Prima Pagina
Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

ELOGIO DI UNA "VECCHIA" SCUOLA BLOCCATA SUL NASCERE

Se anche ci fossero trilioni di dollari a disposizione per attuarla, questa riforma non s’avrebbe da fare, anche per il grado di "confusione" che porta con sé!

E qui è il punto.

C’è poco da discutere perché non pare che ci sia una logica stringente nelle circolari e nei decreti estivi di questa riforma, nelle dichiarazioni dell’attuale Ministro del MIUR e del Presidente del Consiglio in carica e neppure in quelle di qualche dirigente tecnico che vorrebbe tranquillizzarci dicendoci che "sperimentare" è necessario per verificare la bontà delle proposte di riforma, poi si potrà rivedere il tutto fra due o tre anni se non si fosse soddisfatti dei risultati! Come se la scuola intanto fosse vuota di piccole persone! Come se si potesse agire senza coinvolgere le bambine e i bambini. Ma chi sa di questi signori cosa sia la scuola reale coi suoi milioni di bambine e bambini che vogliono essere ascoltati, seguiti, valorizzati, accompagnati in bagno, consolati mentre litigano, "incoraggiati quando non ce la fanno"? Che ne sanno di bambini di prima che si "stancano", giustamente, di ascoltare o di qualsiasi attività si intraprenda dopo soltanto cinque o sette minuti e poi vogliono giocare in modo assolutamente libero con i nuovi compagni? Che cosa sanno del tempo che si impiega a organizzare materiali nuovi e attività in classe? Che ne sanno dei mille segreti dell’ interiorità dei bambini che fin dal primo giorno si raccontano e ci vogliono tutte per loro? Che ne sanno della paura di far la pipì nelle turche di bagni troppo grandi, troppo diversi da quelli delle scuole dell’infanzia, del timore di rimanere chiusi e di non uscire mai più dal bagno a causa di porte con chiusure complicate e difficili di maneggiare? Che ne sanno dei pianti alle 10.00 della mattina del secondo giorno di scuola perché si teme di essere abbandonati dai genitori o di non andare più a casa?

La Signora Ministro mostra di conoscere soltanto la vernice di scuole preparate a riceverla per l’occasione delle sue visite sul territorio. La scuola del dopo anni ’70 non è quella che lei pensa di conoscere e non potrà stare dentro la sua riforma, nei limiti di orario (anche se nelle ultime informazioni dei dirigenti tecnici sembra che la questione del tempo pieno modificato non sussista più …come mai? E’ vero? Quanta confusione nelle nostre povere teste che non vogliono proprio capire tutto il bene che ci verrà elargito!) che vorrebbe imporre, dentro il quadretto di tutor (anche su questo argomento sembra che qualcosa verrà modificato. Perché? E’ vero?) e rapporti con le famiglie che ella immagina e fantastica.

Cominciamo dalle sue offensive affermazioni su grammatica e geometria. La risposta a tale gratuita "cattiveria" mediale è questa: la scuola elementare ha applicato i bellissimi programmi dell’ 85 che tutto dicono tranne che escludere grammatica e geometria. Inoltre di quale grammatica e geometria parla la signora ministro?

Da tempo immemorabile, si sa che non esiste la "grammatica", bensì le "grammatiche"; altrettanto dicasi per la geometria euclidea e non.

Perché chi non è addetto ai lavori, si permette superficialissime invasioni di campo a cui non possiamo ribattere in diretta (così restiamo a roderci davanti agli schermi sperando che le famiglie di cui abbiamo figlie e figli si ribellino quanto noi)?

Chi l’ha detto che i nostri bambini non sanno la grammatica e la geometria? Mi piacerebbe che qualcuno venisse a verificare affermazioni tanto piene di sicumera, che si scomodasse per imparare qualcosa dalla realtà solida delle nostre scuole elementari, le quali non sono rimaste ferme ai primi anni settanta, ma di quelli hanno saputo conservare l’amore per la relazione con l’altro (ogni storia lascia segni positivi) andando oltre, percorrendo a piccoli passi il difficile viaggio delle metodologie, della didattica, degli aggiornamenti costanti per far fronte alle eccellenze e al disagio sempre crescente! Qualcuno tra gli ispettori tecnici sostiene di aver riscontrato un calo nella preparazione linguistica di alcuni insegnanti. Potrebbe anche essere. E allora? Vogliamo affossare l’intera scuola elementare e tutto ciò che ha realizzato per risolvere il problema dell’impreparazione, o non sarebbe meglio cercare forme più adatte di formazione universitaria e di reclutamento?

E’ veramente incredibile come le persone "ideologiche" giudichino la nostra scuola fermandosi al passato in luoghi e tempi che sono costruiti dal loro immaginario. Ma è altrettanto incredibile che molti egregi personaggi del mondo scolastico per fare obiezioni a un progetto di riforma lo "rincorrano" nelle dichiarazioni sulla stampa affermando che le scuole elementari sono più avanti. "Più avanti" di cosa? Di informatica e inglese "targati nuove indicazioni" ministeriali? Si spera di no, perché non è rincorrendo le novità che si fa buona didattica, non è seguendo i ritmi della società che si fanno crescere culturalmente le bambine e i bambini. Per intenderci, non è mettendoli davanti al computer o insegnando in un’ ora inglese in prima elementare che si formano i futuri cittadini del mondo. Non che l’inglese e l’informatica siano il diavolo, ma non sono nemmeno un dio da citare continuamente fino al rito del sacrificio nel quale immolare la conversazione, la poesia, la storia, la geografia, gli studi sociali, l’educazione all’immagine, l’educazione motoria, quella sentimentale, la musica, le scienze, la matematica appresa partendo da situazioni concrete, il teatro…il tutto affrontato lentamente, esplorando e scoprendo autonomamente, domandando a sé e agli altri, rispondendo e rivedendo le risposte in un tempo che è pur sempre un tempo definito che non può essere tirato come una coperta, in contesti conversazionali che vogliono lasciare spazio alle discussioni, al provare e riprovare, al dialogo, al confronto, ai timori, al superamento degli stessi, alla modifica di comportamenti socialmente non accettati, alle riflessioni sul sé,

all’apprendimento cooperativo. Chi si iscriverà più tra noi docenti a corsi sull’insegnamento della lingua italiana o della matematica, della storia e della geografia, della motoria e dell’immagine, della musica…? Le nuove generazioni di insegnanti troveranno tante proposte di formazione in tal senso sul territorio dove operano (come abbiamo trovato noi negli ultimi venti anni) o dovranno accontentarsi dei nostri racconti di maestre navigate fra un aggiornamento Fortic e uno di lingua straniera?

La tecnologia non dovrebbe essere una materia a sé stante da "nominare" in programmi ministeriali, bensì un supporto da utilizzare, quando e come lo si ritenesse opportuno, al servizio delle idee di bambine e bambini né più né meno di quanto lo siano l’orologio, la calcolatrice, o chi sa quale altro strumento: sembra che la circolare n° 69 abbia recepito ciò; dopo un inizio molto rigido, ora c’è qualche riflessione in più, e così anche per la lingua straniera. Tuttavia sarà molto difficile realizzare la trasversalità con gli specialisti di lingua straniera impegnati per un’ora scarsa in prima elementare. Più semplice la vita degli specializzati dentro le loro classi. Ma qui si apre un versante pericoloso: non sarà che si vogliano eliminare gli specialisti cercando di formare tutti gli insegnanti (anche quelli che non ne hanno idea) in specializzati di lingua inglese?!

Sarebbe l’unico modo per rendere fattibile le indicazioni della n°69, ma sarebbe anche ridicolo e controproducente (per il povero inglese) costringere chi non ha scelto di insegnare le lingue a farlo!

L’inglese poi è una lingua che per essere appresa necessita di un’immersione quasi totale. Forse si potrebbe onestamente dire che si vogliono accostare le nuove generazioni a tale lingua o a qualcun’altra, così, in un’ora o due, per gioco, ma che di gioco si tratta, comunque, fortunatamente (per il ministero), gioco condotto da serie maestre professioniste che negli anni si sono formate in didattica della lingua straniera, le quali, ogni giorno, nelle scuole elementari fanno letteralmente le capriole per seguire un numero esagerato di classi, quindi non sembra che "in alto" ci sia motivo di ringalluzzirsi per aver esteso tale insegnamento anche alle prime classi!

Altro discorso spetterebbe invece agli altri linguaggi verbali e non che da sempre sono le basi di una salda formazione critica e artistica, quelli che a buon diritto sono già patrimonio dei nostri programmi delle elementari: essi sarebbero stati da potenziare per mezzo di una rivisitazione culturalmente aggiornata anche in termini di orari e di materiali di cui dotare le scuole tutte!

Viene da sorridere a pensare alle dotazioni future di computer per ogni aula! Ma se non ci sono le tempere, le palle, i gessi, le matite, la carta normale e quella per le fotocopie, ma se non c’è niente! Ma se per registrare la voce delle bambine e dei bambini, molti di noi si portano il registratore da casa!

Dà veramente fastidio leggere le parole di chi afferma: "nella mia scuola siamo più avanti della riforma, facciamo già tutto!" Non è così che si dovrebbe dimostrare la propria diversità, bensì dicendo: "nella mia scuola si va piano, si ascolta tanto, si fa grammatica partendo dalle riflessioni e osservazioni sul funzionamento della lingua in situazione di lettura, di conversazione, di parlato…"

Si fa matematica lavorando e ragionando sulle e con le esperienze, non si giochicchia con programmini didattici a volte portatori di errori e inesattezze!

Si integrano le bambine e i bambini stranieri confrontandosi, ascoltandone le narrazioni, le difficoltà, mettendoli al centro del dialogo, giocando in palestra, imparando la loro lingua tutti insieme, anche mentre si fa "grammatica" italiana!

Si fa teatro, si creano storie, si legge tanto, anche le maestre leggono e poi si discute, si mettono a confronto opinioni, si raccontano episodi della propria unicità di esseri umani, minuscoli tasselli del grande mosaico multietnico del mondo.

E così via per ogni "antica e superata disciplina" scolastica che non gode più degli onori delle prime pagine dei giornali, quelle che paiono dimenticate, date per acquisite perché ormai "vecchie". Avanti il nuovo, anche se già si sa che i computer sono subito invecchiati. E avanti la lingua straniera, anche se si sa quale sia il degrado della lingua italiana fuori dalle aule. Anzi, più essa si degrada, più qualcuno annuncia che la soluzione ai problemi del parlato e dello scritto sono lì in uno schermo che ti guarda con la sua facciona blu, con le sue parole dal suono metallico così divertenti per i bambini di oggi. Invece chi vive una buona scuola di stampo "antico" sa che non è vero niente, che i bambini amano il contatto oculare con compagni e maestre, adorano i racconti, le pause e le riprese, impazziscono per le storie che non finiscono mai, per le parole scambiate, per quelle poetiche create, inventate, scolpite su grandi cartelloni…

Le priorità sono poche dentro il cuore del far scuola che è il binomio insegnamento/apprendimento in cui l’insegnante può diventare imparante e il bambino insegnante, in cui le domande più appassionanti sono quelle impreviste e le risposte si trovano lavorando insieme tra pagine, esperienze e anche computer, perché no, ma sempre alla fine di un percorso di indagine che non è mai facile e scontato, che è sempre a rischio di confutazione, e in questo viaggiare tornando indietro e procedendo per piccoli passi c’è il segreto della buona scuola.

La buona scuola è quella dei tempi lunghi, dell’impegno su ciò che piace, ma anche su ciò che riteniamo difficoltoso e non proprio consono alla personalità dell’imparante, sia esso bambino o docente! Allora non ci può essere una buona scuola corta negli orari, non si può togliere tempo o lasciarlo identico e aggiungere materie pensando che si innalzi la qualità, non si può illudere la gente che le teste, i cuori, le scoperte appassionate e faticose si "realizzino" in quattro e quattr’otto, magari con i bambini riuniti a gruppi di livello (in quali ambienti poi, visto il sovraffollamento nei nostri vecchi edifici?), di compito, elettivi, magari personalizzando i piani di studio o liberalizzandoli in quella tenera età in cui "tutto è possibile", in cui ciò che piace ai genitori potrebbe non piacere intimamente ai figli, non si può e non si deve rincorrere una tale astrusità. Astrusità che a prima vista potrebbe parere lucida razionalità: la famiglia responsabile delle scelte culturali dei figli, la scuola al proprio posto a insegnare qualche materia un po’ più nuova delle altre e a conformarsi alle richieste di gruppetti vaganti di bambini indirizzati dalle famiglie, gli uni distaccati dagli altri in lezioni di sport, strumenti musicali, pittura o di che altro ancora in orari aggiuntivi offerti in "pacchettini" preconfezionati, obbligatoriamente erogati dall’istituzione e di altri (pagati?) a richiesta dei genitori stessi.

L’unitarietà non dovrebbe essere soltanto quella del sapere quando si è piccoli e inesperti di se stessi, bensì dovrebbe essere quella delle teste che proprio perché meravigliosamente diverse dovrebbero venire in contatto tutte insieme con l’unitarietà del sapere che chiama la piccola umanità dei nostri alunni a confrontarsi gomito a gomito, intelligenza a intelligenza, ogni giorno nella classe unita.

Qualcuno potrebbe dire che i laboratori a gruppi ci sono sempre stati. E’ vero, ma le esperienze erano le stesse vissute da tutti, scelte dal mondo adulto per il mondo dei piccoli che dovevano misurarsi tutti con tutto ciò che era possibile offrire a tutti, nessuno escluso. E poi alla classe si ritornava tutti insieme per proseguire da una base comune di partenza per altri apprendimenti.

E poi che rabbia notare che le riforme sono tanto vecchie nei modi e nei contenuti, perché tutte si interessano di organizzazione, di orari, di materie da aggiungere, da valorizzare o "dimenticare", senza toccare il cuore del problema scuola che invece è proprio quello dei modi di porsi di fronte al sapere per fare del "capire" il grimaldello con il quale scalzare lo "stare" nell’edificio scolastico nei tempi voluti dall’organizzazione che velocizza qualsiasi cosa e riduce i rapporti umani a un opzional da usare soltanto durante la ricreazione quando anch’essa non sia soggetta in termini di orario alle leggi dell’organizzazione e del cumulo delle materie e dei progetti che dominano la scena della scuola supermoderna: progetto ambiente, progetto ed. stradale, progetto alimentazione, giornata del giardinaggio, serata del riciclaggio e via dicendo…Bambini che partecipano a concorsi e gare, bambini che vanno a ricevere il premio del matematico, bambini che vanno a teatro di fretta tra un progetto e l’altro, bambini che sono sempre in progetto, in vetrina, in situazione, bambini che non si fermano mai, così come i loro poveri occhi davanti allo scorrere delle immagini, così come il loro cervello bombardato da un continuo progetto di progetti…

E pensare che per sapere cosa e come insegnare, oltre a servirsi della propria competenza sempre aggiornata e autocritica, basterebbe fermarsi a guardare un bambino che raccoglie le conchiglie, o che gioca da solo con la sabbia sotto un ombrellone di settembre, quando non c’è più la ressa che corre dentro il progetto di una vacanza ossessionata dalla confusione, per rendersi conto di cosa desidera, di cosa trattano le sue fantasticherie, di come osserva attento somiglianze e differenze delle valve fra le sue mani, di quanto tempo impieghi nel ripetere e ripetere le azioni che ha appena appreso per consolidarne dentro di sé il ricordo…

Chiedo scusa a quelle scuole che da tempo adottavano informatica e inglese, che facevano la grammatica e la geometria di cui parla la signora Moratti, non ce l’ho con loro, non è mia intenzione sminuirle. So che esse non sono state, non sono e non saranno mai come i dettami ministeriali vecchi e nuovi le vogliono, perché in autonomia hanno sempre saputo cogliere sapientemente i problemi e le necessità dei loro bambini.

Non è con queste scuole che ce l’ho, bensì con chi vuole ricondurre ogni scuola (ogni testa?) a un unico modello pedagogico, fosse anche il più efficiente del mondo.

18 settembre ’03

Claudia Fanti


La pagina
- Educazione&Scuola©