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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
- ISSN 1973-252X
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Una riflessione sui Linguaggi

di Francesco Butturini

 

       Il primo asse del Regolamento per l’innalzamento dell’obbligo scolastico è Linguaggi, comprendendo con questo termine, forse ambiguo, ogni testualità: dalla lingua madre e una lingua straniera, alla multimedialità, e cioè i nuovi media digitali, ma anche il cinema, la televisione, il teatro, le arti.

     Linguaggi non può, a mio avviso non deve, trattarsi di una nuova disciplina (tanto per dire: multimedialità o Educazione mediale), ma l’indicazione della strumentazione di base per comunicare la didattica quotidiana in ogni ordine e grado di scuola.

     Su questa problematica, dallo scorso ottobre 2007,  il M.P.I. (Direzione Generale per il Personale) sta realizzando cinque seminari residenziali dedicati a circa cento scuole di ogni ordine e grado, di ogni regione d’Italia e delle province autonome, dal significativo titolo: “La didattica della comunicazione didattica”.

      I seminari residenziali (il cui programma è rintracciabile in vari portali e siti internet, compresi quelli del liceo classico “S.Maffei” di Verona, scuola capofila del progetto, in cui si tengono i seminari) hanno lo scopo di formare i futuri formatori e di concorrere alla costruzione di una rete organizzativa che dovrà comporsi, certamente in accordo con il Gruppo di Lavoro costituitosi presso il M.P.I. (ex art. 6 delle Linee Guida) e con la complessa realtà di vari gruppi e commissioni che al Ministero e presso gli Uffici Regionali scolastici stanno studiando, ricercando, lavorando, al fine di predisporre un piano unitario di intervento capillare in tutte le regioni e le province per rispondere alle raccomandazioni del Parlamento e del Consiglio europeo del 18 dicembre 2006, raccomandazione relativa alle competenze chiave  per l’apprendimento permanente.

       La prospettiva, credo non possa che essere l’anno scolastico 2010/11 quando anche la scuola italiana dovrà allinearsi e realizzare la Strategia di Lisbona 2000.

       Credo di scrivere tutte cose scontate come conoscenze, ma non come realtà diffuse.   

      Né come realtà accettate con condivisione e convinzione.

      Mi sembra, anzi, di poter affermare che in troppe realtà scolastiche di tante, se non di tutte le regioni, si continui a fare scuola come prima, come sempre. Con tanto entusiasmo o con tanta sfiducia e/o indifferenza (il risultato può anche non cambiare), pensando sempre e tuttavia che, alla fin fine, la scuola è ancora quella e conosciamo bene come è e come va fatta: come si faceva un tempo, come l’abbiamo fatta noi, i nostri padri, i nostri nonni e via scendendo nel tempo.

      Infatti, se un possibile viaggiatore nel tempo, magari di cent’anni fa, dovesse trovarsi nelle nostre città, farebbe sicuramente fatica a riconoscerne tantissimi aspetti e novità e proverebbe tante paure, ma andrebbe a colpo sicuro e si sentirebbe al sicuro nel riconoscere un’aula scolastica.

      Parliamo di società della conoscenza, ma questa conoscenza di cui parliamo temo abiti fuori della\dalla scuola (università compresa) e stia girovagando in cerca di un luogo dove trovare persone disposte ad ascoltarla.

      Il divario fra cultura scolastica e cultura della società della conoscenza non è più solo generazionale o di classe sociale e di censo: è di linguaggio di base, linguaggio di trasmissione del pensiero e delle informazioni. Linguaggio come percezione e comunicazione dell’esistente.     

     Per questo mi sembra utile proporre una serie di riflessioni e di documentazioni relative al cuore della società della conoscenza.

      Affrontiamo, cioè,  il problema della comunicazione nella scuola e per la scuola dal primo ed unico versante: i linguaggi (anche il silenzio e l’immobilità assoluta, anche il buio: tutto è il y a - come affermava Levinas - linguaggio), come medialità comunicativa complessa che educa comunicando, muta i profili della conoscenza quando rappresenta, diviene strumento e azione attiva dinamica, in un intreccio di rapporti che mi piacerebbe definire, ricordando Kant della “Critica del Giudizio”, determinanti e riflettenti.

       Un processo comunicativo, dunque, che nasce dalla consapevolezza dell’impossibilità di comunicare da\per\con un solo versante, una sola ottica (penso all’esempio della visione dell’albero in “Fenomelogia e teoria della conoscenza” di Husserl,). E mi tornano alla mente, tante recenti letture e riflessioni avvenute in questi ultimi tempi alla Sapienza di Roma, presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione, con Mario Morcellini, Alberto Parola, Roberto Giannatelli, Alberto Agosti, Ida Cortoni: momenti di confronto nell’associazione MED, che ha come statuto l’educazione ai\coi\per i media della muiltimedialità: dal cinema alla carta stampata, dalla televisione alla radio, dal teatro agli spettacoli, all’arte, alla musica, alla danza.

      E allora è facile, scontata la domanda: quanti sono stati e sono i linguaggi della comunicazione?

       Mai uno solo; sempre multipli, complessi, compositi.

      La raccolta dei vari linguaggi è, però, come un vocabolario: un  luogo dove sono messi insieme, vicini o prossimi, tutti i linguaggi, da quelli verbali a quelli non verbali. Ma tutti sono  testi di riferimento ( e relativi contesti) e tutti vanno oltre la memoria: il linguaggio silenzioso ma parlante e comunicante della memoria, per il quale pensiero e comunicazione sono un unicum, un il y a.

      Esiste prima un linguaggio (una lingua) o esiste prima e contemporaneamente lo strumento filosofico per destrutturarlo ed usarlo in maniere analitica e compositiva (per minutaglie, per grammi, e per unioni, sintesi, sintassi)?

       Quali sono le declinazioni dei linguaggi?

       Quali sono le coniugazioni dei linguaggi?

       Qual è la grammatica dei linguaggi?

       Qual è la sintassi dei linguaggi?

       È necessaria una grammatica dei linguaggi?

       È necessaria una sintassi dei linguaggi?

      Possediamo la grammatica e la sintassi del teatro, del cinema, della televisione; anche della danza e della musica: da Aristotele ad oggi.

     Possiamo affermare che possediamo una grammatica ed una sintassi della comunicazione mediale?

     Possediamo i principi della grammatica e della sintassi del linguaggio digitale?

      Il linguaggio digitale non è forse come una lingua sconosciuta,  di cui conosciamo vocaboli, principi generali di sintassi e di grammatica, ma non siamo in grado di comporlo ( e quindi conoscerlo realmente) se non per analogie.

    Con il linguaggio digitale procediamo per composizioni e ricomposizioni per analogia con il linguaggio analogico generale: con il linguaggio alfabetico o con quello alfanumerico.

     Sappiamo benissimo qual è il processo compositivo a base di 01: ne conosciamo la variabilità compositiva fino a predefinire le future composizioni digitali, come avviene per una lingua?

     Qual è lo spazio filosofico del linguaggio digitale?

     Qual è il suo spessore esistenziale.

     Aggiungo: quale la sua durata sentimentale ed emozionale?

     Posso parlare di filosofia del linguaggio digitale come posso parlare di filosofia della lingua?

     Di fronte a queste domande, quale risposta ci attendiamo che possa divenire tracciato educativo per chi usa il linguaggio mediale nella sua complessità?

      È solo uno strumento più rapido, più consuntivo e riassuntivo, più comprensivo e comprendibile?

      Si piega come una lingua a tutte le varianti del pensiero, anzi: è dentro il pensiero e fa tutt’uno come comunicazione-pensiero?

      Posso dire che penso digitale?

      Servirebbe dire che penso digitale?

     Tanti di noi che partecipiamo al progetto “Didattica della comunicazione didattica”, con il compito che abbiamo accettato con l’umiltà dei ricercatori, anzi dei ricercattori, stiamo sperimentando le incidenze e le coincidenze dei Linguaggi multipli nei processi di insegnamento/apprendimento, ne scopriamo le valenze e le difficoltà di ricerca e applicazione. Ma ne scopriamo sempre l’ineluttabilità, quasi si trattasse di una deriva dentro la quale lasciarsi finalmente andare al flusso della comunicazione complessa, sapendo navigar in essa senza lasciarsi sommergere o far sommergere.


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