A CHE PUNTO SIAMO CON LA FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI?
Bilanci e prospettive, prima dell’avvio della nuova Direzione Generale per la Formazione (*)

a cura di Giancarlo Cerini

 

I trends della formazione: dall’aggiornamento allo sviluppo professionale

Non si può dire che gli insegnanti non abbiano curato in questi anni il loro aggiornamento professionale. I dati sui livelli di partecipazione sono impressionanti. Oltre il 95 % dei docenti negli ultimi due anni ha frequentato almeno un corso di aggiornamento (per lo più di breve durata, circa 20 ore, prevalentemente all’interno della scuola di appartenenza). Sulla qualità di queste iniziative il giudizio degli esperti è assai drastico, ma sembra essere smentito dagli interessati (i docenti) che, in una recente indagine realizzata dall’istituto di ricerca IARD per conto del Ministero, hanno attribuito la "sufficienza" al loro aggiornamento, soprattutto nella scuola di base (Grassi, 1999).

Tab. 1 – Valutazione delle attività di aggiornamento frequentate

  Materne Elementari Medie inferiori Medie superiori
Valuta l’aggiornamento:

- Molto o abbastanza adeguato

- Poco o per niente adeguato

 

76,6

 

23,4

 

68,2

 

31,8

 

61,8

 

38,2

 

54,6

 

45,4

Fonte: G.Gasperoni, Gli insegnanti di fronte al cambiamento, IARD, pre-print, 1999

Il fatto è che i docenti, ormai, ci tengono alla loro formazione. Non è solo questione di carriera, anche se un buon "curriculum" può aprire la strada ad un riconoscimento economico consistente. Sanno che la professionalità richiede una "manutenzione" continua, perché i ragazzi cambiano e bisogna affinare gli strumenti per osservarli, conoscerli, capirli, per partire dai loro "stili" di apprendimento e dalle loro motivazioni, che spesso vanno ri-costruite; cambiano anche i saperi da proporre agli allievi, perché c’è una evoluzione incessante della ricerca e aumentano le attese della società nei confronti della scuola; cambiano, infine, le tecniche della comunicazione e della mediazione didattica: non basta spiegare ed interrogare, occorre attivare funzioni di sostegno personalizzato, di tutoring, di orientamento (Zambelli, 1999).

E’ anche per far fronte a questa domanda più matura che stanno cambiando le "regole" dell’aggiornamento. Anche nelle scelte contrattuali si avverte questo nuovo "spirito". Da obbligo di servizio (non è di molti anni fa la ricerca spasmodica di "bollini" per raggiungere il fatidico tetto delle 100 ore di aggiornamento nell’ultimo sessennio di servizio), la formazione in servizio diventa un "diritto" da esercitare con piena consapevolezza e nuove motivazioni. I modelli formativi, di conseguenza, si trasformano e tendono a privilegiare la domanda personalizzata dei docenti piuttosto che l’offerta generica di corsi di aggiornamento da parte dell’amministrazione (10.000 corsi nel 1998) o di enti e associazioni professionali (altri 10.000 corsi riconosciuti) (CFI, 1998).

Oggi si guarda con più attenzione all’Europa e a quanto in altri paesi si è già sperimentato in questi ultimi anni. Un forte impulso è stato offerto dalla costituzione di una apposita struttura di coordinamento nazionale presso il Ministero della Pubblica Istruzione (il CFI -Coordinamento Formazione Insegnanti) che ha riorientato le politiche della formazione in servizio verso modelli più interattivi, centrati sul soggetto (si parla infatti sempre più spesso di sviluppo professionale), sulla scuola (e si afferma l’idea della scuola dell’autonomia come laboratorio di ricerca e formazione), sulla costituzione di comunità di pratiche (con lo sviluppo dei sistemi telematici e la formazione on line o a distanza) (Dutto, 2000 b).

Nonostante questi sforzi generosi l’impressione è ancora quella di una grande distanza tra le aspettative degli insegnanti e la realtà dei comportamenti operativi ed amministrativi. I ritardi sono ancora all’ordine del giorno, le risorse sono ancora irrisorie, i modelli formativi non sempre sono all’altezza delle esigenze. L’investimento sulla formazione appare ancora del tutto marginale nelle politiche di bilancio della Pubblica Istruzione (appena lo 0,3 % dell’intero ammontare della spesa del settore, rispetto all’1 % che molti paesi europei normalmente dedicato alla formazione del personale della scuola).

Dietro le difficoltà contingenti (in una sorta di "stallo" tra rivendicazioni sindacali e inerzie amministrative) si cela però un problema di cultura della professione docente, di buone e fondate idee sul "fare formazione", di buoni esempi ed esperienze trainanti da diffondere a costi relativamente contenuti (Laporta, 2000).

 

La professione docente tra crisi, depressione e speranze

Il tema della formazione in servizio è oggi fortemente connesso alla "crisi" della condizione della professione docente. C’è stata negli ultimi anni una acuta domanda di visibilità, di identità professionale, di riconoscimento sociale e culturale per un lavoro percepito come marginale, non solo per le vicende contrattuali considerate deprimenti dalla grande maggioranza dei docenti, ma anche dall’inquietudine per il rischio di una estinzione della funzione di insegnamento affidata ad adulti (i docenti) operanti presso appositi edifici (le scuole), in favore di modalità molto più libere di trasmissione/acquisizione delle conoscenze (l’apprendere ovunque e comunque).

La ricerca di una desiderata affermazione professionale, mediante l’affrancamento dalla condizione di impiegati depressi, oscilla ancora tra le marce dell’orgoglio docente e la effettiva partecipazione a processi di innovazione e di crescita professionale (Cavalli, 1992).

Si è però aperta una ricerca sul carattere dinamico, evolutivo, costruttivo dell’identità professionale. L’insegnante vive in una comunità "artificiosa", il suo fare cultura si circoscrive spesso alle sole pareti della scuola. Occorre rompere questo isolamento, caratterizzandosi come gruppo intellettuale che dialoga con la comunità esterna, che contribuisce allo sviluppo culturale di un territorio, dell’intero paese (questo è, in fondo, il messaggio contenuto nell’autonomia scolastica).

L’insegnante diventa un professionista se consolida una propria biografia professionale, se entra in un ciclo vitale di esperienze di crescita culturale, che comporta la partecipazioni ad azioni (il "normale" insegnamento, i progetti, le ricerche, i corsi, ecc.), ma soprattutto la capacità di riorganizzare e migliorare le proprie esperienze di lavoro attraverso un approccio che si può definire cognitivo-riflessivo, cioè rimettendo in gioco le proprie risorse cognitive ed emotive (Quaglino, 1985).

L’insegnante non può seguire i processi innovativi, ma anticiparli, stare davanti, se possibile partecipare attivamente alla loro costruzione. Ovviamente, vanno definite le condizioni istituzionali per favorire questo "protagonismo" (e il riferimento alla vicenda del Riordino dei cicli non è casuale).

 

L’insegnante professionista riflessivo

L’insegnante non è un bricoleur, perché non si limita ad utilizzare una quantità di repertori e di tecniche senza capitalizzarle; sa ragionare sulle pratiche con strumenti concettuali (Schon, 1993). Il lavoro del docente non è solo mestiere, perché ci sono qualità aggiuntive, definite dai saperi (le competenze), i valori (le responsabilità), la riflessività (la consapevolezza, l’essere presenti a se stessi). Al centro della professione docente ci sono domande etiche, responsabilità istituzionali: l’etica del lavoro ben fatto, l’impegno verso i ragazzi, la formazione di persone e cittadini consapevoli ed attivi. I saperi rimandano ad un rapporto adulto con la cultura, con i saperi disciplinari, che andranno incentivati con scelte di politica della formazione. Lo spessore tecnico-pragmatico del lavoro docente rimanda ad una interpretazione evoluta dei modelli di apprendimento degli allievi e delle condizioni per favorirlo (troppo spesso le attività di formazione dei docenti si muovono su di un piano astratto e teorico piuttosto che sul "come si insegna" e sui risultati effettivamente ottenuti in classe).

La dimensione culturale della professione docente comprende senza dubbio la padronanza dei nuclei fondamentali delle discipline oggetto di insegnamento, cioè delle conoscenze essenziali, dei quadri concettuali, della connessione di informazioni e nozioni riferibili a specifici contenuti disciplinari. Tale padronanza dovrà estendersi alle conoscenze di tipo procedurale, di tipo immaginativo, di tipo rappresentativo, assai ricche sotto il profilo formativo ed indispensabili sul piano professionale.

Nel curricolo verticale ogni disciplina va dunque "riscoperta" nelle sue valenze formative, di stimolo all’apprendimento. Questa prospettiva consente di offrire una cornice unitaria a tutto il percorso curricolare, dai 3 ai 18 anni. Nella scuola di base si tratta di superare una diffusa ostilità nei confronti dei saperi "disciplinari", realizzando un rapporto più "costruttivo" con i "saperi" e scoprendo la forza "gnoseologica" di ogni disciplina.

E' necessario che il docente mantenga un rapporto "adulto" con la propria disciplina di insegnamento, curando relazioni costanti con i centri di ricerca, le università, le riviste specializzate, le frequentazioni culturali.

L’insegnante non si limita ad utilizzare repertori di strumentazioni utili a gestire l’insegnamento, ma ritorna sulle esperienze quotidiane in termini di riflessività. Inoltre è orientato da una spiccata sensibilità pedagogica, che gli consente, ad esempio, di "vedere" come il contesto implicito della classe condizioni la dinamica insegnamento-apprendimento.

È sempre più difficile per un insegnante comprendere le trasformazioni antropologiche degli allievi che ha di fronte (con il loro universo comunicativo, l’immaginario mass-mediologico, gli stili di vita) e rapportarle con i cambiamenti dei paradigmi della cultura contemporanea. Bisogna essere riflessivi per cogliere le relazioni, i possibili rapporti, le dinamiche più profonde, le fantasie, i conflitti che animano gli allievi.

Le competenze didattiche comportano la focalizzazione sulla organizzazione della classe, sull’uso del tempo, sulle forme di raggruppamento dei ragazzi, sulle dinamiche relazionali, sugli stili comunicativi. Si può rendere più efficace l'insegnamento, affinando l'uso dei codici linguistici, tenuto conto che l'insegnamento viene veicolato fortemente dalla comunicazione verbale e dai materiali scritti dei libri di testo. E’ decisiva, ai fini di un miglioramento degli esiti formativi, l’attenzione ai prerequisiti dell’apprendimento, agli stili cognitivi, alle dominanze e preferenze.

Occorre personalizzare l’offerta formativa, con la messa a punto di dispositivi di individualizzazione, attraverso la valutazione formativa, la guida all’apprendimento, le funzioni di tutoring per sollecitare al massimo l’apprendimento degli allievi.

L’insegnante dovrà padroneggiare le tecniche della trasmissione culturale, della comunicazione, della relazione educativa (da come si gestiscono i materiali didattici a come si lavora sul testo del manuale, a come si migliora il clima nella classe). Questa dimensione tecnico-pragmatica non va svilita, perché rappresenta la specificità maggiore dell'essere insegnanti, che è quella di favorire, facilitare, sostenere attivamente l'apprendimento degli allievi.

 

Una identità professionale dinamica

Le domande sulla professionalità devono tenere conto del nuovo contesto determinato dalla scuola dell’autonomia e dall’affidamento alle scuole di molte responsabilità nella costruzione e gestione del curricolo. E’ una professione che si sviluppa in luoghi diversi:

nella classe, a contatto con gli allievi, maturando idee sull’apprendere, sulla qualità del contesto, sull’attenzione agli interlocutori; non a caso si è parlato di un fattore "C" (c come classe) che determinerebbe la qualità dell’insegnamento al di là delle condizioni socio-culturali di appartenenza dei ragazzi (DE Mauro, 1995);

nella scuola, utilizzando i nuovi spazi progettuali offerti dall’autonomia; l’autonomia di ricerca e sviluppo è una straordinaria occasione per lo sviluppo professionale: aumenta la discrezionalità professionale (saper progettare l’azione formativa, gestire la flessibilità, valutare i risultati), che implica un processo continuo di ricerca, progettazione, autovalutazione;

nella comunità, perché si amplia l’ambiente di apprendimento, per i ragazzi ma anche per gli insegnanti; nascono progetti collaborativi esterni, che si intrecciano con le nuove tecnologie, i nuovi legami, gli spazi virtuali. Gli insegnanti non apprendono solo a scuola, ma a contatto con altre professioni sociali e culturali, partecipando ad imprese "adulte" (la maturità professionale non è solo pratica).

La vita professionale si configura come un ciclo dinamico che investe le scelte dei singoli nei momenti della formazione iniziale, della induzione alla professione (ingresso guidato sul posto di lavoro), nella formazione continua in servizio. Questo percorso avviene nella scuola come luogo istituzionale (e con l’autonomia aumenta il senso di appartenenza alla propria istituzione, anche con qualche rischio di autarchia), ma rimane fondamentalmente un processo che coinvolge i singoli.

Infatti un adulto apprende se è adeguatamente motivato a farlo, se i nuovi apprendimenti si legano alla propria esperienza, se si riutilizzano le proprie esperienze sul lavoro. Questo approccio rimanda ad una idea di professionalizzazione orizzontale: apprendere, crescere, anche attraverso lo scambio, la partecipazione, l’arricchimento, la valorizzazione reciproca. Fa parte dell’epistemologia della professione la partecipazione a comunità scientifiche e professionali, che si qualificano come ambienti integrati di apprendimento. Occorre dunque favorire la costituzione ed il consolidamento di un sistema di sostegno e di cura della professione.

 

Scheda di riflessione: da Marczely, 1999:

Tra gli adulti l’apprendimento è efficace se i cambiamenti (effetto dell’apprendimento) incidono su di loro individualmente.

La formazione, quindi, per essere efficace deve basarsi sulla vita lavorativa quotidiana, ma in una forma che procuri stimolo intellettuale.

Una formazione proficua deve impegnare gli insegnanti in un’analisi prolungata dell’insegnamento come attività professionale.

La didattica in servizio è orientata verso obiettivi immediati di training collettivo, mentre lo sviluppo professionale presuppone un impegno in attività permanenti e significative per la persona.

I bravi insegnanti integrano nelle loro classi una varietà di strategie didattiche sapendo che non esiste una strategia che funzione al meglio per tutti.

La stessa necessità di individualizzazione dell’insegnamento in classe esiste anche per lo sviluppo professionale degli insegnanti.

Come possono reagire i docenti posti di fronte alle medesime opportunità di sviluppo professionale

Onnivori – utilizzano in modo attivo ogni possibile aspetto dei sistemi formali ed informali di aggiornamento a loro disposizione.

Consumatori attivi – approfittano di molte, ma non di tutte le opportunità di crescita.

Consumatori passivi – sono disponibili quando le opportunità si presentano da sole, raramente le cercano o intraprendono nuove attività.

Reticenti – difficilmente ricercano attività formative o stimoli, a meno che non si tratti di aree dove si sentono già affermati.

Refrattari – evitano praticamente ogni attività orientata alla crescita.

L’attuale sistema non considera queste diversità e pretende che tutti marcino all’unisono. Si dovranno invece prevedere iniziative che tengano conto di questa diversità.

Come apprendono gli adulti

Elevato grado di autogestione

Dalle esperienze, che formano una base di conoscenza

Attraverso la risoluzione di problemi

Essi, per questo, hanno bisogno di poter scegliere.

Fonte: La scheda è stata rielaborata da M.Spinosi nell’ambito di un corso di formazione a distanza dell’Università di Roma-Tor Vergata.

 

La cultura dell’autonomia

Nella scuola dell'autonomia cambia il "senso" dell’aggiornamento, perché aumentano le responsabilità professionali dei docenti nella elaborazione del Piano dell’offerta formativa del proprio Istituto. Essi devono saper progettare l'azione formativa gestendo le nuove condizioni di flessibilità, di modularità e di discrezionalità metodologica, ma nello stesso tempo devono garantire il raggiungimento degli standard prefissati, imparando a valutare i risultati didattici e a promuovere azioni di miglioramento (da un documento di lavoro del Ministero P.I.-Coordinamento della Formazione Insegnanti, 1999).

La formazione in servizio non può dunque esaurirsi nella frequenza sporadica di qualche corso di aggiornamento, interno od esterno alla scuola, ma implica l’adozione di nuove strategie e di misure innovative, alcune delle quali già previste dal Contratto Nazionale di Lavoro 1998-2001 (e nell’ancor più recente Contratto integrativo del 31 agosto 1999): acquisizione di specializzazioni universitarie, partecipazione a gruppi di ricerca, "bonus" per corsi di alta qualificazione, ecc. Ogni docente avrà diritto ad un proprio percorso personalizzato di sviluppo professionale, mentre ogni scuola -usufruendo di un apposito budget finanziario- dovrà impegnarsi nella elaborazione di un sistema di opportunità formative per il proprio personale. Il 50 % delle risorse per l’aggiornamento sono in questo momento direttamente "dirottate" sui bilanci delle singole scuole autonome (CFI, 2000a).

Oltre all’ordinario canale del Piano provinciale di Aggiornamento (con fondi da distribuire alle scuole senza una preventiva presentazione di progetti) esiste il canale dei fondi per l’autonomia (legge 440/97): è possibile utilizzare i fondi destinati a finanziare il Piano dell’Offerta Formativa anche per incrementare le opportunità di formazione degli insegnanti, utilizzando con molta libertà il budget di scuola.

La formazione in servizio per diffondere la cultura dell’autonomia si collega strettamente all’ambiente di lavoro, è orientata alla crescita della discrezionalità professione dei docenti ed è finalizzata al miglioramento dei risultati degli allievi. La scuola dell’autonomia, con le sue occasioni di ricerca, incontro, progettazione, verifica, si trasforma in un contesto di apprendimento per gli adulti che operano in esso (Cerini-Cristanini, 1999).

Essa può diventare in un vero e proprio Laboratorio per lo sviluppo professionale, come afferma la Direttiva 1999 per l’aggiornamento (n. 210 del 3-9-1999).

 

Scheda di approfondimento: da B.Marczely, 1999.

Miglioramento collaborativo della scuola

Aspetti caratterizzanti

Idea forte: Sono i docenti a realizzare la "missione" della scuola e a rispondere ai suoi obiettivi.

Strategia di base: Sviluppare le opportunità di crescita professionale rimanendo nell’ambito dei bisogni concreti della scuola.

Descrizione

In un contesto di apprendimento cooperativo degli adulti sono i docenti che compilano curricoli, scelgono gli strumenti, effettuano la valutazione dei metodi didattici, studiano le politiche di sviluppo.

Per realizzare un valido cambiamento i gruppi di docenti devono:

individuare i bisogni generali

formulare risposte appropriate

elaborare un piano di azione

sviluppare delle procedure che valutino l’efficacia del progetto.

I progetti possono riguardare qualsiasi tema che influenza l’ambiente scolastico.

Presuppone:

che gli adulti imparano in modo più efficace se c’è una reale necessità di conoscenza o un problema da risolvere.

che la partecipazione attiva alla gestione della scuola e la compartecipazione intellettuale produce miglioramenti nell’apprendimento dello studente e aumenta la soddisfazione e l’efficacia dell’insegnante.

Punti di forza

Attraverso il coinvolgimento nei processi gli insegnanti imparano a comprendere i diversi punti di vista e diventano più abili nella leadership e nel problem-solving.

Gli obiettivi/bisogni individuali vanno di pari passo con quelli istituzionali.

Sviluppo della cooperazione professionale, della leadership e dell’iniziativa individuale nel contesto del progetto.

Il progetto conferisce potere agli insegnanti impegnati nella sua realizzazione.

Punti di debolezza

Se manca il sostegno istituzionale (da parte del dirigente scolastico) tutti gli aspetti positivi possono trasformarsi in negativi.

Impreparazione e mancanza di disponibilità dei dirigenti scolastici.

 

Fonte: La scheda è stata rielaborata da M.Spinosi.

 

Le risorse interne ed esterne alla scuola

Per realizzare questa prospettiva organizzativa e culturale, all’interno di ogni scuola andrebbe previsto l’allestimento di un DIPARTIMENTO per la ricerca, la formazione, la documentazione e l’orientamento (sull’esempio di analoghe strutture esistenti in altri paesi europei, es: in Francia), che si qualifichi come sede/struttura in grado di sostenere l’autonomia di RICERCA e SVILUPPO prevista dall’art. 21 della Legge 59/97 e consenta di promuovere piani formativi personalizzati e di istituto.

La presenza di un centro di documentazione potrebbe rendere effettivamente fruibili per studenti ed insegnanti le risorse documentarie per la didattica (biblioteca, mediateca, ecc.) con possibilità immediate di stabilire forme più vaste di comunicazione e relazioni (accessi a reti telematiche, lavoro cooperativo, formazione a distanza, ecc.) (CFI, 2000 b).

All’esterno della scuola, in un ambito territoriale sufficientemente definito, la presenza di una rete di CENTRI RISORSE e di LABORATORI TERRITORIALI (di carattere sia generale, che specialistico) può mettere a disposizione della scuola ulteriori servizi per la formazione dei docenti e la ricerca didattica (come afferma l’art. 7 del Regolamento dell’autonomia, DPR 275/99).

 

La scuola come Laboratorio per lo sviluppo professionale

Il contesto operativo e di lavoro si qualifica –ormai in ogni settore produttivo- quale ambiente per una più matura professionalizzazione degli operatori. A maggior ragione nel campo della formazione scolastica, il lavoro degli insegnanti può essere valorizzato in senso formativo, soprattutto nei momenti di forte innovazione, come è l’attuale (Summa-Armone, 1997).

Nella scuola dell’autonomia possono essere individuate le seguenti opportunità formative:

utilizzare i momenti di collegialità (collegio dei docenti, dipartimenti disciplinari, team di classe) come occasioni di formazione, intesa come riflessione sulle pratiche didattiche e loro rielaborazione;

avviare programmi di ricerca e di sperimentazione, a partire dalla gestione del Piano dell’Offerta Formativa, da intendersi come stimolo all'elaborazione di più organici curricoli, articolati per obiettivi formativi e competenze degli allievi;

promuovere una cultura della valutazione formativa che consente di incentivare la conoscenza dei processi di apprendimento e la comprensione delle competenze via via raggiunte dagli allievi, nella prospettiva della continuità e coerenza del percorso formativo;

individuare funzioni-obiettivo che sappiano interpretare i bisogni specifici della scuola, in termini di coordinamento curricolare, di raccordo organizzativo tra le diverse unità operative, di più intensa connessione con il territorio;

realizzare un dipartimento per la ricerca, la documentazione e la formazione che possa fungere da centro risorse interno all'istituto, con il compito di alimentarne la progettualità e di stabilire relazioni con le strutture esterne;

costituire un nucleo interno di valutazione con il compito di raccogliere informazioni e dati sulla produttività culturale dell'istituto, predisporre indicatori per regolarne lo sviluppo qualitativo, attivarsi per promuovere la comunicazione pubblica verso l'esterno.

Verso tali obiettivi potranno essere finalizzate le risorse finanziarie messe a disposizione delle scuole, sia tramite i fondi previsti per la formazione dalla Legge 440/97 (cultura dell’autonomia), sia i fondi annuali per il Piano Nazionale di Aggiornamento.

Le tipologie di attività cui è possibile fare ricorso sono individuate nella Direttiva 3 settembre 1999, n. 210:

organizzazione di corsi di formazione, normalmente in rete e attivazione di laboratori territoriali;

la partecipazione di docenti a corsi offerti da Università, IRRSAE ed altri soggetti (con spese a carico della scuola);

i processi di autoformazione, individuale o di gruppo, con supporti multimediali;

l’adesione a progetti formativi riconosciuti, la partecipazione a ricerche didattiche, la collaborazione con l’Università per i tirocini, l’anno di formazione, ecc.

l’acquisto di servizi di consulenza ed assistenza offerti da esperti o agenzie.

La valorizzazione in senso formativo del lavoro degli insegnanti potrebbe esplicarsi nell’ambito di progetti di miglioramento dell’offerta formativa ed in relazione all’attivazione di nuove funzioni-obiettivo all’interno dell’organizzazione scolastica (Contratto integrativo del 31 agosto 1999).

 

Migliorare le pratiche esistenti

Lo scarto tra le ipotesi prefigurate ormai in numerosi documenti "ufficiali" e la realtà dell’aggiornamento è assai rilevante.

Una sia pure sommaria analisi delle prime iniziative di formazione "monitorate" nell’ambito dei progetti di sperimentazione dell’autonomia (ci riferiamo all’indagine compiuta dalla BDP mediante le schede inviate nell’anno 1999 a tutte le scuole) mette in evidenza il permanere di alcune caratteristiche "routinarie" nella gestione delle attività di formazione:

prevalenza delle tipologie corsuali (quando non addirittura di semplici conferenze e dibattiti);

scarsa presenza di innovazione tecnologica (assenza di esperienze di formazione a distanza, autoformazione assistita, ecc.);

limitato ricorso a metodologie operative ed interattive;

utilizzo prevalente di risorse interne (specie nella progettazione delle attività);

ricorso a formatori esterni, con qualifiche "scolastiche" (insegnanti, capi di istituto, ispettori);

sensibilizzazione sui temi generali dell’autonomia, rispetto all’approfondimento di questioni più mirate come la progettazione, l’autovalutazione, la gestione del POF;

attenzione ancora marginale all’analisi disciplinare ed alla progettazione curricolare;

domanda prevalente verso temi apparentemente più generici, come l’innovazione metodologica e la flessibilità organizzativa.

Queste tendenze sono solo parzialmente scalfite dai nuovi dati del Monitoraggio 2000, che comunque segnalano l’aumento dei percorsi personalizzati di formazione e l’inserimento dei docenti in circuiti di ricerca/azione, nonché una maggiore attenzione alle questioni di carattere curricolare e disciplinare) dimostrano che non è sufficiente un incremento delle risorse finanziarie (pur necessarie), per migliorare la qualità della formazione. Occorre una strategia più articolata di ricerca e di sostegno. E’ quanto ci si aspetta da tutti i protagonisti dell’autonomia: insegnanti e scuole, in primo luogo, ma anche Università, IRRSAE e Amministrazione scolastica, per le loro funzioni di supporto tecnico all’innovazione. E’ quanto ha cominciato a proporre il CFI-Coordinamento Formazione Insegnanti, nelle annuali Direttive sulla formazione diramate dal Ministro della Pubblica Istruzione (M. Dutto, 2000).

 

Verso nuovi modelli formativi

A livello nazionale, si sta infatti sviluppando una ricerca volta ad individuare una gamma di tipologie e di modalità di formazione più articolata di quella normalmente in uso.

Si riportano, da un documento di lavoro del Coordinamento Formazione Insegnanti del Ministero, elaborato dal Direttore Generale Mario Dutto, quelle ritenute più significative.

a. Corsi brevi

Si tratta di corsi tradizionali per modalità organizzative ed espositive, ma che non per questo devono essere esclusi dal panorama formativo. Un ciclo di incontri interessanti, una buona lezione frontale possono ancora rappresentare delle risorse se rispondono ad una precisa domanda degli insegnanti.

b. Stage formativi

Rispondono all’esigenza di una formazione intensiva e mirata in contesti stimolanti di carattere extrascolastico. Possono collegare il mondo della scuola con quello del lavoro (nel caso in cui si chiamano in causa esperienze e risorse di tipo aziendale ed imprenditoriale), dei servizi sociali, della ricerca, dei beni culturali.

c. Master

L’approfondimento di tematiche di interesse culturale e professionale può trovare una risposta qualificata nella fruizione di corsi master e/o di specializzazione presso sedi universitarie o istituto di formazione di alto livello.

d. Programmi temativi sulla TV satellitare

Le esperienze effettuate di recente (come i programmi sugli esami di stato e sull’intercultura) o in via di realizzazione (multimedialità, autonomia, ecc.) stanno mostrando le potenzialità di sviluppo dei nuovi media. Le modalità di fruizione diretta delle trasmissioni negli appositi centri di ascolto andranno accompagnate da forme interattive di comunicazione attraverso «siti dedicati» e supporto di tutor.

e. Reti di insegnanti

La costituzione di reti locali favorisce gli scambi di materiali, gli accessi alle informazioni, l’avvio di dibattiti, la costruzione condivisa di progetti e percorsi didattici; rappresenta un aiuto notevole per lo sviluppo di comunità di pratiche e per il sostegno all’autoapprendimento. In questo ambito un ruolo decisivo può essere svolto dalle associazioni (professionali e disciplinari) dei docenti.

f. Borse di ricerca

La padronanza degli strumenti di ricerca educativa può essere stimolata dall’assegnazione di borse di ricerca, da destinare a docenti che svolgono prevalentemente attività in classe e desiderano accrescere la qualità della pratica didattica e dell’apprendimento degli studenti, mediante rapporti qualificati con il mondo della ricerca.

g. Collaborazione con l’università

Sono già numerose le modalità di interazione tra scuola e Università: dalla frequenza a corsi qualificati, all’interazione collaborativa in rete, dai rapporti individuali o per gruppi di docenti intorno a progetti di ricerca comune alla collaborazione per la formazione dei nuovi insegnanti.

h. Formazione on line

La formazione a distanza di ultima generazione è destinata ad occupare un posto di rilievo nel prossimo futuro. Essa risponde al bisogno di superare le contingenze ed i limiti delle singole realtà territoriali e di trovare risposte adeguate alla molteplicità e diversità dei bisogni formativi dei docenti.

i. Laboratori didattici

Il laboratorio costituisce una delle più efficaci modalità di ricerca didattica. Rappresenta la condizione migliore per fare dell’esperienza in classe uno strumento privilegiato di apprendimento professionale. Esso può avere diverse tipologie quanto a sistematicità, modalità di utilizzo, utenza, elementi di supporto a disposizione.

j. Consulenza e assistenza consulenziale

Disporre nelle scuole di una consulenza qualificata a sostegno della progettazione è un’esperienza coerente con le prospettive dell’autonomia. Esperti, team di esperti, agenzie accreditate, istituzioni, enti, associazioni possono offrire sevizi di consulenza e le scuole possono stipulare con essi apposite convenzioni.

Le ipotesi descritte sono messe alla prova concretamente all’interno di alcuni progetti formativi, di carattere nazionale, che il CFI ha direttamente promosso e coordinato con apposite risorse.

Post-scriptum

Con la riforma dell’amministrazione scolastica, recentemente divenuta operante (con il Dpr 347 del 6-11-2000) il CFI-Coordinamento Formazione Insegnanti, gracile struttura abbinata alla Direzione Generale Scuola Media Non statale, si trasforma in una ben più promettente Direzione Generale per la Formazione e l’Aggiornamento del personale della scuola, nell’ambito del novello Dipartimento per lo sviluppo dell’istruzione.

Non ci aspettiamo certamente che la nuova struttura adotti una politica di gestione centralistica dell’aggiornamento (sarebbe contraddittorio con la scelta dell’autonomia e con gli orientamenti espressi nelle Direttive più recenti in materia di formazione), ma che diventi ancora più incisiva quell’azione di indirizzo e governo strategico della qualità della formazione che era stata intrapresa negli ultimi anni. Vogliamo qui ricordare l’elaborazione di standard di qualità della formazione, le procedure per l’accreditamento di agenzie ed associazioni, l’adozione di misure innovative (borse di ricerca, master universitari, centri risorse), il ricorso alle nuove tecnologie , lo sviluppo di progetti nazionali di ampia portata (funzioni obiettivo, ecc.).

Peccato che l’autore di tante nuove idee, il Direttore Generale Mario Dutto responsabile del Coordinamento Formazione Insegnanti del MPI, sia stato –con inaspettata "mossa" del Ministro De Mauro- dirottato a dirigere la pur prestigiosa Direzione Regionale della Lombardia.


 

Riferimenti bibliografici

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M.G.Dutto, Introduzione a B.Marczely, Personalizzare lo sviluppo professionale degli insegnanti, Erickson, Trento, 1999.

B.Marczely, Personalizzare lo sviluppo professionale degli insegnanti, Erickson, Trento, 1999.

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F.Zambelli-G.Cherubini (a cura di), Manuale della scuola dell’obbligo: l’insegnante e i suoi contesti, Milano, Angeli, 1999.

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Ministero P.I.-Coordinamento Formazione Insegnanti (a cura di A.Gazzetti-S.Boarelli), Conoscere per decidere. La formazione in servizio 1998-99, MPI, GESP, Città di Castello, 2000c.

M.G. Dutto, La formazione continua degli insegnanti: ieri, oggi, domani, in "Annali della Pubblica Istruzione", n. 1-2 (2000).


(*) Il presente saggio è in corso di pubblicazione all’interno di un volume dell’IRRSAE Emilia-Romagna, curato da Ivana Summa, per i tipi dell’editore Tecnodid.