L'autonomia didattica ed organizzativa, ovvero l'elogio della modularità

di Giancarlo Cerini

Questioni di metodo

L'art. 21 della Legge 15-3-1997, n. 59 (Bassanini 1) affida una delega all'Esecutivo per realizzare gradualmente l'autonomia delle scuole, delega che richiede di essere concretizzata in regolamenti e decreti applicativi. Poco è trapelato in questi mesi circa l'iter di elaborazione dei provvedimenti "delegati", ed un simile itinerario "carsico" (bozze di documenti informali che compaiono e scompaiono) è stato oggetto anche di uno specifico rilievo critico da parte del CNPI (v. pronuncia sull'autonomia del 25-7-1997).


Esiste un duplice rischio nella stesura dei Regolamenti: a) che l'impianto culturale ed operativo dell'autonomia scolastica sia definito proprio da quell'apparato burocratico che invece dovrebbe ridurre le proprie prerogative, soprattutto nel campo della progettualità educativa e didattica; b) che le suggestioni "federaliste", di cui si è avuta un'eco nei lavori della bicamerale", spostino verso gli enti locali (regioni, province, comuni) il baricentro del governo della scuola, con pericolosi effetti di localismo nelle scelte culturali e gestionali.


A maggior ragione è indispensabile che nella elaborazione di questi provvedimenti la scuola possa esprimere il proprio punto di vista, la propria voce. Occorre evitare, anche mediante questo coinvolgimento, che l'autonomia sia percepita esclusivamente nei suoi aspetti istituzionali e gestionali esterni (personalità giuridica, rapporti con le autonomie locali, norme contabili, ecc.), a scapito di una "lettura" più interna, dalla parte di chi opera in classe, come effettiva prospettiva di "miglioramento" delle condizioni del fare scuola.

La prossima autonomia dovrà registrare un forte spostamento verso le unità scolastiche di effettivi spazi di decisionalità nel campo organizzativo e didattico, di capacità progettuali, di ambiti di responsabilità, di procedure di valutazione e autovalutazione. E, soprattutto, dovrà produrre tangibili miglioramenti nel quotidiani "farsi" degli eventi educativi in classe (altrimenti a che serve ?), mentre molti servizi di carattere amministrativo (dagli stipendi alle carriere, dalle nomine alle pensioni) dovrebbero essere piuttosto gestiti da servizi coordinati in rete, per consentire economie di scala, sull'esempio delle strutture di supporto alle piccole aziende,

Solo così si possono liberare energie, anche amministrative, per sostenere l'autonomia organizzativa e didattica, di ricerca e sviluppo, le vera novità in grado di incidere sulla quotidiana pratica didattica.


L'autonomia al servizio della didattica

Autonomia deve soprattutto significare combinazione intelligente e creativa di tutte le variabili che intervengono nel processo di insegnamento e "ottimizzazione" di tutte le risorse, come prescrive il comma 8, art, 21 della legge 59 cit. ("l'autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell'efficienza e dell'efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture...").


Per inciso, va sottolineato che questa definizione legislativa dell'autonomia organizzativa appare alquanto "metodologica", in quanto sembra mancare un più esplicito richiamo alle "finalità" istituzionali della scuola, rispetto alle quali l'autonomia è uno strumento. In alcuni passaggi della Legge 59/97 si cita comunque il "rispetto degli obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale" e si prescrive l'obbligo di "adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi".


Forse per controbilanciare questa notevole concessione al linguaggio dell'efficienza, il testo dell'articolo è abbondantemente cosparso di richiami alla libertà: l'autonomia "si esplica liberamente", "nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie"; la scelta di metodologie e strumenti è "libera e programmata"; ed ancora, l'autonomia è "espressione di libertà progettuale" ecc. Non manca poi, il dovuto richiamo alla "salvaguardia del principio della libertà di insegnamento". Non si vuole certo mettere in discussione il rilievo costituzionale che assume il tema della libertà di insegnamento (e quindi il collegato principio dell'autonomia scolastica), ma di fronte ad un simile profluvio verbale sarebbe stato gradito un qualche richiamo a quei principi di corresponsabilità, condivisione, collegialità, progettualità che danno sostanza al concetto di progetto di istituto.


Manca -strano, ma vero- nel testo della Legge 59/97 un esplicita fondazione giuridica del PEI o progetto d'istituto. Dovremo forse attenderci un nuovo TAR che metta in mora le pratiche di collegialità connesse all'autonomia ?


Ma torniamo alle risorse da "ottimizzare". Di quali risorse si tratta ?

I docenti: una risorsa "professionale"

La risorsa centrale della scuola (non solo, ma anche in termini economici) sono i DOCENTI. Per essi si prevede un organico funzionale di istituto/circolo, cioè una titolarità più estesa dell'attuale incardinamento in una cattedra o in un plesso, in modo da rendere più ampie e flessibili le possibilità di utilizzazione, in funzione del progetto d'istituto. La legge 59/97 parla esplicitamente di "superamento dei vincoli in materia di...modalità di organizzazione e impiego dei docenti". Va ricordato che oggi gli organici sono assegnati alle singole scuole con criteri puramente numerici, sulla base delle classi autorizzate.


Alcune prime ipotesi di organico funzionale sono state già definite, per la scuola elementare, nella legge finanziaria 662/96, con un'applicazione limitata ai piccoli plessi (sotto i 75 alunni), per i quali gli organici sono stati "ri-sagomati", e con l'introduzione di una quota di organico "perequativo" per apprezzare -nell'assegnazione delle risorse umane- situazioni di particolare bisogno o di carattere innovativo. Analoghi criteri sono previsti anche per le "piccole" scuole medie, ma risultano di più difficile applicazione. La bozza di legge finanziaria per il 1998 accentua il richiamo agli organici funzionali e sembra vagheggiare ipotesi di titolarità/competenza degli insegnanti più ampie e flessibili delle attuali cattedre.


La Legge 59/97 introduce dunque una prima caratterizzazione professionale della prestazione del docente. Se restano fermi solo gli obblighi annuali di servizio, allora l'orario di lavoro supera l'ancoraggio "impiegatizio" alla settimana e diventa possibile una "programmazione plurisettimanale" del medesimo, in relazione alle esigenze, modalità, qualità del progetto educativo (ad es. periodi intensivi, semestri, stages, interventi di accoglienza, arricchimenti, ecc.). Altre misure nella stessa ottica sono rappresentate da un più massiccio utilizzo di forme di incentivazione o retribuzione differenziata, dalla diversificazione degli impegni orari (con la possibilità di stipulare contratti individuali), dall'affidamento di incarichi esterni di docenza ad hoc per specifici interventi formativi (che è contenuta nella bozza di finanziaria 1998).


Nella bozza di ddl sulla parità è prevista, ma solo per le scuole "paritarie", la possibilità di fare ricorso a personale "volontario". In pochi casi (molto più frequentemente all'estero) è diffusa la pratica del "tirocinio formativo" presso le istituzioni scolastiche per coloro che aspirano ad entrare stabilmente nell'insegnamento.


Nella recente esperienza degli istituti comprensivi (scuola materna, elementare e media aggregate nella medesima unità scolastica) viene favorita una più flessibile utilizzazione dei docenti, in un'ottica "verticale", mediante la formula dei "prestiti professionali" (cioè l'intervento con alunni di ordine scolastico diverso, ad esempio per la lingua straniera, le educazione "espressive", il sostegno, ecc.).

Il tempo per apprendere

Il tempo rappresenta una voce essenziale dell'apprendimento. Oggi i tempi sono rigidamente stabiliti nelle tabelle orarie settimanali delle discipline scolastiche. La legge 59/97 ipotizza un monte-ore annuale del curriculum (e limita i vincoli "tabellari" alle sole discipline fondamentali (quali e quante ?). Occorre inoltre uscire dalla rigidità (e povertà) della scansione oraria giornaliera, settimanale e annuale, per ripensare invece ad una gestione efficace del tempo in relazione alla qualità della didattica. Piuttosto che una anonima scansione e ripetizione di blocchi orari (magari "frantumati" in singole unità orarie) assegnati alle diverse discipline è bene pensare, per certi apprendimenti, a situazioni di full immersion, a periodizzazioni intensive (ad esempio, per il recupero delle abilità di base), a tempi distesi (almeno di due ore) per esperienze meno frammentate, o addirittura, a giornate dedicate interamente ad un solo nucleo tematico o disciplinare.


Nel progetto 2002 -sperimentazione di un modello "orientativo" ed equivalente" di biennio secondario superiore- sono già contenute ipotesi organizzative simili a quelle citate nella legge 59/97, in particolare sono previsti: il calcolo delle discipline per monte-ore biennale; una variabilità delle stesse del 15 % in +/- degli standard prefissati; il suggerimento di unità di tempo di almeno 2 ore consecutive; la valorizzazione in chiave didattica della compresenza di più docenti in una medesima fascia oraria e classe.


La riforma della scuola elementare è stato forse l'esempio più rilevante di una organizzazione scolastica improntata alla flessibilità, ma le difficoltà incontrate (con l'accentuazione delle differenze territoriali e geografiche nella qualità e quantità del servizio erogato) devono servire di monito nell'attuale fase di avvio dell'autonomia scolastica. Occorre cioè trovare un giusto equilibrio tra "paletti" (criteri, standard) nazionali e progettualità locale.


La Legge 148/90 prevedeva notevoli margini di discrezionalità in merito a:



variabilità dei tempi scolastici -da 27 a 30 ore settimanali e oltre-; articolazione delle giornate di scuola -su 5 o 6 giorni-; numero dei rientri pomeridiani; oscillazione nei tempi settimanali delle discipline curricolari; modalità diverse di aggregazione delle discipline in ambiti e della loro assegnazione ai docenti. L'analisi dell'attuazione della riforma (v. il recento DOCUMENTO per la VERIFICA e lo SVILUPPO), ha messo in luce rigidità persistenti nella MICRO didattica -anche per un eccesso di prescrittività dal centro- ed un eccessivo "liberismo" nelle scelte MACRO (ad esempio, nei rapporti con gli enti locali, nelle garanzie per il diritto allo studio, nelle strutture edilizie, nei servizi di supporto).


Si è sviluppato oggi un nuovo interesse per il sistema formativo integrato, cioè per un approccio alla formazione che si dilati oltre e al di fuori dei tempi e degli schemi dell'organizzazione curricolare (si pensi alla fruizione di biblioteche, musei, mostre, alle attività sportive, alla cura di interessi e hobby). Si è fornita una risposta parziale con interventi e finanziamenti per l'apertura "pomeridiana" degli istituti scolastici nella scuola superiore. Il tema degli arricchimenti formativi è però assai più ampio, diverso per ogni livello scolastico, ed in grado di incidere sulla "qualità" stessa del curricolo. E' prevedibile, ad esempio, che una parte del curricolo (es. 10 %) sia gestito localmente con la individuazione di insegnamenti opzionali, facoltativi o aggiuntivi.

Dalla classe al gruppo: verso una scuola "virtuale" ?

Anche la gestione dei gruppi dovrà rispondere ad una più raffinata analisi dei bisogni degli alunni e dei loro stili e modi di apprendere. Individualizzare l'insegnamento non significa inseguire un improbabile rapporto uno ad uno con gli alunni, ma far leva su una più mobile articolazione di gruppi, fuori e dentro la classe, in base ad interessi, bisogni, livelli, caratteristiche.

Pure lo spazio (l'elemento più rigido e "povero" dell'attuale organizzazione scolastica) potrebbe avvalersi di soluzioni più originali. Perchè non pensare ad aule con destinazioni monografiche (dove a spostarsi sono gli alunni e non i docenti ?), ad un sistema di laboratori (da intendere come spazi "mentali" prima ancora che fisici), ad aree modulari con specifiche vocazioni didattiche. Ci piace immaginare in ogni scuola una zona per lo studio, la documentazione, la ricerca (dai testi scritti fino ai terminali interattivi delle reti informative e multimediali). Purtroppo nel nostro paese siamo ancora alle prese con concretissimi problemi di disponibilità, agibilità, qualità delle strutture scolastiche, da far apparire fuorviante la prospettiva di una scuola come "luogo virtuale" di un insegnamento/apprendimento che ormai può liberamente svolgersi un una pluralità di "siti".

Autonomia organizzativa e didattica, ovvero "modularità"

Tempi, gruppi, spazi: questi sono gli ingredienti dell'autonomia organizzativa e didattica. Si tratta dunque di passare da un assetto rigido e immutabile della scuola ad un'organizzazione modulare (già abbozzata con scarso successo nella legge 517 del 1977), capace di mettere in movimento ed in connessione le variabili dell'organizzazione scolastica, in funzione del miglior adattamento della proposta formativa alle caratteristiche degli alunni, per "piegare" le scelte organizzative alle ragioni del miglior apprendimento possibile (e non viceversa). Questo spesso non avviene nelle nostre scuole, per la resistenza delle abitudini, la persistenza delle routine o la piccineria delle indicazioni prescrittive dei "controllori" (siano essi il Ministero, gli Ispettori, o i Dirigenti scolastici). Il caso della riforma della scuola elementare è, in proposito, emblematico.

Ecco perchè pensiamo che l'approvazione della legge per l'autonomia possa costituire un'ottima occasione per il rilancio, la regolazione e lo sviluppo "dal basso" di una riforma della scuola che deve essere, in primo luogo, una riforma culturale, professionale, di atteggiamenti e comportamenti. Si tratta di riscoprire in profondità il concetto di MODULARITA', per renderlo effettivamente operante nella scuola di tutti i giorni. L'elaborazione di buoni regolamenti operativi, che partano dalle concrete anticipazioni di autonomia che si sono già realizzate nelle scuole più intraprendenti (quelle che il Censis definisce del "benessere vitale"), rappresenta il prossimo tassello di un percorso di riforma che appare comunque ancora lungo.