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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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FEDERALISMO SCOLASTICO AL PROSSIMO GOVERNO

di Gian Carlo Sacchi

Non è una novità che nella legislatura appena conclusa il rapporto tra Stato e Regioni in materia scolastica e formativa non sia stato idilliaco. Il Titolo Quinto non è stato applicato e quindi il modello di governo è ancora da definire; da una parte lo Stato ha coinvolto le Regioni a livello prevalentemente consultivo, d’altro canto queste ultime hanno approvato un masterplan con il quale si richiede la gestione dell’intero sistema entro il 2009.

La legislazione nazionale avrebbe dovuto lavorare più sulla cornice istituzionale: norme generali, principi fondamentali e livelli essenziali di prestazione, che sulle diverse tipologie di servizi, chiamando le Regioni stesse ad intese sulle competenze definite dalla Costituzione concorrenti. Dentro questo quadro andava completata la regolamentazione della pari dignità tra i diversi segmenti in una politica nazionale di standard e di qualifiche professionali, oltre che di titoli di studio, nonché definitivamente realizzata la parità nella gestione dei servizi, iniziata con la legge n. 62 del 2000, in modo da garantire la libertà di scelta e la tutela dei diritti dei cittadini al riguardo.

Abbiamo più volte sostenuto in questi articoli che la maturazione di un punto di vista regionale sul governo di questo sistema prescinde dalle maggioranze politiche posizionate al centro o in periferia, ne è prova la giurisprudenza della Corte Costituzionale provocata soprattutto dalla Emilia Romagna nei confronti del centro destra e quella tentata dalla Lombardia nei confronti del centro sinistra.

Nella legislazione regionale, auspicata dalla stessa alta Corte, si è criticata la predetta regione emiliana in quanto sembrava voler, attraverso i percorsi integrati tra istruzione e formazione professionale, limitare l’iniziativa in quest’ultima come canale autonomo, che con il precedente governo si voleva privatizzare già a decorrere dalla terza media, mentre altrettante critiche sono piovute su quella lombarda per aver cercato di avocare a se gli istituti professionali statali. Entrambe queste leggi hanno scontato un difetto in comune:l’assenza della cornice appunto, prevista dalla più volte citata riforma costituzionale.

E’ piuttosto facile che avvicinandosi le elezioni queste posizioni vengono brandite come arma di contesa politica, e mentre sembra esserci tregua sul federalismo in generale soprattutto sul fronte del ministero delle regioni, l’ultimo rischio di mancata intesa sulle così detta “sezioni primavera” di scuola dell’infanzia mette in evidenza il conflitto di attribuzioni, rischiando di far perdere anche i finanziamenti che lo stato ha messo a disposizione o di adire ad accordi con le singole regioni.

Ministero della Pubblica Istruzione e regione Lombardia si sono impegnati a ritirare, a ottobre, i rispettivi ricorsi alla Corte Costituzionale. Si è aperto un dialogo, una spinta per il nuovo governo.

Oggi tutti auspicano un patto per la scuola nella società, affinché il prossimo esecutivo non si metta a sostituire i dispositivi strutturali di quello precedente, senza poi riuscire a completare il proprio quadro legislativo e senza quindi dare sicurezza al sistema, tale patto deve riguardare da un lato la coesione sociale ed il rilancio in senso educativo delle relazioni all’interno della comunità nazionale e di quelle locali, e, dall’altro, le modalità di governo ai diversi livelli territoriali, mettendo a sistema molti strumenti già realizzati.

E’ quest’ultima assieme alla qualità dei processi formativi la vera riforma di cui ha bisogno il nostro sistema. La comparazione internazionale mette in evidenza che sempre meno decisive risultano le riforme di struttura, più legate alla storia dei singoli ordinamenti che all’efficacia dei risultati.

I contenuti dell’accordo tra ministero e regione Lombardia riecheggiano problemi già noti e già posti anche in precedenza, ma che per l’appunto hanno bisogno di soluzioni quadro, per poterci poi addentrare a discuterne il merito, cosa che l’approccio centralistico non è più in grado di soddisfare e che temi anche importanti: si pensi ad esempio all’innalzamento dell’obbligo e all’istruzione superiore, devono tenere conto dei contesti e delle domande sociali, nonché esprimere una qualità dei servizi da porre in relazione stretta con lo sviluppo del territorio, anzi coinvolgendo la scuola direttamente nel progresso, economico e sociale.

A conclusione di questo quadro non si può dimenticare il federalismo fiscale: un rapporto cioè tra prelievo e spesa che deve tener conto della quantità e della qualità dei servizi erogati, per essere in grado di garantire efficacemente il diritto allo studio, superando anche una politica ormai piuttosto obsoleta degli assegni individuali.

Gestire dunque tutto il sistema dell’education da parte delle regioni, comprese le modifiche di struttura, nell’ottica delle predette competenze concorrenti, e l’organizzazione di un istituto, compreso il personale, da parte delle autonomie scolastiche, è una questione ormai matura. Occorre una politica del personale che all’interno di un contratto nazionale possa seguire modalità di lavoro centrate sui bisogni locali, sviluppare l’autonomia progettuale e professionale,  reperire le condizioni, oltre che economiche anche strutturali, per sostenere la ricerca e la qualificazione.

Maggiore autonomia e libertà sono invocate un po’ da tutti, il problema delicato resta quello di coniugare sviluppo ed equità, che fino a qui sono sempre stati controllati dal centralismo ministeriale e che in futuro andranno consegnati a dispositivi più di carattere sociale e culturale.

Riconoscere la validità dei percorsi triennali così come praticati in Lombardia,denominati istruzione e formazione professionale, ma di fatto modellati sui corsi regionali, per l’assolvimento dell’obbligo di istruzione, si potrà fare quando ci sarà un sistema di standard a livello nazionale che garantisce a chi li frequenta di trovarsi di fronte un’offerta di qualità seppure di diversa modalità di erogazione rispetto alla scuola tradizionale. A questo proposito andrà considerato come scuola e formazione possano avere veramente pari dignità nella realizzazione di un curricolo allargato, flessibile e integrato, in cui il successo per il singolo vada di pari passo con l’aumento delle competenze ed una proficua relazione con i contesti formativi, sociali e lavorativi.

In linea con quanto detto un documento della Conferenza delle Regioni (14 febbraio 2008) pone le agenzie formative accreditate, che oggi erogano formazione professionale, al centro di quello che il nuovo art. 117 della Costituzione chiama Istruzione e Formazione Professionale, di esclusiva competenza delle regioni medesime, ma di cui non si è dato ancora chiaramente una definizione. Qui addirittura si parla di formazione dei docenti di tale sistema, anche in integrazione con quelli della scuola (pag. 5), mentre in altra parte (pag. 7) di formazione congiunta dei docenti dell’istruzione e della formazione professionale. Da una parte si vogliono legittimare le predette agenzie nell’adempimento dell’obbligo di istruzione, dall’altra si vuole assicurare sostegno anche a quelle scuole a loro volta accreditate dalle medesime regioni per i propri percorsi.

Le Regioni però fanno eco al ministero quando affermano l’equivalenza dei diversi percorsi, fondata sull’omogeneità dei livelli di apprendimento relativi alle competenze che tutti devono acquisire al termine dell’istruzione obbligatoria.

Come si è più volte cercato di evidenziare una maggiore liberalizzazione rientra pienamente in un programma di modernizzazione del Paese, ma il quadro di governo deve essere la principale priorità nella prossima legislatura.


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