, a una sanità che rischia di diventare “salute” per i ricchi,…e noi ad arrabattarci per confrontarci nel nostro piccolo mondo di persone che credono di aver qualche voce in capitolo…

 

Ma quando mai l’abbiamo avuta?!

 

E non contano le manifestazioni, le invettive, le lusinghe, non contano nulla o…quasi…e siamo qui tra una tragedia e l’altra, dai terremoti alle disgrazie più o meno artificiali, quelle prodotte dagli uomini, per intenderci, quelle che volontariamente o involontariamente per “guasti tecnici”, capitano e fanno morire, come le mosche, le persone identiche a ognuno di noi piccoli mortali senza arte né parte!

 

E noi a chiederci nei nostri micromondi se vale la pena fare una mossa piuttosto che un’altra senza renderci conto che le nostre pensate valgono meno di zero!

 

Quando la capiremo che non è confliggendo, nel piccolo, col vicino di casa nella riunione condominiale, con il collega o con i colleghi virtuali, che risolveremo la nostra condizione, non è fra noi e per noi che dobbiamo confliggere bensì con il nemico più grande…il potere e chi ce l’ha…il potere di chi tramortisce ogni attimo i nostri gusti, le nostre preferenze, la nostra cultura, quella con la C maiuscola, quella fatta di ascolto, pietà, comprensione per la diversità, solidarietà…come si fa a non accorgersi che il mondo del potere va nella direzione del volerci dividere, del volerci far sentire inadeguati alle sfide della modernità per poi succhiarci il midollo?!

 

Non che “prima” sia meglio di “ora”, non che il passato sia culla di verità…però…però…qualcosa di bello e buono lo stiamo perdendo irrimediabilmente…a chi non è più giovane, oppure a qualche giovane che sa ascoltare i racconti, forse sarà capitato di pensare che soltanto 40 anni fa, quando non c’era la televisione in ogni casa, le persone facevano la veglia per le strade chiacchierando di vita, della vita tutta…di quella del giorno, ma anche di politica…ogni sera, in ogni città e paese, si formavano piccoli parlamenti da marciapiede, in cui ognuno poteva sentirsi vicino o lontano guardando l’altro negli occhi, quelli sì sempre vicini…si litigava, si faceva la pace, si provavano, sul campo delle relazioni reali, in diretta, le proprie argomentazioni…poi c’era chi la politica la faceva per davvero, nelle sedi di partito sotto casa, c’era chi al sindacato andava per davvero, a quel sindacato amato che si identificava con un volto conosciuto, una persona di fiducia che mai e poi mai avrebbe fatto o detto cose per deludere, pena l’isolamento…c’era chi parlava con chi faceva politica per sollecitare, indirizzare e, se anche la politica non la “agiva” di persona, la delegava a qualcuno molto vicino, noto, arcinoto del quartiere…

 

Le problematiche di una categoria erano quelle per cui lottare tutti insieme a partire dalle strade della propria città…le malattie del vicino di casa colpivano come fossero quelle di un caro parente, le difficoltà esistenziali erano discusse, condivise, partecipate…la democrazia, la solidarietà così come i conflitti erano di casa, sotto casa…oggi c’è la televisione che “ci” guarda tutte le sere, testimoni passivi degli orrori…oggi abbiamo questo mezzo, il computer, che ci dà l’illusione di non essere sole/i perché possiamo scambiare parole scritte con chi ci è lontano di fatto e, per comodità o pigrizia, a volte anche con chi ci sta molto vicino, ma in realtà siamo assolutamente “circoscritti”, come avessimo intorno a noi un campo magico non oltrepassabile; infatti, le idee, più che scambiate, sono enunciate…non è la stessa cosa…fa tristezza, eppure è l’unico modo che abbiamo per fare la veglia, quella di ormai antica memoria.

 

Tuttavia non esiste possibilità di riscatto professionale, umano, relazionale…se non facciamo nostri i principi dell’amore, dell’attenzione, della conversazione, dell’affabulazione  sapiente nel lavoro, nel quotidiano, nel nostro andare per le strade della vita, della città intesa come luogo della civiltà! Cosa ci attendiamo da un mondo all’americana, nel senso deteriore del termine, che dà di più a chi produce di più, che poi non è neanche vero, è semplicemente un dare di più a chi si adegua di più alla “costruzione” politica del momento…

 

Vogliamo a tutti i costi credere alla bontà dei decisionisti politici, a quella di un Presidente della Repubblica che ci fa da padre, a quella di chi indirizza i nostri pensieri e le nostre azioni politiche di ogni giorno con proposte preconfezionate a cui noi non abbiamo assolutamente mai pensato e che non riteniamo risolutive?

 

Vogliamo soccombere ai terremoti del pensiero prima di soccombere a quelli naturali che pure potrebbero distruggere noi e le nostre famiglie come avviene in ogni frazione di secondo sul pianeta?

 

Ma perché ci facciamo gli auguri di buon natale che ci piacciono tanto e poi non riusciamo a convivere nel segno della fratellanza e dell’uguaglianza neppure in quegli antichi e anche antiquati edifici scolastici in cui ci troviamo per caso a lavorare?

 

Ma cos’è che ci fa pensare che “la mia opera” sia migliore di quella di un altro, che l’altro sia sempre un paria o quasi, che il nostro pensiero e il nostro agire “valgano” di più?

Perché non riusciamo a stare con gli occhi aperti e a spendere le energie intellettive per ciò che “vale”, lasciando perdere ciò che non “vale” la pena, perché ci lasciamo depistare dalle sirene di chi ci vorrebbe promettere uno schifo di pezzo di cielo più azzurro di quello di un altro?

Che senso ha percorrere strade già percorse e non risolutive, quando invece le strade della collaborazione e della condivisione porterebbero maggiori benefici a ognuna/o di noi? Come è possibile ancora pensare che la selezione, la valutazione del merito, la carriera siano la soluzione ai problemi della professione di insegnante?

 

Che cos’è un insegnante?

Che ruolo occupa nella società?

Quali sono i suoi punti di forza all’interno del consorzio umano?

Quali aspirazioni ha?

Quali aggiornamenti e quale formazione dovrebbe affrontare per insegnare?

Che cosa significa insegnare?

 

Cerco di pensare a risposte che possano contenere le parole “fare carriera”, “differenziazione”, “produrre qualità”…non trovo nulla…penso soltanto al rapporto insegnamento-apprendimento, persona-persona, persone-persone, educazione-istruzione…rifletto su fine, scopo, obiettivo dell’insegnare ad apprendere, metodologie, strategie, didattica, sensibilità, conoscenza che si arricchisce nei rapporti col mondo della cultura e delle relazioni…penso, ma non riesco a vedere il nesso con carriera e differenziazione…

 

Ritengo come sempre, come pensavo anche nel passato, quando ero studentessa o nei primi anni di insegnamento, che la questione

dell’acquisire prestigio e arricchimento professionale, per chi vuole chiamarsi insegnante e non altro, sia certamente da affrontare per non lasciare nella solitudine schiere di docenti giovani e meno giovani, ma  sia legata non a meccanismi di “controllo”, che pure già esisterebbero se correttamente applicati, bensì a un nuovo modo di intendere la scuola e di “costruirla” (anche per mezzo di vere riforme future e rivendicazioni sindacali tese a tale “costruzione”) come un “luogo” in cui sia possibile vivere la professione nel confronto con le persone dei colleghi e con le teorie didattiche e pedagogiche sempre in divenire, un luogo che preveda l’incontro fra professionisti-docenti con uno stesso ruolo, cioè quello di far crescere le intelligenze e le sensibilità di insegnanti e alunni…Cosa c’entra la differenziazione con questo? Cosa c’entra la valutazione da parte dei presidi o di qualcun altro con l’insegnamento? Credo che l’instaurare meccanismi di “controllo” sul lavoro di una categoria su un’altra non abbia niente a che vedere con lo sviluppare una professionalità forte diretta unicamente a raggiungere ciò per cui è stata pensata: l’insegnamento, punto e basta.

 

C’è poi la questione del consentire il far “carriera” nel settore

dell’organizzazione scolastica fuori delle classi: ebbene, chi vuol fare questo tipo di “carriera” la faccia, ma poi non pensi di essere un insegnante, o “più” di un insegnante, pensi di essere qualcosa d’altro, qualcosa che prima non era, e, se questa “rinuncia” alla docenza era lo scopo della sua vita professionale, ne sia contento! Nessun buon professore o maestro lo biasimerà, semplicemente non lo “riconoscerà” più come collega, un po’ come avviene per il rigetto dal corpo umano di elementi validissimi in sé per sé, ma incompatibili con esso. “Incompatibili”, soprattutto se incentivati economicamente per il solo fatto di essere diventati un qualcosa di diverso dal corpo docente che li aveva prima in seno!

 

Carriera non ha niente a che vedere con insegnamento, con il creare un clima proficuo di collaborazione in cui tutti possano finalmente studiare e approfondire le tematiche urgenti da affrontare dentro le classi e con ogni persona intesa come “per se unum”… cosa ha a che vedere la carriera con la didattica viva e con la socializzazione delle esperienze positive?

 

Ho l’impressione che, come spesso capita nel nostro mondo sommerso dalla burocrazia, si abbia bisogno di qualche “protesi” certificativa per creare in qualche modo l’illusione nell’utenza che c’è qualcuno il quale  controlla qualcun altro e che la scuola, “per crescere”, per cambiare, di questo avesse bisogno…niente di più assurdo: la scuola, per cambiare in meglio, ha bisogno di ridare a cesare ciò che è di cesare! Ha bisogno di insegnanti che vogliano essere insegnanti per il gusto di esserlo! In verità, i docenti devono essere messi nella condizione di diventare tutti insieme una comunità che pensa insieme ai modi di insegnare, ai modi di relazionarsi con gli alunni e con le loro famiglie, dalle materne all’università…

 

Chi, quando e come dovrebbe decidere per noi stessi, per ognuna/o di noi che negli anni abbiamo dato ciò che abbiamo potuto e anche di più…per ognuno di noi che ha sostenuto sé e gli altri da sé, non solo alunne e alunni, ma anche colleghe e colleghi in difficoltà senza riscuotere alcun beneficio, semplicemente perché lo si riteneva giusto e utile a tutta la vita della scuola oltre che ai rapporti umani?

 

Chi l’ha detto che un sistema di “ricompense” diversificate rafforzerebbe la nostra professione?

 

Chi è sicuro che le mele marce verranno gettate nella spazzatura? Chi sono le mele marce? Come si fa a non accorgersi di quanto sia tutto aleatorio, transeunte, mutevole nel panorama umano dei valori del più e del meno?

 

Cosa veramente vale se non la capacità di capire che valgono soltanto la pietas e l’apertura della porta della propria professionalità a quella delle altre e degli altri anche per incentivare e sostenere umanamente e didatticamente chi non collabora come si vorrebbe?

 

Ognuna/o di noi sa bene quanto tutto sia estremamente relativo, quanto tutto sia di passaggio…in ogni campo umano assistiamo quotidianamente alle affermazioni e alle successive smentite delle stesse, ai balletti inverecondi di idee nel nome della democrazia e ormai non ci scandalizziamo neppure più, prendendo per buono tutto e il contrario di tutto, gioendo il giorno dopo per ciò che il giorno prima ci aveva quasi indotto al pianto, celando a noi stessi le verità, eludendole per non soffrire della meschinità di certa politica e degli uomini che vi sono coinvolti…allora perché non stringere un patto di alleanza fra “piccoli”? Perché non porgere la mano e la mente al nostro lavoro e a chi lo fa accanto a noi…almeno in quel piccolo mondo che abitiamo ogni giorno, perché non desiderare la pace e la collaborazione alla pari?!

 

Non vorrei che, per alcuni, il chiedere con insistenza e convinzione di essere valutati in qualche modo fosse dettato dal bisogno di avere sulle proprie solitudini professionali una qualche firma d’autore…a che servirebbe?

1 gennaio 2004

Claudia Fanti

 


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