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SULLA VALUTAZIONE

di Claudia Fanti

Dal documento Bertagna, si evince ancora una sorta di accanimento sul tema della valutazione dei risultati conseguiti dalle/dagli studenti/studentesse.

Evidentemente la società degli adulti non riesce a distaccarsi dal ricordo della propria scuola. Si ostina a credere che sanzioni, punizioni, bassi punteggi riescano a "schiodare" atteggiamenti di rifiuto dell’istituzione, comportamenti rivelatori di qualche disagio, o a innalzare la qualità della scuola!

E’ molto strano che tuttora non si parli di strategie, che pure esistono e portano ad ottenere risultati sia sul piano degli apprendimenti sia su quello delle relazioni. Forse si crede che chi va male a scuola lo faccia apposta?!

Quale ragazzo desidera intimamente produrre all’esterno l’immagine del cretino?!

Nessuno!

Il problema è che, realmente, ciò che si insegna, il modo in cui lo si fa, la capacità di relazione e gestione dei conflitti sono il segreto di una buona riuscita scolastica e del lavoro di docente. Non che si possano abbattere le montagne, ma indubbiamente lo stare dentro il rapporto con l’altra/o è fondamentale, proprio e soprattutto con l’altra/o che non ci assomiglia. Non si vuol dire che ciò sia facile, ma è indubbiamente l’unica strada possibile per innalzare la qualità e tendere all’abbattimento della dispersione: le altre sono scorciatoie che aumentano le differenze sociali e culturali (ma è questo che si desidera?). E ciò non vuol dire essere dei "buonisti" come qualcuno sostiene, vuol dire semplicemente ricordarsi che non tutti nascono in famiglie in cui si mangia pane e cultura dalla culla, che non tutti hanno ascoltato Mozart nel grembo materno, che qualcuna/o è più fragile di qualcun’ altra o di qualcun altro, che ci sono le/i timide/i, le/ i riservate/i, le/gli emotive/i, le/gli innamorate/i…Ricordarsi, mentre si insegna, che dall’altra parte c’è una persona in formazione, il più delle volte problematica, non è evidentemente facile.

L’aver pensato nella proposta di riforma della scuola immediatamente ai modi di valutare è indice di una sfiducia malcelata, di una visione di scuola-istituzione che fa "istruzione"(d’altra parte dei tre percorsi formativi indicati nel documento Bertagna, la scuola sembra essere il meno formativo e il meno appetibile per le/i ragazze/i e le famiglie che dovranno e potranno scegliere, se ne avranno i mezzi, i percorsi più piacevoli e formativi fuori dalla scuola!! Sembra quasi che meno si starà a scuola in termini di tempo, meno si rischierà di "perdersi"; si ha l’impressione che la scuola "scotti"!!)

Sarebbe piaciuto, invece, un pensiero volto a favorire la prevenzione del disagio: un numero ridotto di alunne/i per classe, l’istituzione di un filo diretto nella scuola di base fra docenti e logopedisti, ortofonisti, ecc…per arginare il fenomeno di dislessie, disgrafie e quant’altro senza dover attendere il consenso a intervenire da parte delle famiglie (consenso che arriva raramente, proprio perché in Italia ancora c’è una mentalità che impedisce di vedere in modo razionale e sereno interventi di questo tipo).

Si vorrebbe l’istituzione di centri di scambio, di ricerca didattica e pedagogica nelle scuole, con l’obbligo di frequenza e partecipazione attiva da parte delle/dei docenti riunite/i di ogni ordine di scuola insieme, per costruire in comune un’idea del far scuola maturata e vagliata criticamente nella pratica di un quotidiano ripensamento teorico e pratico. Per far questo occorrerebbe pagare il tempo delle /dei docenti come ricercatori attivi e "produttori di senso didattico e pedagogico" e spendere denaro per la formazione costante in servizio oltre che per quella iniziale. I diversi ordini di scuola sono ancora universi che non si conoscono vicendevolmente e questo causa incomprensioni gravi sul versante della continuità, dalle scuole dell’infanzia alle superiori.

Si vorrebbe una formazione iniziale che costringesse ogni aspirante al lavoro di docente a misurarsi nell’insegnamento nei diversi segmenti dell’istruzione prima di sceglierne uno: non è sufficiente soltanto la formazione universitaria, magari elitaria e distante dalla realtà scolastica (non basta il tirocinio per fare un insegnante attento, privo di arroganze di vario tipo, pronto all’ascolto, ecc…).

Ma torniamo alla valutazione.

La valutazione "oggettiva" su obiettivi standard ha un senso soltanto per alcune "meccaniche" abilità, ma per tutto il resto occorre una valutazione che rispetti ogni "respiro" delle/dei ragazzi, che sia narrativa, che ponga sempre l’amletico dubbio al primo posto, che sia sempre "incerta", che non tema di non saper definire…Soltanto così fare scuola è libertà, è bello e invitante per tutti. Il sapere, la voglia d’imparare, il desiderio di stare insieme nell’atto di scoprire realtà sconosciute non possono esistere in una scuola ammalata della pretesa di ottenere risultati immediati e certi.

Quello che stupisce nelle proposte di riforma è che, in fondo, credendo di far cosa nuova si fa cosa vecchia: chi di noi adulti non ha avuto pagelle, verifiche, voti in condotta, compiti in classe, programmi da portar a termine, tirate d’orecchi, sanzioni, ecc…?!

Chi tra i nostri figli non è stato alle prese con compiti un classe, punteggi, punizioni, ecc…Il livello della nostra scuola è forse mai stato alto? Eppure si preferisce seguire ancora la stessa strada senza nemmeno farsi venire il sospetto che apprendere e insegnare sono un binomio indissolubile in cui il fallimento o il successo dipendono dalla voglia che si ha di essere una cosa sola in simpatia. I successi più alti e veri noi docenti e le/i nostre/i ragazzi li otteniamo nell’attimo in cui poniamo sulle cose che abbiamo lì di fronte uno sguardo totalmente gratuito, e se lo facciamo insieme cooperando. Una delle cose più belle del mio lavoro (e non l’ho sempre apprezzato con l’intensità di oggi che sono libera interiormente dal timore del risultato a tutti i costi e che so che un risultato non è per sempre e che il giorno dopo può essere invalidato da un clima relazionale sbagliato!) è osservare ogni giorno le/gli alunn/i mentre insieme scoprono le cose e cercano di definirle e studiarle senza di me: come potrei assegnare punteggi a scoperte che vengono fatte da loro per il gusto di farle?! So poi con certezza che nel caso in cui qualcuno/a mostrasse delle difficoltà, peggiorerei la situazione "misurando" negativamente: rari sono i casi di reazioni positive di fronte all’insuccesso!

Mi piacerebbe che si cambiasse completamente rotta e penso che soltanto così si invertirebbe il trend negativo della nostra scuola.

La valutazione è senz’altro uno soltanto dei punti non condivisibili del documento Bertagna, ma è senza dubbio il problema principe su cui riflettere, senza decisioni "facili" e "comode", di qualsiasi riforma che voglia essere democratica e rispettosa delle diversità.

FO, 16 DICEMBRE 2001


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