LA SPERIMENTAZIONE: UNA STRATEGIA PER L’INNOVAZIONE NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA

Giancarlo Cerini

 

Check-up alla scuola materna

Il rapporto tra scuola dell’infanzia e riordino dei cicli, in questi anni di intense riforme, è rimasto alquanto in ombra. Un po’ perché travolto dalle grandi questioni che hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica e degli addetti ai lavori (come l’ampliamento dell’obbligo scolastico e formativo, la "fusione" tra scuola elementare e media, il "destino" degli eventuali docenti in esubero), un po’ per il mancato anticipo dell’obbligo scolastico a 5 anni, è sembrato che la questione della scuola dell’infanzia subisse una battuta d’arresto quasi a sanzionare la sua tradizionale marginalità rispetto ai piani "alti" del sistema scolastico italiano.

Chiediamoci, però, se ha ragion d’essere questa auto-percezione di debolezza istituzionale da parte di una scuola che ancora teme di essere considerata una "non-scuola". ? Quali sono i vantaggi (o gli svantaggi, a seconda dei punti di vista) che le scelte operate dalla legge n. 30 del 10-2-2000 (il riordino dei cicli) apporta alla attuale situazione della scuola dell’infanzia ? E, più in dettaglio, quali sono le opportunità che si aprono per questo settore scolastico con il Decreto ministeriale n. 91 (firmato il 21 maggio 2001), che preannuncia una nuova stagione (almeno triennale) di sperimentazione di ordinamenti e curricoli per la scuola dai 3 ai 5 anni.

Se osserviamo i tassi di iscrizione dei bambini italiani alle scuole materne, registriamo una delle percentuali più alte d’Europa (siamo ormai al 96 % della fascia d’età considerata). Nei fatti la frequenza è generalizzata, anche se restano ampie zone di disagio (come nelle grandi aree urbane del Sud) e i dati reali sulla effettiva partecipazione dei bambini alle attività educative deve essere attentamente verificata (per non citare, poi, il caso degli orari "ridotti" e "parziali" di funzionamento del servizio in molte regioni, a partire da Puglia, Campania e Sicilia).

La rete delle scuole è assai estesa e vede una presenza pluralistica suddivisa in tre grandi tipologie di gestione (scuole statali, circa il 55 %; scuole comunali, circa il 15 %; scuole private, circa il 30 %). L’approvazione della legge sulla parità scolastica (la n. 62 del 10-3-2000) consente, ora, di favorire un progressivo avvicinamento tra i diversi modelli organizzativi (che hanno alle spalle un solido ancoraggio alle rispettive tradizioni sociali, culturali e professionali) con una più esplicita individuazione degli standard minimi di funzionamento cui le scuole dovranno attenersi per ottenere un riconoscimento "pubblico".

Sembrano quindi mature le condizioni per un ulteriore consolidamento qualitativo dell’intero settore, anche se non mancano punti di difficoltà e di trascuratezza (specie per i necessari servizi di supporto a carico degli enti locali, come l’edilizia, le mense, gli arredi, i trasporti, ecc.).

Questo obiettivo (ambizioso) anima la legge di riordino dei cicli che, inserendo a pieno titolo la scuola dell’infanzia nel sistema scolastico dai 3 ai 18 anni, ne richiede la generalizzazione a tutta la potenziale utenza ed il miglioramento della qualità educativa. Si tratta di prospettive impegnative, ma ancora generiche e vaghe (cosa significa "scuola di qualità" ?), che richiedono di essere sostanziate da precise azioni di gestione, da risorse adeguate, da impegni operativi. E’ il nodo di ogni processo di trasformazione: passare dalle riforme (cioè dalle novità scritte nelle leggi, nei regolamenti, nelle norme) alle innovazioni (e quindi ai comportamenti reali dei diversi soggetti, alle loro motivazioni, ai cambiamenti nel microsistema delle relazioni educative, nella vita delle classi, per migliorare le opportunità di apprendimento per i bambini).

Si tratta di processi che richiedono tempi medio-lunghi e che non possono essere accelerati con qualche annuncio ad effetto mass-mediologico, né da strategie troppo direttive ed unidirezionali di attuazione di piani di riforma (pena il sentirsi eternamente alle prese con "decisioni calate dall’alto", che è oggi il sentimento più diffuso tra gli insegnanti). Anche il reperimento delle risorse finanziarie indispensabili per attuare miglioramenti nel sistema scolastico pone un serio vincolo alle strategie di sviluppo.

Siamo ancorati da parecchi anni ad uno striminzito 4,8 % di quota del prodotto interno lordo destinato alla formazione (a fronte del 6 % medio dei paesi europei) ed anche la legge 30/2000 non sfugge a questa tagliola: i cambiamenti dovranno avvenire –per il momento- "a costo zero", con il solo utilizzo delle economie via via recuperate all’interno del sistema riformato. Sarà soprattutto l’esubero di personale, dovuto all’accorciamento di un anno del percorso scolastico (gli allievi diciannovenni saranno infatti presi in carico dall’Università o dalla formazione tecnica superiore e non più dalla scuola), a "finanziare" i miglioramenti della restante parte del percorso. Ad esempio, nel piano di attuazione dela legge 30/2000 era prevista un’espansione di 500 sezioni di scuola materna all’anno, così come una più efficace gestione dell’organico funzionale (per rendere possibile compresenze significative, figure di sistema, formazione in servizio, laboratori, ecc.).

Il piano triennale di sperimentazione

Un piano triennale (come quello abbozzato dal DM 91/2001) per concretizzare alcune di queste misure sembra un approccio realistico per avviare quella politica di innovazioni organizzative nella scuola dell’infanzia, che era stata richiesta a gran voce dagli operatori scolastici e preannunciata anche dopo lo svolgimento di una ampia consultazione sulle "linee di sviluppo" della scuola dai 3 ai 6 anni, promossa dal Governo nel biennio 1999-2000.

E’ sempre stata acuta tra gli insegnanti la dicotomia tra i modelli pedagogici "alti" proposti a questa scuola (in termini di qualità del contesto ambientale, di interazione sociale ed affettiva tra adulti e bambini, di attenzione ai bisogni non solo cognitivi dei piccoli) e la realtà delle condizioni organizzative ed operative (ove, spesso, a locali scolastici non idonei sotto il profilo funzionale si assomma un numero elevato di bambini per sezione, alla carenza di personale ausiliario e di cura si aggiungono orari di funzionamento estesi e "pesanti"). La densità delle sezioni, con una media che si aggira sui 23,4 alunni per classe (e che è la più alta tra i diversi livelli scolastici), stride di fronte alla delicatezza ed alla qualità delle relazioni che vengono richieste per costruire un efficace ambiente di apprendimento e di sviluppo "personalizzato" per tutti i bambini. Il dover operare con sezioni che talvolta sfiorano i 28 alunni, magari con quote orarie ridotte di compresenza tra gli insegnanti contitolari delle sezioni, rende di fatto impraticabili tante buone idee sull’educazione dell’infanzia.

E’ su questi nodi strutturali che il decreto sulla sperimentazione (DM 91/2001) prova ad incidere, prefigurando un miglioramento graduale delle condizioni di funzionamento della scuola dell’infanzia. Le novità si riferiscono infatti a:

il contenimento del numero dei bambini ad un massimo di 25 alunni per sezione (va però detto che questo indicatore, di per sé, non è in grado di contribuire al miglioramento del rapporto medio di alunni per sezione, ma può incidere sulle punte di maggior disagio);

la garanzia di una quota di compresenza "pregiata" (cioè nelle fasce centrali della giornata scolastica) di almeno 10 ore settimanali per sezione, a prescindere dalla estensione dell’orario di funzionamento della scuola: è evidente che, in tal modo, si vogliono compensare le situazioni più "pesanti" di sovraccarico "sociale" del servizio;

un orario settimanale più contenuto, con oscillazione di norma tra le 35 e le 40 ore, che dovrebbe salvaguardare diverse esigenze, con priorità alla qualità dei momenti educativi della giornata del bambino a scuola (in parallelo si stigmatizzano, penalizzandoli con l’esclusione dalla sperimentazione, gli orari troppo ristretti –solo antimeridiani- perché troppo piegati su un’immagine "scolastica" della scuola dell’infanzia);

una maggiore flessibilità nell’organizzazione di tempi scolastici, che assumono come riferimento la fascia 1150-1300 ore su base annua, da distribuire nel corso dell’anno scolastico, della settimana, della giornata. Questa indicazione avvicina il calendario della scuola dell’infanzia a quello di tutti gli altri gradi scolastici, senza però una immediata equiparazione, che metterebbe in forse il tipo di servizio sociale che la scuola materna continua ad assolvere anche per gruppi limitati di bambini: il problema è però aperto e va ormai ricondotto nell’alveo dell’autonomia, con la flessibilità delle soluzioni e con l’eventuale ricorso a collaborazioni con gli enti locali e il "privato sociale".

Tra organizzazione e curricolo

E’ bene ribadire, ma il DM 91/2001 lo fa con sufficiente chiarezza, che lo sviluppo qualitativo di una scuola non può basarsi solo sugli aspetti di flessibilità organizzativa (questo è l’errore commesso nei primi anni di avvio sperimentale dell’autonomia scolastica), ma deve riferirsi ai compiti formativi essenziali, al core curriculum di ogni istituzione scolastica.

La sperimentazione, quindi, non potrà limitarsi a ricombinare diversamente gli orari di funzionamento della scuola, la composizione dei gruppi dei bambini, le modalità di esercizio della collegialità docente. Queste sono scelte organizzative importanti, che però acquistano un senso compiuto se coerenti e funzionali allo sviluppo di un progetto educativo, culturale e curricolare insieme.

Le ipotesi di innovazioni organizzative, che a grandi linee sono già contenute nel decreto (e riassunte nella lettera di accompagnamento), dovranno essere finalizzate ad esplorare le caratteristiche qualitative del curricolo della scuola dell’infanzia, a cogliere meglio il legame tra curricolo esplicito (inteso come insieme delle scelte organizzative e progettuali) e curricolo implicito (inteso come trama dei rapporti tra persone, ambienti, oggetti, sensazioni, che definiscono le caratteristiche del contesto educativo).

Occorre evitare l’accentuazione degli aspetti puramente gestionali delle variabili organizzative (che è stato il limite più evidente del progetto ASCANIO, di sperimentazione di moduli organizzativi), né si dovranno organizzare solo attività di formazione in servizio (come è in buona parte avvenuto per il progetto ALICE, anche se nato sotto le insegne della ricerca/azione.

La lezione delle due più recenti esperienze di innovazioni a vasto raggio (appunto Ascanio ed Alice) costituisce un utile ammonimento per evitare taluni limiti ed errori riscontrati nei processi precedenti.

Il dibattito che è avvenuto in occasione del riordino complessivo dei cicli può aiutarci a cogliere il senso dell’iniziativa. In particolare, ci riferiamo al documento su "La scuola dell’infanzia" contenuto (come capitolo autonomo) nel testo degli Indirizzi curricolari per la scuola di base, pubblicati il 7 maggio 2001 (ed in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale). Le linee di quel documento (che, ricordiamolo, non rappresenta il testo di Nuovi Orientamenti sostitutivi di quelli pubblicati nel 1991) presentano –in forme a volte un po’ ridondante- le questioni di natura curricolare e pedagogica che dovranno essere oggetto di riflessione all’interno delle scuole ammesse alla sperimentazione (v. tab. 1).

Tab. 1 – Criteri per l’ammissione al piano di sperimentazione

Le scuole dell’infanzia interessate, statali e paritarie, inoltrano uno specifico progetto alla Direzione Regionale documentando che:

adottano indirizzi curricolari (riferiti agli Orientamenti del 1991, alle finalità della legge 30/2000, alle indicazioni specifiche contenute nel documento per la scuola di base;

rispettano l’orario obbligatorio previsto (tra 1150 e 1300 ore annue), su base settimanale (almeno 35 ore) e giornaliera (soglia tra le 7 e le 8 ore);

realizzano forme di continuità educativa verticale ed orizzontale;

organizzano flessibilmente l’orario di servizio dei docenti

Sarà data la precedenza alle scuole impegnate nella sperimentazione (es.: Ascanio, Alice).

Fonte: DM 21-5-2001, n. 91

Rileggere gli Orientamenti

Il suggerimento è quello di "rivisitare" gli Orientamenti vigenti nell’ottica di una migliore coerenza dell’intero percorso formativo dai 3 ai 18 anni, anche per assicurare ogni forma di raccordo con i servizi educativi della prima infanzia e con il ciclo successivo (così come previsto dalla legge 30/2000).

Gli oggetti della riflessione curricolare, da definire in più specifici piani di intervento sperimentale, si riferiscono a:

qualità dell’impostazione curricolare per la scuola dell’infanzia, ove si privilegiano ambientazioni contestuali e relazionali, piuttosto che rigide delimitazioni di insegnamenti e di saperi; la giornata educativa –si ricorda nel decreto citato- deve qualificarsi per i caratteri di "serenità e distensione, ricorsività e progressività delle situazioni di apprendimento"

interpretazione dei campi di esperienza, che si presentano come ambiti di azione e di rappresentazione che vedono al centro l’esperienza dei bambini e la sapiente regia degli adulti;

natura degli esiti formativi da assicurare al termine della frequenza della scuola dell’infanzia, per i quali non si dovrà parlare di livelli di uscita, ma piuttosto di "avvertibili traguardi di sviluppo" per i bambini, per mettere in evidenza il carattere plastico e integrato delle dimensioni di crescita e apprendimento, non avulso dalla qualità delle esperienze organizzate dalla scuola;

caratteristiche della valutazione, da estendere all’intero contesto di esperienza dei bambini piuttosto che ad abilità e prestazioni parziali riferite ai singoli alunni.

La revisione degli Orientamenti educativi non si pone in termini immediati, tenuto conto della loro attualità pedagogica e del loro impianto già curricolare (in quanto nel testo non vengono prescritti i programmi da attuare, ma presentati i criteri per la costruzione del curricolo di scuola).

A prescindere dal riordino dei cicli, per il quale viene preannunciata una pausa di riflessione (o un vero e proprio ripensamento), l’elaborazione di nuovi indirizzi curricolari trova oggi una fonte di legittimazione giuridica e culturale soprattutto nello sviluppo e nel consolidamento dell’autonomia. In base a tali norme, dettagliate con precisione nel regolamento dell’autonomia (art. 8 del Dpr 275/99), spetta al Ministro fissare finalità educative, obiettivi specifici di apprendimento, quadri orari, ecc. per ogni ciclo scolastico (ivi compresa, dunque, la scuola dell’infanzia). Il pieno dispiegarsi dell’autonomia, richiede pertanto un ripensamento anche per gli Orientamenti della scuola dell’infanzia, per meglio esplicitarne i rapporti con le nuove responsabilità in materia di curricolo riconosciute alle singole unità scolastiche.

Il programma di sperimentazione intende caratterizzarsi anche come azione di monitoraggio sulla effettiva attuazione degli Orientamenti vigenti, che potrebbe concludersi –al termine del triennio- anche con una proposta di nuovi Orientamenti.

L’eventuale revisione dovrà però scaturire da un percorso di riflessione e analisi critica dei curricoli realmente praticati nella scuola dell’infanzia. L’impressione è che non tutte le potenzialità contenute negli Orientamenti del 1991 siano state sviluppate. Un tale processo richiede il coinvolgimento attivo degli insegnanti e può tradursi in una vera e propria azione di ricerca e di formazione in servizio. Le migliori esperienze di aggiornamento sono infatti rappresentate dall’autoanalisi prolungata dei propri stili educativi e delle pratiche di insegnamento, con l’aiuto di "colleghi" (tutor) in qualità di facilitatori dei processi di riflessione. L’analisi dei contesti educativi e delle differenze di qualità che ancora si manifestano nelle condizioni "reali" del fare scuola potrà suggerire ulteriori iniziative sul piano normativo, organizzativo e professionale.

In particolare appare di estremo interesse la messa in cantiere di forme di raccordo pedagogico, curricolare ed organizzativo tra scuole dell’infanzia e scuola di base, anche mediante la sperimentazione di diverse modalità operative (anni ponte, team integrati di docenti dei due livelli scolastici, curricoli passerella, ecc.). Sul piano nazionale potrebbe essere definito un apposito protocollo per il raccordo curricolare tra scuola dell’infanzia e ciclo successivo, con la possibilità di attivare appositi interventi di consulenza, formazione e monitoraggio per le scuole che si impegnano a sviluppare forme di raccordo organico.

Gli istituti comprensivi rappresentano, nel medio periodo, l’ambiente professionale in cui avviare ed approfondire la ricerca sui nuovi curricoli verticali a partire dai tre anni.

In ogni istituto comprensivo va istituito uno staff pedagogico, in cui siano rappresentati gli operatori scolastici della scuola dell’infanzia.

La percezione della professionalità docente nella scuola dell’infanzia è ancora debole e marginale. Occorre incentivare la permanenza degli insegnanti migliori nella scuola dell'infanzia, con opportunità di crescita professionale e di sviluppi di carriera, secondo gli orientamenti più volte affermati nei documenti di lavoro della commissione.

Nella scelta delle funzioni obiettivo, nella costituzione di staff, nella attribuzione di nuove responsabilità intermedie dovrebbe sempre essere garantita la presenza qualificata di operatori della scuola dell’infanzia.

Definire gli standard di funzionamento

L’auspicata generalizzazione (espansione quantitativa) del servizio educativo va accompagnata dalla diffusione di standard qualitativi, come presupposto ed incentivo alla integrazione dei servizi a diversa gestione. Gli standard vanno intesi come criteri di qualità cui ispirare i comportamenti amministrativi, di gestione delle risorse, di investimento, che potrebbero essere incentivati attraverso l’adozione di misure di indirizzo, di sostegno e di controllo.

Operare nella logica degli indicatori di qualità significa, innanzi tutto, attivare procedure di negoziazione e condivisione, che portino i diversi soggetti in gioco ad attribuire significato e coerenza alle decisioni prese, aiutando la scuola ad imparare a regolare il proprio sviluppo.

Il decreto 91/2001 compie una prima ricognizione di tali campi di ricerca e li nidividua nei seguenti punti:

configurazione del curricolo di scuola, nel rapporto tra quota nazionale (70 %) e quota locale (30 %);

iniziative di continuità verticale ed orizzontale;

orari di funzionamento annuali, settimanali, giornalieri, ecc.;

consistenza delle sezioni, flessibilità organizzative ottimali, ecc.;

tipologia degli organici funzionali, in modo da garantire fasce qualificate di compresenza in rapporto alla flessibilità degli orari ed alla consistenza delle sezioni;

tipologia funzionale degli spazi interni ed esterni, degli arredi, delle attrezzature, ecc.;

presenza e qualità dei servizi di supporto (mensa, trasporti, servizi per l’igiene e il riposo, ecc.);

profili professionali degli operatori che intervengono nella scuola dell’infanzia (dirigenti, insegnanti, personale ausiliario, figure intermedie e di staff, operatori specializzati, ecc.);

standard professionali (responsabilità e collegialità, formazione in servizio, forme di autovalutazione, tempi per la programmazione, ecc.).

Le garanzie per la qualità

L’introduzione degli standard impegna l’amministrazione scolastica centrale (per la definizione degli indirizzi nazionali di riferimento e la provvista delle risorse finanziarie e di personale), le direzioni regionali (per la gestione delle risorse umane e finanziarie e la promozione di iniziative di formazione continua e ricerca, d’intesa con gli IRRE ed i Servizi territoriali di consulenza), le singole unità scolastiche (per l’adozione delle soluzioni pedagogiche ed organizzative più coerenti), le Regioni (per le azioni di programmazione e integrazione dell’offerta formativa, per il sostegno al diritto allo studio), gli enti locali (per la "messa a norma" pedagogica degli ambienti educativi destinati alla scuola dell’infanzia).

L’impegno ad adottare gli standard di riferimento costituirà condizione di accesso al sistema paritario delle scuole dell’infanzia e principale parametro per i connessi controlli di qualità.

L’introduzione progressiva di standard qualitativi dovrà essere accompagnata dal monitoraggio delle azioni dei diversi soggetti: scuole, amministrazione scolastica, enti locali, enti gestori di scuole. La costituzione di un Osservatorio nazionale per la qualità dei servizi educativi (con una alta componente tecnica e scientifica, oltre che le rappresentanze degli operatori scolastici) rappresenta una garanzia istituzionale per lo sviluppo della qualità nella scuola dell’infanzia. L’Osservatorio dovrebbe anticipare la creazione di una Agenzia nazionale per il curricolo che diventerà lo strumento "partecipativo" per una revisione continua degli indirizzi curricolari per tutti i cicli scolastici.

La Direzione regionali della Pubblica Istruzione rappresenta la sede politico-amministrativa presso la quale vanno collocate le azioni per la generalizzazione e la qualificazione del servizio scolastico per i bambini dai tre ai sei anni, anche mediante la costituzione di un’apposita unità operativa, che veda il coinvolgimento delle diverse istituzioni interessate (Regione, enti locali, rappresentanze scuole statali e non statali, IRRE, ecc.). E’ prevista l’istituzione di Osservatori regionali con composizione e compiti simili a quello nazionale.

Non sarà sufficiente, tuttavia, agire a livello nazionale e regionale. L’integrazione del sistema formativo dai 3 ai 6 anni va accompagnato da incentivi finanziari locali per progetti di sviluppo qualitativo integrato (formazione degli operatori; progetti innovativi; legami con il territorio; ecc.) che devono riguardare tutte le istituzioni scolastiche. Le politiche locali di integrazione andrebbero irrobustite dall’avvio di progetti per il concreto miglioramento degli standard di funzionamento, con interventi a carico dello Stato, degli enti locali, delle scuole a diversa gestione, e la valorizzazione di tutte le competenze tecniche disponibili. La cultura dell’integrazione e della parità andrà diffusa nei comportamenti e nei contesti territoriali, come stimolo ai processi di qualificazione, con vantaggi per il sistema nel suo insieme.

Le idee sullo sviluppo della scuola dell’infanzia oramai non mancano; vanno però arricchite ed attuate da una precisa volontà politica ed istituzionale e con la partecipazione attiva delle scuole e degli operatori.

Le prossime "mosse" dei diversi soggetti ci diranno se siamo sulla buona strada.


(Questo intervento è in corso di pubblicazione presso l’editore Tecnodid di Napoli, in un fascicolo di presentazione dei documenti curricolari elaborati dalla Commissione De Mauro e relativi alla scuola dell’infanzia, alla scuola di base e alla scuola secondaria)